La Commissione europea stipula contratti con le grandi società di consulenza a cui appalta il suo supporto agli Stati membri. Il conflitto d’interesse è dietro l’angolo
La sanità italiana ha un problema con i conflitti d’interesse
Francesco Paolo Savatteri
Edoardo Anziano
Euros for Docs è un’associazione francese che si occupa di trasparenza nella sanità. Da qualche anno raccoglie a livello europeo dati sui pagamenti delle maggiori case farmaceutiche verso singoli medici, società private o organizzazioni pubbliche come le Università. IrpiMedia ha già raccontato come le principali aziende farmaceutiche abbiano effettuato donazioni, coperto spese di viaggio, pagato consulenze ed eventi a medici, presidi ospedalieri e centri di ricerca. Un vero e proprio sistema di pressione che ha distribuito oltre 333 milioni di euro solo nel 2019.
Una più approfondita analisi dei dati di Euros For Docs sull’Italia, in collaborazione con la testata Scomodo, fa emergere due nuovi elementi. Il primo è la presenza di numerosi pagamenti nei confronti di diversi membri del Consiglio superiore di sanità e dell’ex Comitato tecnico-scientifico, ormai sciolto a seguito della fine dell’emergenza Covid. Per quanto i pagamenti non siano illegali, la nostra inchiesta suggerisce una gestione opaca dei conflitti di interesse interni ai due organi.
A volte però, il confine della legalità è stato superato, almeno secondo i magistrati. Il secondo elemento infatti è la presenza, nel registro, dei nomi di alcune persone finite al centro di indagini per corruzione, per dazioni di denaro da parte delle aziende farmaceutiche a dirigenti ospedalieri e professori universitari.
Perchè un database come Euros For Docs
In tutti gli Stati membri dell’Unione europea, la pubblicazione delle spese delle aziende farmaceutiche avviene solo su base volontaria. Inoltre, non esiste un database unico che permetta di comparare questi dati.
Per colmare questo vuoto, il collettivo di ricercatori Euros for Docs, guidato da Luc Martinon, ha raccolto queste informazioni in dodici Paesi dell’Unione, fra cui l’Italia. Dal primo giugno 2021 i dati sono pubblici e accessibili a tutti. Euros For Docs è un’associazione francese di volontari che si occupa di trasparenza nel settore della sanità, con il supporto di donazioni individuali.
Il processo di costruzione del database, come viene spiegato sul sito dell’associazione, ha richiesto diversi passi. Degli undici Paesi selezionati, solo sette avevano un registro pubblico centralizzato. Per gli altri, inclusa l’Italia, i ricercatori hanno dovuto compilare una lista delle maggiori case farmaceutiche, raccogliere le tabelle in Pdf pubblicate da ciascuna, riportandole a uno standard unico (ciascuna azienda infatti usa una propria formattazione per indicare i pagamenti) per poi inserirle tutte in un unico database, sulla piattaforma open-source Metabase.
Per minimizzare la presenza di errori nel database, Euros For Docs ha preso 100 pagamenti a caso e ne ha controllato l’esattezza rispetto alla fonte originale. Anche i pagamenti di più alto valore e le cifre aggregate per le 20 aziende più grandi in ciascun Paese sono state controllate manualmente.

