Appalti e corruzione: 30 anni seduti al “tavolino”?

Appalti e corruzione: 30 anni seduti al “tavolino”?

Simone Olivelli

Catania, marzo 2021. A dispetto di quello che ci si potrebbe aspettare da una città siciliana affacciata sul mare, le temperature sono ancora invernali. All’ultimo piano di un palazzo del centro, un attico con terrazza, tre uomini sono impegnati in una conversazione. Non si tratta di persone qualunque: a fare gli onori di casa è infatti un noto politico regionale. Il giovane onorevole – questo il titolo che in Sicilia spetta ai componenti dell’Assemblea regionale siciliana (Ars), uno dei parlamenti più antichi d’Europa – in pochi anni ha saputo affermarsi sulla scena isolana e in tanti sono pronti a scommettere su un futuro ancora più radioso.

Chi, invece, gli ha fatto visita sono un funzionario pubblico e un imprenditore. Il primo è un affermato dirigente della Regione, il secondo un costruttore che in quell’appartamento è stato già più volte, il politico infatti è un suo caro amico.

Il politico, l’imprenditore e il funzionario toccano diversi argomenti. Parlano, per esempio, della piscina che il primo vorrebbe realizzare sul terrazzo. Un’idea che garantirebbe la possibilità di immergersi nell’acqua godendo della vista su quella che, nonostante un declino che avanza anno dopo anno, un tempo era definita la Milano del Sud. Forse, però, capita anche dell’altro: in un momento in cui il padrone di casa si allontana, l’imprenditore prende una mazzetta di soldi e la passa al funzionario. Il denaro è una tangente per un appalto ricevuto dall’ufficio guidato dal funzionario, grazie alla mediazione del politico.

Quella appena descritta è però solo una delle tante ricostruzioni dell’incontro verbalizzate dalla procura di Catania dalla fine del 2021.

Si tratta della versione di Natale Zuccarello, il funzionario del trio. Oggi in pensione, ma all’epoca molto influente nei principali gangli della Regione Siciliana, dopo essere stato arrestato alla fine di un’indagine sulla rete corruttiva dentro al Genio civile di Catania, ha deciso di collaborare con i magistrati chiedendo di patteggiare la pena. Dai suoi racconti sono venuti fuori tanti nomi. Soggetti che in prima battuta erano rimasti fuori dall’indagine e che hanno arricchito un quadro d’insieme rimasto però per nulla chiaro.

Il lavoro di inquirenti e investigatori è stato infatti tutt’altro che semplice. Se in alcuni casi ha prodotto elementi di prova tali da spingere gli indagati a chiedere di patteggiare la pena, in altri l’impegno è sfumato in una serie di archiviazioni per l’impossibilità – come nel caso dell’incontro nell’attico – di discernere il vero dal falso.

L’inchiesta catanese fornisce spunti per riflettere sulle dinamiche che caratterizzano la corruzione oggi in Italia e sulle difficoltà nel perseguirla, specialmente ora che il Paese si appresta a gestire i miliardi di euro di fondi pubblici del Pnrr.

Il cilindro di Zuccarello

Considerato dagli inquirenti il dominus del sistema corruttivo che passava dal Genio civile di Catania, Zuccarello era finito sotto la lente della procura già dalla fine del 2020. Il pubblico ministero Fabio Regolo aveva messo gli occhi su di lui dopo che il funzionario aveva deciso di annullare, in seguito ad articoli di stampa, alcuni lavori per la pulizia di torrenti da lui assegnati con il sistema dell’affidamento diretto, cioè contrattando con le singole imprese senza indire gare d’appalto. Il sospetto del magistrato era che la scelta delle ditte fosse stata viziata da rapporti corruttivi. Ne erano seguite perquisizioni, che avevano portato prima al sequestro di importanti somme di denaro e infine alla retata della finanza e all’arresto di due imprenditori e tre funzionari, fra cui anche Zuccarello.

