Documenti interni dimostrano che la multinazionale, a differenza di quanto dichiarato pubblicamente, pensava di chiudere l’impianto fiorentino oltre un anno prima dell’annuncio. Ma lo ha sempre tenuto riservato
In Ue 3mila ricerche sviluppano tecnologie con scienziati legati all’esercito cinese
Giulio Rubino
Algoritmi in grado di identificare una persona da come batte i tasti su una tastiera, nuove tecnologie di riconoscimento facciale, sistemi di navigazione per droni o per la guida di veicoli sottomarini super-veloci: sono solo alcuni esempi fra le centinaia di studi condotti da università italiane in partnership con atenei cinesi, e che potrebbero avere importanti applicazioni militari. L’allarme è già stato lanciato dalle agenzie di intelligence di tutta Europa che, soprattutto da quando gli Stati Uniti hanno cominciato a limitare l’accesso degli scienziati cinesi nel loro Paese, hanno rilevato come sia fortemente aumentata la quantità di collaborazioni accademiche fra Cina e Europa, specialmente su settori ad alta tecnologia e ancora relativamente nuovi: veicoli a guida automatica (sia droni che altro), intelligenze artificiali, tecnologie aerospaziali.
Ma in che cosa consiste di preciso il rischio? Secondo molti analisti quello più grande è che queste tecnologie finiscano direttamente per essere applicate dalle forze armate cinesi. Ma è altrettanto preoccupante che alcune di queste possano andare a rinforzare i sistemi di sorveglianza di massa che la Cina mette in campo nei suoi territori, e che sono uno strumento chiave nelle più gravi violazioni dei diritti umani che sistematicamente avvengono in quel Paese, in particolare contro le minoranze etniche.
Sebbene la consapevolezza della situazione si stia diffondendo, fino ad oggi i controlli sulle collaborazioni accademiche in Europa sono stati minimi. Anzi, afflitte da una costante carenza di fondi e di investimenti, le università di tutta Europa sono state più che pronte ad offrire una sponda alle ambizioni del gigante asiatico e solo recentemente alcuni Paesi stanno iniziando a rivedere il loro approccio.
Il progetto di inchiesta #ChinaScienceInvestigation, collaborazione fra undici testate giornalistiche europee, guidata dalla testata olandese Follow The Money e da Correctiv, ha infatti raccolto e analizzato oltre 350 mila studi scientifici condotti in partnership tra università cinesi ed europee, dal 2000 ad oggi.
Se la condivisione internazionale di conoscenze e tecnologie è un principio fondamentale della scienza stessa, riconosciuto dall’Unione europea che definisce il concetto di “open science” una priorità, una parte minoritaria ma importante dei 350 mila studi analizzati – quasi tremila – sono stati portati avanti assieme a scienziati e istituzioni direttamente legate alle forze armate cinesi, l’Esercito popolare di liberazione. Per la precisione sono stati individuati 2994 studi di questo tipo, ma la cifra reale è probabilmente più alta, dato che non è stato possibile determinare con certezza se alcune delle istituzioni cinesi in analisi siano o meno legate alle forze armate.
Ambizioni di potere
La tabella di marcia era stata delineata con precisione già sei anni fa. Al congresso dell’Associazione Cinese per la Scienza e la Tecnologia a Pechino, a maggio 2016, Xi Jinping prometteva che la Repubblica popolare cinese (Rpc) sarebbe diventata entro il 2020 uno dei Paesi più innovativi del mondo in ricerca e sviluppo entro il 2030, ed arrivare al centesimo anniversario della fondazione della Rpc, nel 2049, a essere riconosciuta come una potenza scientifica globale.
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Per decenni considerata poco più di un enorme serbatoio di manodopera a basso costo per produrre prodotti pensati in Occidente, oggi non c’è dubbio che le aspirazioni di Xi non solo appaiono realistiche, sono anche in gran parte già realizzate.
La strategia con cui la Cina sta perseguendo questo obiettivo si basa su tutta una serie di politiche, interne ed esterne. Internamente, e fin dall’inizio degli anni 2000, una serie di politiche industriali e fiscali hanno dato un forte impulso all’innovazione scientifica. Scrive Lorenzo Mariani, ricercatore dell’Istituto Affari Internazionali (Iai), nel suo report L’Iniziativa Belt and Road e l’internazionalizzazione della potenza cinese in campo scientifico: il caso dell’Italia: «Nel 2019 la Cina è stato il primo Paese per numero di richieste di brevetti internazionali, con oltre 58.000 domande […] Il numero dei brevetti presentati alle autorità nazionali non è da meno: nel 2020 sono state registrate all’incirca 3,6 milioni di istanze di concessione. Recentemente il Paese ha superato gli Usa nel numero di articoli di ricerca prodotti, con il 19,9 per cento degli studi sottoposti a referaggio e pubblicati nelle riviste scientifiche a livello globale».
