Una società accusata di deforestazione in Camerun ha beneficiato di ingenti sussidi pubblici
#DeforestazioneSpa
Edoardo Anziano
Il 16 gennaio 2023, il giornalista camerunense Martinez Zogo annuncia in diretta radiofonica di avere un intero dossier che proverebbe la corruzione del magnate delle televisioni Jean-Pierre Amougou Belinga. Entra nei dettagli, denunciando un flusso di denaro dalle casse dello Stato alle tasche di Belinga per oltre 70 milioni di euro negli ultimi dieci anni. «Ho le prove!», grida in trasmissione. «Le ho già inviate al presidente!». Zogo era noto per essere un fedele sostenitore dell’attuale presidente della Repubblica del Camerun, l’autocrate Paul Biya, che riteneva al di sopra degli scandali per corruzione da lui denunciati.
Il 17 gennaio Zogo scompare. Cinque giorni dopo, il suo corpo, gravemente mutilato e con segni di tortura, viene ritrovato sul ciglio di una strada di un sobborgo di Yaoundé, capitale del Camerun.
Paul Biya, oggi novantenne, governa il paese da più di quarant’anni. Nonostante l’età, l’autocrate mantiene uno stretto controllo su ogni aspetto della vita pubblica. Il presidente non ha manifestato alcuna volontà di lasciare la presidenza nel 2025, quando scadrà il suo mandato e avrà 92 anni, ma la lotta per il post-Biya è già iniziata. Dietro la facciata del potere accentrato, si agitano infatti diverse fazioni politiche, in competizione per la successione. Uno dei possibili candidati è proprio Amougou Belinga: proprietario del canale Vision TV e del giornale l’Anecdote, è un uomo noto tanto per le sue potenti conoscenze politiche, quanto per le sue ambizioni di diventare il prossimo presidente dello stato dell’Africa centrale.
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L'inchiesta in breve
- Camerun, 16 gennaio 2023. Il giornalista Martinez Zogo annuncia in diretta radiofonica di avere un intero dossier che proverebbe la corruzione del magnate delle televisioni Jean-Pierre Amougou Belinga: un flusso di denaro dalle casse dello Stato alle tasche di Belinga per oltre 70 milioni di euro.
- Il giorno dopo Zogo scompare. Il suo corpo, mutilato e torturato, viene ritrovato sul ciglio di una strada di un sobborgo della capitale Yaoundé. La polizia non ci mette molto ad arrestare il mandante: è il tycoon Belinga, oggetto delle accuse del giornalista.
- Un’inchiesta sul campo ha scoperto che la storia dei pagamenti milionari al magnate era, seppur vera, una macchina del fango, orchestrata contro Belinga dai suoi avversari politici, per toglierlo di mezzo dalla corsa per la presidenza della Repubblica camerunense.
- La morte di Zogo ha portato però alla luce altro: un enorme flusso di soldi pubblici a favore di certe élites in Camerun. I beneficiari – che non hanno a che fare con l’omicidio del reporter – non sono solo camerunensi, ma anche nigeriani, ivoriani, statunitensi, francesi e italiani.
- I reporter hanno ottenuto un elenco che include ben 67 transazioni sospette provenienti dalle casse pubbliche, in corso di verifica da parte delle autorità. L’elenco copre un periodo che va dal 2017 al 2021, per un totale di oltre 600 milioni di euro.
- Il maggior beneficiario sulla lista è un italiano, Eugenio Matarazzi, direttore generale dell’azienda di legnami Société Industrielle de Mbang (Sim). L’azienda avrebbe ricevuto oltre 250 milioni di euro per «lavorazione legname». L’azienda ha smentito di aver mai ricevuto alcun pagamento.
- Da almeno un decennio, lo stato camerunense sembra supportare la Sim in vari modi, in particolare attraverso la concessione di licenze per lo sfruttamento di foreste pubbliche a prezzi vantaggiosi. Nonostante le ventennali accuse di deforestazione, mosse all’azienda da osservatori indipendenti e comunità locali
Quando la polizia, dopo pochi giorni di indagine, annuncia l’arresto del mandante dell’omicidio Zogo, in manette finisce proprio il tycoon Belinga. Persino il capo degli esecutori materiali, arrestato, accusa l’imprenditore di essere la mente dietro l’assassinio.