Poco dopo essere stato sottoposto alla custodia cautelare in carcere, Zuccarello ha ammesso di avere preso tangenti. Si è trattato del primo passo di una collaborazione che, oltre a favorire l’accordo con la procura in merito al patteggiamento su cui proprio nei prossimi giorni deciderà la gup Anna Maria Cristaldi, ha dato la possibilità agli inquirenti di esplorare nuove strade nel convincimento che la corruzione all’interno del Genio civile etneo fosse un fenomeno ancora più esteso.

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Tra le storie che escono fuori dal cilindro di Zuccarello c’è proprio quella dell’incontro nell’attico. Il funzionario racconta di essere andato lì invitato dal padrone di casa, Gaetano Galvagno. Pupillo e concittadino in quel di Paternò (Catania) del presidente del Senato Ignazio La Russa, Galvagno la carriera annunciata la sta facendo. Oggi è presidente dell’Ars, mentre all’epoca era uno dei settanta deputati con ruoli in diverse commissioni parlamentari, tra cui quella Antimafia che si occupa anche di corruzione nel pubblico. Tra le audizioni effettuate dalla commissione ce n’è una, svoltasi pochi mesi prima dei contatti tra Zuccarello e Galvagno, in cui alcuni imprenditori avanzarono sospetti sulle gare d’appalto gestite dagli uffici della Regione Siciliana.

Nell’abitazione del politico, Zuccarello dice di avere trovato anche Carmelo Gangi Climenti, imprenditore edile. Sarebbe stato lui a pagare la mazzetta, un “regalo” per un lavoro ottenuto grazie anche all’interessamento di Galvagno. I contatti con il politico sarebbero stati molteplici e il funzionario li descrive nel corso di un interrogatorio svoltosi ad aprile dello scorso anno.

«Voglio riferire anche un altro episodio che riguarda lavori di somma urgenza seguiti nel 2020 – si legge nel verbale – . Nel periodo di fine anno, ho ricevuto una telefonata dell’onorevole Gaetano Galvagno, che mi avvisa che voleva incontrarmi». Zuccarello dice agli inquirenti di essere rimasto sorpreso di quell’invito, avvenuto in un momento in cui il Genio aveva già affidato un appalto all’impresa di Gangi Climenti, l’amico di Galvagno. «Gli fisso l’appuntamento al bar – rivela il funzionario nell’interrogatorio -. Sono andato all’incontro convinto di ricevere apprezzamenti sia sull’attività svolta dal Genio sia per l’affidamento fatto nei confronti del Consorzio Innova, segnalatomi da lui per fare lavorare poi la consorziata Cie di Gangi Climenti. In realtà – continua l’ingegnere – mi redarguì per il fatto che avevo affidato un altro lavoro alla Nurovi diversamente dalle sue aspettative, in quanto lui si era impegnato per portare il finanziamento per coprire entrambi i lavori programmati con due verbali di somma urgenza».

Nella ricostruzione di Zuccarello, Galvagno avrebbe ambito a far sì che la ditta dell’amico imprenditore potesse agguantare non uno ma due lavori. Dal canto suo, il capo del Genio civile aveva deciso di affidare solo un lavoro a Gangi Climenti, mentre l’altro era andato alla Nurovi, ditta gelese i cui vertici sono stati anche’essi coinvolti nel blitz in cui è stato arrestato Zuccarello. Questa ripartizione sarebbe stata frutto di altre richieste, pervenute – a detta di Zuccarello – da Pippo Li Volti, uomo di fiducia dell’allora assessore regionale ai Lavori pubblici Marco Falcone. Li Volti e Falcone non sono mai stati indagati nell’inchiesta sul Genio civile, ma nei giorni scorsi è emerso il loro coinvolgimento in un’indagine su corruzione in una vicenda legata alla società Interporti Siciliani.

