Destre d’Italia, la sfida senza confini tra conservatori e identitari
#DisegnoNero
Lorenzo Bagnoli
Paolo Riva
Il 21 aprile 2015, a Roma, la Lega si propose per la prima volta come “nazionale”. Cominciava quel giorno il convegno Verso una Lega nazionale, il debutto nella società politica della galassia di associazioni, fondazioni e think tank identitari italiani. A dicembre 2017 è nata la Lega per Salvini premier, orfana del nome Nord nel simbolo. Sette anni dopo, lo scorso 29 aprile, a Milano, Fratelli d’Italia ha lanciato la conquista al cuore dei conservatori d’Italia con la convention Italia, energie da liberare. «Appunti per un programma conservatore», la definiscono gli organizzatori: tre giorni di dibattiti e discorsi con i quali Fratelli d’Italia ha presentato la sua visione, più ancora che i suoi programmi. I post-fascisti presentano il conservatorismo come la loro rivoluzione per andare al governo.
E se la Lega che un tempo gridava «Roma ladrona» aveva scelto per la sua rifondazione il Dies Romana, il natale della Città eterna, il partito della Meloni, erede di Alleanza nazionale e casa storica dell’estrema destra, ha scelto la capitale del nord produttivo nel 47esimo anniversario della morte di Sergio Ramelli, il militante del Fronte della Gioventù deceduto a seguito dei traumi riportati per l’aggressione di un gruppo di militanti di Avanguardia operaia.
Di-segno nero, il progetto
Di-segno nero è un ciclo di conferenze sulle nuove destre organizzato dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. IrpiMedia cura gli approfondimenti su Italia, Francia, Germania e Polonia.
Sono due momenti di svolta nella storia della destra, sicuramente italiana e potenzialmente europea; due tentativi di costruire programmi alternativi a quelle che ormai sono percepite come le forze “globaliste” di governo, a Roma e a Bruxelles. Però sono anche due occasioni in cui si dimostra quanto la destra italiana oggi sia tanto in linea sul piano ideologico quanto divisa su quello politico. Nei principi, la destra si riconosce nella difesa della cristianità, della cultura di origine greca e latina e della famiglia tradizionale dagli attacchi di agenti esterni, siano essi migranti o funzionari di enti sovranazionali; nella pratica, si spacca in particolare sui modelli da adottare in politica estera e politica economica, come esemplifica il dibattito sulla revisione del patto di stabilità e crescita.
In Italia e non solo: le fratture di casa nostra si sommano a quelle europee. I partiti che si autodefiniscono «legati alla libertà delle nazioni e alle tradizioni dei popoli europei» sono numerosi e in crescita, ma altrettanto sparsi e divisi. Sia per le idee che portano avanti su alcuni temi cruciali – il rapporto con la Russia e il rispetto dello stato di diritto, su tutti – sia per i gruppi del Parlamento Europeo nei quali siedono.
Partiti ed eurogruppi
I gruppi di destra e centro-destra al Parlamento Europeo
ID: Identità e Democrazia unisce Lega, Rassemblement national, Alternative für deutschland e altre sigle minori. Contro l’integrazione Ue e per “un’Europa della nazioni”, è il gruppo più vicino alla Russia.
ECR: i Conservatori e Riformisti Europei sono anch’essi per “un’Europa delle nazioni”, come ID, ma la presenza del PiS polacco pone il gruppo su posizioni antirusse e pro Nato.
PPE: il Partito Popolare Europeo è, storicamente, il gruppo più importante ed europeista. Definibile di centro-destra, ha avuto però nelle sue file fino al 2021 Fidesz, il partito euroscettico del primo ministro ungherese Viktor Orbàn.
I partiti di destra ed estrema destra in UE
PiS: il partito Diritto e Giustizia (in polacco Prawo i Sprawiedliwość, PiS) guida la Polonia dal 2015 con tratti autoritari e illiberali. È atlantista, anti-immigrazione, cattolico tradizionalista.
Vox: partito di estrema destra spagnolo, nato solo nel 2014 ma cresciuto in fretta. I sondaggi lo danno terzo, dopo socialisti e popolari. Al Parlamento Ue siede nel gruppo ECR.
FPÖ: il Partito della Libertà Austriaco è una formazione di estrema destra che ha governato in Austria tra 2017 e 2019 insieme ai popolari. Al Parlamento Ue fa parte del gruppo ID.
Vlaams Belang: “interesse fiammingo” è un partito di estrema destra delle Fiandre, la parte Nord del Belgio. In testa ai sondaggi anche a livello nazionale. Membro del gruppo ID.
PVV: il Partito per la Libertà olandese è una storica formazione di destra nazionalista e populista. Il suo leader è Geert Wilders e la sua collocazione è dentro il gruppo ID.
