Le lobby decidono ancora sul gas in Europa

5 Luglio 2021 | di Francesca Cicculli, Carlotta Indiano

La strada europea per un’economia a zero emissioni entro il 2050 è lastricata di buone intenzioni, ma l’obiettivo è ancora lontano. Nonostante alcuni tentativi concreti da parte dell’Unione europea di limitare le emissioni di CO2, come l’adozione dell’European Green Deal, le lobby dei combustibili fossili e molti degli Stati membri dell’Europa dell’Est, si stanno battendo per mantenere lo status quo energetico. Una battaglia economica e politica che si consuma tra il Parlamento e la Commissione Europea in particolare su come gestire questa fase di transizione. Bloccare tutte le fonti di energia inquinanti, infatti, è particolarmente complesso per alcuni Paesi, che sono ancora molto dipendenti dai combustibili fossili.

La Tassonomia

Per raggiungere gli obiettivi climatici che si è prefissata, l’Unione europea deve riuscire ad orientare efficacemente gli investimenti verso attività che possano essere considerate sostenibili. Per questo motivo, negli ultimi mesi, i lavori della Commissione si sono in parte concentrati nella redazione della Tassonomia degli investimenti sostenibili, una lista verde che classifica tutte le attività produttive sulla base di sei criteri: adattamento al cambiamento climatico, protezione delle risorse idriche e marine, transizione verso un’economia circolare, prevenzione e controllo dell’inquinamento e protezione della biodiversità. Sulla base di queste linee guida, le aziende dovranno dichiarare quanto siano sostenibili le loro attività.

L’importanza della tassonomia sta nel fatto che potrebbe dirottare gli investimenti, sia pubblici che privati, verso progetti sostenibili. Pochi, infatti, sarebbero quelli disposti a investire su aziende e attività che l’Europa non considera verdi.

La storia di questo documento inizia il 18 giugno 2020, quando viene pubblicato il regolamento sulla tassonomia. Il regolamento incaricava la Commissione di stabilire l’elenco effettivo delle attività sostenibili dal punto di vista ambientale, definendo poi i criteri tecnici di selezione attraverso altri documenti successivi: gli atti delegati. Il valore innovativo di questo documento è proprio nella creazione di uno standard univoco, applicabile in tutti gli ambiti.

Esistono già, infatti, altre “liste verdi”, ad esempio le tassonomie stilate da enti finanziari privati, come quelle che regolamentano i Green Bond, titoli i cui proventi vengono allocati su progetti che prestano particolare attenzione all’ambiente. Quella europea dovrebbe rappresentare, al contrario, un documento concordato e approvato in maniera democratica e costruito su basi scientifiche. «Questa in teoria doveva essere la tassonomia del popolo, una tassonomia fatta dagli scienziati e non dai banchieri, decisa su mandato della società civile», ci spiega Luca Bonaccorsi, membro della ONG Transport&Environment (T&E).

Il lavoro di classificazione delle attività verdi per l’Europa è iniziato grazie a un Technical Group of Expert (TEG) selezionato dalla Commissione europea e incaricato di compilare il primo atto delegato della tassonomia, un testo di oltre 600 pagine in cui erano descritte in dettaglio le soglie tecniche di ciascuna delle attività considerate, dall’agricoltura, ai trasporti, alle costruzioni.

A settembre 2020, il lavoro del TEG è terminato e al suo posto è stata creata la Piattaforma per la finanza sostenibile composta da 67 membri scelti per «competenze su temi ambientali, di finanza sostenibile o diritti umani e sociali». «Il lavoro che facciamo noi è quello di prendere tutta la letteratura, chiamare gli esperti e consultarli uno alla volta. Dobbiamo classificare tutte le attività merceologiche, dai blu jeans alle macchine, per sei criteri differenti. Sarà una lista molto lunga», spiega a IrpiMedia Luca Bonaccorsi, che fa parte della Piattaforma come rappresentante della T&E.

La Piattaforma ha scritto una seconda bozza di Atti delegati, sottoposta a consultazione pubblica a dicembre 2020, ma è stata sommersa di critiche e attualmente il processo di approvazione è a un punto morto. Una decina di Stati – Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Grecia, Ungheria, Malta, Polonia, Romania e Slovacchia – hanno infatti chiesto e ottenuto un rinvio dell’approvazione del secondo atto delegato, perché questo nega al gas naturale lo status di combustibile di transizione.