«Dopo qualche giorno sono stato richiamato da Galvagno per avere un incontro al bar. Sono andato e ho trovato insieme a lui Gangi Climenti – si legge nel verbale – Dopo aver ripreso il discorso sugli affidamenti, Gangi Climenti mi disse che era un peccato non aver affidato entrambi i lavori a lui perché erano pronti 20mila euro da spendere. All’inizio la discussione è stata animata, poi ci siamo lasciati al bar in serenità perché avevano capito che era stato Li Volti a non indicarmi Gangi Climenti».

La possibilità di beneficiare di una tangente da 20mila euro nel caso di un doppio affidamento all’impresa di Gangi Climenti avrebbe lasciato posto, secondo Zuccarello, a una concreta dazione di denaro, seppure di importo inferiore. Si tratta dell’incontro a casa di Galvagno, avvenuto nei primi mesi del 2021.

«Sono stato invitato ad andare a casa sua e anche in quell’occasione era presente Gangi Climenti, che durante una discussione fatta in assenza di Galvagno mi ha consegnato una busta con circa 6.500 euro».
Interrogato dai magistrati, Gangi Climenti, ha smentito ogni addebito. L’imprenditore ha negato di avere mai dato soldi a Zuccarello e di avere mai cercato sponsorizzazioni dall’amico politico. «La segnalazione me la sono fatta da solo», si legge nel verbale di interrogatorio di Gangi Climenti.

A rimandare al mittente ogni accusa è stato anche lo stesso Galvagno. Il politico ha spiegato la presenza in casa propria di Zuccarello con la volontà di chiedergli consigli tecnici sul progetto di realizzazione della piscina e sugli iter da seguire per ottenere le autorizzazioni. «Forse penserete che sia inopportuno avere interessato Zuccarello per una pratica che poi doveva assentire il Genio civile, magari è così e ho sbagliato, ma nulla a che vedere con il grave contenuto delle dichiarazioni di Zuccarello», ha detto Galvagno agli inquirenti durante il proprio interrogatorio. Al contempo ha ammesso di avere sollecitato a Zuccarello il nome di Gangi Climenti. Ma in buona fede. «Ho avuto modo di parlare del fatto che il mio amico non lavorava mai con il Genio e visto che dovevano utilizzare il principio di rotazione mi sembrava strano», si legge nel verbale. A precisa domanda del magistrato, Galvagno ha detto che le rimostranze sulle modalità di gestione degli appalti e sul mancato principio di rotazione delle imprese da parte di Zuccarello non sono mai confluite in segnalazioni ufficiali all’interno dell’Ars.

Il portone d’ingresso della sede del Genio civile di Catania – Foto: Simone Olivelli

Davanti a versioni così divergenti, il pubblico ministero ha deciso di mettere a confronto i protagonisti. Così, in estate, Zuccarello, Galvagno e Gangi Climenti si sono trovati uno di fronte all’altro. Il faccia a faccia però non è servito a dipanare la matassa. Davanti all’impossibilità di stabilire chi dicesse la verità, la procura ha chiesto e ottenuto l’archiviazione dell’indagine.

Leggendo la richiesta presentata dal pm Regolo al gip emerge come l’apporto fornito dal funzionario non sia stato sufficiente. «Alla richiesta di fornire maggiori dettagli sulle circostanze della dazione di 6.500 euro, Zuccarello rispondeva di non ricordare alcun particolare riguardante le modalità di consegna del denaro, se non il fatto che era avvenuta in casa di Galvagno seppure non alla sua presenza. Zuccarello – si legge nella richiesta di archiviazione – non forniva nemmeno altri elementi a supporto delle presunte pressioni ricevute da parte di Galvagno».
Una ricostruzione, quella di Zuccarello, che alla fine è risultata carente degli elementi necessari a sostenere il giudizio in un processo. O per usare l’espressione scelta dal pm si è rivelata «lacunosa».

