Mafie e Regno unito

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Il riciclaggio è il crimine che permette a tutti gli altri crimini di esistere e prosperare. Ogni criminale che si rispetti, se non è un ladro di polli che si accontenta del contante che può stipare sotto il materasso, ha disperatamente bisogno di un buon sistema per ripulire il denaro sporco.

Il senso stesso di ogni attività criminale, il profitto, verrebbe meno se non ci fossero modi sicuri per trasformare pile di banconote accartocciate in un comodo e regolare conto in banca, con cui acquistare beni tangibili.

Un rapporto del 2019 della National Crime Agency britannica stima che ben 100 miliardi di euro di capitali sporchi all’anno, una cifra pari a tre manovre finanziarie, venga riciclato nella City of London, il cuore finanziario della capitale del Regno Unito.

Questo significa che, grazie a una fitta rete di professionisti compiacenti, fiduciarie e banche pronte a chiudere un occhio, ogni anno il valore di cento miliardi di euro di narcotraffico, corruzione, evasione fiscale, e molti altri reati si garantisce e si rinnova.

Le indagini, spesso azzoppate dalle difficoltà delle collaborazioni transnazionali, riescono appena a sfiorare la superficie di questo enorme iceberg di corruzione.

E la situazione, con la Brexit che rischia di arrivare a compimento senza precisi accordi di collaborazione tra le forze dell’ordine, sembra destinata solo a peggiorare.

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Londra, 240 società e 4 indirizzi. L’enigma del professionista italiano che le ha create

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Londra, 240 società e 4 indirizzi. L’enigma del professionista italiano che le ha create

Cecilia Anesi
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C’è un nome che ricorre in molte delle recenti indagini finanziarie italiane che approdano in Inghilterra, ed è quello del commercialista expat Fabio Castaldi: un professionista della finanza creativa, che si muove con disinvoltura tra i grattacieli della City of London.

Castaldi è una carta, o meglio una business card, comune al portafoglio di vari imprenditori italiani finiti nel mirino della Guardia di Finanza. Eppure è restato lontano dai riflettori, come un equilibrista sul filo tra lecito e illecito. Perché – come tutte le inchieste sul mondo dell’offshore ci insegnano, dai Panama Papers in giù – i “colletti bianchi” raramente vengono inchiodati alle proprie responsabilità.

Anche la storia di Fabio Castaldi è così. È riuscito a stare abbastanza dentro al sistema da diventare un professionista sfruttato da diverse organizzazioni criminali, e al contempo abbastanza lontano da non finire mai, realmente, nei guai.

A servirsi di lui sarebbero stati tanto imprenditori oggi a processo per riciclaggio a favore della ‘ndrangheta, quanto insospettabili imprenditori del Nord-Est. Questi ultimi, ha scoperto la Procura di Vicenza, avevano messo in piedi una colossale frode dell’Iva per centinaia di milioni di euro proprio con l’aiuto di Castaldi. E nella capitale, a Roma, Castaldi rimbalzava come contatto utile tra gli indagati del processo “Mondo di mezzo”, il gruppo criminale guidato da Massimo Carminati.

Dalla Svizzera alla Gran Bretagna

Castaldi, avvocato e commercialista esperto di finanza internazionale, offriva dai suoi uffici di Chiasso e Londra servizi di «pianificazione fiscale». La promessa è quella di «massima confidenzialità», sia che si tratti di costituire aziende nel Regno Unito, di registrare una residenza, o addirittura di ottenere un passaporto diplomatico.

Può sembrare una pubblicità mirata a chi vuole evadere il fisco, ma di per sè non c’è niente di illegale nell’offrire questi servizi. Il Sole 24 Ore e Irpi hanno però scoperto come, da quando nel 2008 ha aperto la sua Castaldi Lawyer a Londra, Castaldi è stato citato in almeno quattro diverse indagini in tema di evasione fiscale, bancarotta fraudolenta e riciclaggio.