Lo stesso Mariani nota come, per quanto sul piano dei numeri sia già vicina all’obiettivo dichiarato da Xi nel 2016, il peso di questa immensa produzione è ancora relativamente basso, almeno a confronto delle ambizioni del colosso asiatico. Infatti: «L’impatto scientifico delle ricerche cinesi – scrive sempre Mariani – è ancora relativamente modesto, con uno standard di qualità inferiore a quello delle principali economie sviluppate.[…] Mentre negli Stati Uniti i brevetti universitari hanno tassi di commercializzazione tra il 40 e il 50%, quelli cinesi hanno un tasso di industrializzazione del solo 18,3%».
In questo quadro appare chiaro come il governo cinese ritenga fondamentali, tanto da investirvi significative risorse, le collaborazioni accademiche tra le università cinesi e quelle europee.
Dei circa tremila identificati, la maggior parte (2.210) sono stati fatti in collaborazione con la National University of Defense Technology, la principale università militare del Paese. Affiliata direttamente alla Commissione militare centrale, una delle più importanti istituzioni di tutta la Cina, la NUDT è una delle università più all’avanguardia, specialmente nei campi delle scienze informatiche, ottiche, delle comunicazioni e aerospaziali. Oltre alla NUDT, ai primi posti per numero di collaborazioni ci sono la Information Engineering University, che è direttamente dipendente dalle forze armate, e la China Academy of Engineering Physics, indirettamente anch’essa sotto il controllo della Commissione Militare Centrale, e famosa per le ricerche nel campo degli armamenti convenzionali, nucleari e laser.
Europa ventre molle
I primi 10 Paesi Ue per numero di collaborazioni in corso con istituti cinesi. L’inchiesta #ChinaScienceInvestigation ne ha rintracciati 2.994, di cui quasi la metà nel Regno Unito
Dal lato europeo, la maggior parte delle collaborazioni ha avuto luogo con università del Regno Unito, seguita da Olanda, Germania e Svezia. L’Italia, almeno secondo le ricerche fatte da questo consorzio, è al settimo posto nelle collaborazioni con istituzioni militari, con appena 123 studi. Eppure il nostro Paese è stato fra i primi ad aprire le porte agli scambi accademici con la Cina. Il primo accordo intergovernativo di cooperazione scientifica con la Cina è infatti del 1978, e secondo i dati del Miur, ci sono state 939 collaborazioni universitarie bilaterali fra i due Paesi solo fra il 2007 e oggi.
I timori delle intelligence europee
L’ampiezza delle collaborazioni fra università europee e cinesi è un argomento che negli ultimi anni ha destato grande preoccupazione nelle agenzie di intelligence di tutta Europa. Fra i primi a sottolineare il problema ci sono stati gli olandesi. Nel 2010 AIVD (Algemene Inlichtingen- en Veiligheidsdienst, i servizi segreti dei Paesi Bassi) ha lanciato pubblicamente l’allarme rispetto all’interesse cinese per le tecnologie europee, dichiarando che aveva già allertato aziende e università del rischio.
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I servizi belgi, similmente, hanno nel 2020 fatto esplicitamente fatto riferimento alla NUDT, segnalando come da quando gli Stati Uniti hanno irrigidito le regole d’accesso per studenti e università cinesi alle loro tecnologie, queste abbiano girato il loro interesse all’Europa. Nel febbraio di quest’anno, sia i servizi danesi sia quelli italiani hanno puntato il dito contro la Cina. La relazione annuale del Copasir infatti sottolinea come la presenza di scienziati e studenti cinesi nei nostri atenei sia in costante aumento, tanto tramite collaborazioni fra università, quanto tramite accordi quadro fra università e aziende private cinesi, specie quando tali aziende non possono essere considerate indipendenti rispetto al governo di Xi Jinping.
La questione, naturalmente, è molto politica: secondo il Copasir, «l’alleanza operativa inedita tra Cina, Russia e Iran» è uno degli elementi che porta a considerare la Cina come un «avversario strategico» del nostro Paese e l’atteggiamento sempre più assertivo di Pechino sul piano internazionale preoccupa il blocco atlantico, che vede una minaccia nelle ambizioni globali di Xi Jinping.