Deroghe in nome di una finta velocità

«Il nostro codice dei contratti è di matrice europea ed è pensato per contesti nei quali l’incidenza di criminalità organizzata e corruzione sono molto inferiori alla situazione italiana». Parte da qui Luigi Oliveri per commentare il caso Genius. Una carriera da dirigente pubblico, Oliveri vanta una significativa conoscenza in tema di appalti, materia a cui ha dedicato diverse pubblicazioni. «Nel mondo anglosassone vige il concetto di accountability, ovvero la responsabilità in capo a chi gestisce risorse pubbliche di spiegarne l’uso e l’efficacia della gestione. In Italia invece – sottolinea – questo principio viene interpretato come mera libertà d’azione del funzionario».

Il riferimento va alla diffusa scelta di ricorrere a modalità di selezione dei contraenti che sfuggono a una reale consultazione del mercato. Optare per procedure diverse dalle gare aperte, quelle a cui chiunque è interessato può partecipare, non è un fenomeno nuovo ma è diventato ancora più frequente nel momento in cui i decreti Semplificazioni, varati tra 2020 e 2021 dal governo precedente, hanno innalzato le soglie al di sotto delle quali è possibile restringere il campo dei partecipanti. Ciò può avvenire tramite un numero limitato di inviti alla gara o, nei casi più estremi, contrattando direttamente con la singola impresa.

«È facile capire come questo possa favorire la convergenza di interessi tra un imprenditore disposto a pagare pur di avere il lavoro e un funzionario disponibile a elargire favori – commenta Oliveri –. Stabilito questo contatto, anche una gara a inviti può essere truccata. Basta invitare ditte disposte a fare da comparsa per favorire colui che dovrà vincere». Scenari che l’indagine Genius ha portato a scovare, rilasciando una fotografia del sistema degli appalti caratterizzato spesso da poca trasparenza.

«Spesso si ricorre ai sorteggi per affermare l’assenza di discrezionalità nelle scelte, ma va detto che anche questi metodi hanno dato prova di non garantire la correttezza delle procedure. I sorteggi – ricorda Oliveri – un tempo venivano taroccati usando i bussolotti riscaldati, oggi vengono fatti tramite strumenti informatici ma sarebbe ingenuo pensare che non possano esistere metodi per condizionarne gli esiti. A maggior ragione quando tutto si svolge in un ufficio, lontano da occhi indiscreti».

Anche in questo caso è possibile trovare un riscontro nelle carte dell’inchiesta catanese. Zuccarello ai magistrati ha ammesso di avere più volte soltanto simulato la selezione casuale delle imprese a cui inoltrare l’invito.

A fronte di tali criticità, l’azione del legislatore negli ultimi anni sembra essere andata in direzione opposta: «Il decreto Semplificazioni del 2020 – spiega l’esperto – ha addirittura abolito l’esigenza di esplicitare la motivazione per cui si ricorre a un affidamento diretto quando si parla di appalti legati al Pnrr. Tuttavia, bisognerebbe tenere a mente che per quanto la disciplina dei contratti pubblici possa avere ampliato le maglie, in Italia esistono leggi – come la 241 del ’90 sul procedimento amministrativo e la 190 del 2012 sull’anticorruzione – che vincolano i pubblici ufficiali a specifiche prudenze, lontane dalla discrezionalità delle scelte su base fiduciaria».

Il ricorso alle procedure negoziate (gare a inviti e affidamenti diretti) viene spesso giustificato dalle stazioni appaltanti con l’esigenza di celerità. Il messaggio sottinteso è: se volete che le opere vengano fatte in tempi consoni, bisogna snellire gli iter. Oliveri, però, la pensa diversamente: «Una gara aperta con qualche centinaio di partecipanti può essere espletata in una quarantina di giorni – commenta – Uno studio della Banca d’Italia ha chiarito che, nel percorso che va dalla programmazione dell’opera alla sua concreta ultimazione, la gara incide sul tempo di realizzazione soltanto per il 12 per cento».

