Bologna, dove gli studentati privati dettano legge

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Bologna, dove gli studentati privati dettano legge

Alice Facchini

Palestra, piscina, sala yoga, cinema, sala giochi, auditorium, ristorante, coworking e aule studio. Sono alcuni dei servizi esclusivi offerti dagli studentati privati che stanno nascendo in diverse città d’Italia: le stanze hanno un prezzo superiore rispetto alla media di mercato. Variano in base al tipo di residenza, ai servizi inclusi, alla dimensione: un posto letto può partire da poche centinaia di euro fino ad arrivare a più di mille. Ecco perché si parla di studentati «di lusso». A poterseli permettere sono studenti con disponibilità economiche oltre la media, soprattutto provenienti da altri Paesi.

A differenza degli appartamenti affittati sul libero mercato, qui gli studenti non devono interfacciarsi con le agenzie immobiliari o i proprietari privati, non devono affrontare le selezioni dei futuri coinquilini e possono prenotare una stanza direttamente dal sito dello studentato, senza dover essere presenti in loco. Gli alloggi sono completamente ristrutturati e dotati di molti comfort.

A investire nel settore sono soprattutto fondi immobiliari internazionali e fondazioni. Il mercato è nuovo in Italia, ma nel resto dell’Europa ha già una sua storia. Attualmente nel nostro Paese ci sono meno di 50 mila posti alloggio negli studentati convenzionati censiti dal ministero dell’Università e ricerca, cresciuti solo del 9,5% negli ultimi dieci anni: per portare questo numero a 100 mila entro il 2026, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) mette a disposizione 960 milioni di euro, destinati all’housing per studenti. La novità è che la partecipazione al finanziamento viene estesa agli attori privati, in modo da riuscire a raggiungere gli obiettivi nei tempi stretti richiesti dall’Unione europea.

C’è un problema: la corsa alle residenze per studenti dovrebbe risolvere il problema abitativo anche dei meno abbienti. La legge, però, non fissa un tetto massimo alle tariffe di affitto e non mette paletti chiari su quanti nuovi alloggi dovranno essere riservati a studenti con basso reddito. E così sono i privati a stabilire il prezzo.

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«Il vantaggio finale è per gli studenti o per gli investitori?», si chiede in maniera retorica Federica Laudisa dell’Osservatorio regionale per l’università e per il diritto allo studio di Ires Piemonte. La risposta è chiara: «In Italia manca un registro pubblico dei soggetti che percepiscono i finanziamenti per l’edilizia per studenti, con dati aperti e liberamente consultabili, né esiste un ente regolatore che faccia i controlli. Questo finisce per agevolare i proprietari di residenze, invece che gli universitari che hanno bisogno di una casa».

L’inchiesta
Questo articolo è stato realizzato nell’ambito del European Cities Investigative Journalism Accelerator. Cities for Rent è un’inchiesta collaborativa europea sul modo in cui il mercato dell’affitto sta cambiando le città. Su IrpiMedia, in questo nuovo filone d’inchiesta finanziato da Stars4Media, indaghiamo la crescita del mercato degli studentati e il peso dei crediti inesigibili nel mercato dei mutui in Europa.

La (fallita) assegnazione dei fondi del Pnrr

I primi 7.500 posti per i nuovi studentati finanziati con il Pnrr dovevano essere disponibili entro dicembre di quest’anno: il decreto 1046 del 2022 stanziava 300 milioni euro, puntando in particolare sul patrimonio immobiliare esistente e non utilizzato. Il testo prevede di destinare solo «prioritariamente» i posti letto a studenti capaci e meritevoli privi di mezzi (in base a quanto stabilito dal decreto legislativo 68 del 2012). Sembra invece venire dimenticato un altro decreto, il 937 del 2016, secondo cui almeno il 20% dei posti letto cofinanziati dallo Stato devono essere destinati «obbligatoriamente» – e non solo «prioritariamente» – a studenti in stato di necessità.

Comunque, il bando non ha ottenuto abbastanza candidature, e così sono stati assegnati solo 150 milioni, la metà dei fondi disponibili, arrivando a 4.478 posti letto distribuiti su 46 progetti. Tra gli assegnatari ci sono le università, gli enti per il diritto allo studio, ma anche fondazioni e società private. Per assegnare i rimanenti 150 milioni di euro, è stato emanato un secondo bando, con scadenza al 28 dicembre 2022.

I restanti 660 milioni del Pnrr confluiscono poi in un nuovo Fondo per l’housing universitario, istituito dall’articolo 25 del cosiddetto decreto aiuti ter (ossia il decreto legge 144 del 2022): a differenza dei precedenti bandi, queste risorse saranno destinate esclusivamente a soggetti privati, che possono eventualmente stipulare convenzioni con le università e gli enti per diritto allo studio (anche se non vi è nessun obbligo). Nel testo di legge si chiarisce che i posti letto sono comunque «destinati agli studenti fuori sede individuati sulla base delle graduatorie del diritto allo studio, ovvero di quelle di merito», ma non si specifica in quale percentuale e soprattutto chi è incaricato dei controlli.

Le leggi sugli studentati

Decreto legislativo 68/2012: prevede una revisione della normativa in materia di diritto allo studio e valorizzazione dei collegi universitari riconosciuti.

Decreto ministeriale 937/2016: definisce procedure e modalità per la presentazione dei progetti e per l’erogazione dei finanziamenti relativi agli interventi per strutture residenziali universitarie. All’art. 4 stabilisce che «per gli interventi cofinanziati vige l’obbligo di destinare i posti alloggio a studenti capaci e meritevoli anche se privi di mezzi idonei al conseguimento della borsa di studio […] in percentuale non inferiore al sessanta per cento del totale, ridotta al venti per cento (per determinati soggetti privati, ndr), a condizione dell’esistenza di una domanda da soddisfare per tale categoria di studenti, a pena di revoca del cofinanziamento».

Decreto ministeriale 1046/2022: avviso pubblico per l’accesso al cofinanziamento di interventi per mettere a disposizione nuovi posti letto per studenti universitari entro dicembre 2022. Lo stanziamento è di 300 milioni di euro.

Decreto ministeriale 1252/2022: nuovo avviso pubblico per l’accesso al cofinanziamento di interventi per mettere a disposizione nuovi posti letto per studenti universitari entro dicembre 2022. Si assegnano le risorse non ancora assegnate (150 milioni di euro).

Bologna, un esempio della privatizzazione del mercato dello student housing

Bologna, città frequentata dagli universitari dal 1088, è testimone di questa tendenza alla privatizzazione dell’edilizia per studenti: il mercato dell’affitto è saturo, mancano alloggi e così diversi attori privati stanno fiutando nuove possibilità di guadagno. La prima a muoversi in città è stata Camplus, che a Bologna ha anche la sua sede centrale. Nel settembre 2020 è poi arrivata la catena olandese The Social Hub (fino a ottobre 2022 The Student Hotel). Né Camplus, né The Social Hub si rivolgono esclusivamente agli studenti: anche «giovani professionisti e viaggiatori», si legge ad esempio nella brochure di Camplus, sono i benvenuti in queste strutture. L’ultimo arrivato a Bologna, a ottobre 2022, è il britannico Beyoo Laude Living mentre nel 2025 aprirà anche uno studentato della società iberica Livensa Living.

Attualmente a Bologna tutti gli studentati privati sono pieni, prova del fatto che esiste un target disposto a pagare anche cifre elevate pur di avere una stanza. Da un lato, queste strutture rappresentano un valore aggiunto per la città: mettono a disposizione nuovi alloggi e creano posti di lavoro, sia nella fase di costruzione e ristrutturazione, sia nella fase di gestione. Dall’altra parte, però, la presenza di residenze di lusso può avere effetti deformanti sul tessuto urbano e sociale dei quartieri: il rischio è che i prezzi vengano trainati verso l’alto, portando alla gentrificazione di alcune aree e a operazioni di speculazione immobiliare.

«Il Comune sta interloquendo con diversi attori privati interessati ad aprire nuovi studentati – spiega Raffaele Laudani, assessore all’urbanistica del comune di Bologna -. Ad oggi, quando l’amministrazione chiede a questi sviluppatori che una quota di posti letto venga riservata a studenti in stato di necessità, in cambio loro vorrebbero più volumi per costruire edifici più grandi. Ma non sempre questo è possibile».

Questi progetti solitamente hanno una destinazione d’uso turistica invece che residenziale: ciò comporta per la proprietà maggiori oneri fiscali, ma anche una gestione più flessibile, che permette di mettere a disposizione le stanze anche ai turisti e ai nomadi digitali, specialmente in estate, quando i corsi universitari e gli esami sono finiti e i fuori sede tornano a casa.

«Anche se hanno una destinazione d’uso ricettiva, di fatto queste strutture svolgono funzioni abitative – afferma Laudani -. È una scelta assolutamente legittima, ma l’effetto è in parte distorsivo e questo toglie una leva di intervento ai Comuni per promuovere l’equità sociale nelle politiche abitative della città».

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Oltre agli studentati di lusso, a Bologna stanno nascendo anche nuove agenzie che prendono in affitto la casa direttamente dai proprietari, la ristrutturano e la arredano e poi la mettono a disposizione degli studenti (e non solo) per periodi più o meno brevi. Anche qui, per una stanza si arriva a pagare anche diverse centinaia di euro al mese. Tra le più utilizzate c’è Housing Anywhere, Spota Home e Dove vivo, che ha dato vita anche a Dove vivo campus, la quale gestisce nove strutture in sette città italiane: a Bologna c’è il campus Panigale e il campus Mover, composti da diversi appartamenti autonomi e da spazi comuni come sala studio, palestra, sala seminariale, lavanderia, patio e garage.

