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Bonanno e Genovese, gli affari di cosa nostra americana
28 Ottobre 2022 | di Edoardo Anziano
Ametà agosto 2022 nove fra membri e associati di cosa nostra americana sono stati incriminati a New York per traffici illeciti finalizzati all’esercizio abusivo di gioco d’azzardo, riciclaggio di denaro sporco e intralcio alla giustizia. Gli indagati, secondo quanto riportato dall’ufficio del Procuratore del distretto Est di New York appartengono a due delle cinque storiche famiglie della mafia siciliana nella Grande Mela, i Genovese e i Bonanno. Dei primi fanno parte Carmelo “Carmine” Polito, col grado di “capitano”, il “soldato” Joseph Macario e gli associati Salvatore Rubino e Joseph Rutigliano. Ai Bonanno invece appartengono i fratelli “Little Anthony” e Vito Pipitone, l’uno “capitano” e l’altro “soldato”, insieme all’affiliato Agostino Gabriele.
Tra gli arrestati c’è anche un detective del Dipartimento di polizia della Contea di Nassau, Hector Rosario, accusato di aver accettato soldi dai Bonanno per organizzare perquisizioni contro altri concorrenti nel settore delle scommesse.
Gli arresti, ha dichiarato il Procuratore distrettuale Breon Peace, «dimostrano che la mafia continua a inquinare le nostre comunità col gioco d’azzardo illegale, estorsioni e violenze». Gli accusati avrebbero nascosto sale da gioco senza autorizzazione in un bar, diversi circoli di tifosi di calcio e perfino un calzolaio. «Le nostre inchieste dimostrano che la mafia rifiuta di imparare dalla storia», commenta nel comunicato stampa Michael J. Driscoll, vicedirettore responsabile dell’Fbi di New York.
In effetti, i dettagli di questa indagine sembrano riportarci agli anni Cinquanta e Sessanta: poliziotti corrotti, bische clandestine e anonime attività commerciali usate per riciclare denaro. Con la differenza che La Cosa Nostra (LCN) – secondo la denominazione data alla mafia siculo-americana dall’Fbi dopo le rivelazioni del primo pentito, Joe Valachi – non è più quella di un tempo. Ricambio generazionale, cambiamenti culturali e la crescente efficacia nell’attività di contrasto al crimine organizzato, hanno reso l’organizzazione – secondo lo studioso James Jacobs – «il fantasma di se stessa». Le famiglie sono sempre più deboli, il numero di membri e associati in calo costante. Così, quelle che un tempo erano fazioni rivali, cercano nuove alleanze.
Vecchie conoscenze
Come emerge dall’atto d’accusa, infatti, a partire almeno da maggio 2012, i Genovese e i Bonanno avrebbero organizzato insieme la gestione del gioco d’azzardo illegale usando come facciata la gelateria Gran Caffe, nella città di Lynbrook, a un’ora di macchina da Manhattan. Le collaborazioni fra famiglie di mafia negli Stati Uniti non sono rare, ma il momento di crisi potrebbe averle ulteriormente incoraggiate. «È difficile pensare alle famiglie di Cosa Nostra come delle monadi che restano inchiodate a territori come il Bronx, Manhattan, Queens e Brooklyn», spiega Antonio Nicaso, professore alla Queen’s University in Canada ed esperto di criminalità organizzata. «Non penso che abbiano più quel potere che avevano un tempo, quindi l’idea di collaborare, che comunque c’è sempre stata, potrebbe essersi fatta più pressante. Non esiste un’organizzazione che può fare a meno della collaborazione con altri gruppi».
I profitti delle scommesse clandestine al Gran Caffe, così come in altri negozi, tra cui l’associazione non-profit La Nazionale Soccer Club nel distretto del Queens, venivano riciclati con trasferimenti multipli di contanti dai pesci piccoli alle gerarchie più alte delle famiglie.
«Si tratta semplicemente di gioco d’azzardo illegale in una stanza sul retro, una cosa di basso livello. La parte interessante di questo caso è che il motivo per cui l’hanno fatta franca così a lungo è stata la protezione dell’agente di polizia corrotto», sostiene Jay Albanese, professore di criminologia alla Virginia Commonwealth University e membro della Global Initiative against Transnational Organised Crime. «Probabilmente è questo il motivo per cui il sistema ha avuto un tale successo e per cui c’erano due gruppi coinvolti. La mia ipotesi è che uno dei due gruppi abbia iniziato l’operazione. L’altro gruppo era quello collegato all’agente di polizia corrotto e quindi hanno fatto un accordo. Il caso non è ancora arrivato in tribunale, ma questa sarebbe la mia ipotesi su come due gruppi siano stati coinvolti in una collaborazione, il che è piuttosto insolito».
