(Dis)onora i tuoi debiti
07 Ottobre 2022 | di Alice Facchini
«La Bibbia dice che bisogna tenere fede alla parola data e onorare i propri debiti, ma tutto dipende da come vengono letti questi precetti. Nel mio modo di vedere, se una donna viene portata in Europa dietro a false promesse e si ritrova in strada obbligata a prostituirsi, il debito che ha nei confronti della madame non è valido, perché a monte non c’era un accordo chiaro e consensuale». Princess Inyang Okokon ha gli occhi pensierosi e la voce profonda. È una mediatrice culturale per l’associazione Piam Asti, che ha contribuito a fondare 22 anni fa per aiutare le donne vittime di tratta a uscire dallo sfruttamento. Ed è anche una pastora pentecostale nella sua chiesa, la Liberation foundation international ministry.
L’arrivo in Italia
Anche Princess Okokon è arrivata in Italia attraverso la rete della tratta, come tante delle ragazze che oggi supporta. Nel 1998, nel suo ristorante a Benin City, conosce una donna che le promette di aiutarla ad andare in Europa. Le dice che lì si può guadagnare molto aprendo un ristorante africano: Okokon si fida e decide di partire. Viaggia in aereo con documenti falsi e atterra a Torino, dove viene venduta a un’altra madame. È solo in quel momento che scopre di avere un debito di 45 mila euro da saldare.
Così viene obbligata a prostituirsi. «La madame mi picchiava, una volta mi ha anche mandata all’ospedale aprendomi la testa con il tacco di una scarpa», racconta. Dopo sei mesi, non ce la fa più. «Qualche anno prima, un pastore mi aveva detto che sarei andata in Europa a liberare le anime che erano schiave. In quel periodo pregavo e chiedevo allo spirito santo: ma non sono qui per diventare profeta? O sono arrivata solo per vendere il mio corpo?».
Breve storia delle migrazioni, tra aerei e barconi
di Lorenzo Bagnoli
Quando Princess Okokon è entrata in Italia via aereo, l’immigrazione irregolare era diversa da quella di oggi. L’anno in cui è arrivata, il 1998, è entrato in vigore il testo Unico sull’Immigrazione, noto come legge Turco-Napolitano. È stato il primo tentativo – fallimentare – di costruire un flusso regolare d’ingresso e disincentivare l’attraversamento delle frontiere senza documenti. In quegli anni erano tanti i migranti che entravano in Italia con un visto turistico e restavano anche dopo la sua scadenza, diventando overstayer. È accaduto anche che il documento fosse concesso a suon di mazzette: a Torino, nel 1996, la procura aveva aperto un’inchiesta per concessione di visti facili, anche a organizzazioni dedite alla tratta delle donne. Erano gli anni in cui la migrazione dall’Africa cominciava a prendere delle dimensioni più importanti.
È in questo contesto che il governo di Silvio Berlusconi, nel 2002, ha introdotto la legge Bossi-Fini. Come spiega ad Altreconomia l’avvocato Livio Neri, socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), con la Bossi-Fini il governo ha cominciato a trattare l’immigrazione come un problema di ordine pubblico, da risolvere con un approccio repressivo. È stata la legge che ha introdotto la dipendenza tra permesso di soggiorno e lavoro: per restare in Italia si deve avere un permesso di soggiorno, che però è molto difficile da ottenere senza un lavoro. Questo circolo vizioso è ancora oggi un serbatoio di irregolarità.
A dicembre 1996, davanti alle coste di Portopalo, in Sicilia, il mare inghiottì 283 migranti provenienti da Pakistan, India e Bangladesh. È una delle date spartiacque nella storia delle migrazioni. Nonostante già si registrassero in quegli anni tragedie del genere lungo la rotta del Mediterraneo Centrale, la maggioranza dei migranti irregolari nei primi anni Duemila erano overstayer. «Secondo i dati forniti dal ministero dell’Interno – scriveva Italia Oggi nel 2004 – il 75% degli irregolari attualmente presenti nel Paese è arrivato con il permesso di soggiorno e alla sua scadenza non è più rientrato nella terra d’origine». La considerazione seguente, che circola ancora oggi, riguarda il numero di identificazioni e di respingimenti degli irregolari troppo bassa, intorno al 30%. Questo elemento è rimasto costante nei dati del Ministero dell’Interno anche quando, a partire dalla cosiddetta “Emergenza Nord Africa” del 2011, gli sbarchi sono diventati maggioranza, fino a superare le 180 mila unità nel 2016. La frontiera marittima, di conseguenza, è diventata la più calda sul fronte della migrazione irregolare.
Nel rapporto della Fondazione Migrantes del 2020, però, si legge un ricorso storico: l’81,9% dei respingimenti del 2019 è stato effettuato agli aeroporti. «Si è dunque invertito, nel corso del 2019, il trend che aveva caratterizzato gli anni scorsi, che avevano registrato prevalenti e copiosi arrivi via mare», si legge nel rapporto. Si vedrà dopo il Covid come cambierà il trend.