Un’inchiesta sul campo – coordinata dal magazine ZAM e dal Network of African Investigative Reporters and Editors (NAIRE) con la collaborazione di altri partner internazionali, tra cui IrpiMedia per l’Italia – ha scoperto che la storia dei pagamenti milionari al tycoon era però una trappola. Una macchina del fango, seppur vera, orchestrata contro Belinga, per toglierlo di mezzo dalla corsa per la presidenza. Di questa lotta di potere interna alle fazioni politiche del paese centrafricano, il giornalista Martinez Zogo è stato – insieme – strumento e vittima.
La morte di Zogo ha portato però alla luce altro. Ha consentito infatti di far emergere un enorme flusso di soldi pubblici a favore di certe élites in Camerun, che non si limita a faccendieri e imprenditori camerunensi. I beneficiari sono infatti nigeriani, ivoriani, ma anche statunitensi, francesi e italiani.
Un Arizona project per Martinez Zogo
Quando, il 12 aprile 2023, un team di membri Naire – David Dembele dal Mali, Selay Kouassi dalla Costa d’Avorio e Bram Posthumus, olandese che vive ad Abidjan – atterra a Yaoundé, in Camerun, l’obiettivo è quello di condurre un Arizona project. Qual è stata la storia che ha ucciso Martinez Zogo? È stata la sua denuncia della corruzione di Amougou Belinga? O c’è qualcos’altro che l’omicidio del giornalista ha messo a tacere?
Il modello dell’Arizona Project risale al 1976, quando il reporter del The Arizona Republic Don Bolles viene fatto saltare in aria da sei candelotti di tritolo piazzati sotto il sedile del guidatore della sua Nissan Datsun 710. In risposta all’omicidio, la Investigative Editors and Reporters Association mette insieme un team di 30 giornalisti che arriva a Phoenix per portare a termine il lavoro di Bolles, ucciso per le sue storie sulle frodi di terreni e la mafia italo-americana in Arizona. Si tratta del primo progetto di giornalismo d’inchiesta collaborativo su larga scala.
Un dossier confezionato ad arte
Con un mandante accusato dagli stessi esecutori e un movente così apparentemente chiaro, l’omicidio di Martinez Zogo, rispetto ad altri casi di giornalisti assassinati, sembra essere piuttosto lineare. Ai giornalisti che per questa inchiesta si sono recati in Camerun agli inizi di aprile 2023, tuttavia, viene raccontata una storia diversa da quella ricostruita dalla polizia. I colleghi di NAIRE sono arrivati alla conclusione che Amougou Belinga sia stato incastrato da alcune fazioni dell’élite politica, che volevano eliminarlo dalla corsa alla successione presidenziale. Martinez Zogo, infatti, aveva ricevuto un corposo dossier sul magnate, visionato dai reporter per questa inchiesta: oltre 130 pagine, con fotocopie di transazioni bancarie, elenchi di transazioni dal bilancio statale alle società di Belinga, istruzioni di pagamento firmate da alti funzionari pubblici. Tutte prove che Belinga era stato lautamente remunerato, almeno a partire dal 2013, con sovvenzioni statali.
A prescindere dai secondi fini con cui possa essere stato diffuso, il dossier è autentico. I giornalisti hanno scoperto che gran parte del “dossier Belinga” proviene dal Probmis, il sistema informativo del Ministero delle Finanze del Camerun. Si tratta chiaramente di un leak, una fuga di informazioni, proveniente da qualcuno con accesso ai sistemi informatici governativi.
La pista più accreditata è che sia stato fatto filtrare per colpire Belinga. L’imprenditore, infatti, «stava diventando troppo grande per i suoi stivali», spiega un giornalista camerunense, la cui identità deve rimanere anonima per garantirne la sicurezza. «Questo non andava bene all’élite che circonda il Presidente […]. Si sentivano minacciati da quest’uomo».
