Assolte in via definitiva a Milano, incassano verdetti favorevoli anche altrove. Non è stata corruzione internazionale. E la procura generale di Milano dice che «portano ricchezza» alla Nigeria
Gli ultimi di Tarkwa Bay
#TheNigerianCartel
Lorenzo Bagnoli
Oggi è off limits: la Marina militare ha sgomberato le comunità che la abitavano dalla Seconda Guerra mondiale e non vogliono che nessuno si avvicini. Erano case fatiscenti, poco più che baracche, ma erano tutto per gli abitanti di una comunità dove aveva sede anche una scuola e una chiesa evangelica. Tutto distrutto. I reduci si sono spostati poco più a nord, nel primo lembo di terra, fango e acquitrini dove hanno trovato un po’ di pace. Almeno per ora.
Ci si arriva solo in piroga, dal molo che affaccia su Marina Road, in una delle zone dove si stagliano più alti i grattacieli della locomotiva dell’Africa occidentale. Si passa in mezzo a enormi petroliere e navi cargo, minuscoli. Dalle acque agitate dal traffico della laguna, si approda all’immobile Badagry Creek. Vegetazione bassa, sabbia, rifiuti: sull’isola ci saranno circa 150 persone, suddivisi in tre agglomerati. Il punto di riferimento è il baobab all’ombra del quale i pescatori si passano la sbobba di giornata, in una ciotola. I bambini razzolano insieme alle capre, le donne cercano di ripararsi dentro una specie di gazebo.
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Dalla Dubai di Lagos agli ultimi di Tarkway Bay
Sull’altra sponda del canale di Lagos, però, sorge quella che dovrà essere la città del futuro: Eko Atlantic City, 10 chilometri quadrati di cantiere dove sorgeranno uffici, appartamenti di lusso e un mega distretto commerciale. I poveri della laguna dovranno farsi da parte: dove abitavano loro dicono che sia previsto l’allargamento di un porto e la costruzione di altre strutture per i residenti di Eko Atlantic City. Questo sviluppo urbano era pensato in principio allo scopo di proteggere l’isola di fronte a Eko Atlantic, chiamata Victoria e cuore commerciale di Lagos, dalle piene marittime che l’hanno spesso allagata in questi anni.
Ma sono molte le voci critiche secondo cui Eko Atlantic proteggerà solo l’isola di Victoria, veicolando le piene dell’oceano nelle zone dove vivono le comunità più povere, che non hanno infrastrutture che le possono difendere. Dall’ufficio stampa di Eko Atlantic, sostengono di aver passato a pieni voti la valutazione d’impatto ambientale e soprattutto smentiscono categoricamente ogni possibile implicazione con gli sgomberi. «Non sono terreni nostri», spiegano. Secondo gli sfrattati, il governo ha usato la scusa dei danni agli oleodotti per cacciarli. Ma i movimenti che difendono i diritti delle comunità locali, sostengono che il motivo sia il valore commerciale di quei terreni, in particolare intorno a Eko Atlantic City. Si sentono come in un incubo, cominciato la scorsa vigilia di Natale.

Slum e sgomberi, cronistoria minima
Le operazioni di sgombero, coordinate dallo Stato di Lagos e svolte operativamente da marina militare o forze di polizia, hanno sempre avuto pochissime ore di preavviso e non hanno poi portato alcun ricollocamento delle persone, secondo quanto riportano le organizzazioni nigeriane che si occupano di sfratti. Questi i principali casi in cui è stata coinvolta la Justice empowerment initiative:
- Le conseguenze dello sgombero di Maroko (1990): il primo sfratto di una comunità informale per «motivi ambientali»: 300mila persone sono state costrette a lasciare le abitazioni per il pericolo di finire inghiottiti dalla marea. La legge imporrebbe un ricollocamento, che però non è mai avvenuto. L’area di Maroko sorge in una delle zone dove ci sono stati i maggiori sviluppi urbani della città. Ha subito un secondo sgombero nel 2012. Qui il ricorso di un’organizzazione locale alla Corte africana per i diritti dell’uomo, con sede in Gambia.
Makoko (2012): Lo sgombero ha colpito 30mila persone. Riporta Landportal.org, sito che monitora i casi di landgrabbing nel mondo, che Makoko è stato uno dei nove slum finanziato con 200 milioni di dollari dalla Banca mondiale. I fondi obbligano le autorità nazionali a sviluppare progetti insieme alla comunità, circostanza che invece non si è verificata. - Badia East (2013): La comunità coinvolta aveva 9mila abitanti. L’area è inserita all’interno di Apapa, complesso urbano che comprende il più importate porto di Lagos. Amnesty International, a sei mesi dallo sgombero, denunciava l’assenza di ricollocamenti. Badia East era un altro slum beneficiario dei fondi della Banca mondiale. Un report interno dell’istituto con sede a Washington del maggio 2012 ammetteva: «C’è un aumento nel numero di progetti [finanziati] che innescano politiche di ricollocamento». “Ricollocamento” che in realtà non si è poi verificato.