Nel 1999 conosce Alberto Mossino, oggi suo marito, e grazie al suo aiuto scappa dalla madame e la denuncia. Durante il processo, testimonia di fronte a lei e la fa condannare a quattro anni di carcere. Poi fonda l’associazione Piam Asti: «Abbiamo iniziato con l’unità di strada, aiutavamo le donne che avevano problemi di salute e che avevano bisogno di un accompagnamento in ospedale, oppure le supportavamo nella ricerca di un lavoro», racconta. «Nel tempo abbiamo attivato un progetto sociale che offre ospitalità in case protette: lì abbiamo dato vita a una scuola di italiano, oltre a vari corsi specializzanti come quelli di aiuto cuoca, barista, pizzaiola, addetta alle pulizie, badante. Lavoriamo molto sull’autonomia».
L’«esempio vivente» che si può evitare di estinguere il debito
Per il suo impegno, Princess Okokon ha ricevuto nel 2022 la nomination all’Ypres Peace Prize, premio internazionale dedicato alla pace, conferito ogni tre anni dalla città di Ypres, in Belgio. «Per aiutare le donne che vogliono uscire dallo sfruttamento, un aspetto fondamentale che si tende a sottovalutare è quello spirituale – spiega -. Queste ragazze, spesso molto giovani, hanno fatto un rituale voodoo o juju per sancire il proprio patto con la madame: questo le lega indissolubilmente fino a che non avranno ripagato il proprio debito».
Questi rituali hanno origine nei culti africani animisti: una sorta di stregone utilizza capelli, unghie o peli pubici della ragazza per legarla alla sua madame, fino alla restituzione della somma anticipata. Se i soldi non dovessero essere resi, malattie e sfortune colpiranno la donna e i suoi familiari. «Queste ragazze sono terrorizzate – dice Princess -. Ecco perché nella mia chiesa io organizzo le deliverance, rituali per rompere i giuramenti fatti attraverso il voodoo e il juju. In questo modo queste persone riacquisiscono la propria libertà».
Per approfondire
Il silenzio delle chiese pentecostali sulla tratta delle donne nigeriane
Princess non ha paura di schierarsi contro la tratta di esseri umani e contro chi è nella rete, e lo fa anche all’interno della sua chiesa: «Certo non posso essere io a decidere chi entra e chi no, cacciando le madame o chi fa parte dei gruppi criminali – afferma -. Quello che posso fare però è esortare la mia comunità a comportarsi come bravi cristiani. Durante l’omelia, dico esplicitamente di non compiere attività illecite: le madame si innervosiscono e se ne vanno, ma a me non interessa. Sono stata anche in altre chiese a portare la mia testimonianza: io sono l’esempio vivente che si può sopravvivere anche senza aver pagato il proprio debito, e per le ragazze ascoltare queste storie è importante».
Pastori e cult
Ci sono invece altri pastori pentecostali che hanno interesse a ospitare le madame, tra le altre cose anche per le offerte che portano alla chiesa. In particolare c’è la decima, un’offerta che equivale a un decimo del proprio guadagno. «La decima di una madame vale molto di più della decima di una ragazza sfruttata, visto che i suoi guadagni sono maggiori – spiega Princess -. Ci sono pastori che non hanno un altro lavoro e che vivono della propria attività religiosa: io invece faccio anche un altro mestiere e non sono interessata a quel tipo di offerte. Ma ce ne sono anche molti altri che si attivano per aiutare le ragazze a uscire dalla rete, e che le indirizzano alla mia associazione».
In alcuni casi, c’è stato chi ha provato a fare donazioni alla sua chiesa o all’associazione per comprare il suo silenzio: «Un giorno delle persone mi hanno chiamato, dicevano che volevano avviare una collaborazione e darci un finanziamento, avevano molta fretta – racconta -. Abbiamo indagato e ci siamo resi conto che si trattava di membri dei cult, le confraternite nigeriane che agiscono con metodi mafiosi. Abbiamo subito declinato l’offerta: successivamente c’è stata una retata, hanno arrestato 69 nigeriani del cult De Norsemen Kclub».
Per quanto l’Italia riconosca i metodi di certi cult come mafiosi, in Nigeria, Gran Bretagna e Stati Uniti il Kclub è legittimamente registrato e descritto come «organizzazione umanitaria» da alcuni media locali. Si legge sul sito dell’organizzazione che il nome rimanda ai Norreni, «”marinai” che regnarono nell’VIII-XI secolo nei Paesi scandinavi come Danimarca, Norvegia e Svezia» in una società che aveva come motto «servizio all’umanità», mutuato anche dal Kclub nigeriano. I Norreni, prosegue la descrizione del Kclub, si sono contraddistinti per «audacia e coraggio» nella «lotta per l’uguaglianza di tutti», che ispira gli aderenti al cult anche in Nigeria.
Nata come organizzazione giovanile negli anni Ottanta per promuovere la pace in un momento di forti tensioni interne al Paese, oggi il Kclub è considerato dai suoi sostenitori uno strumento per la gestione dei conflitti e dai suoi detrattori come un gruppo di gangster. Di certo si esprimono su temi di pubblico interesse e hanno spazio sui giornali locali, anche in vista delle elezioni in Nigeria del prossimo febbraio.
Andare contro organizzazioni del genere costa: per la sua attività, Princess subisce intimidazioni e minacce telefoniche da parte di chi non vede di buon occhio il suo impegno. Ma lei va avanti per la sua strada. «Non mi lascio spaventare – conclude – Ho fede in Dio, mi sento protetta: non ho paura perché ho in me il potere di Cristo».