«Queste informazioni erano già diffuse in tutto il Camerun», spiega un altro reporter. «Molti di noi ne erano a conoscenza». E, tuttavia, molti avevano lasciato perdere i documenti su Belinga. Non perché fossero contraffatti, ma perché – anche senza tutte le transazioni in dettaglio – la vicenda era già nota. Già un anno prima che il dossier iniziasse a circolare, Belinga era sotto inchiesta da parte delle autorità fiscali, per un importo persino superiore a quello scoperto da Zogo nel dossier.
Quando i giornalisti di NAIRE chiedono al collega, che si occupa di inchieste sulla corruzione, quale sia il motivo della reticenza che aleggia intorno al tema, questi risponde: «Dovremmo guardare agli altri», dice, «quelli di cui nessuno parla».
Pagamenti sospetti
Indagando sul dossier, i reporter sul campo sono infatti entrati in contatto con fonti molto vicine all’agenzia delle imposte del Camerun, la cui attendibilità è stata verificata da altre personalità indipendenti. Tramite queste fonti hanno ottenuto un altro documento, che include ben 67 pagamenti sospetti, in corso di verifica da parte delle autorità. L’elenco, su cui è apposto il timbro della Direzione Generale delle Imposte, copre un periodo che va dal 2017 al 2021. La cifra totale dei pagamenti ammonta a oltre 600 milioni di euro. Questi pagamenti e i loro beneficiari non hanno alcuna connessione con l’omicidio di Zogo.
Il ritrovamento di questo secondo documento, però, complica ulteriormente il quadro della situazione. Se infatti il primo leak sembrava guidato dal desiderio di colpire una specifica fazione “scomoda”, il secondo mostra che molti altri soggetti avrebbero beneficiato, in maniera simile a Belinga, di pagamenti da parte dello Stato. La lista rivela cioè l’esistenza di un’altra indagine, o almeno di un tentativo di indagine, che starebbe provando a fare chiarezza sui rapporti fra Stato ed élites camerunensi.
Al momento i documenti non indicano nessuna accusa o reato specifico, e una verifica fiscale potrebbe ancora dimostrare giustificazioni perfettamente legittime per ciascun emolumento sulla lista. Eppure, quello che desta preoccupazione è il tentativo, da parte di alcuni pezzi dello Stato, di bloccare sul nascere qualsiasi indagine.
Il Camerun è un Paese dell’Africa centrale che nel 2021 aveva un PIL di 45 miliardi di dollari. Dei suoi 27 milioni di abitanti, il 55% vive in povertà e il 38% in grave povertà. Nel 2021 ha ricevuto un totale di 651 milioni di dollari in aiuti internazionali. Ovvero, quasi lo stesso importo – segnalato come sospetto dalle autorità fiscali – uscito dalle casse dello Stato fra il 2017 e il 2021 a beneficio di élites locali e straniere.
Ad accompagnare la lista infatti c’è una lettera di Mopa Modeste Fatoing, all’epoca a capo della Direzione generale delle imposte camerunense. L’ufficio di Fatoing è stato incaricato di indagare il caso dall’agenzia anticorruzione statale ANIF (Agence Nationale d’investigation Financière), con il sospetto che le 67 transazioni potessero nascondere possibili frodi e riciclaggio.
Il tono della lettera, indirizzato al responsabile della divisione investigazioni, è chiaro: «vi avevo già incaricato di dare un seguito [all’elenco, ndr]», aveva scritto Fatoing. «Fino ad oggi, queste istruzioni non sono state seguite». Da allora infatti le autorità fiscali non hanno più avuto notizie dell’elenco dei 67 soggetti.
L’uccisione di Zogo sembra aver ulteriormente ridotto le possibilità di un’investigazione sulle transazioni. Appena quattro giorni dopo il ritrovamento del corpo del giornalista, il direttore generale Fatoing è stato rimosso dal presidente Biya e assegnato a un ufficio del Fondo Monetario Internazionale a Washington, abbastanza lontano da non poter “far danni”. Contattato da ZAM, il Direttorato Generale delle Imposte non ha risposto in merito allo stato di avanzamento degli accertamenti.
Oltre ai sospetti dell’agenzia anticorruzione e dell’ufficio delle imposte, a rendere la lista meritevole di ulteriori indagini ci sono diversi elementi inusuali: la maggior parte dei pagamenti è a favore di aziende private, per servizi poco chiari. In 29 delle 67 transazioni non c’è l’indicazione della causale, mentre per altre sette non è indicato neppure l’importo. I pagamenti vanno ad alberghi, money transfer, aziende minerarie e di trasporto, strutture turistiche e società di consulenza finanziaria.