Il suo nome finisce per la prima volta nel radar delle autorità italiane nel 2013, quando l’ufficiale della Guardia di Finanza in servizio presso l’ambasciata italiana di Londra nota una sospetta serie di richieste di registrazione di residenza. Secondo fonti investigative, tutte queste richieste erano legate a un singolo indirizzo, una casa derelitta della periferia londinese. Ancor più strano, nessuna di queste richieste era stata fatta dall’interessato, ma tutte dall’azienda Castaldi Lawyer, che agiva da intermediaria.

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Ulteriori indagini hanno dimostrato che queste richieste di residenza includevano anche quelle di due soggetti sotto indagine per sospetti legami con la ‘ndrangheta. Uno di essi è Alberto Pizzichemi, ritenuto dalla procura di Bologna vicino al clan Iamonte di Melito di Porto Salvo e arrestato nel 2018 con l’accusa di intestazione fittizia aggravata dal favorire l’attività mafiosa.

La registrazione di residenze

Castaldi, raggiunto per un commento dal Sole 24 Ore, ha dichiarato che i clienti entrano in contatto con lui via internet e che «non dispone di strumenti di indagine particolarmente efficaci» per fare due diligence sui profili dei clienti.

Ma registrare residenze è solo un’attività collaterale per Castaldi, il cui core business sembra piuttosto essere l’apertura di aziende. Dal 2010 a oggi il suo nome compare in almeno 240 di esse, tutte registrate in appena quattro indirizzi all’interno della City di Londra.

Non è sempre chiaro perché tutte queste aziende vengano costituite, ma è certo che operino tutte allo stesso modo: non sembrano avere alcuna reale attività, restano inattive per alcuni anni, e poi vengono chiuse del tutto.

Secondo Fabio Castaldi sono le condizioni economiche particolarmente vantaggiose che il Regno Unito offre ad attirare così tanti clienti. Ma per gli inquirenti la creazione sistematica di aziende destinate a sparire senza aver apparentemente fatto nessun tipo di business è un segnale di allerta tipico delle frodi finanziarie.

Il carosello dell’Iva

Le frodi carosello, in particolare, hanno un continuo bisogno di aziende “usa e getta” per poter funzionare.

Infatti il meccanismo basico di questo tipo di frode sta nel creare degli intermediari fittizi fra un azienda “venditrice” (A), basata in un qualsiasi paese dell’Unione europea, e una “compratrice” (B) basata in un paese differente. Nelle vendite intracomunitarie non c’è Iva da pagare immediatamente. L’azienda A perciò non carica Iva nella fattura a B, che dovrebbe però versarla nel paese dove rivende al pubblico il prodotto o il servizio acquistato da A.

Inserendo opportunamente uno o più intermediari fra A e B, il debito di Iva non si accumula più nell’azienda compratrice, ma proprio nelle aziende intermediarie che, tramite fatturazioni false, risultano aver comprato da A e rivenduto a B.

Prima che l’Agenzia delle Entrate o la Guardia di Finanza possano rendersi conto del trucco, le aziende intermediarie scompaiono, chiuse o trasferite all’estero, e il debito di Iva diventa una perdita secca per le casse dello Stato. L’inchiesta “Grand Theft Europe” ha rivelato come il danno a livello Ue di queste frodi si aggiri sui 50 miliardi di euro all’anno.

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Rispetto ad altri tipi di frode fiscale, la frode carosello è relativamente semplice, e Fabio Castaldi sembrerebbe conoscerla molto bene.

Tre anni fa infatti è stato iscritto nel registro degli indagati a Vicenza nell’ambito di un indagine su una monumentale frode di questo tipo. Secondo gli investigatori infatti sarebbe proprio lui l’ideatore e organizzatore di un sistema che ha permesso a diversi imprenditori di intascare ben 130 milioni di euro in Iva non pagata, fatta sparire grazie a un giro di fatture di quasi un miliardo di euro.

Diversi fronti aperti

Come nelle più classiche frodi carosello, Castaldi secondo le carte, si sarebbe occupato di far sparire le società intermediarie, le cosiddette “cartiere” in cui si accumulavano i debiti, spostandole nel Regno Unito e utilizzando un cittadino britannico, tale Brian Clift, come prestanome.