La gerarchia de La Cosa Nostra
Seppur indipendenti fra di loro, le famiglie di cosa nostra statunitense, secondo l’Fbi, condividono la stessa gerarchia organizzativa:
- boss o don: il vertice indiscusso dell’organizzazione
- underboss: il secondo in comando, destinato a succedere al boss
- consigliere: il numero tre, uomo fidato e amico del boss
- captain, skipper o caporegime: controlla un certo numero di soldati, o made member, riuniti in una crew
- soldier: la gerarchia più bassa, ma pur sempre soggetta al voto di omertà
- associates: fanno parte della crew, ma non sono di origini italiane e quindi non sono stati affiliati alla famiglia
La collaborazione tra i Genovese e i Bonanno è una novità. Charles “Lucky” Luciano, tra i boss più potenti della famiglia Genovese negli anni Trenta e Quaranta, è stato infatti il mandante dell’omicidio dell’uomo che stava al vertice dei Bonanno, Salvatore Maranzano. L’episodio chiuse nel 1931 la Guerra Castellammarese, cominciata l’anno prima. Con l’indebolimento delle famiglie, però, la cooperazione fra rivali è diventata una necessità di sopravvivenza che fa superare anche i conti del passato.
Se la collaborazione tra famiglie è nuova, non lo sono molti degli arrestati di agosto. Vito e Anthony Pipitone erano stati arrestati nel 2009 in un’operazione che aveva portato alla sbarra l’intero «gruppo direttivo» dei Bonanno. Gli indagati dovevano rispondere, a vario titolo, di minacce, frode bancaria, gioco d’azzardo illegale, estorsione e falsa testimonianza. «Sei fortunato che non ti seghiamo in due e ti lasciamo nei boschi», aveva detto uno dei Pipitone, intercettato, a un debitore in ritardo coi pagamenti, secondo quanto ricostruito dal processo. I fratelli Pipitone si erano alla fine dichiarati colpevoli. Nel 2011 Vito, il più giovane, era stato condannato per aver accoltellato due giovani nel 2004.
Per approfondire
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Sul fronte dei Genovese, invece, già noto alle forze dell’ordine è Joseph “Joe Box” Rutigliano, 63 anni, originario di Commack, vicino Long Island. Dopo l’emissione del mandato d’arresto il 16 agosto 2022, tuttavia, “Joe Box” Rutigliano risulta latitante. Era già stato arrestato nel 2005 insieme ad altri presunti membri della famiglia per aver gestito bische clandestine che riuscivano a incassare fino a 16.000 dollari a settimana. Lo schema era lo stesso utilizzato dalle due famiglie nella “collaborazione” al Gran Caffe: nel retrobottega di ristoranti, bar e club venivano installate le macchinette per il gioco d’azzardo illegale.
In un’intercettazione del 2003, Rutigliano parla al telefono, probabilmente con un cliente. «Sì, ciao John, Joe Box. Sono arrivate due macchine. Vogliamo provare a configurarle e consegnarle entro lunedì, ok?». Nel 2006 il giudice aveva rigettato il ricorso degli imputati, che avevano chiesto l’archiviazione. Non è chiaro se Rutigliano sia stato condannato. Anche il capitano Carmelo “Carmine” Polito è una vecchia conoscenza. Il 30 novembre 1994, mentre gioca a carte in un club, lo strozzino della famiglia Genovese Sabato Lombardi viene ucciso a colpi d’arma da fuoco da due uomini. Secondo le indagini, uno dei killer è proprio Carmine Polito, all’epoca proprietario di una pizzeria. Polito, descritto come uno scommettitore incallito, avrebbe dovuto a Lombardi 60.000 dollari. Pur di non pagare, secondo i procuratori, avrebbe pianificato di uccidere il suo strozzino. La corte federale di Brooklyn condanna Polito nel 2003, ma la sentenza viene annullata perché non si tratterebbe di crimine organizzato. Indagato di nuovo nel 2005, è stato assolto nel 2007.
