Conflitto d’interessi e sanità: i dati in Europa

Conflitto d’interessi e sanità: i dati in Europa
Lorenzo Bagnoli

Nel 2010 in Francia è scoppiato uno scandalo a seguito degli effetti collaterali provocati dal Benfluorex, principio attivo fino a quel momento impiegato in farmaci per far perdere peso ai pazienti diabetici. A dicembre 2009 l’Agenzia europea del farmaco (Ema) lo ha ritirato dal mercato perché i rischi di malformazioni alle valvole cardiache erano maggiori dei benefici. Prima di quella presa d’atto, però, c’è stato un numero imprecisato di decessi, fra i tre e i duemila nella sola Francia, l’unico Paese europeo dove un’azienda che produceva farmaci con questo principio attivo è finita sotto inchiesta. A marzo 2021 è stata anche condannata per frode.

Oltralpe, dal 2011 esiste una legge che regola le relazioni tra le aziende farmaceutiche, medici e agenzie che si occupano di sanità pubblica. L’obiettivo è rendere trasparenti delle relazioni che altrimenti possono alimentare l’iperprescrizione dei farmaci anche quando non sono necessari o, peggio, hanno già effetti collaterali noti. I legami pericolosi si costruiscono attraverso operazioni che appaiono innocue che vanno dalle sponsorizzazioni dei convegni alle consulenze a pagamento. I difensori dell’industria, dal canto loro, sottolineano però che senza le sperimentazioni del privato e il coinvolgimento in seguito del pubblico non ci sarebbero nemmeno risultati sul piano della ricerca. Ed è proprio per questo che serve stabilire i confini di questa relazione che è al contempo pericolosa ma necessaria.

Un dataset per nuove inchieste: Euros for docs

L’organizzazione non governativa Health Action Initiative (HAI), riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della sanità, ha pubblicato la guida Fact or Fiction? per aiutare gli operatori sanitari europei a relazionarsi con le aziende farmaceutiche. Secondo i dati riportati dall’Organizzazione non governativa, l’85,2% degli studenti di medicina francesi «si sente impreparato rispetto alla gestione dei conflitti di interesse che nascono dalle interazioni con l’industria farmaceutica».

Eppure le richieste di maggiore trasparenza a livello europeo faticano a trovare ascolto e soprattutto a produrre un cambiamento a livello di Unione europea. Non esiste infatti un database comune per commisurare le spese delle aziende farmaceutiche in Ue e la pubblicazione dei dati è solo su base volontaria.

È l’immagine che emerge dalla comparazione tra i dati raccolti in undici Paesi europei (tra cui l’Italia) dal collettivo di ricercatori Euros for Docs, che dal primo giugno ha reso pubblica e accessibile a chiunque la propria banca dati. Secondo Euros for Docs la Federazione europea delle associazioni e delle industrie farmaceutiche (EFPIA), la Confindustria delle farmaceutiche a livello europeo, ha lasciato che si diffondesse il modello dell’auto-regolamentazione, che di fatto ha ostacolato la messa a sistema dei dati europei. Mentre ci sono Paesi che hanno ugualmente centralizzato la raccolta dei flussi di pagamento, altri, tra cui l’Italia, non hanno adottato la stessa strategia, rendendo il processo ancora più difficile. «Sebbene il modello di autoregolamentazione per la divulgazione dei pagamenti sia stato annunciato come un importante progresso per la trasparenza nel settore sanitario europeo, la sua utilità per identificare i conflitti di interesse è minata da diversi problemi», si legge in uno studio pubblicato da Science Direct e realizzato grazie all’utilizzo dei dati di Euros for Docs. In particolare, l’articolo ne segnala due: la frammentazione dei dati sui siti delle singole aziende farmaceutiche anziché in un portale centralizzato e l’incompletezza dei dati personali degli operatori sanitari in linea con la protezione della privacy introdotta in Europa attraverso la Gdpr.

Le due macrovoci: ricerca e non-ricerca

Otto degli undici Paesi considerati seguono le regole del codice di condotta di EFPIA, che considera la voce “ricerca e sviluppo” una voce forfettaria totale delle spese, mentre le spese restanti vengono frazionate tra operatori sanitari (i cui nomi possono essere resi pubblici o meno a seconda delle policy nazionali) e organizzazioni (in cui si contano ospedali, cliniche, organizzazioni di categoria, università).

Nel triennio 2017-2019, il gruppo di ricercatori ha tracciato 7,06 miliardi di euro di versamenti in 1,4 milioni di transazioni. La spesa maggiore tra gli otto che seguono le regole di conteggio dell’EFPIA va in “ricerca e sviluppo”, che pesa per il 58%. Tra le voci escluse dal forfait “ricerca e sviluppo”, il 26% finisce a organizzazioni sanitarie, principalmente per sponsorship e premi. Il 15% delle spese non di ricerca finiscono invece a operatori sanitari.