Insieme ai nuovi attori che si stanno affacciando sul mercato, esiste poi una rete di residenze cattoliche universitarie già radicata da anni in città. Ci sono quelle “per entrambi i sessi”, quelle esclusivamente maschili e quelle femminili: sul sito del comune di Bologna FlashGiovani se ne contano ben 29. Ognuna ha le proprie modalità di accesso, le proprie regole, e anche i propri prezzi. Ad esempio, nello studentato maschile Duns Scoto, una camera singola costa 450 euro al mese e la doppia 330, mentre nelle residenze femminili della Fondazione PISP (Pio Istituto Sordomute Povere) la singola parte da 500 euro e la doppia da 420, ma i prezzi arrivano fino a 800 euro per i mini appartamenti.

Da Bologna al resto d’Italia: lo strapotere di Camplus

Tra i progetti finanziati attraverso il Pnrr in tutta Italia, ben 15 sui 46 che abbiamo nominato in precedenza fanno capo a Camplus, che oggi è il primo provider di housing per studenti in Italia. Il gruppo Camplus è composto dalla Fondazione Camplus, da Camplus International s.r.l. e dalla loro controllante, la Fondazione Centro europeo università e ricerca (Ceur), quest’ultima costituita nel 1990.

Il marchio Camplus è nato nel 2007 dalla partnership tra Fondazione Ceur e Fondazione Falciola, nata nel 1995 «per la promozione di opere di assistenza ispirate agli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa», si leggeva sul suo sito. Nel 2017 la Fondazione Falciola si fonde con la Ceur. Oltre alla Fondazione Ceur, nel 2015 è nata anche la società Camplus International s.r.l. e a ottobre di quest’anno la Fondazione Camplus. Sommando i finanziamenti ricevuti dalle tre entità, si arriva a quasi 64 milioni di euro, il 43% dei 150 milioni fin qui erogati attraverso il Pnrr.

Nella nativa Bologna, Camplus ospita circa duemila studenti tra appartamenti, residenze e collegi di merito: negli ultimi anni i prezzi delle sue stanze sono cresciuti progressivamente e oggi una singola può arrivare a costare anche oltre 1.300 euro al mese, mentre per una doppia il prezzo può superare i 1.100 euro (con bagno privato e comprese le utenze, la biancheria, le pulizie e gli alcuni servizi extra che dipendono dalla struttura).

Camplus dispone di circa 170 case all’interno di immobili in gestione. «Camplus si inserisce nel mercato degli appartamenti privati facendo da intermediario tra studente e proprietario e offrendo una garanzia di pagamento con certezza dell’incasso e nessun rischio di restituzione, una garanzia di manutenzione, vantaggi fiscali, un interlocutore professionale a cui rivolgersi», ha spiegato Federico Rossi, public relations manager di Camplus, in un’intervista a Idealista. Inoltre, ha precisato Rossi, un proprietario può affittare la propria casa a Camplus usufruendo di un contratto a canone concordato.

Poi ci sono le residenze, con camere singole o doppie e una serie di servizi aggiuntivi per facilitare una vita sociale all’interno del campus. Attualmente a Bologna queste ultime sono sei: Carpentiere, Mazzini, San Donato, San Vitale, Zamboni, Valverde. Infine, Camplus gestisce tre collegi di merito riconosciuti dal Ministero dell’università e ricerca (Mur): Alma Mater, Bononia e San Felice. Si tratta di strutture in cui gli studenti scelgono una soluzione all inclusive, con vitto e alloggio, e la possibilità di usufruire di servizi integrativi allo studio universitario come tutor, workshop e career service. I collegi di merito si distinguono dalle residenze universitarie proprio perché qui gli studenti seguono un percorso formativo ulteriore rispetto agli studi, prevalentemente orientato alla preparazione al mondo del lavoro: sono ammessi attraverso un concorso che ne valuta i meriti scolastici e le motivazioni, indipendentemente dal reddito.

Infine, vi è il nuovo servizio Camplus Guest, che mette a disposizione 60 camere per brevi permanenze non solo a studenti, ma anche a turisti e lavoratori. Le soluzioni vanno dalla singola alla quadrupla, e i prezzi arrivano anche a più di 100 euro a notte per una camera matrimoniale.

«In questo momento stiamo portando avanti una politica di potenziamento dell’offerta acquisendo nuovi appartamenti proprio per poter rispondere all’esigenza abitativa degli studenti e, allo stesso tempo, applicare canoni che rispondano al caro affitti», ha spiegato a Idealista Federico Rossi. «Ad esempio i nostri appartamenti privati accedono ai canoni concordati; ma anche gli studenti dei Camplus college possono ricevere riduzioni di rette o borse di studio».

Storia del fondatore di Camplus Maurizio Carvelli

L’amministratore delegato e fondatore di Camplus è Maurizio Carvelli, che oggi è sia consigliere delegato di Fondazione Ceur, sia presidente del consiglio di amministrazione di Fondazione Camplus. La sua carriera nel mondo degli studentati comincia con la Cooperativa Nuovo Mondo, fondata nel 1985. Carvelli proviene da ambienti cattolici, in particolare vicini alla Compagnia delle Opere e a Comunione e Liberazione. Frequentatore del Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, è fondatore nel 1997 della Conferenza dei collegi di merito italiani e nel 2008 dell’Associazione dei collegi e residenze universitarie (Acru): la prima raccoglie 53 collegi di merito , la seconda è un’organizzazione che promuove l’educazione in collegio e che lavora in comunicazione costante con la Conferenza episcopale italiana (Cei).

A maggio 2022 interveniva sul Sole 24 Ore con un commento sui fondi del Pnrr destinati alle residenze per studenti: «L’auspicio è quello di non incorrere in errori simili all’eco-bonus, dove vista la mole di denaro in ballo, anche operatori non qualificati si sono inseriti nel mercato, causando i problemi noti – scriveva -. E allora sarà importante preservare una logica di sostenibilità per lo studente dove qualità della vita, esperienze, formazione, crescita e diritto allo studio vengano tutelati».

Ci sono molti finanziamenti pubblici per l’edilizia dedicata agli studenti di cui Camplus è tra i beneficiari. Per esempio, quelli stanziati dalla legge 457 del 1978, che regola l’edilizia residenziale pubblica: Camplus li ha percepiti inquadrando le residenze per studenti come social housing. E poi ha ottenuto parte dei fondi messi a disposizione dalla legge 338 del 2000, che prevede il cofinanziamento da parte dello Stato di interventi rivolti alla realizzazione di alloggi per studenti universitari.

Ci sono poi i contributi per i collegi di merito accreditati, in base all’articolo 17 del decreto legislativo 68 del 2012, e i contributi straordinari erogati dal Mur per far fronte all’emergenza sanitaria, da utilizzare per l’acquisto di dispositivi digitali per la didattica a distanza, ma anche per l’ammodernamento strutturale e tecnologico delle infrastrutture. Infine, quest’anno sono arrivate anche le risorse del Pnrr: con quasi cinque milioni di euro stanziati tramite il decreto 1046 del 2022, a Bologna Fondazione Camplus aprirà 164 nuovi posti letto entro dicembre, mentre all’ente per il diritto allo studio Er.go sono stati assegnati solo 885 mila euro per 40 posti.

Maurizio Carvelli, fondatore e ceo di Camplus, non ha risposto alle domande di IrpiMedia sui nuovi progetti e sui finanziamenti pubblici percepiti, ma ha inviato una generica replica scritta nella quale afferma: «Sono diversi i progetti che stiamo seguendo in questo momento di grande fermento per l’edilizia universitaria. Crediamo che gli anni universitari siano i più belli, i più importanti. Per questo il nostro interesse principale sono loro, gli studenti, che attraversando una fase della loro vita cruciale sbocciano. E per loro lavoriamo con lo scopo di fornirgli strutture e spazi belli, ma anche servizi pensati per le loro esigenze che cambiano continuamente».

Il «modello ibrido» di The Social Hub

Con più di seimila stanze, la catena olandese The Social Hub è presente oggi in 16 città di sei Paesi europei: Spagna, Germania, Paesi Bassi, Francia, Austria, oltre che Italia. Nel nostro Paese è arrivata prima a Firenze poi a Bologna, dove a settembre 2020 ha aperto una struttura nell’edificio dell’ex Telecom, che era stato occupato nel 2014 per ospitare 280 persone senza casa (soprattutto famiglie con bambini), e poi sgomberato l’anno successivo. Nei prossimi anni sono già previste due nuove aperture a Roma e Torino: l’investimento totale del gruppo nel mercato italiano raggiunge così i 450 milioni di euro.

The Social Hub formalmente non è uno studentato, ma un hotel a 4 stelle che offre una varietà di camere per diversi target, tra cui turisti, professionisti, nomadi digitali, e anche studenti. Si tratta del cosiddetto «modello ibrido», che ha avuto un’ulteriore accelerazione con la pandemia, quando tanti lavoratori sono passati allo smart working, con la possibilità di collegarsi in remoto potenzialmente da ogni parte del mondo.

«TSH va oltre il classico concept di accoglienza turistica e lo ibrida verso un modello più al passo con la fluidità del tempo presente e delle persone che lo vivono – spiega il direttore di TSH Bologna, Michael Giuliano -. Il risultato è un ambiente in grado di ospitare studenti, freelance e viaggiatori: un melting pot di persone diverse accomunate da uno spirito giovanile, curioso e aperto».

A Bologna, riporta il Sole 24 Ore, la struttura mette a disposizione 350 stanze per oltre 600 posti letto: all’interno c’è una corte con la piscina, la palestra, cucine comuni, bar e spazio coworking. La proprietà è della società TSH Bologna Opco s.r.l., con sede a Roma, una delle controllate del gruppo The Social Hub. Durante il soggiorno in hotel, lo staff propone attività per favorire le nuove conoscenze: tour della città, laboratori creativi, lezioni di italiano, di fitness e di cucina. L’anno scorso sono stati 400 gli studenti accolti, passati quest’anno a 342: per loro i prezzi partono da 850 euro al mese per una stanza singola e 660 per una doppia, comprese le utenze, le pulizie, la biancheria, l’accesso a palestra, piscina e aule studio. Pagando di più, si possono avere comfort extra come il letto king-size o la cucina privata.