La Commissione europea ha quindi chiesto alla Piattaforma di rielaborare i criteri tecnici della tassonomia. Il 21 aprile 2021 è stato finalmente approvato il primo atto delegato, che stabilisce un limite alle emissioni di Co2 per le attività energetiche pari a 100gCO2e/kWh. Questo atto però ha messo in standby la regolamentazione delle attività che si basano sul gas e sul nucleare, per i quali la Commissione avrebbe intenzione di presentare una proposta legislativa separata entro fine anno.

Questo rinvio, per Luca Bonaccorsi, rappresenta già una grande vittoria per l’industria del gas. Infatti, la prima bozza di atto delegato considerava sostenibile la produzione di energia a base di gas solo se avesse soddisfatto tre criteri piuttosto stringenti: doveva sostituire un vecchio impianto a base di combustibili fossili tagliando almeno la metà delle emissioni per kWh; utilizzare combustibili a basso contenuto di carbonio con meno di 270 grammi di CO2 per kWh, e produrre anche calore insieme all’energia elettrica. Tali limiti erano abbastanza rigidi da escludere di fatto tutte le attività legate al gas dalla lista di quelle sostenibili, quindi il ritardo, per le aziende del gas, significa quantomeno guadagnare tempo.

Il secondo atto delegato è ancora in discussione, ma anche se dovesse passare, nonostante l’opposizione che incontra, dovrà comunque essere approvato dal Parlamento, dove si sta già formando un ampio fronte di opposizione che potrebbe uccidere la tassonomia prima ancora che nasca.

Uno standard europeo per i Green Bond

La proposta di una tassonomia condivisa è arrivata in Commissione parallelamente a quella di un Eu green bond standard. Tassonomia e Eu green bond standard sono i due pilastri del Piano d’azione della Commissione Europea per la finanza sostenibile. Secondo Aldo Romani vicedirettore di Euro Runding per la European Investment Bank (EIB), infatti, investitori, banche emittenti e policy makers stanno cercando un linguaggio unico che possa stabilire cosa può essere condiviso in termini di sostenibilità a livello internazionale e quali sono gli indicatori su cui accordarsi, ma il processo si sta rivelando più difficile del previsto.

«Per essere conforme allo Eu Green Bond standard, l’impiego dei fondi deve essere allineato con la tassonomia che verrà approvata, e fino ad allora con i principi e la logica del regolamento sulla tassonomia entrato in vigore l’anno scorso» , spiega a IrpiMedia.

Nel Climate Bank Roadmap pubblicato a novembre 2020, la EIB, già membro del Teg e poi della Piattaforma per la finanza sostenibile, ha sottolineato l’intenzione di allineare completamente la propria metodologia di monitoraggio per l’azione per il clima e gli obiettivi di sostenibilità ambientale con il quadro definito dalla tassonomia dell’Ue. «Noi abbiamo adottato una documentazione che stabilisce un nesso diretto tra l’allocazione dei titoli e la legislazione europea in materia di finanza sostenibile, incluso il regolamento sulla tassonomia. Nel campo della mitigazione del cambiamento climatico, emettiamo già titoli che vengono allocati a progetti allineati sulla proposta di tassonomia avanzata dal TEG l’anno scorso», spiega Aldo Romani. «Gli indicatori del TEG possono infatti essere utilizzati come riferimento mentre il processo legislativo è ancora in atto, con tempi più lunghi di quelli previsti dal regolamento».

Non solo Tassonomia

Un altro esempio di come gli interessi dell’industria dei combustibili fossili si stiano facendo strada tra le crepe del processo legislativo dell’Ue è rappresentato da un rapporto che il Parlamento europeo ha votato lo scorso maggio. Proposto da Jens Geier, un membro tedesco del gruppo dei Socialisti e Democratici, il documento riguarda la strategia europea per l’idrogeno e considera sia l’idrogeno verde – prodotto da energie rinnovabili – sia l’idrogeno “a basse emissioni” – prodotto da biogas – come “idrogeno pulito”.

In termini di settori rilevanti, il rapporto afferma che l’idrogeno può essere utilizzato «nei processi industriali e chimici; nel trasporto aereo, marittimo e stradale pesante; e nelle applicazioni di riscaldamento». Per ora, questo documento non è legalmente vincolante, ma è l’ennesimo atto politico che rappresenta una buona notizia per i progetti di idrogeno blu, perché avalla l’idea che l’idrogeno proveniente da fonti inquinanti sia anche pulito e quindi finanziabile.