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I ricercatori di Euros for Docs già nel 2018 hanno contribuito alla serie d’inchieste PharmaPapers pubblicate dal magazine indipendente francese Basta Mag. L’inchiesta ha svelato il funzionamento del sistema di lobbying delle aziende farmaceutiche in Francia sulla base della stessa ricerca che oggi è confluita nel database allargato di Euros for Docs. I dati sono stati resi disponibili anche dal British Medical Journal nel 2019, che ha sottolineato come i medici che non hanno ricevuto omaggi dalle aziende farmaceutiche sono anche quelli che hanno la somma più bassa per prescrizioni rimborsate per visita oltre ad avere un numero più alto di prescrizioni per farmaci equivalenti.

Come sintetizza la rivista specializzata Salute internazionale, «i medici che non ricevono nessun omaggio dalle industrie della salute hanno un profilo prescrittivo meno costoso per il sistema sanitario e indicatori di efficienza prescrittiva migliori di coloro che ricevono regali. Inoltre lo studio ha evidenziato come anche un valore economico contenuto degli omaggi (fascia 10-69€) abbia comunque un effetto sulle prescrizioni: un piccolo investimento da parte dell’industria farmaceutica risulta quindi fruttuoso». Il nesso di causalità non può essere considerato definitivo, ma è un’indicazione di quanto una maggiore trasparenza possa contribuire a spiegare certe dinamiche del sistema sanitario europeo.

L’origine di una legge sulla trasparenza: il caso Mediator

Il motivo dell’attenzione francese per i legami industria farmaceutica-operatori sanitari-politica si spiega con il processo da cui siamo partiti. Imputati erano i Laboratori Servier, produttori del Mediator, farmaco contente Benfluorex impiegato «come trattamento aggiuntivo nei pazienti diabetici in sovrappeso», spiega l’Ema in un documento del 2010. A marzo 2021 l’azienda è stata ritenuta colpevole di «truffa aggravata» e «omicidio involontario» dal Tribunale di Parigi, mentre è stata prosciolta per la «frode». In sostanza, secondo quanto ha scritto la giudice Sylvie Daunis, nonostante sapessero dei profili di rischio del farmaco, i dirigenti dei laboratori Servier «non hanno mai preso le misure necessarie e quindi hanno ingannato» i consumatori. Non vendevano il falso, ma omettevano di comunicare dati molto rilevanti ai loro clienti. Alla fine all’azienda è stata comminata un’ammenda da 2,7 milioni di euro. Il gruppo Servier durante il processo ha anche annunciato di aver riconosciuto l’indennizzo come vittime a 3.732 pazienti, per un totale di 164,4 milioni di euro.

Il caso ha avuto un’eco gigantesca che è finita per cambiare la legislazione in materia di trasparenza del settore farmaceutico in Francia. Se da un lato è stata archiviata l’accusa di «traffico d’influenze» ai danni di una senatrice dell’allora partito di Nicolas Sarkozy, l’UMP, per aver addolcito un rapporto parlamentare critico sul farmaco, dall’altro, però, l’Agenzia nazionale del farmaco (oggi ANSM) è stata multata con 303 mila euro «per aver gravemente fallito nella sua missione di organo di polizia sanitaria». Già nel 2011 l’allora ministro Xavier Bertrand ha introdotto una legge che regolamenta in modo più stringente le relazioni tra aziende farmaceutiche, medici e agenzie nazionali che si occupano di sanità. Grazie a quest’apertura i ricercatori di Euros for Docs hanno potuto realizzare il primo database sulla situazione francese da cui poi ha preso origine anche questo nuovo filone di ricerca allargato a tutta Europa.

Il Sunshine act americano e l’Italia

In realtà, non sono nemmeno i francesi ad aver cominciato l’operazione trasparenza nei confronti della lobby farmaceutica. Il primo atto dello scontro si è infatti consumato negli Stati Uniti, anche in questo caso a seguito di uno scandalo.

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Merck & Co., fatturato nel 2020 circa 48 miliardi di dollari, nel 1999 ha ottenuto dalla Food and drug administration (FDA), l’agenzia del farmaco americana, l’autorizzazione per commercializzare il Vioxx, un antinfiammatorio a base di rofecoxib. Nonostante il gruppo di ricerca preposto dall’azienda per valutare l’impatto del farmaco fin dal primo anno di commercializzazione avesse notato un’incidenza sospetta di problemi cardiaci rispetto ad altri farmaci concorrenti, il prodotto è rimasto sul mercato fino al settembre 2004.

L’impatto economico è stato immediato: in un articolo del 2008 Repubblica scrive che il medicinale era stato «capace di fruttare circa 2,5 miliardi di dollari di entrate all’anno, per un totale di 12,5 miliardi» alla Merck. Secondo uno studio della rivista Lancet, negli Stati Uniti 88 mila pazienti hanno avuto un infarto provocato dall’assunzione di Vioxx e 38 mila tra loro sono morti. In seguito è emerso come medici membri del comitato di valutazione del farmaco fossero degli azionisti di Merck. Il 22 febbraio 2006 il New England Journal of Medicine ha messo in discussione i risultati dello studio del comitato scientifico che stava valutando il Vioxx, dopo averli pubblicati anni prima.