«A Bologna c’è un problema oggettivo sulla questione abitativa – commenta Michael Giuliano -. Siamo totalmente consapevoli della situazione di emergenza, ed è da tempo che vorremmo attivare un progetto ad hoc da sviluppare nel futuro prossimo. Ma per il momento non abbiamo ancora niente di concreto».

Al Beyoo Laude Living si sperimenta il microliving

A fine ottobre a Bologna ha inaugurato un maxistudentato che ha cambiato lo skyline della Bolognina, zona multietnica a nord della stazione: è il Beyoo Laude Living, un grattacielo di 16 piani per un totale di 513 posti letto e il cinema, la sala giochi, la palestra, la sala yoga e la lavanderia. Qui gli studenti pagano, si legge nel sito, dai 745 euro ai 995 euro al mese per una stanza, più gli extra per alcuni servizi. Il modello è quello del microliving, che prevede tante piccole abitazioni con una superficie ridotta, all’interno delle quali si trova tutto ciò che serve per vivere autonomamente: un letto, un angolo cucina, un bagno.

A sviluppare il progetto immobiliare è la britannica Stonehill, che sviluppa residenze per studenti in Austria, Germania, Ungheria, Spagna, Italia, ma soprattutto nel Regno Unito. A fine novembre Stonehill ha ceduto l’edificio a M&G Real Estate, il braccio immobiliare di M&G Investments, che a sua volta fa parte del gruppo d’investimento M&G Plc, con sede a Londra. L’operazione bolognese è stimata nel valore di 62 milioni di euro, ha scritto Bologna Today. Il gestore dell’edificio invece è Beyoo, un brand della società CRM Micro Living Services Italy s.r.l., con sede a Milano, che fa parte del gruppo britannico CRM Students Ltd, che gestisce studentati in Gran Bretagna, Italia, Spagna, Portogallo, Polonia. CRM Students a sua volta fa parte del gruppo internazionale Corestate, con sede a Lussemburgo.

Il 19 ottobre, pochi giorni prima dell’inaugurazione, il Beyoo Laude Living è stato occupato da un gruppo di studenti del Collettivo universitario autonomo (Cua), che chiedevano di avviare un protocollo d’intesa con l’università e con l’Er.Go, l’agenzia regionale per il diritto allo studio, per destinare parte dell’immobile agli studenti in stato di necessità. L’occupazione si è conclusa la settimana successiva, dopo aver raggiunto un accordo con la proprietà: finora, però, nessun posto letto è stato riservato a studenti con basso reddito. IrpiMedia ha chiesto un’intervista ai gestori e ai proprietari dello studentato, ma finora senza successo.

I nuovi studentati privati in arrivo in città

In pieno centro, vicino al Museo di arte moderna, c’è un complesso di 12 mila metri quadrati di proprietà di Asp, l’Azienda pubblica di servizi alla persona del Comune di Bologna: è lo storico palazzo dell’istituto materno e di assistenza ai lattanti, costruito a inizio Novecento e rimasto vuoto per diversi anni. Ora l’edificio è stato incluso in Reinventing cities, bando promosso dalla rete di città C40 (un network che ha l’obiettivo di promuovere la collaborazione tra le città per combattere i cambiamenti climatici) allo scopo di sviluppare progetti di rigenerazione urbana attenti all’ambiente e all’equità sociale: è lì che sorgerà un nuovo studentato con almeno 250 posti letto, il 30% dei quali dovranno essere destinati all’edilizia sociale.

«Non si tratterà di un semplice studentato – spiega l’amministratore unico di Asp Stefano Brugnara -. Dopo essere stato efficientato dal punto di vista energetico, l’edificio ospiterà anche spazi per il lavoro, lo studio e la didattica. Sei cordate di investitori nazionali e internazionali hanno presentato al Comune le loro proposte: questo già è un successo, visto che sarà necessario un cospicuo investimento, nell’ordine delle decine di milioni di euro».

Al momento è in corso la procedura di valutazione da parte della commissione: entro fine dicembre verranno selezionati tre progetti, poi ci sarà l’assegnazione definitiva a metà del 2023. A quel punto si aprirà la strada verso la realizzazione, ma ci vorrà qualche anno prima che i lavori vengano ultimati.

Vi è poi un immobile privato di 17.500 metri quadri a ridosso della stazione, che è stato acquistato dalla società spagnola Livensa Living Sl per trasformarlo in una residenza universitaria. Il progetto è stato seguito da Bcn Capital Partners s.r.l., società con sede a Milano, che ha collaborato alla riuscita dell’operazione. L’inaugurazione è prevista nel 2025: ci saranno più di 520 camere, per un totale di circa 600 posti letto. La struttura sarà aperta agli studenti durante l’anno accademico e ai turisti durante il periodo estivo.

Livensa Living opera già in Spagna e Portogallo e sbarca così per la prima volta in Italia: dopo Bologna, nuove strutture dovrebbero aprire anche a Roma, Firenze, Milano e Torino. Il brand è di proprietà della Temprano Capital, il più grande proprietario di residenze per studenti della penisola iberica, con uno stock di oltre 10 mila posti letto. IrpiMedia ha provato a contattare la proprietà, che ha declinato rispondendo che per il momento non vengono rilasciate dichiarazioni.

Infine, c’è la palazzina di via Irnerio 13, vicinissima alla zona universitaria, già nota perché dal 2013 al 2016 è stata teatro di un’occupazione abitativa portata avanti dal collettivo studentesco Noi restiamo e dal sindacato di base Asia Usb. Lo stabile è tornato a fare notizia perché una cordata di imprenditori l’ha ristrutturato e ha deciso di destinare i 22 appartamenti agli studenti fuorisede, mettendo a disposizione 107 posti letto in quello che sarà una sorta di condominio universitario. A realizzare il progetto è una società bolognese: i soci sono ex manager del mondo assicurativo. Tra di loro c’è Giorgio Passeri, proprietario della storica discoteca Matis e gestore del locale Scuderie: «Potevamo ristrutturare il palazzo e metterlo a rendita con affitti brevi – dice a Repubblica-. Non lo abbiamo fatto perché riteniamo che l’università sia una risorsa per la città e che era più giusto dare una risposta alle difficoltà di chi viene a studiare a Bologna e non trova un alloggio».

«Avere in una stessa città diversi studentati privati comporta un innalzamento dei prezzi di mercato, che ormai sono talmente esorbitanti da obbligare le persone a fare sacrifici enormi per poter frequentare l’università – conclude Federico Antibo del Cua -. Ci sono studenti che fanno contemporaneamente due o tre lavori, per permettersi di pagare una stanza. Questa città non sta espellendo gli studenti, li sta selezionando: solo chi può permettersi di viverci ormai è il benvenuto».

Modificato il 22 dicembre. In una prima versione abbiamo indicato che il decreto 1046 del 2022 «stanziava 300 mila euro». Ci scusiamo per il refuso. 

 

CREDITI

Autori

Alice Facchini

Editing

Lorenzo Bagnoli

Con il sostegno di

Stars4Media

Foto di copertina

Uno scorcio di Piazza Maggiore a Bologna
(NurPhoto/Getty)

L’industria degli studentati

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L’industria degli studentati

Alice Facchini

A Bologna, dove nel 1088 è stata fondata la più antica università europea, gli studenti si sono trovati a dormire qualche notte in stazione perché non riescono a trovare una stanza. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) ha stanziato in tutta Italia quasi un miliardi di euro per colmare la cronica domanda di case per studenti, ma finora chi ha investito a fissato prezzi d’affitto altissimi. A Dublino le matricole hanno piantato le loro tende nel campus all’inizio del semestre, per dare un segnale sull’allarmante mancanza di alloggi. A Berlino, il microliving sta trasformando gli studentati in una nuova forma di hotel. In Spagna, oggi solo il 6% degli studenti vive in alloggi per studenti: lo stato non ha mai costruito strutture su larga scala, come invece hanno fatto altri Paesi come la Finlandia.

L’Unione europea non dispone di alloggi a prezzi accessibili per i suoi 18 milioni di studenti, mentre i dati mostrano che il numero di universitari è in continuo aumento: dal 2013 al 2020 sono cresciuti dell’8,8%. Per frequentare l’università, i giovani si spostano sempre di più, lasciando la casa della famiglia d’origine. L’afflusso di nuovi studenti universitari e la cronica mancanza di case crea un circolo vizioso che contribuisce ulteriormente all’aumento dei prezzi. Trovare una stanza così diventa sempre più difficile.

Il risultato di queste condizioni è che la casa sta diventando un ostacolo allo stesso diritto allo studio. E che per ottenere una laurea bisogna sempre più avere una certa disponibilità economica. Costruire nuovi alloggi pubblici potrebbe essere una soluzione, eppure nella maggior parte delle città questo non è stato fatto. Le residenze per studenti stanno diventando tra gli investimenti immobiliari più desiderati dagli investitori privati.

L’inchiesta
Questo articolo è stato realizzato nell’ambito del European Cities Investigative Journalism Accelerator. Cities for Rent è un’inchiesta collaborativa europea sul modo in cui il mercato dell’affitto sta cambiando le città. Su IrpiMedia, in questo nuovo filone d’inchiesta finanziato da Stars4Media, indaghiamo la crescita del mercato degli studentati e il peso dei crediti inesigibili nel mercato dei mutui in Europa.