Le bottiglie di vino dimenticate

Quelli di Galvagno e Gangi Climenti non sono gli unici nomi fatti da Zuccarello all’indomani della sua collaborazione. Le diverse storie però hanno copioni molto simili. Anche negli altri casi le nuove indagini sono finite archiviate, dopo che gli inquirenti si sono accorti della mancanza di prove sufficienti. Fossero state partite di calcio, quelle tra Zuccarello e le persone da lui accusate, la maggior parte di esse si potrebbe dire sia finita zero a zero. Tante schermaglie, ma alla fine ognuno è apparso più concentrato sul non prenderle.

Una rete paramassi sul costone pericolante della Timpa di Acireale – Foto: Simone Olivelli
Una barriera massi in costruzione nel borgo di Santa Maria la Scala – Foto: Simone Olivelli

Un esempio è la storia che vede protagonista Nunzio Adesini, uno degli imprenditori della Nurovi arrestati nel blitz per avere pagato Zuccarello. Anche Adesini ha chiesto – e ottenuto già in fase di indagine – di patteggiare, dichiarando di essere disponibile a rivelare fatti inediti. L’imprenditore ha detto ai magistrati di avere vinto un lavoro al porto di Catania, grazie alla presenza nella commissione giudicatrice di Zuccarello.
Il trattamento di favore sarebbe stato ricompensato da Adesini con diecimila euro. L’imprenditore ha raccontato di avere nascosto il denaro in alcune bottiglie di vino. Per recapitarle avrebbe chiesto una mano a Carmelo Paratore, imprenditore impegnato in più settori, dalla ricettività balneare alla gestione dei rifiuti, e volto noto alle cronache giudiziarie per essere stato arrestato nel 2016 nell’inchiesta Piramidi, con l’accusa di essere vicino a Maurizio Zuccaro, boss ergastolano e sanguinario killer della famiglia Santapaola-Ercolano.

Secondo Adesini, Paratore – il cui nome è comparso più di recente in alcuni sms inviati da Piero Amara a Denis Verdini in merito a donazioni al movimento politico Ala – avrebbe acconsentito alla richiesta di fare da intermediario.

«Mi disse subito di sì. Ero sicuro della bontà del contatto – ha spiegato Adesini ai magistrati – perché lo stesso Paratore mi aveva più volte parlato dei buoni rapporti con Zuccarello».

A non smentire la cordialità sono stati gli stessi Zuccarello e Paratore, nel corso dei relativi interrogatori. Paratore ha raccontato di avere conosciuto il funzionario oltre un decennio prima, dalle parti dell’assessorato ai Rifiuti. «Mi fermò per complimentarsi per la mia auto sportiva. Da quel giorno siamo rimasti in contatto e ci siamo visti più volte al mio stabilimento balneare a Catania» si legge nel verbale. L’uomo, però, ha negato qualsiasi coinvolgimento nella corruzione. «Ero stato liberato da qualche mese in quanto prima ero stato sottoposto a misura cautelare e quindi avevo altri pensieri», ha detto Paratore.

Così come nel caso di Galvagno e Gangi Climenti, anche in questa vicenda esiste un incontro a tre. Adesini, Zuccarello e Paratore si vedono nel bar di una stazione di rifornimento. Anche stavolta, secondo Zuccarello, ci sarebbe stato un passaggio di denaro. «Uscendo dal bar, improvvisamente nella tasca dei miei pantaloni mi venne messa una mazzetta che poi a casa ho avuto modo di appurare fossero diecimila euro», ha dichiarato Zuccarello in un interrogatorio. La chiarezza dei ricordi però si interrompe qui: l’ingegnere non ha memoria delle bottiglie di vino citate da Adesini e non si sente neanche di mettere la mano sul fuoco su chi sia stato a pagare. «A distanza di tre anni, non ricordo se a darmi le somme sia stato Paratore o Adesini», ha spiegato.

Una lacuna non da poco, considerato che ha portato la procura di Catania in un vicolo cieco per quanto riguarda la possibilità di appurare il reale coinvolgimento di Paratore nella vicenda e di conseguenza all’archiviazione dell’indagine. Quest’ultimo, dal canto suo, quando gli è stato chiesto se gli sia mai stato chiesto di portare qualcosa di cui magari non conosceva il reale contenuto, ha chiosato: «So sempre quello che porto, sono un uomo di mondo».