Il processo con cui Euros For Docs ha creato il database dei pagamenti da parte delle case farmaceutiche – Fonte: eurosfordocs.eu
Questioni di incompatibilità
Il Consiglio superiore di sanità (Css) è un «organo di consulenza tecnico scientifica del Ministero della salute». Porta avanti indagini e studi scientifici ed esprime pareri su diverse questioni di salute pubblica per consigliare il Ministero e suggerire provvedimenti adeguati. È composto da trenta membri di diritto – tra cui dirigenti del Ministero e di altre istituzioni sanitarie, come l’Agenzia italiana del farmaco – e trenta membri scelti dal Ministero con un mandato di tre anni. L’ultimo giro di nomine di questi ultimi risale a febbraio 2022, quando il ministro della Salute era Roberto Speranza. Dai dati di Euros For Docs emerge che almeno otto dei membri scelti dal Ministero hanno ricevuto pagamenti dalle case farmaceutiche fino a poco prima di essere eletti. Sei di queste otto persone hanno ricevuto pagamenti fino al 2019, cioè tre anni prima della formazione dell’ultimo Css. Tre di loro – Giuseppe Curigliano, Franco Locatelli e Marco Montorsi – però, facevano parte anche del Css precedente, nominato a febbraio 2019: ciò vuol dire che hanno ricevuto pagamenti a meno di un mese dalla nomina, nella migliore delle ipotesi, oppure addirittura mentre erano già membri del Css. Le cifre a cui ammontano i pagamenti variano molto da persona a persona. In alcuni casi sono cifre relativamente piccole: Anna Odone, attuale membro del Css, ad esempio ha ricevuto circa 2.500 euro tra il 2018 e il 2019, principalmente sotto forma di rimborsi spese di viaggi di lavoro. In altri casi, invece, le cifre si alzano vistosamente. Luca Richeldi, membro del Css e professore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, tra il 2017 e il 2019 ha ricevuto circa 134.000 euro da diverse società farmaceutiche tra cui Boehringer-ingelheim e Sanofi. La maggior parte dei pagamenti riguarda compensi per «servizi di consulenza». Il presidente del Css, Franco Locatelli, ha ricevuto 24.000 euro tra il 2016 e il 2019, anche lui principalmente per consulenze.Fornire servizi a pagamento ad aziende farmaceutiche è legale, lo ribadiamo. E tuttavia, pone seri dubbi sulla gestione di possibili conflitti d’interesse all’interno del Css. Secondo quanto ci è stato assicurato da un attuale membro del Css di cui tuteliamo l’anonimato, al momento della nomina chi entra a far parte del Consiglio deve comunicare al Ministero le proprie collaborazioni, presenti e passate, con enti pubblici o privati del settore, in modo che eventuali conflitti di interessi siano già chiari in partenza. Questi documenti però non vengono pubblicati online. Abbiamo mandato una richiesta FOIA al Ministero della salute per ottenerli, senza ricevere risposta. Non è poi chiaro se la comunicazione di un conflitto di interesse abbia mai portato all’esclusione di un membro del Consiglio.
Online, invece, sono disponibili le «dichiarazioni di assenza di conflitto di interesse» del Comitato tecnico-scientifico (Cts), un organo creato nel febbraio del 2020 per far fronte all’emergenza Covid e sciolto a fine marzo dell’anno scorso. Tra il Cts e il Css esistono anche delle sovrapposizioni. Alcuni membri attuali del Css, infatti, hanno anche fatto parte del Cts, come ad esempio Sergio Abrignani, e i già citati Locatelli e Richeldi. Incrociando i dati sui pagamenti e la documentazione disponibile online, ciò che emerge è una gestione poco trasparente dei conflitti d’interesse dentro al Cts. Nella sua dichiarazione di conflitto di interessi, risalente al 28 settembre 2020, Luca Richeldi indica che continua a fare attività di consulenza per alcune società farmaceutiche – tra cui appunto Boehringer-ingelheim, che nel 2017 ha effettuato 76.521,78 euro di pagamenti nei suoi confronti.
I conflitti di interesse vengono, almeno sulla carta, valutati per l’impatto che potrebbero potenzialmente avere sulle decisioni dei membri del Comitato. A questo serve la griglia di valutazione dei Conflitti d’interesse, che classifica la gravità dei possibili conflitti d’interesse con un numero da 1 a 3, dal meno grave al più grave.
Al primo livello è «ammesso il coinvolgimento senza restrizioni nelle attività del Cts», al secondo invece c’è la «possibilità di applicare restrizioni». Il terzo livello, invece, viene definito con una sola parola: «incompatibilità». Secondo questa tabella, fornire servizi di consulenza mentre si è membri del Cts corrisponde al livello 3, il conflitto massimo. Non si può essere allo stesso tempo consulenti di Big Pharma e consulenti del Ministero della salute, i due ruoli sono, semplicemente, incompatibili. Nonostante ciò, Richeldi ha continuato a far parte del Cts fino all’insediamento di Draghi, per poi essere chiamato da Speranza per entrare nel Css.
Richeldi non è l’unico. Lo stesso Locatelli, presidente del Css dal 2019 e anche coordinatore del Cts per qualche settimana nella primavera del 2021, secondo i dati di Euros For Docs ha ricevuto pagamenti per servizi di consulenza fino al 2019, da diverse aziende tra cui Sanofi, Novartis e Gilead. Nella sua dichiarazione di interessi al Cts del 23 settembre 2020 ha infatti indicato di aver lavorato come consulente per società farmaceutiche in un range di tempo «da 0 a 3 anni precedenti». Questo secondo la griglia di valutazione dei conflitti d’interesse del Comitato corrisponde al livello 2. In teoria, quindi, a Locatelli potevano essere imposte restrizioni sulla partecipazione alle attività dell’organo di cui era coordinatore.