Il miraggio di un’abitazione

In Danimarca, Finlandia, Norvegia e Spagna, chi vive lontano dalla propria famiglia spende per la casa anche più del 40% del totale delle sue uscite, e in Francia la percentuale addirittura supera il 50%. In media circa un terzo delle risorse degli studenti se ne va per l’alloggio. «Le spese dell’affitto possono comportare un rischio di cadere sotto la soglia di povertà, soprattutto nelle grandi città, dove i canoni sono particolarmente alti», si legge nel report How the cost of accommodation (over?)burdens students in Europe di Eurostudent, progetto che raccoglie, analizza e compara dati sulle condizioni di vita degli universitari. In decine di città in tutta Europa, questo può portare anche a finire in strada. Le spese sono anche correlate all’età: in quasi tutti i Paesi, gli studenti che hanno meno di 24 anni spendono di più per la casa. Le uniche eccezioni sono i Paesi Bassi, la Svizzera e il Portogallo, dove è la fascia degli over 30 a dover affrontare i costi maggiori.

«Gli studenti sperimentano un continuo aumento dei prezzi degli affitti, specialmente nelle grandi città europee dove si trovano la maggior parte delle università. L’offerta insufficiente di residenze studentesche e la mancanza di posti liberi sul mercato immobiliare aggravano il problema, e la situazione è particolarmente difficile per gli studenti internazionali». È la denuncia della European Students’ Union (ESU), rete che mette insieme 45 sindacati studenteschi di 40 Paesi europei. «Gli studenti stranieri, in particolare, subiscono discriminazioni da parte sia dei proprietari sia dei compagni, che preferiscono condividere la stanza con persone che parlano la loro stessa lingua».

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In questo momento ci sono migliaia di studenti che non hanno una casa. Quello degli universitari senza dimora è un fenomeno che si è presentato per la prima volta negli Stati Uniti, dove già nel 2018 si contavano più di 32 mila studenti senzatetto. In Europa la dimensione del problema è più ridotta, anche se un report di Hepi, think tank britannico specializzato sul tema dell’educazione superiore, denuncia che nel Regno Unito ci si attende che il numero di universitari senza casa cresca, a causa dell’aumento del costo della vita e di una sempre più ampia partecipazione all’istruzione superiore, anche da parte delle fasce meno abbienti della popolazione. Molti, non avendo la possibilità di pagare un affitto, finiscono per dormire in macchina oppure sul divano di amici e conoscenti, pur di riuscire a terminare gli studi. Il problema è la mancanza di dati necessari per valutare la dimensione del fenomeno: rispetto agli studenti si parla quindi di hidden homelessness, «senzatetto nascosti».

«Le università dovrebbero fare un’indagine non solo tra gli iscritti, ma anche tra i laureati e tra chi ha abbandonato gli studi», scrive Greg Hurst, responsabile comunicazione e affari pubblici del Centre for Homelessness Impact, organizzazione che si batte per la difesa del diritto alla casa. «Ampliare l’accesso all’istruzione superiore significa anche allargare la composizione del corpo studentesco, supportando i giovani più a rischio di rimanere senza casa. Con l’aumento del costo della vita, un numero maggiore di studenti fatica ad arrivare a fine mese: le università potrebbero, e dovrebbero, chiedersi se stanno facendo abbastanza per aiutarli».

Un problema simile si sta verificando anche nei Paesi Bassi, a Groningen, dove questo settembre più di 600 studenti internazionali hanno iniziato il loro percorso accademico senza avere una casa dove stare. In Italia, il fenomeno degli universitari senza dimora non è strutturale, ma si sono verificati i primi casi. «A Bologna ci sono stati episodi di studenti che hanno dormito in stazione per qualche notte», spiega don Matteo Prosperini, direttore di Caritas Bologna. «Non è una condizione permanente, certo, però è emblematica di un problema che non possiamo ignorare».

Soluzioni abitative poco soddisfacenti

A vivere nelle residenze per studenti, che in inglese si definiscono student housing, è il 18% degli studenti europei. La percentuale tocca il 32% se si prende in considerazione l’insieme di chi studia fuori dal proprio Paese d’origine, raggiunge il 27% se si prende in considerazione chi ha una borsa di studio e il 24% se si considerano i minori di 22 anni. Sono alcuni dei dati contenuti nel report Social and Economic Conditions of Student Life in Europe di Eurostudent, progetto che raccoglie dati sulla dimensione sociale dell’istruzione superiore europea, riferiti al triennio 2018-2021. La maggior parte degli studenti europei è fuori sede, mentre circa un terzo vive con la famiglia d’origine: in Europa meridionale questa quota è più alta, mentre il numero si abbassa nei Paesi del nord.

La ricerca indaga anche il livello di soddisfazione dei giovani rispetto alla propria condizione abitativa. Il dato più eclatante è che il 28% degli studenti che condividono la casa con altre persone dichiara di non essere «per niente soddisfatto» dei costi del proprio alloggio. La percentuale diminuisce per chi vive da solo (25%), per chi abita in una residenza studentesca (24%) e per chi convive con il partner o i figli (21%).

La soddisfazione degli studenti è influenzata da diverse variabili, in primis la posizione della casa: tra gli elementi che influenzano la valutazione c’è la vicinanza all’università, agli amici, ai genitori, a un eventuale luogo di lavoro, la possibilità di fare acquisti nelle vicinanze, l’accesso a offerte culturali e i collegamenti con il trasporto pubblico. Poi ci sono le caratteristiche dell’abitazione: dimensioni, condizioni di luce, ristrutturazione. E naturalmente il costo dell’alloggio e la disponibilità di certi servizi, come la velocità di internet o la presenza di spazi per fare sport. «Ci sono prove empiriche che il tipo di alloggio abbia un’influenza sulla permanenza degli studenti nell’università e sul conseguimento finale della laurea», conclude il report di Eurostudent.

Investimenti a livelli pre-pandemia

I dati di Research.com, portale specializzato su temi legati a università e ricerca, mostrano che nel mondo il principale mercato delle residenze per studenti per volume di investimenti è di gran lunga quello degli Stati Uniti, che rappresenta il 57% del totale, seguito al secondo posto dal Regno Unito (27%). Vengono poi Germania (4%), Paesi Bassi (3%) e Francia (2%). In Europa, si calcola una media di sette studenti per posto letto, con ampie differenze da Paese a Paese: si passa da 4,2 nel Regno Unito a 6,2 nei Paesi Bassi, 6,5 in Francia, 9,3 in Germania e 17,3 in Spagna.

Lo Student Housing Annual Report 2021 di Bonard, agenzia che si occupa di studi di settore, prende in considerazione 32 Paesi del mondo, per un totale di 270 città e due milioni di posti letto, distribuiti in 12.748 residenze per studenti. Dall’indagine risulta che in Europa il mercato dello student housing ha superato gli 8,8 miliardi di euro, tra movimenti di capitale e investimenti, di cui 3,7 miliardi sono concentrati nel Regno Unito. È proprio quest’ultimo ad avere la maggiore disponibilità di posti letto (517 mila), seguito dalla Germania (204 mila) e dalla Francia (189 mila). Scorrendo la classifica, troviamo poi l’Olanda (112 mila), la Polonia (84 mila), la Spagna (63 mila), la Svezia (47 mila), l’Austria (40 mila) e l’Italia (39 mila). Tra gli operatori privati che operano nel settore, i principali hanno tutti sede in Gran Bretagna: il maggiore è Unite Students di Bristol, che gestisce quasi 75 mila posti letto, seguito dalle società londinesi University Partnership Programme (42 mila posti letto) e iQ Student Accommodation (32 mila).

Il mercato delle residenze universitarie in Europa

Le principali società private che forniscono posti letto a studenti in Europa

Nonostante la crisi pandemica, lo student housing ha dimostrato una buona tenuta: nel 2020 si è registrato un lieve calo delle prenotazioni, intorno al 5-10%, ma già nel 2021 si è tornati ai livelli pre-pandemia. «Nel complesso, la domanda degli studenti non è diminuita in modo significativo», spiega Julia Momotiuk, responsabile del settore alloggi in affitto di Bonard. «Gli universitari hanno continuato a spostarsi e hanno preferito studiare in loco piuttosto che attraverso la didattica a distanza. Così, l’interesse degli investitori è rimasto intatto, o addirittura è cresciuto». Questo spiega anche l’aumento delle strutture in costruzione o in fase di progettazione: a settembre 2021 c’erano circa 230 mila posti letto in cantiere in tutta Europa, soprattutto nelle città di Dublino, Parigi, Nottingham, Coventry e Londra.

Contratti brevi, rendimenti alti: dallo studentato all’hotel per soggiorni lunghi

L’ultima tendenza del mercato è quella di costruire non normali appartamenti, ma soluzioni di microliving: piccole abitazioni con una superficie ridotta, in buona posizione, già arredate e all’interno delle quali si trova tutto ciò che serve per vivere autonomamente (una cucina, un bagno, un letto). Affittando questi alloggi per brevi periodi, è possibile ottenere prezzi al metro quadrato più elevati, e aumentarli senza complicazioni. La clientela è solvibile, e per molti studenti – soprattutto internazionali – si tratta di una soluzione più comoda che cercare un appartamento intero e acquistare mobili propri. Tra il 2013 e il 2018, il numero di studenti internazionali in Europa è aumentato del 24%, ha calcolato l’Unesco.

Il risultato è che questi maxistudentati somigliano sempre più a hotel che a edifici residenziali. E gli studenti hanno smesso di essere gli unici a vivere in queste strutture. «In tutta Europa, dal 20 al 25% di coloro che vivono nelle residenze sono giovani professionisti: la tipica clientela con valigie trolley che fa il pendolare tra Monaco e Londra», afferma il professor Thomas Beyerle, responsabile del settore ricerca per lo sviluppatore Catella. Gli investitori sono stati «veloci nel riconoscere questo target aggiuntivo».

Non solo universitari, quindi, ma anche viaggiatori, turisti, nomadi digitali, giovani professionisti ed espatriati. Persone che hanno bisogno di soggiornare in una città per poche settimane o per qualche mese, e che preferiscono affittare una stanza dotata di tutti i comfort invece che stare in un hotel o cercare un appartamento sul libero mercato. Soprattutto in estate, quando all’università le lezioni e gli esami sono finiti, gli studentati privati si svuotano e le stanze vengono messe a disposizione di un altro tipo di pubblico. Per questo, in Italia, molte residenze per studenti private hanno una destinazione d’uso ricettiva e non abitativa, il che implica maggiori oneri d’imposta, ma garantisce anche una maggiore flessibilità rispetto all’utenza e alle modalità di soggiorno.