Castaldi si dichiara estraneo al procedimento. «Semplicemente la Castaldi Lawyer era fiduciaria nella partecipazione azionaria di una società non italiana», ci dice.

Il meccanismo però avrebbe permesso a tali aziende di diventare irreperibili ai creditori e all’Agenzia delle Entrate. Grazie a questa intermediazione, tanto la documentazione delle aziende quanto i loro debiti sarebbero svaniti nel nulla.

Castaldi è stato arrestato per queste operazioni nell’ottobre del 2016, è stato rilasciato poco dopo, ma la procura non ha ancora richiesto il rinvio a giudizio che, stando all’ordinanza di custodia cautelare, avrebbe come capo d’imputazione associazione a delinquere internazionale aggravata.

Nel frattempo Castaldi è finito nei guai anche in Sicilia. Un anno fa infatti la procura di Catania ha chiesto la custodia cautelare per il commercialista romano, negata dal riesame, con l’accusa di bancarotta fraudolenta .

Secondo le indagini, Castaldi era il socio principale di un altro commercialista, il catanese Mariolino Leonardi, che si occupava di offrire a imprenditori senza scrupoli lo stesso tipo di servizio. Si sarebbero occupati di pilotare bancarotte fraudolente di aziende in difficoltà, spostando tutti gli asset di valore in nuove aziende registrate nel Regno Unito o in Croazia, sottraendosi permanentemente ai creditori.

Centinaia di società

Stando alle accuse, il duo Castaldi-Leonardi offriva anche la possibilità di evitare l’Iva (cavallo di battaglia delle frodi transfrontaliere), di far sparire documenti e di nascondere beni. Una prudente stima del valore delle intere operazioni si attesta intorno ai dieci milioni di euro. I capi d’imputazione per Castaldi sono molteplici, inclusi bancarotta fraudolenta e riciclaggio. Contattato dal Sole 24Ore, anche in questo caso il commercialista da Londra si dichiara estraneo all’indagine.

Tra le centinaia di aziende aperte da Castaldi, ve ne sono alcune che compaiono citate nell’indagine congiunta “Martingala-Vello d’Oro” delle procure di Reggio Calabria e Firenze che ha mandato a processo una serie di imprenditori tra Calabria e Toscana con l’accusa di avere riciclato proventi illeciti dei clan di ‘ndrangheta della Locride.

Stando alla ricostruzione degli inquirenti, gli imprenditori avevano avviato delle “cartiere” per complesse frodi carosello, servite poi anche per riciclaggio.

Uno degli imprenditori a processo, Antonio Scimone (le cui operazioni finanziarie in Slovenia erano già state raccontate da Irpi sul Sole 24 Ore) è titolare di alcune aziende inglesi che sono finite sotto la lente degli inquirenti della Gdf. ll ruolo delle società inglesi sarebbe stato di cruciale importanza per la rete di imprenditori: da un lato servivano a incorporare, con un fittizio trasferimento all’estero, le “cartiere” registrate in altri Paesi prima che le autorità fiscali cominciassero a investigarle, dall’altro la registrazione di una società di facciata nel Regno Unito avrebbe permesso l’apertura di conti bancari in Svizzera.

Ad aprire queste aziende, lo studio Castaldi Lawyer.

La difesa di Scimone

«Castaldi non l’ho mai incontrato, non sono mai stato nel suo ufficio. Abbiamo chiesto dei preventivi a distanza e abbiamo scelto il suo studio», spiega al telefono con Il Sole 24Ore Antonio Scimone.

«Abbiamo trasferito a Londra solo delle aziende italiane che avevano un debito tributario – dichiara Scimone -. Rigetto qualsiasi accusa di contatto con la ‘ndrangheta. Una società inglese aperta per noi dalla Castaldi Lawyer a Londra è servita a fare la cessione di un ramo d’azienda, cioè per blindare dei beni immobiliari in Italia. Non c’è stato trasferimento di denaro e non abbiamo aperto alcun conto bancario».