La mazzetta pagata dal consigliere di Ance per comprare il tempo

La collaborazione di Zuccarello con la procura di Catania ha portato anche al coinvolgimento di un imprenditore in vista sulla scena siciliana: Antonio Pinzone. In questo caso, le rivelazioni del funzionario hanno portato a una precisa incriminazione e alla successiva richiesta di Pinzone di patteggiare. Tuttavia, pure in questo caso, non sono mancate le sorprese.

L’imprenditore, che dopo il coinvolgimento nell’inchiesta ha presentato le dimissioni dal consiglio generale di Ance Catania, è stato tirato in ballo da Zuccarello per il pagamento di una mazzetta da 25 mila euro. Vicenda che lo stesso Pinzone ha confermato davanti agli inquirenti, ma fornendo una ricostruzione diversa di come sarebbero andate le cose. Secondo il funzionario, la tangente sarebbe servita a turbare due gare d’appalto. «Pinzone mi ha indicato le ditte da invitare – ha dichiarato Zuccarello –. Abbiamo redatto un verbale scrivendo che abbiamo selezionato a sorteggio dall’urna, mentre in realtà abbiamo scritto le cinque ditte per ciascun lavoro, senza alcun sorteggio». Dagli accertamenti eseguiti dagli inquirenti, è emerso che dei due appalti soltanto uno è andato al consorzio di cui fa parte la ditta di Pinzone, poi incaricata di effettuare i lavori. L’ipotesi coltivata dai magistrati è stata quella secondo cui Pinzone si sarebbe mosso non solo nel proprio interesse, ma anche per conto di terzi.

L’impianto accusatorio però non ha retto di fronte alla versione dei fatti fornita da Pinzone. L’imprenditore ha escluso di avere mai concordato gli elenchi delle imprese da invitare, ipotizzando tutt’al più di avere dato «pareri sulla capacità tecnica e affidabilità di ditte che non sono a me legate e per lavori a cui non sapevo se sarei stato interessato». Ma soprattutto Pinzone ha detto di avere pagato per un altro motivo: «Lego la dazione di denaro alla consegna del cantiere, visti gli ostacoli e l’inerzia che avevo percepito», ha detto l’imprenditore, specificando che, una volta pagata la mazzetta, il cantiere «è stato consegnato nel giro di quindici giorni» dando così la possibilità all’azienda di Pinzone di avviare i lavori.

Anche in questo caso le divergenze nelle ricostruzioni e il successivo confronto tra gli indagati non hanno portato chiarezza: ciò ha determinato la caduta del capo d’imputazione sulla turbativa d’asta, confinando le accuse al reato di corruzione per l’esercizio della funzione. Pinzone ha proposto di patteggiare, trovando concorde la procura. La decisione, così come per gli altri, sarà presa nei prossimi giorni dalla gup Cristaldi.

Il “tavolino” degli appalti regge ancora?

Sfogliando gli atti dell’indagine sul Genio civile di Catania, come si è visto, ci si imbatte in personaggi appartenenti a mondi diversi ma comunque tra loro collegati: la politica, l’imprenditoria, la burocrazia. E così, al netto degli esiti giudiziari dei singoli filoni, è inevitabile chiedersi se al livello sistemico possa ancora oggi esistere quel “tavolino” di cui, negli anni ’90, parlò Angelo Siino, l’uomo che da San Giuseppe Jato (Palermo) è passato alla storia come il ministro degli appalti di Cosa nostra. Nel modello tracciato da Siino ai magistrati, quando decise di diventare un collaboratore di giustizia, la mafia siciliana rappresentava la livella che riusciva a mettere d’accordo tutti gli attori interessati a lucrare sulle opere pubbliche.