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Secondo Stefan Breit, coautore dello studio Microliving. L’abitare urbano nel XXI secolo, «il microliving risponde perfettamente all’esigenza fondamentale che un’abitazione deve soddisfare: un rifugio sicuro», spiega in un’intervista per l’immobiliare Alfred Müller. «La nostra società, che attribuisce un ruolo sempre più importante all’individuo, condiziona il modo in cui sono costruite le nostre case. Il numero delle cosiddette famiglie mononucleari è in costante aumento, ma proprio il vivere soli sempre più a lungo e sempre più spesso fa nascere l’esigenza di nuove forme di comunità».

I parametri del microliving sono diversi da Paese a Paese: in Svizzera, con questo termine ci si riferisce ad abitazioni con una superficie di circa 30 metri quadri; in Giappone si ritiene possibile vivere anche in meno di 6 metri quadri, mentre nella East coast degli Stati Uniti rientrano nella definizione di microliving abitazioni con una superficie che arriva fino ai 46 metri quadri.

Lo student housing in Italia: un mercato emergente

In Italia, come in altri Paesi europei, c’è un problema di sottodimensionamento delle residenze pubbliche per studenti. «La maggior parte degli studentati pubblici, soprattutto quelli con alti standard, si trova nel nord Italia, mentre al sud gli universitari soffrono la mancanza di alloggi di qualità», si legge nel report Students’ housing in Europe della European Students’ Union. «La legge consente solo a un numero ridotto di studenti di essere ammessi alle residenze pubbliche e in molte regioni non tutti gli idonei possono usufruire del servizio». I sindacati studenteschi, insieme all’Unione degli universitari (confederazione di associazioni studentesche presenti nei più importanti atenei italiani), hanno più volte denunciato la necessità di aumentare il numero di posti letto di qualità a prezzi equi, in particolare nel meridione. La situazione si sta evolvendo, ma non abbastanza velocemente da rispondere alle necessità impellenti di chi resta senza casa. Studiare all’università sta diventando sempre più costoso, e sta gradualmente diventando un privilegio, invece che un diritto.

Il Rapporto 2021 di AlmaLaurea evidenzia, ad esempio, come in Italia la probabilità di proseguire gli studi dopo le superiori fino a completare l’università dipenda ancora dal contesto socio-culturale di origine. Negli ultimi dieci anni è aumentata la quota di laureati con almeno un genitore laureato: se nel 2010 era il 26,5%, nel 2020 è il 31% (in particolare il 12% ha entrambi i genitori laureati). Si parla anche di «ereditarietà del titolo universitario»: il 20% dei laureati con almeno un genitore laureato sceglie un corso dello stesso gruppo disciplinare. Garantire un percorso educativo di lunga durata per le famiglie più in difficoltà rappresenta un costo sia diretto (il mantenimento negli studi) che indiretto (il mancato accesso in giovane età al mercato del lavoro). Uno studio di Inapp, l’ente pubblico che in Italia si occupa di analisi delle politiche pubbliche, mostra che tra i figli di genitori con una laurea, il 75% ha la probabilità di laurearsi a sua volta. Percentuale che scende al 48% tra chi ha alle spalle una famiglia dove il titolo di studio massimo è il diploma e al 12% se i genitori hanno la licenza media.

Per abbattere queste disuguaglianze nascono gli enti per il diritto allo studio, che dovrebbero garantire la parità di accesso all’università per gli studenti meritevoli e privi di mezzi. Ma esistono ancora criticità strutturali. «Il primo punto critico è l’organizzazione divisa per regione», commenta Alessio Pontillo, presidente di Andisu, l’Associazione nazionale degli organismi per il diritto allo studio, intervenuto il 7 novembre al convegno Il diritto allo studio, presente e futuro. «Ogni territorio ha un suo modello specifico: alcuni enti per i diritti allo studio funzionano meglio, altri peggio. E la velocità con cui vengono aperte nuove residenze non sempre è sufficiente». Negli ultimi dieci anni si è assistito a una semplificazione del panorama degli organismi regionali per il diritto allo studio: nel 2011 erano 41 su tutto il territorio nazionale, arrivati oggi a 30 grazie a una serie di accorpamenti. Attualmente ce n’è uno per regione, fatta eccezione per la Lombardia, il Veneto, l’Abruzzo, la Sardegna e la Sicilia, che ne hanno più di uno.

Gli enti per il diritto allo studio si occupano di erogare le borse per gli studenti meritevoli in stato di necessità economica, oltre che assegnare i posti alloggio, i contributi per il trasporto e altri tipi di sussidi. Negli ultimi dieci anni, il numero di borse di studio erogate nel nostro Paese è praticamente raddoppiato: si è passati da 120.965 borse nell’anno accademico 2011/2012 a 244.230 nel 2020/2021, con un incremento della spesa pubblica da 360 a 713,5 milioni di euro (dati dell’ufficio statistico del ministero Università e Ricerca). Questo soprattutto grazie a un innalzamento delle soglie Isee e Ispe avvenuto nel 2016, che ha portato a un consistente aumento degli idonei sulla popolazione studentesca nel suo insieme.

Anche la capacità di copertura delle borse di studio è cresciuta sensibilmente: nel 2011 le borse coprivano solo il 69,7% degli idonei totali, nel 2020 si arriva al 98,8%. Eppure, sono ancora tremila gli studenti che restano senza contributo pur avendone i requisiti: «Ci sono ancora grandi differenze regionali, con il Molise che non supera l’83% di copertura e la Sicilia che non va oltre il 93%», spiega Claudia Pizzella dell’ufficio statistico del Ministero Università e Ricerca. «La nota dolente comunque resta la residenzialità: negli ultimi dieci anni i posti alloggio in studentato sono aumentati solo del 9,5%, non riuscendo a rispondere alle esigenze degli studenti che hanno bisogno di una casa».

Oggi il numero di universitari che percepisce una borsa di studio rappresenta circa il 14% del totale degli studenti italiani: «Una quota maggiore di un tempo, certo, ma ancora troppo bassa, se si pensa che in Francia la percentuale arriva al 32%», spiega Federica Laudisa dell’Osservatorio regionale per l’università e per il diritto allo studio di Ires Piemonte. «In Italia, il 58% degli studenti iscritti al primo anno dell’università che avrebbero i requisiti per ricevere la borsa non hanno neanche fatto domanda: questo è dovuto sia a una mancanza di informazioni, sia a una grande frammentazione, che fa sì che ogni ente regionale apra un proprio bando. Anche i criteri di accesso, come la soglia Isee e Ispe, sono diversi a seconda dei territori, e questo crea ulteriore confusione. Finché non riusciremo a considerarci come un unico Paese, il diritto allo studio non sarà mai pienamente garantito».

I finanziamenti del PNRR all’edilizia studentesca favoriscono i privati

Per finanziare nuovi alloggi per studenti, il Pnrr ha stanziato 960 milioni, per portare entro il 2026 il numero posti letto dagli attuali 50 mila a oltre 100 mila su tutto il territorio nazionale. Il primo bando aveva l’obiettivo di finanziare con 300 milioni di euro 7.500 posti letto da realizzare entro dicembre 2022, sfruttando in particolare il patrimonio immobiliare già esistente, prima non utilizzato: la graduatoria finale però vede solo 46 progetti finanziati, per un totale di 4.478 posti e 150 milioni stanziati, la metà delle risorse a disposizione. È stato così emanato un secondo bando, con scadenza al 28 dicembre 2022, per assegnare i rimanenti 150 milioni.

Tra gli enti che si aggiudicano le risorse ci sono, oltre agli organismi per il diritto allo studio e alle università, anche gli attori privati, che comunque dovrebbero destinare «prioritariamente» i posti letto a studenti capaci e meritevoli privi di mezzi, sulla base delle graduatorie degli enti per il diritto allo studio (secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 68 del 2012). Il testo di legge non cita invece un altro decreto, il numero 937 del 2016, che specifica che almeno il 20% dei posti letto cofinanziati dallo stato devono essere destinati «obbligatoriamente» – e non solo «prioritariamente» – a studenti in stato di necessità.

Le leggi sugli studentati

Decreto legislativo 68/2012: prevede una revisione della normativa in materia di diritto allo studio e valorizzazione dei collegi universitari riconosciuti.

Decreto ministeriale 937/2016: definisce procedure e modalità per la presentazione dei progetti e per l’erogazione dei finanziamenti relativi agli interventi per strutture residenziali universitarie. All’art. 4 stabilisce che «per gli interventi cofinanziati vige l’obbligo di destinare i posti alloggio a studenti capaci e meritevoli anche se privi di mezzi idonei al conseguimento della borsa di studio […] in percentuale non inferiore al sessanta per cento del totale, ridotta al venti per cento (per determinati soggetti privati, ndr), a condizione dell’esistenza di una domanda da soddisfare per tale categoria di studenti, a pena di revoca del cofinanziamento».

Decreto ministeriale 1046/2022: avviso pubblico per l’accesso al cofinanziamento di interventi per mettere a disposizione nuovi posti letto per studenti universitari entro dicembre 2022. Lo stanziamento è di 300 milioni di euro.

Decreto ministeriale 1252/2022: nuovo avviso pubblico per l’accesso al cofinanziamento di interventi per mettere a disposizione nuovi posti letto per studenti universitari entro dicembre 2022. Si assegnano le risorse non ancora assegnate (150 milioni di euro).