In una dichiarazione di conflitto di interessi successiva, risalente ad aprile 2021, i conflitti d’interesse di Locatelli diventano ancora più evidenti. Infatti indica di fornire «attualmente» servizi di consulenza ad alcune società. Questo, come già visto con Richeldi, rappresenta il livello di conflitto massimo, l’incompatibilità. In più, l’attuale presidente del Css dichiara anche di essere titolare di un brevetto dal 2019 – cosa che, secondo la griglia, corrisponde anch’essa al più alto grado di conflitto. In aggiunta, vengono evidenziati altri potenziali conflitti minori, che nella tabella di valutazione corrispondono al livello 2, a proposito del suo ruolo di sperimentatore in alcuni progetti.
Esistono buone ragioni per credere che la griglia di valutazione utilizzata dal Css non sia troppo diversa da quella del Cts, nonostante il Consiglio superiore di sanità non abbia risposto alla nostra richiesta di accesso al documento. Innanzitutto perché le aree di competenza dei due organi sono molto vicine – entrambe si occupano di salute pubblica – tant’è vero che nel marzo 2021 l’ex ministro Speranza, in una conferenza stampa in cui viene annunciata la fine imminente del Cts e dello stato d’emergenza Covid, dice che «il Governo nel suo complesso potrà ancora contare su due strutture fondamentali che restano in piedi, il Consiglio superiore di sanità e l’Istituto superiore di sanità».
In più, da quanto ci è stato riferito da uno dei membri del Css, questi al momento della nomina devono comunicare «i rapporti di collaborazione, diretti o indiretti, con soggetti privati, in qualunque modo retribuiti avuti negli ultimi tre anni», cioè qualcosa di non molto diverso da ciò che deve essere indicato nelle dichiarazioni d’interesse del Cts. A tale comunicazione, riferisce il membro del Css, segue l’impegno «ad astenersi dal partecipare alle discussioni e alle deliberazioni in merito ad argomenti per i quali sussista una situazione di conflitto, anche potenziale, di interessi, di qualsiasi natura».
Abbiamo chiesto alla fonte anche se nell’esperienza di questa persona fosse mai capitato che lei stessa o un collega del Css si sia astenuto da una discussione per potenziali interessi. Ci è stato risposto che, almeno nella sua sezione di competenza, questo non si è mai verificato.
Il quadro che emerge è senza dubbio opaco. La mancanza di trasparenza impedisce di valutare con precisione se la legge venga applicata o meno. Non è chiaro infatti se alle dichiarazioni di effettivi conflitti d’interesse potenziali, anche gravi, seguano provvedimenti o astensioni particolari su determinati argomenti.
Se, da un lato, il Cts nel suo periodo di attività ha comunque reso pubbliche e accessibili alcune informazioni – sia le dichiarazioni d’interesse dei propri membri, sia tutti i verbali delle riunioni – il Css invece è molto meno trasparente. Ciò che è sicuro, dai dati di Euros For Docs, è che nel 2019 alcuni dei suoi membri hanno ricevuto pagamenti da case farmaceutiche – per servizi di consulenza o per rimborsi spese – fino a poche settimane prima di essere nominati, se non addirittura mentre erano in carica. E dalle dichiarazioni d’interesse del Cts viene confermato anche che alcuni membri attuali del Css hanno continuato a fornire consulenze per società farmaceutiche fino almeno al 2020 o al 2021. I dati e i documenti disponibili attualmente non permettono di sapere se questi pagamenti e servizi di consulenza siano continuati successivamente.
Con quali denari
Il secondo grande tema che emerge dal database di Euros For Docs riguarda una serie di arresti e procedimenti che si sono tenuti negli scorsi anni. Il 3 ottobre 2018 viene arrestato Franco Aversa, esperto di ematologia e professore ordinario dell’Università di Parma con più di 200 pubblicazioni all’attivo. Secondo le accuse, era al vertice di un’organizzazione di medici, manager e imprenditori che assicurava favori ad alcune case farmaceutiche – come ad esempio report negativi o positivi per un certo medicinale – in cambio di sponsorizzazioni di convegni o pagamenti veri e propri. L’inchiesta ha escluso la possibilità di rischi per la salute dei pazienti, ma i dialoghi che escono fuori dalle intercettazioni, riportati da varie testate, sono molto chiari.