Al di là delle preoccupazioni di ordine geopolitico, però, c’è da considerare l’opportunità di sviluppare tecnologie assieme a un Paese che, specialmente dall’ascesa del presidente Xi, continua ad essere colpevole di innumerevoli violazioni di diritti umani. La repressione delle minoranze etniche, la persecuzione di attivisti e giornalisti indipendenti, lo sviluppo sempre più pervasivo di sistemi di controllo e repressione basati su tecnologie avanzate, come il sistema di credito sociale messo in piedi in alcune città, sono tutti elementi che lo scambio indiscriminato di tecnologia può aggravare notevolmente.
Cos’è e cosa fa il Copasir
Il CO.PA.SI.R. è il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, sostanzialmente l’organismo di vigilanza del Parlamento sui servizi segreti. La legge che regola il funzionamento del Copasir è la 124 del 30 agosto 2007, in particolare tra gli articoli 30 e 38. Il CO.PA.SI.R. è composto da 5 deputati e 5 senatori, ripartiti in maniera tale da garantire comunque la rappresentanza paritaria della maggioranza e delle opposizioni e nominati entro venti giorni dall’inizio di ogni legislatura dai Presidenti dei due rami del Parlamento.
Obbligo del segreto
I componenti del Comitato, i funzionari e il personale di qualsiasi ordine e grado addetti al Comitato stesso e tutte le persone che collaborano con il Comitato oppure che vengono a conoscenza, per ragioni d’ufficio o di servizio, dell’attività del Comitato sono tenuti al segreto relativamente alle informazioni acquisite, anche dopo la cessazione dell’incarico.
Organizzazione interna
Le attività e il funzionamento del Comitato sono disciplinati da un regolamento interno approvato dal Comitato stesso a maggioranza assoluta dei propri componenti. Ciascun componente può proporre la modifica delle disposizioni regolamentari.
Le sedute e tutti gli atti del Comitato sono segreti, salva diversa deliberazione del Comitato.
Le spese per il funzionamento del Comitato, determinate in modo congruo rispetto alle nuove funzioni assegnate, sono poste per metà a carico del bilancio interno del Senato della Repubblica e per metà a carico del bilancio interno della Camera dei deputati. Il Comitato può avvalersi delle collaborazioni esterne ritenute necessarie, previa comunicazione ai Presidenti delle Camere, nei limiti delle risorse finanziarie assegnate. Il Comitato non può avvalersi a nessun titolo della collaborazione di appartenenti o ex appartenenti al Sistema di informazione per la sicurezza, né di soggetti che collaborino o abbiano collaborato con organismi informativi di Stati esteri.
Il Comitato
Il Comitato è presieduto da un esponente dell’opposizione.
É eletto dai componenti del Comitato a scrutinio segreto. Il presidente è eletto tra i componenti appartenenti ai gruppi di opposizione e per la sua elezione è necessaria la maggioranza assoluta dei componenti. Se nessuno riporta tale maggioranza, si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto il maggiore numero di voti. In caso di parità di voti è proclamato eletto o entra in ballottaggio il più anziano di età.
É preventivamente informato dal Presidente del consiglio dei Ministri circa le nomine del direttore generale e dei vice direttori generali del DIS (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza) e dei direttori e dei vice direttori dei servizi di informazione per la sicurezza.
Anche su richiesta di uno dei suoi componenti, denuncia all’autorità giudiziaria i casi di violazione del segreto. Qualora risulti evidente che la violazione possa essere attribuita ad un componente del Comitato, il presidente di quest’ultimo ne informa i Presidenti delle Camere.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri, su richiesta del presidente del COPASIR, espone, in una seduta segreta appositamente convocata, il quadro informativo idoneo a consentire l’esame nel merito della conferma dell’opposizione del segreto di Stato.
L’ufficio di presidenza, composto dal presidente, da un vicepresidente e da un segretario, è eletto dai componenti del Comitato a scrutinio segreto. Il presidente è eletto tra i componenti appartenenti ai gruppi di opposizione e per la sua elezione è necessaria la maggioranza assoluta dei componenti.
Le funzioni
Controllo
Il Comitato verifica, in modo sistematico e continuativo, che l’attività del Sistema di informazione per la sicurezza si svolga nel rispetto della Costituzione, delle leggi, nell’esclusivo interesse e per la difesa della Repubblica e delle sue istituzioni.