La Guardia di Finanza di Firenze ha inviato ben due richieste di collaborazione alle autorità britanniche. La prima è rimasta lettera morta, e la seconda, che chiedeva il sequestro delle aziende di Scimone aperte da Castaldi, ha ricevuto come risposta la comunicazione che le aziende erano solo scatole vuote e non c’era nulla a cui mettere i sigilli.

Fabio Castaldi dichiara di non aver mai ricevuto richieste rogatoriali né in questo, né negli altri casi in cui è coinvolto e sottolinea come non abbia propriamente “gestito” le aziende di Scimone ne tantomeno aperto conti in Svizzera per lui.

L’ufficio misterioso

Dopo molti trasferimenti, oggi la Castaldi Lawyer è formalmente domiciliata in un moderno co-working nel cuore della City, pubblicizzato come il più grande del suo genere quando ha aperto nel 2015. Ma quando i reporter sono andati lì a cercarlo, alla reception sono stati accolti solo da espressioni sorprese. «Non c’è nessuno con quel nome qui», ha dichiarato la receptionist dopo aver lungamente spulciato la lista delle aziende registrate.

A poche centinaia di metri invece si trova il precedente indirizzo presso cui lo studio di Castaldi si era registrato, ma anche lì nessuno sembra ricordarsi di lui. Castaldi dichiara di non esercitare più la professione di fiduciario, lamentando il fatto che questo ruolo venga confuso con quello di “testa di legno”.

Non c’è dubbio che almeno fino a maggio 2019 il fiscalista romano sia rimasto in attività. Infatti due nuove aziende britanniche sono spuntate a suo nome. L’indirizzo? Una casella postale in un anonimo appartamento inglese.

Questo articolo è stato realizzato con il supporto di journalismfund.eu e del programma Reporters in the Field della Fondazione Robert Bosch.

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Mafia Capitale, così Massimo Carminati ha nascosto il suo tesoro a Londra

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Mafia Capitale, così Massimo Carminati ha nascosto il suo tesoro a Londra

Cecilia Anesi
Lorenzo Bagnoli
Matteo Civillini
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Al sicuro. Lontano da un processo che sta rivoltando le viscere di Roma, lontano dall’infedeltà dei luogotenenti e dalle inchieste dei magistrati. È a Londra che si nasconde la cassaforte di Massimo Carminati, l’estremista di destra indicato come il capo di Mafia Capitale, attualmente sotto processo con l’accusa di associazione mafiosa. Dietro l’angolo, sotto gli occhi di tutti fin dalle prime fasi delle indagini, il tesoro è protetto nella capitale finanziaria d’Europa da un complicato meccanismo di scatole societarie e dalla segretezza che tutela la finanza internazionale.

All’ombra dei grifoni della City, i soldi dell’organizzazione criminale si spostano tra paradisi fiscali e banche senza lasciare traccia, diventando di fatto ville, aziende immobiliari, ristoranti per un valore complessivo di milioni di sterline. Ma alcune «strisciate», come le chiama Carminati nelle intercettazioni che lo hanno portato in carcere, restano. Muovere capitali in questo modo è un lavoro da professionisti, e per quanto cauto e furbo, “er cecato” non può certo farlo da solo. L’Espresso ha seguito da vicino alcune di queste piste, arrivando ai tesorieri più fidati che si trovano nella City.

L’ex estremista di destra per muoversi a Londra si appoggia a due vecchi amici e compagni di battaglie: Vittorio Spadavecchia e Stefano Tiraboschi.

Entrambi già militanti in gruppi neofascisti attivi negli anni Settanta. I loro nomi ritornano nelle intercettazioni dell’inchiesta su Mafia Capitale ogni volta che si parla del forziere inglese. Nei quasi quarant’anni che hanno passato nella capitale britannica, i due hanno dimostrato talento per gli affari e una coriacea resistenza alle rogatorie avviate dai magistrati della procura di Roma.

Spadavecchia sbarca a Londra nell’agosto del 1982. Non aveva idea, ha dichiarato, che la legge italiana lo ritenesse un fuggitivo. Eppure un sospetto avrebbe dovuto averlo, visto che neppure due mesi prima a Roma aveva assaltato, con un gruppo di camerati, la sede dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina di cui era presidente Arafat.