Illuminiamo la salute

Dal 2012 in Italia esiste Illuminiamo la salute, una rete composta da Libera, Gruppo Abele, Avviso Pubblico e Coripe Piemonte il cui scopo è monitorare corruzione e infiltrazioni mafiose nella sanità pubblica, oltre che pretendere maggiore trasparenza nella relazione tra pubblico e privato. Del gruppo fa parte anche la professoressa dell’Università di Torino Nerina Dirindin, la quale ha pubblicato insieme alla medica Chiara Rivoiro e al direttore della casa editrice Pensiero Scientifico Editore Luca De Fiore il libro Conflitti d’interesse e salute nel 2018 con Il Mulino. Il volume affronta – per la prima volta in Italia – le strategie delle compagnie farmaceutiche per condizionare professionisti e cittadini nelle scelte che adottano a tutela della propria salute.

Lo scandalo ha infatti inevitabilmente preso nel vortice anche i giornali specializzati: diversi studi sul Vioxx a cui è stato dato spazio, infatti, erano firmati da consulenti pagati da Merck o addirittura erano pubblicati senza che fosse specificato un sostegno dell’azienda alla loro produzione.

Negli anni a seguire negli Stati Uniti c’è stato un dibattito importante sull’affidabilità degli studi promossi dalle stesse aziende farmaceutiche attraverso la consulenza di esperti esterni, ma ugualmente a libro paga. In un articolo pubblicato dal British Medical Journal nel 2007 che analizzava le conseguenze dello scandalo Vioxx si legge che «università, industria farmaceutica, riviste di medicina e agenzie governative devono unirsi per definire una serie di principi in base ai quali possiamo ripristinare la fiducia nelle collaborazioni su nuovi trattamenti che possono migliorare l’assistenza ai pazienti. Potremmo prendere in considerazione l’adozione di alcuni nuovi approcci. Gli accademici impegnati in studi progettati e sponsorizzati dall’industria dovrebbero insistere affinché i dati siano archiviati su un sito accademico, analizzati da investigatori non aziendali e infine resi accessibili al pubblico per l’esame».

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Il caso giudiziario del Vioxx si è concluso nel 2011 con la condanna al pagamento di 950 milioni di dollari di arbitrato al Dipartimento di giustizia americano. Non sono state evidenziate responsabilità individuali. Il dibattito sul conflitto di interesse tra aziende farmaceutiche e operatori sanitari ha prodotto una legge, nota come Sunshine Act, entrata in vigore nel 2014. Ha l’effetto di rendere obbligatorio il tracciamento di ogni regalo e sponsorizzazione fatta da aziende farmaceutiche al di sopra dei 100 dollari l’anno. Non è però riuscita a rivedere il modo in cui le riviste specializzate sponsorizzano certi studi, che hanno inevitabilmente un impatto sulle opinioni dei medici.

Per quanto ancora migliorabile, le legge è comunque uno standard mondiale, tanto che in Italia l’onorevole Massimo Enrico Baroni del Movimento Cinque Stelle nel 2018 ha proposto una legge che si richiama a quella statunitense. Un anno dopo è stata approvata alla Camera ma ancora non è stata calenderizzata in Senato. Il disegno di legge è «in stato di relazione» dal 7 aprile 2021 dopo essere stato approvato all’unanimità dalla Commissione permanente Igiene e sanità del Senato. Per la promulgazione dovrà passare nuovamente dal voto alla Camera.

Il testo nell’ultima fase ha infatti subito alcuni emendamenti che hanno avuto come effetto principale il ritocco al rialzo dei limiti minimi delle transazioni da segnalare: la convenzione/erogazione minima da segnalare per un individuo è del valore unitario di 100 euro o un valore annuo maggiore di mille euro; per un’organizzazione sanitaria valore unitario minimo di mille euro e annuo di 2.500 euro.

Il Comitato No Grazie, gruppo affiliato all’organizzazione australiana Healthy Skepticism che si prefigge di contrastare conflitti di interessi e pubblicità ingannevoli in ambito sanitario, ha criticato la revisione delle soglie considerate, al momento, troppo basse per essere efficaci. Dal lato delle aziende produttrici, Confindustria Dispositivi medici ha costituito una piattaforma di consulenza legale per i suoi iscritti in modo da aiutarli a stabilire se sono in linea con le nuove regole in fase di approvazione oppure no. Che qualcosa cambi è certo, anche se è ancora difficile immaginarsi con quale impatto.

CREDITI

Autori

Lorenzo Bagnoli

Infografiche

Lorenzo Bodrero

Editing

Luca Rinaldi