È compito del Comitato accertare il rispetto di quanto stabilito dall’articolo 8, comma 1 (cioè che le funzioni attribuite al DIS, all’AISE [Agenzia informazioni e sicurezza esterna] e all’AISI [Agenzia informazioni e sicurezza interna] non possono essere svolte da nessun altro ente, organismo o ufficio), nonché verificare che le attività di informazione previste dalla legge 124 del 2007, svolte da organismi pubblici non appartenenti al Sistema di informazione per la sicurezza rispondano ai principi della presente legge.
Procede al periodico svolgimento di audizioni del Presidente del Consiglio dei ministri e dell’Autorità delegata, ove istituita, dei Ministri facenti parte del CISR, del direttore generale del DIS e dei direttori dell’AISE e dell’AISI.
Ha altresì la facoltà, in casi eccezionali, di disporre con delibera motivata l’audizione di dipendenti del Sistema di informazione per la sicurezza. La delibera è comunicata al Presidente del Consiglio dei ministri che, sotto la propria responsabilità, può opporsi per giustificati motivi allo svolgimento dell’audizione.
Il Comitato può ascoltare ogni altra persona non appartenente al Sistema di informazione per la sicurezza in grado di fornire elementi di informazione o di valutazione ritenuti utili ai fini dell’esercizio del controllo parlamentare
Può ottenere, anche in deroga al divieto stabilito dall’articolo 329 del codice di procedura penale, copie di atti e documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l’autorità giudiziaria o altri organi inquirenti, nonché copie di atti e documenti relativi a indagini e inchieste parlamentari. L’autorità giudiziaria può trasmettere copie di atti e documenti anche di propria iniziativa.
Può ottenere, da parte di appartenenti al Sistema di informazione per la sicurezza, nonché degli organi e degli uffici della pubblica amministrazione, informazioni di interesse, nonché copie di atti e documenti da essi custoditi, prodotti o comunque acquisiti.
Qualora la comunicazione di un’informazione o la trasmissione di copia di un documento possano pregiudicare la sicurezza della Repubblica, i rapporti con Stati esteri, lo svolgimento di operazioni in corso o l’incolumità di fonti informative, collaboratori o appartenenti ai servizi di informazione per la sicurezza, il destinatario della richiesta oppone l’esigenza di riservatezza al Comitato.
Al Comitato non può essere opposto il segreto d’ufficio, né il segreto bancario o professionale, fatta eccezione per il segreto tra difensore e parte processuale nell’ambito del mandato. Il Comitato può esercitare il controllo diretto della documentazione di spesa relativa alle operazioni concluse, effettuando, a tale scopo, l’accesso presso l’archivio centrale del DIS. Il Comitato può effettuare accessi e sopralluoghi negli uffici di pertinenza del Sistema di informazione per la sicurezza, dandone preventiva comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri.
Consultive
Esprime il proprio parere sugli schemi dei regolamenti previsti dalla legge, nonché su ogni altro schema di decreto o regolamento concernente l’organizzazione e lo stato del contingente speciale del personale. Il Comitato esprime, altresì, il proprio parere sulle delibere assunte dal Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica sulla ripartizione delle risorse finanziarie tra il DIS e i servizi di informazione per la sicurezza e sui relativi bilanci preventivi e consuntivi, nonché sul piano annuale delle attività dell’ufficio ispettivo.
Relazioni
Presenta una relazione annuale al Parlamento per riferire sull’attività svolta e per formulare proposte o segnalazioni su questioni di propria competenza.
Può trasmettere al Parlamento nel corso dell’anno informative o relazioni urgenti.
Entro il mese di febbraio di ogni anno il Governo trasmette al Parlamento una relazione scritta, riferita all’anno precedente, sulla politica dell’informazione per la sicurezza e sui risultati ottenuti. Alla relazione è allegato il documento di sicurezza nazionale, concernente le attività relative alla protezione delle infrastrutture critiche materiali e immateriali nonché alla protezione cibernetica e alla sicurezza informatica.