«Quello del “tavolino” era un meccanismo perfettamente regolato. Se imprenditoria, politica e burocrazia erano le gambe, Cosa nostra potremmo immaginarla come una lampada che illuminava il tavolo e gli affari che venivano spartiti in maniera scientifica».

A parlare è Alberto Vannucci, professore di Scienza politica all’Università di Pisa ed esperto di criminalità e corruzione. «L’efficienza del “tavolino” era talmente alta da riuscire a determinare l’assegnazione degli appalti non quando la gara veniva bandita, ma quando il finanziamento per la determinata opera veniva stanziato – prosegue Vannucci –. Ancora oggi, specialmente in alcune aree del Paese, il ruolo della criminalità organizzata negli appalti è centrale, ma ritengo meno di un tempo. Oggi il fenomeno corruttivo prescinde anche dalle mafie, parliamo di settori talmente lucrosi dove a farla da padrone è un altro fattore: l’interesse degli imprenditori a non farsi concorrenza, a trovare accordi e costituire cartelli».

Per il docente, fissato il patto tra le imprese, il ruolo di politici e funzionari si trasforma in quello di complici interessati: «Si conta sul fatto che chiudano un occhio sapendo che le imprese sono capaci di autoregolarsi e soprattutto – sottolinea – che chiunque vincerà restituirà parte dell’importo. In un quadro del genere, il compito del funzionario infedele è spesso quello di far finta di non vedere nulla». Vannucci sottolinea come oggi la tangente non sia l’unico strumento in cui si concretizza la corruzione.

«L’imprenditore, per esempio, può finanziare la campagna elettorale del politico che ha fatto da sponsor, magari mettendo anche a bilancio il contributo – prosegue – oppure esistono le consulenze e non è detto che a beneficiare di queste ultime debba essere per forza il parente del funzionario corrotto. Può capitare che A faccia un favore a B e che da quest’ultimo non riceva nulla in cambio, mentre B farà un favore a C che, un giorno, magari non immediatamente, restituirà qualcosa ad A. In uno schema di questo tipo, il lavoro per i magistrati si fa sempre più complicato, specialmente quando pensiamo alla fattispecie del codice penale che parla di atto contrario ai doveri di ufficio».

Nelle ultime settimane, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, parlando di corruzione, si è detto favorevole a uno sfoltimento della normativa come misura utile a sottrarre ai funzionari parte degli strumenti che possono essere utilizzati per vincolare gli imprenditori al pagamento delle tangenti, pena vedere bloccato l’andamento dei lavori.

«È indubbio che la cornice di regole che caratterizza il settore degli appalti sia complessa ed estremamente mutevole – commenta Vannucci – Spesso ci si trova davanti a leggi scritte male, soggette a interpretazioni e ciò favorisce inevitabilmente i malintenzionati». La Corte dei conti ha quantificato nel 40 per cento il sovrapprezzo di un appalto caratterizzato dal pagamento delle tangenti, senza contare il costo indiretto dei cattivi risultati. «La corruzione garantisce coperture dalla sorgente alla foce, dall’aggiudicazione fino all’esecuzione dei lavori – spiega Vannucci – Per fare un esempio: per recuperare i soldi per pagare la tangente in una gara riguardante il rifacimento di una strada, si può risparmiare sulla quantità di asfalto, potendo godere della complicità di chi dovrà controllare che, al momento di fare i carotaggi, punterà sulla porzione di lavori fatti a regola d’arte».

«E poi – va avanti Vannucci – secondo me bisogna partire da due direttrici: l’uso dei big data per la segnalazione di anomalie nelle fasi di aggiudicazione e poi puntare su un maggiore coinvolgimento delle comunità nei processi che portano alla definizione delle opere da realizzare. Nel momento in cui i cittadini sentono propria l’esigenza di controllare che le cose vengano fatte correttamente – conclude – per corrotti e corruttori la strada si farà un po’ più in salita».

CREDITI

Autori

Simone Olivelli

Editing

Lorenzo Bagnoli
Giulio Rubino

Foto di copertina

Il tribunale di Catania
(Simone Olivelli)

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