Per rintracciare segni delle infiltrazioni criminali nell’economia, il report si è focalizzato sulle variazioni societarie avvenute nel periodo della pandemia (marzo 2020 – febbraio 2021), utilizzando e intersecando alcune categorie come il turn-over di cariche e di partecipazioni o i trasferimenti di quote.
Guardando al 2019, l’Organismo evidenzia una leggera flessione del numero delle variazioni, meno 6,3 per cento, “riconducibile, verosimilmente, alla repentina stagnazione economica […]”. Parallelamente, però, lo studio porta alla luce una crescita del 7 per cento delle segnalazioni per operazioni sospette e un aumento del 9,7 per cento delle società colpite da provvedimenti interdittivi antimafia. Di queste, il 47 per cento, stando alle attività di monitoraggio, hanno registrato una variazione societaria.
Tali dati, sottolinea l’Organismo, sono da interpretare in relazione ai maggiori controlli effettuati dalle forze dell’ordine. Ma sono anche esemplificazione di come i cambiamenti societari siano i possibili sintomi di un’infezione criminale: le organizzazioni mafiose, infatti, investono i loro capitali in società e aziende allo stremo, accaparrandosi, a costi irrisori, porzioni sempre più consistenti di mondo produttivo. L’ente, inoltre, precisa che il periodo preso in esame «non costituisce un lasso temporale statisticamente significativo, in assoluto e, ancor più, in relazione al momento storico di riferimento».
L’usura a Roma durante il lockdown
A Roma, prestare soldi “a strozzo” è pratica ancestrale, antica come le guglie e i capitelli che attorniano il cuore monumentale della città. Luigi Ciatti, presidente dell’Ambulatorio Antiusura Onlus ne è consapevole. Dal 1996, la sua associazione si spende per tutelare chi è fragile davanti agli smottamenti del sistema economico.
«Il nostro termometro sono le richieste di aiuto che giungono allo sportello. Nel 2020 abbiamo registrato un incremento del 30 per cento, con picchi del 50 per cento durante il periodo estivo. Numeri, però, che non fotografano adeguatamente la realtà, perché troppo bassi rispetto alla portata della crisi che stiamo vivendo. Sono pochi quelli che denunciano e portano in superficie la propria situazione», dice Ciatti, convinto che l’onda lunga della recessione debba ancora abbattersi sul contesto sociale.
Le operazioni della Squadra Mobile e della Guardia di Finanza, hanno rilevato la pervasività del fenomeno e l’eterogeneità degli attori che pescano nel mare magnum della disperazione. Ad agire, sono sia consorzi criminali ben collaudati, come ad esempio il clan Casamonica, quanto gruppi “informali” che setacciano il territorio alla scoperta di una papabile preda.
Con il lockdown nuove strategie sono state messe in campo per foraggiare il calderone dell’abuso finanziario. L’operazione Sportello (anti)usura è emblematica a questo proposito. La sede di un Caf nel quartiere Portuense, quadrante sud-ovest di Roma, era infatti diventato il luogo designato per accogliere i “clienti”, fissare gli appuntamenti e concedere prestiti. Lì avveniva anche la riscossione del denaro e degli interessi pattuiti: tra il 20 e il 40 per cento a cadenza mensile. Un luogo difficile da individuare ma estremamente efficace per gli usurai. Un serbatoio di umanità e dichiarazioni Isee a cui attingere per ingrossare il portafoglio. Stando alle fonti investigative, il gruppo – composto da ottuagenari con trascorsi criminali e da V.P., 40 anni, incensurato, conducente di scuolabus e da 15 anni impegnato nel settore degli strozzini – ha proseguito i propri traffici senza tentennamenti durante le prime bordate della pandemia.
L’operazione Money Box, invece, ha acceso i riflettori su un box di autoricambi, sempre nel quartiere Portuense: era la base da cui elargire denaro con interessi esorbitanti, pari, in alcuni casi, al 240 per cento su base annua del debito contratto. Con lo scoppio della pandemia, il garage è stato chiuso ma il business ha continuato a fruttare quattrini. Le intercettazioni della Squadra Mobile mostrano come gli usurai organizzassero da casa gli appuntamenti, orario e posto, e mandassero persone fidate a prelevare il pegno, per strada, in pieno giorno. Altre volte – anche prima che il Covid-19 entrasse in gioco – intascavano il denaro tramite bonifici per servizi mai erogati. Ed emettevano fatture con cui occultare il giogo usuraio. Una filiera che puntava al riciclaggio dei proventi illeciti attraverso una società collegata a uno degli indagati, così da schermare il profitto illegale.
Per coloro che subivano il peso dei cravattari, l’unico modo per sciogliere il cordone criminale era versare in un’unica tranche l’intero importo. Intimidazioni e minacce sono state perpetrate per riscuotere la somma che di mese in mese lievitava sotto gli occhi attoniti delle vittime. Alcune delle quali, soverchiate dalla mole di soldi, sprofondavano nel vortice di ulteriori rincari.
«Gli usurai, con grande astuzia e approfittando delle evidenti difficoltà economico-finanziarie delle vittime, dapprima ricorrono ad un’erogazione di denaro gravata da un tasso di interesse piuttosto contenuto (pur sempre al tasso effettivo globale medio), al fine di cooptare un ampio ventaglio di clienti persuasi della bontà dell’operazione, poi proseguono nel rapporto di finanziamento con erogazioni sempre più onerose, tanto da ‘strozzare’ le vittime […]», si legge nelle premesse dell’ordinanza di custodia cautelare. L’adescamento e poi l’affondo. A far scattare le indagini – nate nel 2019 e inoltratesi fino ai primi mesi del 2020 -, il tentato suicidio di una delle vittime.
Il welfare mafioso di prossimità
Quel che è cambiato con la pandemia è soprattutto il contatto iniziale tra gli usurai e le loro prede. Una volta infatti erano queste ultime a rivolgersi al “cravattaro”, oggi invece sono loro ad andare in cerca di “clienti”. Stando alle evidenze degli inquirenti, oggi gli usurai si informano, sanno dove colpire, si propongono al commerciante o al ristoratore, mostrando comprensione. Si presentano e offrono denaro o palesano la possibilità di rilevare l’attività (o parte di essa), prima che il loro bersaglio si rivolga alle istituzioni bancarie. Anticipano le esigenze.
Come per Massimiliano Pugi*, un ristoratore del quartiere San Lorenzo, che ha visto materializzarsi 10 mila euro nelle parole affabili di due signori «eleganti e distinti», apparsi sulla soglia del suo locale. Un finanziamento da restituire a rate mensili con interessi del 30 per cento. Uno sconto, a loro dire, per andare in contro alle esigenze dell’esercente. Pugi ha declinato l’offerta e il duo è scomparso.