«Il sistema pubblico è visto come troppo lento e allora per costruire nuovi alloggi si fanno entrare in campo i soggetti privati», spiega Patrizia Mondin, presidente di Er.Go, l’agenzia regionale per il diritto allo studio dell’Emilia-Romagna, e vicepresidente di Andisu. «Il rischio – prosegue – è che si crei un doppio standard: le residenze pubbliche sono viste come prerogativa dei poveri, a cui si danno alloggi che non hanno alti standard, poi ci sono gli studentati di lusso privati, con tantissimi servizi. Ci auguriamo che, con questi nuovi bandi, si dialoghi e che si lavori insieme, per evitare ghettizzazioni».

Il problema, in ogni caso, resta la mancanza di trasparenza: attualmente non esiste un registro pubblico dei soggetti finanziati, con dati aperti e liberamente consultabili, né un ente regolatore che controlla se i progetti vengano effettivamente realizzati e se venga rispettata la quota di alloggi da riservare a studenti meritevoli in stato di necessità economica. «Il nodo fondamentale è proprio la tariffa», spiega Laudisa. «Che prezzo avranno gli alloggi che stiamo finanziando con risorse pubbliche? Non è stato fissato un tetto massimo, e così sono i privati a fare il prezzo. Il vantaggio finale allora è per gli studenti o per gli investitori? L’obiettivo ultimo di queste risorse, ossia creare posti letto accessibili, non è raggiunto».

CREDITI

Autori

Alice Facchini

In partnership con

Tagesspiegel (Germania)
Denik Referendum (Repubblica Ceca)
Apache (Belgio)
Mediapart (Francia)
Dublin Enquirer (Irlanda)
Gazeta Wyborcza (Polonia)
Telex (Ungheria)

Editing

Lorenzo Bagnoli

Infografiche

Tagesspiegel
Lorenzo Bodrero

Con il sostegno di

Stars4Media

Foto di copertina

Il campus Luigi Einaudi, inaugurato nel 2013, sede della facoltà di Giurisprudenza e Scienze Politiche dell’Università di Torino
(Foster+Partners)

Bologna non è una città per studenti

#CitiesForRent

Bologna non è una città per studenti

Alice Facchini

«Vivo a Bologna da due anni e mezzo, ma ho dovuto lasciare la casa dove abitavo perché era in condizioni pessime. Mi sono messo alla ricerca di una doppia con un amico: abbiamo iniziato a a luglio e ancora non abbiamo trovato niente». Luigi, 20 anni, di Caserta, è al terzo anno di giurisprudenza. Per arrotondare lavora in un bar. Ogni giorno spende qualche ora per la ricerca di una alloggio. Un ricerca estenuante: l’amico, alla fine, ha desistito ed è tornato a Palermo, la sua città natale, «piuttosto che dannarsi l’anima qui, senza un posto dove stare». Dal 19 settembre Luigi ha trovato sistemazioni temporanee a casa di amici o della sua ragazza: «Le mie cose sono da lei, io giro solo con una piccola valigia – racconta -. Sto continuando a cercare una casa, ma adesso è ancora più difficile: la maggior parte delle stanze sono già occupate, e comunque ci sono ancora molte persone senza un alloggio. Affidarsi agli annunci sui social network o alle agenzie immobiliari è quasi impossibile, bisogna andare per conoscenze: sto aspettando un colpo di fortuna».

Convivere ogni giorno con questo pensiero è pesante: «Non riesco ad essere sereno e concentrato: io so dove starò questa settimana, ma non so cosa accadrà la prossima», confessa Luigi. Bologna non è la sola città italiana in questa situazione, ma è una di quelle dove l’assenza di alloggi per studenti è più evidente.

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L’inchiesta sugli studentati in Europa

Questa inchiesta fa parte della nuova stagione di #CitiesForRent, serie investigativa su chi sono i proprietari delle città in Europa. La puntata su Bologna apre un ciclo sugli studentati, a cui parteciparanno anche Tagesspiegel (Germania), Apache (Belgio), Mediapart (Francia),

Per colpa della mancanza di case in affitto, a Bologna ci sono studenti universitari che sono stati costretti a passare qualche notte in stazione. Gli universitari sono circa 68 mila, di cui uno su due è fuorisede e le case a loro disposizione sono sempre meno. Secondo i dati di inizio dicembre di Inside Airbnb, un progetto indipendente finalizzato a capire l’impatto di Airbnb sulle città, sono al contrario cresciuti gli appartamenti messi sul mercato della locazione breve. Lo dimostrano gli annunci disponibili in città, 3.895, più che raddoppiati negli ultimi cinque anni.

Da marzo a ottobre 2022, circa 400 appartamenti sono finiti per la prima volta su Airbnb: si trovano soprattutto nel centro storico e nella prima periferia.

Il mercato degli affitti brevi è inoltre in mano a pochi: si stima che il 4% dei proprietari riscuota quasi un terzo delle entrate totali e il 57% abbia più di un annuncio a suo nome. Anche altre ricerche concordano su quanto convenga affittare ai turisti: la ricerca di HousingBo, laboratorio permanente sulla condizione abitativa studentesca coordinato dalla Fondazione per l’innovazione urbana, indica che a Bologna il ricavo medio di una casa affittata sul tradizionale mercato della locazione è di circa 13 mila euro l’anno, mentre, a parità di metri quadri e di zona, per un affitto breve la cifra sale a 16.650 euro (togliendo le commissioni di Airbnb, si arriva a 16.155 euro). La società di consulenza Nomisma parla di una differenza ancora maggiore tra le due tipologie di affitto: circa settemila euro l’anno.

Il numero di host Airbnb a Bologna e i prezzi medi per tipologia

Ci sono anche altre fonti che confermano questo trend. I dati di Idealista, sito web che si occupa di analisi del mercato immobiliare, mostrano che l’offerta di appartamenti in affitto condiviso in Italia è diminuita del 43% nell’ultimo anno, in linea con la forte riduzione dello stock di alloggi in locazione: a Bologna il calo è stato addirittura del 53%. Da settembre, poi, l’ateneo ha optato per un ritorno totale in presenza di lezioni ed esami, abbandonando la didattica a distanza: questo ha aumentato ulteriormente la richiesta di alloggi.

«Nell’ultimo anno abbiamo avuto un centinaio di colloqui con studenti, italiani e stranieri – spiega don Matteo Prosperini, direttore di Caritas Bologna -. Si tratta di universitari che si sono rivolti a noi perché non trovano casa, perché hanno bisogno di aiuto per pagare le spese dell’affitto, o per avere accesso alle mense e alle eccedenze alimentari. Di solito provengono da famiglie povere, a loro volta assistite da Caritas in altre città: anche se hanno accesso alle borse dell’ente per il diritto allo studio, a volte questo non basta a supportarli in tutti i loro bisogni». Non c’è un’emergenza di studenti che dormono sistematicamente in stazione, precisa, «però questa situazione è emblematica di un problema che non possiamo ignorare».

Obiettivo regolamentare Airbnb

Regolamentare le piattaforme degli affitti brevi è un problema per ogni amministrazione comunale. A Bologna, il Comune sta intensificando i controlli insieme alla Guardia di finanza, per individuare quali case presenti su Airbnb non sono registrate come strutture turistiche. Insieme ad altre 15 città, ha chiesto alla Commissione europea una regolamentazione più stringente sugli affitti brevi.

Comitati cittadini e associazioni propongono soluzioni da tutta Italia: «Si potrebbe vietare Airbnb nelle zone già troppo turisticizzate e definire un numero massimo di giorni l’anno in cui poter affittare, o un numero massimo di annunci che può avere il singolo, oppure istituire un sistema di permessi massimi concedibili in città – spiega Alice Corona di Ocio Venezia, Osservatorio civico sulla casa e la residenza che monitora la situazione abitativa nella Venezia insulare -. Attenzione però: è inutile che il comune regolamenti, se poi non ha strumenti di controllo e di sanzione. Per questo serve una normativa nazionale, che obblighi Airbnb a pubblicare dati affidabili e credibili, sui quali poi mettere in atto una regolamentazione».

Domanda alta, offerta limitata: la conseguenza è che aumentano i prezzi. Secondo i dati 2022 del gruppo di consulenza, gestione e tutela della rendita immobiliare SoloAffitti, in città il prezzo medio è di 450 euro per una stanza singola e 325 per una doppia, contro una media italiana di rispettivamente 324 e 209 euro: nell’ultimo anno c’è stato un aumento del 29%, il più alto d’Italia, che ha portato Bologna a essere seconda solo a Milano.

Le occupazioni degli studenti in lotta per il diritto alla casa

Lo scorso ottobre, Bologna è stata attraversata da una serie di occupazioni studentesche, nate per portare l’attenzione sull’emergenza abitativa. Il 5 ottobre, la prima è stata quella del laboratorio universitario di autogestione Luna che con il supporto dello sportello per il diritto all’abitare dell’Adl Cobas, ha occupato uno stabile di via Capo di Lucca 22, in pieno centro storico ribattezzato Casa Vacante: un complesso di otto appartamenti e due laboratori, per un totale di 650 metri quadri. L’edificio, che era disabitato dal 2016, è di proprietà dell’Azienda pubblica di servizi alla persona di Bologna (Asp), società partecipata al 97% dal Comune di Bologna che si occupa di fragilità sociali ed economiche con varie forme di supporto, che lo ha messo in vendita nel piano di alienazione 2021-23 a un prezzo di 850 mila euro.

«Per rispondere alla tragica mancanza di alloggi, impiegare il patrimonio pubblico inutilizzato o dismesso sarebbe un buon punto di partenza – commenta Luca Tonini del laboratorio Luna -. Ecco che l’occupazione abitativa diventa una pratica di riappropriazione dello spazio, contro un modello di sviluppo voluto da privati e piattaforme». I dati forniti da Asp mostrano che attualmente, nell’area della città metropolitana, sono 387 gli immobili vuoti di proprietà dell’azienda: di questi, 62 sarebbero già pronti per essere affittati, altri 96 hanno bisogno di ristrutturazioni, mentre 229 non hanno una destinazione d’uso abitativa.