Bische di ieri, bische di oggi
Nonostante le modalità da “vecchia scuola”, non bisogna pensare a La Cosa Nostra come un’organizzazione ancorata al passato. Lo dimostra il caso di Carmelo Polito, accusato di essere membro dei Genovese col grado di capitano, e arrestato ad agosto 2022 per aver gestito anche un sistema illecito di scommesse sportive online, attraverso il sito PGWLines.
Nel 2019, a uno scommettitore, che aveva perso centinaia di dollari su PGWLines, “Carmine” Polito fa recapitare un messaggio inequivocabile: «Digli che lo vado a mettere sotto quel cazzo di ponte».
«Una delle attività che vengono maggiormente utilizzate per far fronte alla mancanza di opportunità legata alla fine del proibizionismo è proprio il gioco d’azzardo, che diventa una fonte di ricchezza importantissima, anche perché i guadagni sono di gran lunga superiori ai rischi», spiega Nicaso. «Oggi noi assistiamo al passaggio dall’età dalle vecchie bische alle private rooms offerte tramite internet, dove è possibile giocare a poker, dove ci sono i casinò virtuali, dove i siti web sono registrati in paesi offshore, che difficilmente accettano di collaborare in caso di rogatorie internazionali».
Da quando, nel 1933, la vendita di alcolici è diventata legale, è stato calcolato che il gioco d’azzardo è stato il business illegale che ha generato i maggiori profitti per i gruppi criminali italo-americani. Già nel 1967, la task force presidenziale sul crimine organizzato stimava il gambling come la principale fonte di denaro per La Cosa Nostra.
Ormai da decenni LCN controlla le bische online. È il caso dell’operazione condotta dalla procura della Contea di Bergen, New Jersey, nel 2004. Quarantatré fra arresti e mandati di cattura, sequestro di 25 armi da fuoco, un milione di dollari in contanti e cocaina pronta alla distribuzione. Tutto parte dal Caffè Roma, a East Rutherford, New Jersey, usato come bisca clandestina e base dalla famiglia Genovese. Le scommesse illegali erano gestite in collaborazione con membri dei Bonanno e dei Lucchese, un’altra delle storiche famiglie di New York. L’inchiesta aveva rivelato l’esistenza di una sala scommesse virtuale in Costa Rica, dove le puntate venivano accettate. Agli scommettitori venivano addebitate commissioni fra i 20 e i 30 dollari a settimana, generando ricavi per le famiglie di centinaia di migliaia di dollari a settimana.
Caratteristiche simili si ritrovano in un’altra operazione condotta tra il 2008 e il 2012, in cui membri della “decina” dei Genovese in New Jersey utilizzavano un sito web, sempre con base in Costa Rica, per la gestione del gambling illegale.
Problemi di famiglia
I recenti arresti di agosto 2022 sono solo gli ultimi di una lunghissima serie di operazioni che hanno decimato tutte le famiglie di cosa nostra negli Stati Uniti. Solo tra aprile e maggio 2022, sono stati arrestati quattro membri e due associati dei Genovese, e, in un’altra indagine, un vecchio caporegime della famiglia, l’ottantaquattrenne Anthony “Rom” Romanello, accusato di aver picchiato un ristoratore di New York City che aveva debiti di gioco.
Come spiega Antonio Nicaso, «sia i Genovese che i Bonanno sono stati quelli che negli ultimi tempi hanno subito delle perdite notevoli. I Bonanno, ad esempio, negli ultimi tempi hanno avuto almeno sei-sette collaboratori di giustizia. La credibilità non è più quella dei tempi di John Bonanno», boss della famiglia fra il 1931 e il 1968. «Se paragoniamo la mafia americana quando gestiva i grandi flussi di eroina e in collaborazione con le famiglie di Palermo e di Trapani, quella era un’organizzazione forte, che si era infiltrata nel mondo cosiddetto “di sopra”. La strategia, da parte delle autorità, di colpire i vertici delle cinque famiglie contemporaneamente è stata vincente», conclude Nicaso.
Il declino di LCN non ha soltanto a che fare con l’efficace repressione giudiziaria. Secondo Jay Albanese, c’è stato un cambiamento generazionale. Praticamente tutte le figure apicali dell’organizzazione tra gli anni Ottanta e Novanta stanno scontando una condanna a vita o sono decedute.