Ci sono aziende basate in Nigeria e Togo, alcune in Francia e negli Stati Uniti. In un caso compare il nome di milionario, Baba Danpoulo, considerato uno dei dieci uomini più ricchi d’Africa e amico personale del presidente Paul Biya.
Il maggior beneficiario sulla lista è però un italiano, Eugenio Matarazzi, direttore generale dell’azienda di legnami Société Industrielle de Mbang (SIM). L’azienda, che ha sede a Yaoundé, avrebbe ricevuto, in un’unica transazione, oltre 250 milioni di euro per «lavorazione legname». Secondo la lista, lo stesso Matarazzi avrebbe ricevuto personalmente più di 175 mila euro, con la causale «dipendente Société Industrielle de Mbang».
Né Matarazzi né la Sim sono in alcun modo legati alla vicenda di Martinez Zogo e, lo ribadiamo, al momento neppure le transazioni puntano ad alcun reato preciso. Eppure la Société Industrielle de Mbang è da 20 anni al centro di diverse controversie tanto in Camerun che a livello internazionale: accuse di deforestazione, taglio illegale di legname e violazione delle leggi forestali, che però non sembrano aver mai portato a indagini approfondite da parte delle autorità locali.
Domande senza risposta
Due indagini, una della polizia e una della gendarmeria, sembrano non lasciare dubbi: Amougou Belinga è il mandante dell’omicidio di Zogo. Una confessione del tenente colonnello della polizia accusato di aver guidato il gruppo di assassini, Justin Danwe, lo nomina direttamente, così come le dichiarazioni degli altri esecutori materiali. Ci sono anche registrazioni di telefonate tra Danwe e Belinga e rapporti secondo cui Belinga avrebbe pagato sia Danwe che gli assassini. «È un delinquente. Potrebbe aver dato in escandescenze. E sa come convincere alcuni settori dei servizi segreti e della polizia ad eseguire i suoi ordini, con spacconate e ricatti e facendo leva su amici potenti», dice un giornalista che ha indagato a lungo sull’uomo d’affari.
Quello che rimane inspiegato, tuttavia, è il periodo di cinque giorni tra il rapimento e il ritrovamento del corpo di Zogo. Per quanto tempo Martinez è rimasto in vita dopo il rapimento? Cosa è successo esattamente? Domande che non sembrano interessare gli investigatori. «Alla luce del crescente volume di prove [contro il presunto mandante, ndr], una ricostruzione dell’omicidio – prevista nei giorni scorsi – non sembra più essere una priorità per gli inquirenti», ha scritto Reporters Sans Frontiere, citando una fonte della polizia.
Le accuse di deforestazione
Fondata nel 1995, la Société Industrielle de Mbang è una delle maggiori aziende di legname in Camerun, con oltre un migliaio di dipendenti. Nel 2014, l’allora ambasciatrice italiana in Camerun Samuela Isopi aveva visitato la sede della Sim, accompagnata da Matarazzi, e aveva dichiarato che «la società rappresenta un modello di cooperazione basato sulla duplice valorizzazione, delle materie prime locali e delle capacità umani del Camerun». L’anno successivo l’ambasciatrice Isopi aveva invitato Matarazzi e altri imprenditori italiani in Camerun a una cena per illustrare i successi economici dell’Italia in Camerun.
Dopo un decennio la situazione sembra essere cambiata. Nel 2022 il tentativo di raccogliere l’equivalente di un milione e mezzo di euro fra gli azionisti, per varare un aumento di capitale, secondo i media locali è fallito. L’azienda smentisce a IrpiMedia che si sia trattato di un fallimento, spiegando che si sarebbe trattato semplicemente di un cambio di strategia.
Fonti locali autorevoli, sentite in Camerun, sostengono però che ci siano i problemi finanziari della Sim dietro i 250 milioni di euro di sussidi pubblici. Infatti, hanno spiegato le fonti, le sovvenzioni sarebbero state garantite dopo che la Sim avrebbe minacciato di dichiarare bancarotta, licenziando centinaia di dipendenti, a meno che lo stato non fosse intervenuto. L’azienda non ha risposto alla domanda di IrpiMedia su questo punto.