«Stiamo mettendo in campo azioni e investimenti per rendere utilizzabili più spazi possibili – spiega l’amministratore unico di Asp Città di Bologna, Stefano Brugnara-. Patrimonio vuoto vuol dire meno entrate per l’azienda e meno soluzioni per le persone che stanno cercando faticosamente un alloggio. Quest’anno il tasso di redditività del nostro patrimonio è passato da essere negativo a positivo: stiamo facendo la nostra parte per rispondere alla domanda abitativa che c’è in città». Nel 2022 per la prima volta Asp ha più entrate che spese per gli immobili di sua proprietà.

“Casa Vacante”, in via Capo di Lucca 22, è un’occupazione del laboratorio universitario di autogestione Luna. Lo stabile di Asp Bologna, vuoto da anni, si trova in piena zona universitaria, nel centro cittadino – Foto: Michele Lapini

Il 24 novembre gli occupanti di Casa Vacante hanno lasciato l’immobile dopo aver trovato un accordo con il Comune, affinché l’immobile non sia più venduto ma destinato a «progetti innovativi di abitare collaborativo». Cosa significhi esattamente ancora non è chiaro. Dal canto loro, le associazioni che hanno partecipato alle occupazioni vorrebbero essere incluse nella nuova gestione del patrimonio, insieme ad altre realtà dal basso. «Vogliamo una procedura pubblica, chiara nei suoi intenti e che si svolga entro la fine dell’anno», dice Luca Tonini.

La seconda occupazione è stata quella del Beyoo Laude Living, studentato di lusso nel quartiere della Bolognina, a pochi passi dalla stazione. Il 19 ottobre il Collettivo universitario autonomo (Cua) è entrato nell’edificio, proprio pochi giorni prima che la struttura venisse inaugurata. Anche in questo caso, l’occupazione è stata interrotta dopo aver raggiunto un accordo con la proprietà: l’impegno era quello di avviare un protocollo d’intesa con l’università e con l’Er.Go, l’agenzia regionale per il diritto allo studio, per destinare parte dell’immobile agli universitari in stato di necessità. Ma per il momento le parti non si sono incontrate.

Il 26 ottobre, dopo aver lasciato il Beyoo Laude Living, il Cua ha occupato un altro stabile del Quattrocento vicino a piazza Maggiore, casa Felicini Giovannini. La palazzina di tre piani è in comproprietà tra l’Università di Bologna e un privato. L’asta per la sua riassegnazione nel 2019, dopo anni di abbandono, è andata deserta. La legge sul Cofinanziamento statale per alloggi e residenze per studenti universitari, la 338 del 2000, impedisce che un edificio con un vincolo storico possa essere utilizzato per edilizia pubblica studentesca.

Il 17 novembre l’edificio è stato sgomberato dalle forze dell’ordine. Il rettore dell’Università di Bologna, Giovanni Molari, ha dichiarato di essere dispiaciuto «che i nostri reiterati tentativi di convincere gli occupanti a lasciare l’abitazione non abbiano sortito alcun effetto. Quando si tratta di dialogare su un tema come le politiche abitative, che ci sta a cuore più che mai, noi ci siamo e ci saremo sempre. Ma per dialogare occorre essere in due».

Occupazione dello studentato privato Beyoo da parte del Collettivo Universitario Autonomo. Il palazzo si trova nel quartiere popolare della Bolognina. Le sue camere hanno prezzi esorbitanti – Foto: Michele Lapini

Tra le rivendicazioni del Cua c’è che l’università si faccia garante degli affitti concordati, che blocchi la vendita di immobili di sua proprietà e che venga stilato un protocollo di intesa con le strutture private, come il Beyoo Laude Living, per la destinazione di parte delle stanze all’emergenza abitativa. Secondo Federico Antibo del Cua, le richieste degli occupanti sono state ignorate per settimane: «Dopo lo sgombero siamo andati a bussare alle porte del rettore per chiedere un tavolo di trattativa e ribadire le nostre rivendicazioni. Quelle porte sono, come sempre, rimaste chiuse». In città, oggi restano alcune occupazioni che però non nascono come abitative: quella del Cua alla facoltà di Lettere, quella del collettivo Cambiare Rotta all’ex laboratorio di chimica in via Filippo Re, e la nuova occupazione del collettivo InfestAzioni in via Stalingrado 31.

Gli studentati pubblici non bastano

Per aumentare l’offerta, entro il 2025 è prevista la realizzazione di tre nuovi studentati pubblici a Bologna, per un totale di 572 posti letto. Altri due progetti con 180 posti complessivi sono in attesa di approvazione. «Ci sono molti luoghi a potenziale vocazione studentesca, ma purtroppo gli edifici che hanno le caratteristiche giuste per costruire studentati non sono tanti, per via dei vincoli della legge 338», spiega Federico Condello, prorettore agli studenti dell’Università di Bologna.

«Quest’anno per la prima volta abbiamo anche stanziato un contributo per l’affitto: l’obiettivo è aiutare i fuorisede che non riescono a ottenere la borsa di studio perché si trovano nella fascia di reddito immediatamente superiore, ma che non hanno condizioni economiche agiate». Si tratta di 600 contributi del valore di mille euro ciascuno per l’anno accademico 2022-2023: ne beneficeranno gli studenti fuori sede con un Isee compreso tra i 24.335 euro (soglia prevista per le borse di studio dell’Er.go, l’agenzia regionale per il diritto allo studio) e i 28 mila euro. «Le domande si chiuderanno a dicembre, ma le richieste sono già molte più di 600», racconta Condello.

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Poche case, affitti cari. Il privato preferisce la locazione breve; il pubblico, in netto ritardo, cerca di arginare il problema come può. Cronaca di un’emergenza annunciata

Anche chi ha diritto a un alloggio in uno studentato pubblico, comunque, non sempre lo ottiene. Per chi ha un Isee inferiore ai 24.335 euro, Er.go ha a disposizione 1.673 posti, a fronte di circa 2.800 idonei (di questi, solitamente, un terzo rinuncia per vari motivi). Quest’anno, Er.Go ha stipulato un accordo decennale con Fondazione centro europeo università e ricerca (CEUR), organizzazione che dispone della rete di residenze Camplus College tra Italia e Spagna, per assegnare posti letto a prezzi calmierati a studenti in stato di necessità. Si parte con 72 a 245 euro al mese, con l’obiettivo di aumentare l’offerta.

A chi risulta idoneo ma non assegnatario di alloggio, Er.go chiede di firmare un contratto di locazione e presentare la dichiarazione di domicilio entro metà novembre, altrimenti perderà la borsa di studio da fuorisede, che prevede un contributo più alto per coprire anche parte delle spese di affitto: una scadenza per molti troppo ravvicinata, visto che il tempo per trovare una stanza a Bologna in media è di sette settimane, ma chi ha minore disponibilità economica ci mette anche molto di più. E poi c’è la questione del pagamento della borsa di studio da parte dell’ente: nonostante Er.go sia tra i pochi organismi per il diritto allo studio a versare la somma senza ritardi, la prima rata comunque non arriva prima di inizio novembre. «Nel frattempo lo studente come si mantiene? – si chiede Federica Laudisa dell’Osservatorio regionale per l’università e per il diritto allo studio di Ires Piemonte, intervenuta il 7 novembre al convegno Il diritto allo studio, presente e futuro -. Solo chi ha già determinate possibilità economiche riesce ad attendere di ricevere i soldi della borsa».

Gli attori privati e gli studentati di lusso

In tutta Italia sono sempre più numerosi gli studentati privati. Si rivolgono alle fasce più abbienti di universitari e offrono servizi come palestra, sala cinema, sala yoga, spazi di studio e coworking. A Bologna, il settore ha attirato diversi investitori: c’è Camplus, storica rete di residenze gestita dalla Fondazione CEUR; la catena olandese The Social Hub e Beyoo Laude Living, edificio di proprietà della società per la gestione degli investimenti M&G, con sede a Londra. Anche Livensa Living, parte del colosso immobiliare spagnolo Temprano Capital, ha annunciato che sbarcherà in città nel 2025.

Questi progetti hanno spesso una destinazione d’uso turistica, invece che residenziale: questo comporta per la proprietà maggiori oneri fiscali, ma anche una gestione più flessibile, che permette di mettere a disposizione le stanze ai turisti e non solo agli studenti, specialmente in estate, quando i corsi e gli esami sono finiti e i fuori sede tornano a casa.

Oltre agli studentati di lusso, a Bologna stanno nascendo anche nuove agenzie che prendono in affitto la casa dai proprietari, in alcuni casi la ristrutturano e la ammobiliano, e poi la affittano per periodi più o meno brevi. Tra le più utilizzate c’è Dove vivo, Housing Anywhere e Spota Home. Anche qui i prezzi si aggirano attorno ai 700 euro al mese per una singola.

Per regolamentare il mercato serve la politica

«Per rispondere alla mancanza di alloggi, servono misure modellanti rispetto al mercato degli affitti», spiega Stefano Di Lorenzo, segretario di Sinistra universitaria Bologna e studente di italianistica. «C’è bisogno di un intervento coraggioso della politica – aggiunge – che finora invece ha varato una serie di misure di sostegno al welfare, che non risolvono il problema alla radice, ma vanno solo a tamponare una situazione di disagio economico».

Il Comune di Bologna ha stanziato 1,3 milioni di euro per dare contributi ai proprietari e incentivarli a stipulare nuovi contratti a canone concordato: nel concreto si tratta di una riduzione media tra il 18% e il 20% del canone mensile di affitto, somma che verrà compensata dal Comune direttamente al proprietario. E poi c’è il contributo per l’affitto, pari a tre mensilità del canone fino a 1.500 euro, aperto anche ai non residenti a Bologna (come gli studenti) con Isee inferiore a 17.154 euro, oppure con Isee superiore ma entro 35 mila euro e che dimostrino un calo di reddito superiore al 25% nell’ultimo anno. Nel 2022 sono state ricevute 10.971 domande, con una crescita dell’11% rispetto al 2021.