Un esempio su tutti, riportato da Mariani nel suo report è quello della tecnologia comprata dall’Italia dalle multinazionali cinesi Hikvision e Dahua. Tra il 2017 e il 2019 infatti sono state acquistate e installate telecamere di sorveglianza prodotte da queste aziende negli uffici di 134 procure, negli aeroporti di Roma e Milano, e anche negli uffici della Rai. Sempre da Dahua, all’inizio della pandemia, sono stati acquistati 19 termoscanner con tecnologia di riconoscimento facciale per monitorare Palazzo Chigi. Le tecnologie fornite da queste aziende sono però apparentemente usate anche in strutture di sorveglianza in Xinjiang, la provincia cinese dove la minoranza uigura è oppressa dal regime cinese. Se non bastassero le violazioni dei diritti umani, è stato successivamente provato che le telecamere fornite erano dotate di memorie secondarie, in grado di connettersi con server cinesi e trasmettere informazioni, «specifiche tecnologiche, queste, che non erano incluse nelle informazioni fornite ai clienti», riporta Mariani.
Ricerche oceanografiche
Molti degli studi analizzati e condotti in partnership con istituzioni militari cinesi hanno a che vedere con droni sottomarini, sensori sottomarini o ricerche su intelligenze artificiali a questi applicabili.
Naturalmente non si può tracciare un legame diretto fra questi studi e l’espansione cinese nel Mar Cinese Meridionale, ma è ragionevole vedervi un forte legame. A maggio 2017 la rivista specializzata in questioni militari Jane’s Defence Weekly, di proprietà dell’azienda di OSINT Janes Information Services, ha rivelato che l’azienda pubblica cinese China State Shipbuilding Corporation aveva pubblicato i dettagli di una “grande muraglia sottomarina”, un progetto commissionato dalle forze armate.
Il trend delle collaborazioni militari
Lo storico del numero di collaborazioni dell’esercito cinese con Paesi Ue
Almeno due degli studi analizzati sembrano avere direttamente a che fare con l’implementazione di questo progetto. Uno è stato condotta dalla NUDT assieme all’università di Eindhoven, in Olanda, e si tratta di una ricerca su sistemi di localizzazione di oggetti sott’acqua (i sistemi esistenti di GPS non funzionano sott’acqua). L’altro invece, fatto assieme al Politecnico di Milano, sembra avere implicazioni ancora più strettamente militari.
Si tratta di uno studio teso a migliorare i sistemi di navigazione per oggetti (probabilmente droni o siluri) sottomarini che usano la tecnologia della supercavitazione: generando uno strato di vapore o gas intorno all’oggetto si riduce l’attrito dell’acqua, permettendo all’oggetto di raggiungere velocità fino a 720 chilometri orari. La Russia ha già in uso dei siluri di questo tipo, gli Shkval VA-111. Anche in questi due esempi, come nella stragrande maggioranza di quelli analizzati, i finanziamenti sono arrivati dalla Cina.
La Cina è un’alternativa alla cronica carenza di fondi
Naturalmente, il problema di fondo che apre ogni porta alle collaborazioni con la Cina, è la costante mancanza di fondi per ricerca e sviluppo nelle università europee. Studenti e dottorandi cinesi portano con sé infatti considerevoli fondi dal loro Paese, un asset a cui è difficile che le nostre università rinuncino. L’aveva già denunciato sulle pagine del Corriere della Sera nel 2019 Antonio Tripodi, membro del senato accademico dell’università Ca’ Foscari di Venezia, che ha accusato il suo ateneo di autocensura su temi a cui Pechino è sensibile (come l’autonomia di Taiwan e del Tibet, aree sulle quali Pechino ha un forte interesse) per evitare di perdere le risorse che l’Italia non garantisce.
La situazione è la stessa in tutta Europa. La maggior parte dei paesi dell’Unione infatti ha continuato a tagliare i finanziamenti per università e ricerca per anni, mentre al contrario la Cina ha promesso un aumento costante del 7% all’anno per il periodo 2021-2025, con un aumento fino al 10% per settori particolarmente importanti.
Fra questa endemica debolezza e gli allarmi degli analisti è fin troppo semplice passare direttamente dall’ignorare la questione del tutto allo scivolare in una diffidente paranoia. «È una sfida cruciale per la nostra epoca – commenta Lorenzo Mariani -. È difficile capire cosa debba prevalere tra i valori su cui si fonda la cooperazione scientifica e le questioni di sicurezza che essa stessa genera. Si tratta piuttosto di una scelta politica: come devono comportarsi le democrazie al giorno d’oggi dove ci sono competitor diretti pronti a sfruttare a proprio vantaggio i benefici offerti dai valori democratici?».
CREDITI
Autori
Giulio Rubino
Editing
Lorenzo Bagnoli
In partnership con
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Correctiv, Deutsche Welle, Deutschlandfunk e Süddeutsche Zeitung (Germania)
El Confidencial (Spain)
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Lorenzo Bodrero