«Il risultato – dice Albanese, è che ci sono persone più giovani a cui spesso mancano le tradizioni familiari italiane, la segretezza. Non sentono quella lealtà verso il gruppo che i più anziani sentivano». Oltre al fattore culturale, la comunità italo-americana si è ridotta in numero, rendendo difficile il reclutamento. Accade persino che membri di spicco dell’organizzazione mettano in discussione anche i loro parenti più prossimi . Emblematica è la frase pronunciata da John Angelo Gotti, omonimo figlio del boss dei Gambino morto nel 2002, intercettato in carcere: «Voglio dire, so che mio padre mi voleva bene, ma devo chiedermi quanto. Lui mi ha messo con tutti questi lupi». A processo nel 2006, il figlio del padrino aveva dichiarato di non appartenere più alla famiglia.
Non sono solo le dichiarazioni, ma anche i numeri a testimoniare la perdita di potere della mafia siculo-americana. Secondo il rapporto dell’Fbi sul crimine organizzato, nel 2011 solo nel 4,27% dei casi erano presenti rapporti fra gang di strada e La Cosa Nostra. Oggi sono le organizzazioni messicane a comandare, seguite dalle mafie asiatiche, dai colombiani e dai russi, cresciuti negli anni Novanta a scapito di cosa nostra.
Anche il numero di membri è diminuito drasticamente: se nei primi anni Settanta si parlava di circa 3.000 “uomini d’onore”, gli ultimi dati – secondo l’Agi – parlano di poco più di 800 membri. In soli tre anni, fra il 1983 e il 1986, più di 2.500 membri e associati a LCN sono stati incriminati e dagli anni Ottanta 17 boss di tutte le famiglie sono stati condannati, fra cui Tony Salerno dei Genovese, Tony Corallo dei Lucchese, Carmine Persico dei Colombo, Phillip Rastelli dei Bonanno e John Gotti dei Gambino.
Gli affiliati a La Cosa Nostra dal 1970 a oggi
Come riconosciuto anche dall’Fbi, il carattere iniziatico dell’organizzazione rende difficile una stima precisa dei suoi membri. I numeri qui riportati provengono da varie fonti: Fbi, Onu, Albanese (2012), Agi, Paoli (2003), US General Accounting Office, ESISC

L’organizzazione non è morta
Sotto i colpi delle inchieste giudiziarie, a partire dalla metà degli anni Novanta il vincolo dell’omertà inizia a indebolirsi. Agli inizi del 2000, il numero di membri di alcune delle 25 famiglie mafiose presenti in tutti gli Stati Uniti si era ridotto del 50%, in qualche caso anche del 90%, rispetto a 30 anni prima. In quelli che in passato erano fortini di cosa nostra, come Cleveland, Detroit, Kansas City, Las Vegas, Los Angeles, New Orleans e Pittsburgh, le famiglie sono deboli o scomparse.
Nel 2004, il boss della famiglia Bonanno, Joseph Massino, viene condannato per vari omicidi, usura, incendio doloso, gioco d’azzardo, riciclaggio di denaro ed estorsione. Nel 2011 diventa il primo boss di una delle storiche cinque famiglie di New York a collaborare col governo. Svelerà i nomi di centinaia di associati e membri dei Bonanno, entrando – dopo aver scontato una condanna a 10 anni – nel programma di protezione dei testimoni. Alla guida della famiglia Bonanno c’è oggi Michael “The Nose” Mancuso, 67 anni, condannato a dieci anni per l’omicidio della moglie nel 1984 e a 15 per aver aiutato l’ex boss Vincent Basciano a uccidere un altro mafioso. Uscito di prigione tre anni fa, è stato recentemente accusato di aver violato i termini della libertà condizionale per essersi riunito con altri mafiosi. Rilasciato su cauzione, è sotto il programma di protezione testimoni.