«A breve nascerà l’Osservatorio metropolitano sull’andamento del mercato degli affitti e delle locazioni turistiche», spiega Emily Clancy, assessore alla casa del Comune di Bologna. «L’osservatorio metterà insieme Comune, Città metropolitana, Regione, università, Acer (che gestisce gli alloggi popolari, ndr), Fondazione Innovazione Urbana, sindacati di proprietari e inquilini e associazioni: insieme studieremo la situazione abitativa in città e pubblicheremo periodicamente dei report. L’anno prossimo poi vorremmo dare vita all’Agenzia sociale per la casa, con la quale il Comune si farà regista del mercato della locazione», conclude Clancy.

Il 12 marzo è anche stato approvato lo stop all’alienazione di patrimonio residenziale pubblico. Nonostante tutto, regolamentare il mercato privato e mettere un tetto massimo alla rendita immobiliare non è semplice: «Spesso il Comune non può agire in mancanza di norme nazionali – afferma Clancy -. Per questo stiamo interloquendo con il governo: tra le proposte c’è quella di istituire strumenti più adeguati per i Comuni e di dare impulso alla nascita di soggetti come le housing association di stampo nordeuropeo, che si potrebbero inserire nel vuoto tra stato e mercato: si tratta di cooperative che si occupino di costruire e gestire alloggi di edilizia sociale». Le housing association sono enti non profit a metà tra le case popolari e le proprietà private affittate a prezzo di mercato che mettono a disposizione alloggi di edilizia sociale convenzionata.

La legge sugli studentati e il “federalismo demaniale”

Legge 338/2000: prevede il cofinanziamento da parte dello Stato per interventi rivolti alla realizzazione di alloggi e residenze per studenti universitari.

Decreto legge 69/2013: reca disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia. Tra queste, l’art. 56 bis stabilisce il cosiddetto “federalismo demaniale” e prevede una procedura semplificata per il trasferimento di proprietà, a titolo non oneroso, dei beni gestiti dall’Agenzia del demanio e dei beni già in uso e non più necessari del ministero della Difesa, a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.

Gli spazi vuoti e la rigenerazione fallita

Esiste poi ancora uno stock di immobili, anche pubblici, che è lasciato sfitto. La rete D(i)ritti alla città ha mappato gli spazi vuoti urbani: a Bologna ci sono circa 600 edifici vuoti, per oltre un milione di metri quadri inutilizzati. Uno su quattro ha destinazione d’uso residenziale, il 67% sono di proprietà privata e il 33% di proprietà pubblica. La scorsa estate la rete ha presentato una delibera di iniziativa popolare sui beni comuni, che chiede la restituzione alla collettività dei beni immobili pubblici dismessi, per trasformarli in luoghi di socializzazione, spazi di produzione culturale indipendente, luoghi di studio e formazione, abitazioni ad affitto parametrato al reddito, luoghi per lo sport popolare, per la medicina di comunità e la partecipazione attiva di persone in condizioni di fragilità, mercati contadini, negozi di vicinato, laboratori artigianali. Per motivazioni tecnico-formali, la segreteria generale del Comune ha però bloccato il processo di approvazione.

Tra gli spazi pubblici inutilizzati ci sono anche le ex aree ferroviarie e le ex aree militari dismesse, coinvolte nei processi di rigenerazione.

«Le aree militari dismesse sono di proprietà pubblica e devono essere destinate nella loro interezza a funzioni pubbliche, salvaguardando gli edifici storici e incrementando il verde già esistente – spiega Mauro Boarelli di D(i)ritti alla città -. Se la funzione prevalente cambia, quelle aree vengono di fatto privatizzate. Gli amministratori danno per scontato che il recupero di queste aree dismesse passi obbligatoriamente attraverso vaste operazioni immobiliari. Questo schema è dettato come l’unica strada possibile ed è organizzato intorno ad una parola magica, “valorizzazione”, utilizzata impropriamente nel senso esclusivo di attribuire ai beni un valore economico e ricavarne un guadagno, la cui fetta più grande però non andrà ai soggetti pubblici, ma agli investitori privati».

Nel 2013, il Comune di Bologna avrebbe potuto fare domanda per il trasferimento gratuito di aree del demanio statale, come le ex caserme, agli enti territoriali, grazie al provvedimento di cosiddetto “federalismo demaniale”, previsto dall’art. 56 bis del decreto legge 69 del 2013. Ma ha perso questa occasione, e il 31 dicembre del 2016 è scaduto il termine per presentare le richieste.

Gli striscioni fuori dallo stabile occupato dal Collettivo Universitario Autonomo in via Oberdan – Foto: Michele Lapini

Su 21 progetti di rigenerazione urbana avviati a Bologna, per oltre un milione di metri quadrati, oggi ben il 59% è rimasto inattuato o non completato: lo mostra uno studio della società di consulenza Nomisma, presentato lo scorso 20 ottobre al convegno Why Emilia organizzato dall’Associazione nazionale costruttori edili (Ance) dell’Emilia-Romagna. La proprietà di queste aree è di vari enti, privati e pubblici: c’è la Cassa depositi e prestiti, il Demanio, le Ferrovie, la Regione e il Comune, ma anche diverse società per azioni e società a responsabilità limitata.

«Il problema è che queste aree costano troppo, e dunque rigenerare non è conveniente, perché aggiungendo il costo di costruzione, il prezzo finale al cliente sarebbe troppo alto – spiega l’amministratore delegato di Nomisma, Luca Dondi -. C’è poi un tema di funzioni che sono state decise per quelle aree: il terziario a uso ufficio è molto rilevante, ma non è un settore che oggi tira molto».

In ogni caso, secondo Dondi, la rigenerazione non sarebbe comunque sufficiente per rispondere al grande problema della mancanza di case, soprattutto per studenti, a cui si assiste oggi a Bologna.

«Dobbiamo non solo rigenerare, ma integrare la produzione di case e costruire nuovi edifici: questo comporterà dei mal di pancia, perché avrà un certo impatto ambientale, ma l’emergenza abitativa in questo momento è più urgente – afferma Dondi -. Negli anni passati la produzione edilizia a Bologna è stata inferiore a quella di Modena: abbiamo bisogno di ben altri numeri».

Sul tema interviene anche Raffaele Laudani, assessore all’urbanistica del Comune di Bologna, secondo cui «la rigenerazione urbana ha fallito perché prevale una logica finanziaria, anche quando si tratta di attori pubblici, che sono più interessati a tenere alti i valori delle aree che alla trasformazione vera e propria. Questi terreni costano troppo, e nessuno li compra: oggi le risorse pubbliche non bastano per fare gli interventi abitativi di cui ci sarebbe bisogno, e anche i privati sono restii a investire, perché è difficile trovare una sostenibilità economica». La soluzione, secondo Laudani, non sta nel consumo di suolo, ma nel trovare nuove strade per rimettere in gioco le grandi aree dismesse. «Il Comune sta cercando di trovare modalità per fare interventi che siano al tempo stesso incisivi dal punto di vista sociale, e attraenti per i privati».

La Bologna del futuro avrà ancora posto per gli studenti?

Gli studenti sono un’enorme ricchezza per una città come Bologna: la ricerca del laboratorio HousingBo mostra che ogni studente fuorisede spende in media 887 euro al mese (compreso l’affitto), e porta un grande valore aggiunto sia in termini occupazionali sia economici. Ogni 14 studenti fuori sede si genera un’unità di lavoro a tempo pieno, e ogni giorno gli studenti fuori sede generano un valore aggiunto di circa un milione 200 mila euro. Allontanare gli studenti dal centro storico per lasciare posto ai turisti significherebbe quindi non solo trasformare l’identità della città, ma anche scoraggiare l’arrivo di nuovi universitari, perdendo di fatto un’importante fonte di guadagni.

«Bologna può ancora decidere cosa fare del proprio centro storico, che non è ancora completamente turistificato – commenta Nicola De Luigi, ricercatore sociale dell’Università di Bologna che ha condotto l’indagine HousingBo -. Siamo in tempo per non diventare la nuova Firenze d’Italia».

La turistificazione rischia di portare a uno snaturamento del centro, che diventa un prodotto di consumo orientato alle necessità dei turisti, invece che degli abitanti. «La sfida oggi è: come costruire una città che accolga tutti? Riusciremo ad andare verso un modello di città policentrica, dove i diversi centri sono collegati tra loro in modo efficiente?».

Anche il terzo Rapporto sul mercato immobiliare nelle grandi città di Nomisma mette in guardia: oggi Bologna rischia quello che viene definito «l’effetto abbandono». La domanda di case in affitto «è in costante crescita ed è rappresentata in primis da studenti e a seguire lavoratori non residenti e giovani coppie o single. Ormai risulta evidente come tale concorrenza abbia spinto il mercato verso la saturazione». La ricerca sulle abitudini abitative di Changes Unipol, elaborata da Ipsos, mostra che oggi a Bologna solo una persona su cinque, in caso di cambio casa, vorrebbe trasferirsi in centro.

«Da qualche anno stiamo assistendo alla volontà di trasformare Bologna in una città turistica», conclude Mattia Fiore, dottorando in sociologia dell’università di Bologna, che si occupa di trasformazioni urbane e dell’impatto di studenti e turisti sul tessuto della città.

«L’arrivo di Ryanair, il parco giochi del cibo Fico, la nomina dei portici come patrimonio Unesco… sono tutti tasselli del puzzle, è così che l’esplosione di Airbnb trova un senso. Le scelte politiche degli ultimi anni hanno favorito i processi di turistificazione e gentrificazione che vediamo oggi. Questi tuttavia non sono inevitabili: è venuto il momento che Bologna scelga che tipo di città vorrà essere nel suo futuro».

CREDITI

Autori

Alice Facchini

Editing

Lorenzo Bagnoli

Infografiche

Lorenzo Bodrero

Foto di copertina

Uno scorcio di via Zamboni, a Bologna
(Michele Lapini)