Durante la sparatoria, i nervi gli avevano ceduto, e mentre uno dei poliziotti di guardia cadeva sotto il piombo dei camerati, lui si era tolto i pantaloni per sembrare un passante impegnato a fare jogging.

Con la paura di quella notte ancora fresca, Spadavecchia lascia l’Italia per non farci più ritorno. C’è chi è pronto ad accoglierlo. Nei primi anni Ottanta la capitale inglese era il rifugio preferito dai camerati “in latitanza preventiva”. Erano i tempi delle indagini sul terrorismo nero e sulla strage di Bologna. Ma a Londra, lontano dal clamore, Roberto Fiore, fondatore di diversi movimenti neofascisti e del partito Forza Nuova, aveva stretto accordi con gruppi di estrema destra inglese come la League of St George, aiutando decine di estremisti neri italiani in fuga.

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Fra i “neri in fuga” c’era già chi poi sarebbe diventato il più stretto socio in affari di Spadavecchia: Stefano Tiraboschi.

Proveniente dal Fuan, l’organizzazione dei giovani universitari del Msi, aveva trovato nel gruppo londinese di Fiore un punto di riferimento ideologico e concreto per organizzare la sua vita a Londra. Arrestato nel 1981 da Scotland Yard, Tiraboschi doveva essere interrogato dalla polizia italiana per aver fatto parte del commando che il 15 marzo 1979 aveva svaligiato a Roma l’armeria Omnia Sport.

Arricchirsi in fretta

Nei primi anni Ottanta Spadavecchia e Tiraboschi a Londra sono ufficialmente studenti squattrinati, ma nel giro di poco tempo diventano ricchissimi, con proprietà di lusso e ristoranti per un valore complessivo di decine di milioni di sterline.

Per Spadavecchia, però, i problemi con la giustizia continuano. Almeno fino a giugno scorso, quando l’ultima decisione della corte di Westminster sembra assicurargli definitivamente sonni tranquilli sotto il cielo inglese.
I giudici infatti hanno avvalorato la tesi che Spadavecchia fosse all’oscuro di essere un ricercato e hanno ritenuto il processo in contumacia una violazione del suo diritto a un giusto processo.

Eppure per la giustizia italiana, che l’ha condannato a 14 anni per crimini come terrorismo, rapina a mano armata e possesso illegale di armi da fuoco, è stata proprio la sua fuga a impedirgli di far valere le proprie ragioni di fronte a un tribunale. Del resto la sua condanna in primo grado risaliva già al 1986 e a quel verdetto il suo avvocato aveva fatto appello, dimostrando che almeno a partire da quell’anno Spadavecchia era ben cosciente delle accuse a suo carico.

Da allora l’Italia lo ha richiesto almeno sette volte, fra il 1991 e il 2016, ma Spadavecchia è rimasto a Londra libero di continuare a curare i suoi affari milionari e di brindare alla sua libertà con i ragazzi della squadra di rugby che gestisce l’Ealing Trailfinders Club, una società del West End londinese.

Non è chiaro come lui e il suo socio abbiano trovato il capitale iniziale per il loro business. Di certo Tiraboschi, senza lavoro e senza fissa dimora nei primi anni ’80, arriva ad avere nel 1995 la proprietà di un appartamento all’epoca valutato in 350mila sterline a Holland Road, nella prestigiosa area di Kensington, e di una villetta in stile vittoriano a due passi dal Tamigi.

Nel 1994 Spadavecchia e Tiraboschi aprono la loro prima azienda, la Action Accommodation. Il modello è quello della Easy London di Roberto Fiore che dagli anni Ottanta prometteva casa e lavoro a giovani italiani che volevano studiare inglese. Spadavecchia e Tiraboschi optano per offerte più di lusso, ma il concetto rimane lo stesso: fatturare affittando proprietà, costruendo un impero.