Tuttavia, almeno da dieci anni, lo stato camerunense sembra supportare la Société Industrielle de Mbang in vari modi. Nel 2013, Matarazzi e l’allora Ministro delle Foreste firmano una «convenzione provvisoria di gestione, della durata di 3 anni». Alla Sim è garantita una concessione di foresta pubblica di quasi 70 mila ettari nel dipartimento di Haut-Nyong, nell’est del paese. Sulla base dell’accordo – eccetto una tassa sul taglio e l’export, stabilita anno per anno dalla legge finanziaria – la Sim paga un affitto pari a 4.100 franchi all’anno per ciascun ettaro. Sono poco più di sei euro per ogni 10.000 chilometri quadrati di foresta. All’articolo 10 le parti concordano che «il Ministro delle Foreste si riserva il diritto di annullare il presente accordo prima della scadenza in caso di irregolarità debitamente rilevate da una commissione di esperti tecnici nominata a tal fine».
L’azienda spiega a IrpiMedia che quella concessione temporanea sarebbe stata trasformata in una “permanente”, della durata di 30 anni, a seguito dell’approvazione di un piano di gestione. Tale piano però risulta approvato solo nel 2020, mentre non è chiaro a che titolo la foresta sia stata sfruttata fra il 2016 e il 2020.
La concessione, alla fine, è stata comunque garantita, ma solo quest’anno. Questo nonostante le accuse di taglio illegale che, in altre aree del paese, avevano ripetutamente e da tempo investito la Société Industrielle de Mbang.
Fra il 2003 e il 2004, osservatori indipendenti della ONG Global Witness autorizzati dal Ministero delle Foreste avevano trovato irregolarità in foreste dove la Sim lavorava in subappalto per conto di un’altra società. In un caso, questa società «attraverso la sua subappaltatrice Sim» era stata «trovata colpevole di estrazione di legname oltre i limiti [consentiti, ndr], [..], di mancata marcatura dei ceppi e degli alberi e di abbandono del legname prodotto». In un altro caso, Global Witness aveva raccomandato alle autorità di emettere una «dichiarazione ufficiale di infrazione nei confronti della società […] e della sua subappaltatrice Sim».
L’anno successivo, Greenpeace aveva pubblicato un briefing, esprimendo preoccupazioni per la distruzione della foresta pluviale camerunense. Secondo le accuse dell’associazione ambientalista, «la Société Industrielle de Mbang (Sim), azienda camerunense del legname, è coinvolta nel disboscamento illegale su larga scala in Camerun, sia direttamente che indirettamente. Questa società ha una storia di attività di disboscamento illegale e negli ultimi dodici mesi ha effettuato disboscamenti illegali al di fuori dei confini del suo permesso di taglio». Allo stesso tempo, attivisti di Greenpeace in Italia avevano iniziato a protestare contro l’importazione nel nostro paese di quello che accusavano essere legname illegale commerciato dalla Sim. L’Italia è, da almeno un ventennio, uno dei maggiori importatori di legname camerunense al mondo.
Diversi media locali hanno ribadito nel tempo le presunte violazioni da parte della Sim delle leggi sul taglio del legname mosse dalle organizzazioni non governative. «La Sim […], nella regione di Mbam-et-Kim, detiene un monopolio virtuale sulle operazioni di disboscamento, conquistato grazie al sostegno attivo di un’élite locale molto influente», ha dichiarato a Cameroun24 un alto funzionario del Ministero delle Foreste. «Si tratta di un’accusa pretestuosa che rasenta la diffamazione», ha ribattuto l’azienda contattata da IrpiMedia, aggiungendo che «la Sim è infatti un’azienda socialmente responsabile che opera nella massima trasparenza, nel rispetto di leggi e regolamenti».