- Otodo-Gbame (2017): il caso dove le operazioni sono state più violente. Negli sgomberi, che hanno coinvolto almeno 5mila persone, sono morti in 11 e altri 17 sono da allora dispersi, spiega Amnesty International in un rapporto di aprile 2017. Il governo ha accusato la comunità di offrire un rifugio per i criminali. Bbc riporta che a giugno 2017 la Corte di Lagos ha emesso una sentenza in cui ha definito lo sgombero «incostituzionale» e obbligato lo Stato di Lagos a risarcire e ricollocare le vittime.
«Ho sentito degli spari in aria. “Cosa succede, cosa succede?” gridavo. Poi ho visto i bulldozer che cominciavano demolire. Volevano che ce ne andassimo in due ore: picchiavano le persone con il koboko (una frusta, ndr) affinché si sbrigassero». Padre Vincent Fayemi, un pastore evangelico di circa 60 anni, è appoggiato a una scrivania insieme ad altri quattro sfrattati di Tarkwa Bay. È un sabato pomeriggio di fine gennaio a Sabo Yaba, un quartiere centrale di Lagos. È venuto qui, alla sede della Justice & Empowerment Initiative (JEI), un movimento che raccoglie gli sfrattati di oltre dieci anni in Nigeria e non solo, per una riunione: stanno organizzando una protesta davanti agli uffici governativi.
«C’è un andamento ciclico negli sgomberi: arrivano allo zero durante le campagne elettorale, per poi aumentare subito dopo. È un momento in cui c’è una riduzione delle spazio per le proteste e i primi su cui il governo si sta rifacendo sono i poveri degli slum che come unica ricchezza hanno la terra»
Sgombero continuo
«C’è un andamento ciclico negli sgomberi: arrivano allo zero durante le campagne elettorale, per poi aumentare subito dopo. È un momento in cui c’è una riduzione delle spazio per le proteste e i primi su cui il governo si sta rifacendo sono i poveri degli slum che come unica ricchezza hanno la terra», spiega Megan Chapman. Americana di nascita, vive a Lagos da dieci anni, dove guida JEI, dopo aver lavorato nella cooperazione internazionale. La riunione che conduce sembra una messa evangelica: chi parla si deve alzare in piedi, con una formula declamare a cui il resto dell’uditorio deve rispondere. «Information» grida una donna a cui è stata data la parola. «Power» risponde la folla. Le formule sono diverse, anche in lingua locale. La ritualità aiuta a concentrare l’attenzione su chi sta per parlare e a mantenere un’atmosfera distesa.
Chapman aiuta il movimento sul piano legale: sta conducendo diverse battaglie per pretendere ricollocamento degli sgomberati e compensazione per quanto hanno perso durante le demolizioni. A giugno 2017 il JEI ha ottenuto una sentenza favorevole per la comunità di Otodo Gbame, nella parte nord orientale dell’isola di Victoria, vicino a un altro quartiere di lusso. Sono stati sgomberati tra novembre 2016 e aprile 2017. Le stime dicono che ci abitassero almeno 30mila famiglie. «Le autorità locali hanno fatto appello alla sentenza e la prossima udienza sarà stabilita a giugno del 2021. Nel frattempo usano questa scusa per non ottemperare a quanto stabilito dalla sentenza di primo grado», spiega con un sorriso che tradisce tutta la frustrazione. «Se fosse vero che vogliono combattere i furti di petrolio, che in effetti sono un problema, avrebbero arrestato qualcuno – aggiunge -. Invece no, volevano solo la terra». Eko Atlantic è un intreccio di interessi pubblici e privati: «Anche lo Stato di Lagos ha approvato questo sfratto, ci deve essere un interesse per lo sviluppo dell’area». Nulla però è stato comunicato ai vecchi residenti.
Il 28 gennaio, qualche centinaio di manifestanti sfila da Toll Gate – uno snodo autostradale nella parte settentrionale della città, fino ad Alausa, il quartiere sede dei palazzi governativi. La camminata dura circa un’ora, a bordi delle strade imbottigliate di macchine, come sempre accade nella megalopoli nigeriana. Insieme ai sfrattati, c’è una consistente fetta di persone con disabilità appartenenti a un gruppo che lavora con JEI. Sono venute a esprimere solidarietà. La folla si muove in modo sempre più concitato mano a mano che ci si avvicina alla sede del governo.
Parola chiave: Land grabbing
Il fenomeno del land grabbing si verifica nel momento in cui un pezzo di terra abitato stabilmente da una comunità, spesso informale o povera, viene ripreso con la forza dall’autorità nazionale oppure riassegnato a privati, senza coinvolgere nelle decisioni gli abitanti.
Appena le guardie del palazzo vedono il trambusto, chiudono i cancelli del viale d’ingresso al palazzo del Governo. La reazione immediata è rabbia: qualcuno si appende al cancello, scuotendolo. Dopo qualche ora di stallo, una petizione scritta viene passata oltre le sbarre: la promessa è che nel giro di 24 ore verrà data una risposta ufficiale. Le comunità ancora la aspettano, così le comunità si stanno organizzando per una nuova marcia.
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