«Ci sono delle aziende che hanno contribuito in maniera sostanziale e altre che non hanno nemmeno risposto, quindi è chiaro che devo fare la lista dei buoni e dei cattivi», avrebbe detto Aversa. «Lo dico francamente… questi nuovi prodotti che voi dovete lanciare, qui praticamente non entreranno mai!».
Lo stesso giorno, nella stessa operazione dei Nas, denominata Conquibus, viene arrestata anche Paola Gagliardini. È l’amministratrice delegata di Csc srl, una società di organizzazione congressi di Perugia. Per gli inquirenti era lei a occuparsi di mettere in piedi gli eventi sponsorizzati dalle case farmaceutiche grazie ai favori ottenuti da Aversa.
Questi nomi ritornano nel database di Euros For Docs. Secondo i dati, Aversa ha ricevuto quasi 19.000 euro tra il 2017 e il 2018. Sono soprattutto pagamenti per servizi di consulenza e provengono da aziende come Astellas, Gilead, Novartis e Janssen. Per la società di Gagliardini, invece, le cifre sono molto maggiori. Tra il 2016 e il 2019 (anche se nel 2019 ha ricevuto un solo pagamento), la Csc ha ricevuto quasi 320.000 euro. Le case farmaceutiche che hanno elargito più denaro sono Gilead, Novartis e Pfizer. La maggior parte dei pagamenti è registrata, prevedibilmente, come sponsorizzazioni di eventi.
A luglio dell’anno scorso Aversa ha patteggiato un risarcimento di 80.000 euro. I capi di imputazione erano corruzione, tentata corruzione, induzione indebita, truffa e falso. Secondo quanto riportato dalla stampa, anche Paola Gagliardini era vicina al raggiungimento di un accordo ma ci sono stati problemi nella definizione del risarcimento, quindi la sua posizione è stata stralciata. Dovrà quindi affrontare un processo separato.
Questi sono solo i due imputati principali, ma all’inizio dell’inchiesta in totale erano 33 le persone messe sotto accusa nell’operazione Conquibus, insieme a varie case farmaceutiche tra cui Celgene e Gilead, verso le quali, alla fine, è stato disposto il non luogo a procedere. Parte di questi nomi, tutti inizialmente coinvolti nell’inchiesta Conquibus, spuntano nei dati di Euros For Docs. Le cifre in questione variano molto: da chi ha ricevuto circa 38.000 euro tra il 2016 al 2019 per servizi di consulenza, a chi le case farmaceutiche hanno versato 2.500 più o meno nello stesso arco di tempo sotto forma di rimborsi per spese di viaggio. Delle 33 persone indagate inizialmente, 15 sono state rinviate a giudizio, 10 sono state assolte, quattro hanno patteggiato e due sono state condannate con rito abbreviato. In attesa del processo, i pagamenti erogati da parte delle case farmaceutiche sono da considerarsi del tutto legittimi.
In conclusione, la gestione dei potenziali conflitti d’interesse dentro al Css e al Cts, insieme ai procedimenti giudiziari degli scorsi mesi, mostrano la necessità di una maggiore trasparenza dei rapporti economici tra le grandi case farmaceutiche e organizzazioni, aziende e professionisti della sanità. Necessità che è stata anche riconosciuta dal precedente Parlamento, il quale ha approvato definitivamente a giugno del 2022 una legge «in materia di trasparenza dei rapporti tra le imprese produttrici, i soggetti che operano nel settore della salute e le organizzazioni sanitarie».
L’elemento cardine consiste nella creazione di un registro pubblico dei pagamenti erogati dalle case farmaceutiche, accessibile dal sito del Ministero della salute. I tempi di implementazione sono molto chiari: «entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge», recita il quinto articolo. Al momento, sono da poco passati sei mesi e sul sito del Ministero della salute il registro non è disponibile.
Nessuno dei membri del Css interpellati, né il Ministero della salute, hanno risposto alle nostre domande.
CREDITI
Autori
Francesco Paolo Savatteri
Edoardo Anziano
Editing
In partnership con
Foto di copertina
Il primo ministro Mario Draghi, il ministro della salute Roberto Speranza e il coordinatore del Comitato tecnico scientifico Franco Locatelli durante una conferenza stampa a gennaio 2022
(Alessandra Benedetti/Getty)