Secondo le ricerche dell’Association des journalistes africains pour l’environnement, nel 2015, altri funzionari hanno definito le attività della Sim come «saccheggio illegale delle foreste». Anche le comunità locali hanno espresso le loro preoccupazioni, criticando la mancanza di compensazioni per i progetti di taglio dell’azienda. Una missione di osservazione indipendente condotta dall’ONG OIE Cameroun nel 2019 ha individuato un disboscamento non autorizzato nelle foreste pubbliche vicino ai villaggi di Kong e Mbasongo. Gli osservatori hanno concluso che «la Société Industrielle de Mbang (Sim) sarebbe responsabile dell’attività in corso nell’area», nonostante non abbia alcuna autorizzazione per operare nella zona.
Rispetto alle accuse mosse, la Sim ha dichiarato a IrpiMedia che: «È vero che gli ispettori hanno talvolta riscontrato infrazioni che, anche se di lieve entità, hanno portato a risarcimenti sotto forma di multe». In risposta a un’ulteriore richiesta di commento, l’azienda si è detta vittima di «campagne diffamatorie» comparse sulla stampa locale.
La fine dell’impero
Considerando le accuse che per quasi vent’anni si sono susseguite sulla gestione forestale della Sim, sarebbe fondamentale capire a quale titolo sarebbero stati erogati oltre 250 milioni di contributi pubblici, a cui si sommerebbe un emolumento personale al direttore della Sim Eugenio Matarazzi. Contattata via mail, l’azienda ha parzialmente risposto ad alcune delle domande di IrpiMedia, smentendo di aver mai ricevuto denaro pubblico. «Noi, Sim, non vendiamo nulla allo Stato del Camerun e non abbiamo mai richiesto né ricevuto alcuna sovvenzione dallo Stato. A titolo personale, il signor Eugenio Matarazzi non ha mai richiesto né ricevuto denaro dallo Stato camerunese». La Sim dichiara di essere creditrice nei confronti dell’amministrazione pubblica rispetto all’imposta sul valore aggiunto, per cui dice di aver ricevuto, fra 2020 e 2021, un rimborso di oltre 6.5 miliardi di franchi. Tuttavia, questo rappresenta solo una frazione dei 167 miliardi di franchi che, secondo la lista di transazioni in possesso di IrpiMedia, la Sim avrebbe ricevuto con causale «lavorazione legname». Secondo l’azienda, le autorità fiscali hanno compiuto una revisione dei conti della Sim dal 2017 al 2020, non riscontrando alcun illecito.
Nel clima politico da “fine dell’impero” del quarantennale regime del presidente Paul Biya, le indagini sembrano però essere già state insabbiate. Nel silenzio caduto sui 67 beneficiari dell’equivalente di oltre mezzo miliardo di euro in sussidi statali, sono in pochi a parlare apertamente.
Ai giornalisti recatisi sul campo per indagare sulla morte di Martinez Zogo, solo la leader dell’opposizione Kah Walla ha parlato on the record, dal suo ufficio di Douala. Nonostante sia stata arrestata già un paio di volte, dice: «Si può pensare che il regime di Biya sia pronto a crollare, ma dietro c’è tutta una sofisticata ingegneria politica. È una dittatura scientifica», afferma. «E quindi, quando è così, tutti hanno paura, perché nessuno conosce i limiti da non superare».
Walla è convinta che nell’omicidio del giornalista radiofonico, «uno dei clan al potere ha usato Martinez Zogo contro un altro, e voleva usare [il suo omicidio, ndr] per distruggere un’altra fazione. Questo è ciò che ha portato a tutti gli arresti a cui abbiamo assistito, arresti di alte personalità all’interno dei circoli del potere».
La conseguenza di tutto ciò, conclude la leader dell’opposizione, è che «tutto si è fermato all’improvviso. Come se ci fosse stato una sorta di accordo tra i rami in guerra; come se ci fosse stata una riunione notturna durante la quale avessero deciso di mettere la palla a terra. Come se si fossero detti: “Se cado io, cadete anche voi”. E all’improvviso, durante la notte, non ci sono stati più arresti». Pochi giorni dopo l’omicidio di Zogo, anche il direttore generale delle imposte, che aveva sollecitato a investigare sulle 67 transazioni sospette, è stato trasferito ad altro incarico. E della lista, così come dei suoi beneficiari, non si è più saputo niente.
CREDITI
Autori
Edoardo Anziano
Editing
Giulio Rubino
In partnership con
ZAM
The Guardian
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