La legislazione antimafia statunitense
L’efficacia della risposta giudiziaria si deve, fra le altre cose, al passaggio nel 1970 del Racketeer Influenced and Corrupt Organizations (RICO) Act. Si tratta di una legge federale, emanata sotto la presidenza di Richard Nixon, con l’obiettivo specifico di combattere la criminalità mafiosa. Secondo il RICO, chi compie almeno due atti classificati come “racket”, in dieci anni può essere condannato fino a vent’anni di carcere per ogni capo d’accusa e vedere confiscati tutti i profitti illeciti. Gli inizi sono lenti e i procuratori utilizzano il nuovo strumento con cautela. La prima causa civile RICO risale a oltre 10 anni dopo il passaggio della legge. Negli anni Ottanta il ricorso alla legge si intensifica, così come l’utilizzo di intercettazioni e microspie e i membri di cosa nostra americana iniziano ad essere colpiti. Il primo boss condannato grazie al RICO è Frank Tieri, della famiglia Genovese.
Il processo Commissione e il caso Pizza Connection sono gli esempi, entrambi durante gli anni ‘80, dell’efficacia del RICO Act. Il primo, conosciuto come il caso “U.S. vs. Salerno”, ha portato alla sbarra nel 1985 – sotto la guida dell’allora Procuratore Generale Rudy Giuliani, successivamente sindaco di New York e avvocato di Donald Trump – undici membri di alto livello delle famiglie di New York, otto dei quali condannati. L’inchiesta, che aveva coinvolto oltre 200 agenti dell’Fbi, si basava sull’assunto che le famiglie avevano costituito un’impresa criminale, la Commissione appunto, i cui membri erano coinvolti in estorsioni, omicidi e usura. La pena per ciascuno dei condannati era stata di 100 anni di prigione.
Con l’operazione Pizza Connection (1985-1987), alla quale ha lavorato anche Giovanni Falcone, 17 mafiosi sono stati condannati per traffico di eroina dalla Sicilia agli Stati Uniti e riciclaggio dei profitti (25 milioni di dollari). Sul lato americano, il traffico vedeva coinvolta principalmente la famiglia Bonanno. Con il passare dei decenni, Il RICO Act ha reso l’affiliazione a La Cosa Nostra sempre più pericolosa, contribuendo sensibilmente alla perdita di uomini e mezzi finanziari da parte delle famiglie.
Se La Cosa Nostra sembra aver perso il prestigio criminale che aveva ai tempi della Pizza Connection, è comunque presto per dichiararne la fine.
«Se dovessi valutare lo stato di salute di cosa nostra americana oggi, rispetto a vent’anni fa, è chiaro che, come diceva James, è l’ombra di se stessa» spiega Antonio Nicaso. Però, conclude, «io sono sempre dell’avviso che non bisogna mai pubblicare il necrologio di organizzazione criminale, perché organizzazioni come cosa nostra americana hanno una grande capacità di adattamento. Spesso si fa un’indagine e magari si pensa che tutto sia stato risolto. Nel frattempo le famiglie riescono a riorganizzarsi, lo hanno sempre fatto».
I collegamenti, infatti, rimangono sempre vivi. Lo testimonia la relazione del primo semestre 2020 della Dia, ricordando come una delle cinque storiche famiglie, i Bonanno, sia originaria di Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani. Le indagini hanno trovato traccia di contatti proprio tra esponenti dei Bonanno e il boss della cosca di Castellammare, documentando «diversi incontri avuti dal boss con soggetti italoamericani di origine castellammarese, inseriti nel contesto mafioso statunitense». Il boss siciliano avrebbe esclamato, probabilmente a un suo emissario: «In America ti mando, in un posto a lavorare e guadagnare soldi, assai però!!». In perfetta continuità con la tradizione.
Gli avvocati dei nove membri accusati di essere legati alle famiglie Bonanno e Genovese arrestati ad agosto 2022 non hanno risposto alla richiesta di commento di IrpiMedia. Joseph di Benedetto, legale di Vito Pipitone, ha fatto sapere di non avere alcun commento in merito al caso. Gerald McMahon, avvocato di Carmelo Polito, ha dichiarato via email: «L’accusa è uno scherzo. Praticamente ogni stato degli Stati Uniti raccoglie entrate fiscali dal gioco d’azzardo legalizzato. Accusare un gruppo di anziani italiani di gioco d’azzardo illegale è il massimo dell’ipocrisia».
Foto: Una lavagna mostra l’organizzazione gerarchica delle cinque famiglie mafiose di New York – Marianne Barcellona/Getty
Infografiche: Lorenzo Bodrero
Editing: Lorenzo Bagnoli