Per approfondire

I volti della transizione energetica

La transizione verso quella che viene definita “economia verde” è una delle sfide del nostro tempo che dovrà contemperare gli interessi economici, sociali e politici con le necessità ambientali del pianeta

Il rapporto ha ricevuto 411 voti a favore, 135 contrari e 149 astenuti. Tra i contrari i Verdi, che continuano a chiedere alla Commissione di stimare «quanto idrogeno a basse emissioni di carbonio sarà necessario ai fini della decarbonizzazione fino a quando l’idrogeno rinnovabile non potrà svolgere questo ruolo da solo, in quali casi e per quanto tempo». Chiedono inoltre alle istituzioni, agli Stati membri e all’industria «di aumentare la capacità aggiuntiva di elettricità rinnovabile al fine di evitare una concorrenza controproducente tra gli elettrolizzatori per la produzione di idrogeno e altri usi diretti di elettricità rinnovabile».

L’idea di utilizzare l’idrogeno blu come strumento necessario per la transizione energetica non è quindi stata ancora abbandonata dall’Europa, che mentre prova a stilare la lista delle attività verdi si ritrova ad appoggiare progetti che già hanno dimostrato i loro limiti in tema di sostenibilità, ma che sono fortemente sostenuti dalle industrie del gas e dagli Stati membri che hanno un’economia basata sulle fonti fossili.

Un futuro energetico basato sull’idrogeno blu e quindi dipendente ancora dai combustibili fossili è prospettato anche dalla Nuova Strategia Industriale, progettata da marzo 2020 e aggiornata il 5 maggio 2021. Dei due allegati di aggiornamento, il più interessante riguarda la produzione di acciaio verde. Secondo la Commissione, infatti, il continuo bisogno di acciaio vergine rende necessario il passaggio a processi tecnologici completamenti nuovi come la riduzione diretta di idrogeno e i processi di siderurgia con Carbon Capture Utilization and Storage (CCUS).

Un punto fondamentale del documento sull’acciaio verde riguarda l’Innovation Fund e l’Emission Trading System (ETS), il primo mercato internazionale dei permessi di emissione di carbonio. Il sistema ETS, si rivolge ai settori industriali caratterizzati da elevate emissioni e fissa un tetto massimo alle emissioni, stabilito a livello europeo, per i soggetti che fanno parte del sistema. In questo modo i partecipanti possono acquistare o vendere sul mercato le loro quote di emissione di CO2, tramite un’asta. Il Fondo per l’innovazione, istituito a marzo 2018 con una direttiva europea è uno dei programmi di finanziamento più grandi al mondo, rivolto alle industrie ad alta intensità energetica, come le acciaierie, che vogliono sviluppare tecnologie innovative a basse emissioni.

Nell’aggiornamento del piano si legge che l’Innovation Fund fornirà 18 miliardi di euro da investire tra il 2021-2030 per lo sviluppo di tecnologie innovative a bassa emissione di carbonio, comprese Carbon Capture and Storage (CCS) e CCUS, con l’obiettivo di portare sul mercato soluzioni industriali per decarbonizzare l’Europa e sostenere la sua transizione verso la neutralità climatica.

Vale la pena sottolineare che non siano solo le associazioni ambientaliste a ritenere la CCS pericolosa e inefficiente ma che la stessa Corte dei conti europea abbia certificato il fallimento di questa tecnologia dopo aver esaminato i risultati ottenuti con il programma European Energy Program for recovery (EEPR).

Le approvazioni di questi ultimi documenti potrebbero confermare le ipotesi di quanti temono che la tassonomia verrà bloccata dal Parlamento, perché sottoposta a continue modifiche da parte di lobby politiche ed economiche. Il Parlamento ha ammesso che la discrepanza tra le diverse definizioni di idrogeno pulito all’interno delle discussioni tra vari attori politici come la Commissione e l’Alleanza per l’idrogeno pulito genera confusione e dovrebbe essere evitato. Ma forse è proprio quella confusione che consente di approvare decisioni che continuano a favorire l’industria del gas.

Editing: Giulio Rubino | Foto: un gasdotto in costruzione in Bulgaria – Deyana Stefanova Robova/Shutterstock

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