Verso la fine degli anni ’90, Action Accommodation viene sostituita da London Solutions, un nuovo brand che viene controllato prima da una società inglese e, successivamente, da un’italiana. Un periodo a cavallo del clamoroso furto a opera di Carminati nel caveau della banca che si trova nella città giudiziaria della Capitale. Quando il “Nero” riuscì a mettere le mani su parecchie delle cassette di sicurezza lì custodite.

Il quartier generale della società rimane a Londra. Il portfolio di immobili è molto ricco: almeno sedici proprietà con un valore di mercato che supera i dieci milioni di sterline. La coppia è attiva anche nel settore della ristorazione. Tiraboschi gestisce almeno tre ristoranti, di cui due intestati al fratello. Tre trattorie italiane, tutte situate lungo Kensington Park Road, accanto al famoso mercatino di Portobello.

«I ristoranti che c’hanno st’amici miei, ce vanno tipo Madonna, la figlia del re, cioè… sta a Notting Hill», si vanta il “cecato” con un amico. «Guadagnano un sacco di soldi».

Per Carminati i camerati sono parte di una “famiglia”. «È normale che hai più feeling con un vecchio camerata, [..] sono tutta gente cresciuta in quell’ambiente e questi rapporti rimangono, e negli anni se devi chiede un favore, una cosa, è facile che hai rispondenze quando c’hai un appoggio di questo tipo», spiega il collaboratore Roberto Grilli al pm Giuseppe Cascini, uno dei titolari dell’indagine su Mafia Capitale.

Nella City l’ex terrorista non è, come a Roma, un boss che tiene in scacco politici e imprenditori, ma un semplice investitore che può passare inosservato.

Spadavecchia e Tiraboschi non sono tra gli indagati dell’inchiesta “mondo di mezzo”, ma la loro importanza per gli affari di Carminati a Londra è un elemento che emerge con assoluta chiarezza nelle indagini antimafia. L’ex Nar va spesso nella capitale inglese e, secondo gli investigatori, è proprio negli incontri con i due camerati che pianifica i suoi investimenti. Vittorio Spadavecchia e Stefano Tiraboschi però, contattati da L’Espresso, preferiscono non commentare le vicende che li riguardano.

Nella City l’ex terrorista non è, come a Roma, un boss che tiene in scacco politici e imprenditori, ma un semplice investitore che può passare inosservato. «Là non ti guardano mai in faccia… là che cazzo ti frega… nessuno ti conosce», dice Carminati in una conversazione intercettata a maggio 2013. I carabinieri lo ascoltano anche quando illustra i vantaggi del nascondere soldi nelle isole del Commonwealth, come le Bahamas. Del fatto che l’arcipelago sia entrato nella white list dei paesi fiscalmente trasparenti, il boss può farsene beffe: «Ce sta il segreto bancario micidiale, perché gli inglesi so paraculi, davanti dicono una cosa, ma dietro…». Così gli affari possono prosperare.

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Quando uno degli uomini a lui più vicini, Fabrizio Franco Testa, ex manager Enav e uomo chiave della galassia del “Nero”, dice di voler avviare due ristoranti a Kensington, Carminati lo porta a Londra a incontrare Spadavecchia e cerca anche di far entrare nell’affare suo figlio Andrea.

Fabrizio Testa non è uno qualunque. I magistrati lo definiscono «testa di ponte dell’organizzazione nel settore politico e istituzionale».Tra lui e Spadavecchia (che lo ospiterà in casa propria) si creerà una connessione speciale. Per gli inquirenti è un’affinità di affari, ma Testa dichiara invece di essere stato ospitato solo per «questioni familiari».

Affari di famiglia

Sentito nell’ambito del processo a Mafia Capitale, in cui figura come imputato, Testa nega che i Carminati, padre e figlio, abbiano partecipato al suo investimento nei ristoranti. «Andrea [Carminati] mi ha aiutato solo con il business plan» perché «conosceva il diritto locale». Testa aveva buoni agganci nell’ambiente londinese, eppure agli esperti consulenti finanziari tramite i quali gestiva già obbligazioni finanziarie nella City ha preferito un giovane appena uscito dall’università.

Preoccupato di avere alle calcagna le autorità italiane, dopo che ai primi di aprile del 2012 era stato pedinato durante un viaggio a Londra, Carminati è alla ricerca di contatti puliti per i suoi investimenti immobiliari. Un amico camerata gli presenta una vecchia conoscenza che vive tra Londra e Melbourne, in Australia.

Enrico Maria Vaccaro è un immobiliarista di successo e il “cecato” vorrebbe affiancare anche a lui il figlio Andrea per fare acquisti nel Regno Unito. Vaccaro è fidato, gli dicono: è andato a Londra nel 1994 e «ha messo da parte soldi, poi si è ripulito». Nella capitale compra immobili, li ristruttura e li rivende, e avrebbe «conoscenze e amicizie anche per un appartamento» che potrebbe interessare Carminati. I due si incontrano il 3 giugno 2013 a Roma. Vaccaro è socievole, racconta i suoi successi. Si vanta di avere ristrutturato la casa di Carlo Ancelotti quando allenava il Chelsea. Molti suoi clienti sono italiani, dice, e lo pagano via Svizzera e isole Cayman.

Proprio il tipo di discrezione che cerca Carminati. Enrico Maria Vaccaro all’Espresso ha dichiarato di essere finito a quell’appuntamento per puro caso. «Non lo conoscevo neanche, dovevo incontrare un’altra persona». E afferma di non avere mai più avuto contatti con i Carminati.

Da una conversazione intercettata emerge che a Londra il “Nero” avrebbe concluso un affare immobiliare: l’acquisto all’asta del primo piano di una casa a Notting Hill. Inoltre, le indagini continuano a registrare diversi viaggi di Carminati tra Roma e Londra.

Case e medicine

Per il “mondo di mezzo” Londra non è solo il terreno fertile dove far crescere ville e ristoranti, ma anche la via d’ingresso per quei paradisi fiscali alle cui porte non può bussare rogatoria. Ce lo racconta la singolare storia di un’azienda aperta a Roma nel 1998.

Ad andare dal notaio quel giorno di luglio di diciannove anni fa è Sergio Carminati, fratello dell’imputato di mafia, assieme all’avvocato Antonio Esposito. Aprono la Gifin Italia srl, un’azienda il cui scopo dichiarato è la compravendita di immobili e il commercio di prodotti sanitari e farmaceutici. Le attività iniziano nel 1999, quando la proprietà finisce nelle mani di un’omonima azienda inglese, la Gifin Uk Ltd, aperta tre mesi prima della filiale italiana sotto l’egida di un importante nominee service londinese.

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A controllare la Gifin Uk Ltd sono però due scatole cinesi. Una registrata nelle Isole Vergini britanniche, l’altra a Panama con un sistema di azioni al portatore che garantiscono il totale anonimato. A gestirne l’involucro, i promotori finanziari del nominee service londinese: due inglesi e tre italiani che si muovono tra Londra e Montecarlo fornendo un servizio che, secondo alcune indagini della Procura di Roma, potrebbe in più occasioni essere stato utilizzato per attività di riciclaggio.

Cosa abbia fatto la famiglia Carminati con la Gifin in questi anni non è facile capirlo. L’unica attività certa, e che passa tramite ulteriori scatole cinesi, sembra essere la gestione di un bar poi sequestrato a Roma.

Di commercio di farmaci non si ha traccia fino al 2007, quando la controllante inglese vende le proprie quote della Gifin Italia a due farmacisti romani. Uno dei due è molto vicino alla famiglia Carminati e nel 2012, probabilmente a ulteriore tutela, cede le quote all’insospettabile consorte di cui usa anche il cellulare per comunicare con la compagna di Massimo Carminati. Ma a che cosa serva tutto questo giro di persone e società per gestire dei minuscoli budget, o almeno tali sono quelli dichiarati tanto in Italia quanto in Inghilterra negli anni, tanto da dover scomodare addirittura Panama e le Isole Vergini rimane, e forse rimarrà, un mistero. Un mistero all’ombra della City of London.

Quest’articolo è stato realizzato da L’Espresso in collaborazione con il centro di giornalismo d’inchiesta Irpi e il supporto di journalismfund.eu.

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