Da un lato, ci sono i filorussi identitari del gruppo ID, guidato da Lega e Rassemblement National; dall’altro, i conservatori dell’ECR, la cui componente più numerosa è il PiS polacco, anche se la presidenza è nelle mani di Giorgia Meloni. E poi c’è il PPE, la più influente (ed “europeista”) famiglia politica europea che, dopo aver perso Angela Merkel, sembra in declino, anche a seguito della separazione da Viktor Orbán. Il PPE è sempre stato fortemente europeista mentre i partiti alla sua destra, da tempo, criticano aspramente l’integrazione Ue. Ma negli ultimi anni queste divisioni si stanno facendo meno nette. Nell’ultima legislatura, pur avendo avuto un buon risultato alle europee del 2019, ID ed ECR hanno influenzato in maniera solo marginale l’operato delle istituzioni Ue. Non è detto che sia così anche in futuro. E, in questo senso, le elezioni italiane del 2023 potrebbero essere uno snodo cruciale: stando all’opposizione, Fratelli d’Italia è cresciuta nei sondaggi e ora stacca la Lega di governo con un margine intorno ai cinque, sei punti.
«Se guardiamo i sondaggi, il centrodestra unito potrebbe vincere – sostiene Francesco Giubilei, presidente di Nazione Futura, “movimento di idee” nato nel 2017 -. «Il rischio, però, è che ci sia una competizione interna e che può essere davvero dannosa». Poi cita un concetto espresso più volte da Meloni alla convention di Fratelli d’Italia: «Bisognerebbe capire che l’avversario non è interno alla coalizione, ma è esterno». E questo vale sia in Italia, sia in Europa. «Prima delle elezioni europee (del 2024, ndr) – ragiona Giubilei – è molto complicato che possa nascere un progetto di un unico grande gruppo europeo».
Pontieri a Madrid, il leghista conservatore e il talebano
La foto sembra quella di un vertice governativo, e forse si tratta di un auspicio. Ritratti in piedi, ci sono il padrone di casa e leader del partito di estrema destra spagnolo Vox, Santiago Abascal, il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, quello ungherese Viktor Orbán, la presidente del Rassemblement National Marine Le Pen e i rappresentanti di altre nove formazioni politiche europee.
È il 29 gennaio di quest’anno. A Roma, il presidente Mattarella sta per essere rieletto, creando l’ennesima spaccatura all’interno del centro destra. A Madrid, tredici partiti di destra ed estrema destra si ritrovano, mettendo allo stesso tavolo Lega e Fratelli d’Italia. A rappresentarli, rispettivamente, due eurodeputati: Paolo Borchia e Vincenzo Sofo che, nella foto di gruppo, compaiono plasticamente distanti, ai lati opposti della seconda fila. Pur non essendo dei nomi noti al grande pubblico, sono due figure utili per capire dove vanno le destre, in Italia e in Europa.
Borchia, nato nel 1980 vicino a Verona, è a Bruxelles dal 2010. Leghista dai tempi di Bossi, è stato assistente del vicesegretario della Lega Lorenzo Fontana, ha lavorato nel gruppo parlamentare delle destre e poi, alle ultime europee, è diventato lui stesso eurodeputato. Sofo, calabrese, è del 1986: c’era al convegno Verso una Lega nazionale in qualità di presidente di un think tank della galassia sovranista; c’era alla convention di FdI come eurodeputato.
«Ci sono degli spazi di cooperazione giganteschi per quello che definisco un centrodestra alternativo al Partito Popolare Europeo», spiega Borchia nel suo ufficio di Bruxelles a fine aprile, poche settimane dopo una trasferta a Budapest, all’indomani della vittoria di Orbán. In qualità di direttore del dipartimento Lega nel Mondo, Borchia viaggia per incontrare i leader degli alleati europei. Come spiega sul suo sito, dal 2013, si è dedicato «alle relazioni che sfoceranno nella creazione dell’alleanza identitaria con il Front National (oggi Rassemblement National, ndr), l’FPÖ, il PVV e il Vlaams Belang».
«Nelle ultime tre legislature – riprende – ho assistito a un progressivo e ingiustificato sbilanciamento verso sinistra del PPE». I temi cui fa riferimento vanno dai diritti civili alla transizione verde, dalla stessa integrazione Ue alla difesa dello stato di diritto in Paesi come Ungheria e Polonia. La sua posizione è condivisa da molti a destra, ma anche in netto contrasto con alcune letture accademiche. Cas Mudde, uno dei maggiori studiosi dell’estrema destra, per esempio, nel 2020 spiegava a VoxEurop che, a livello europeo, «tematiche, aspetti e protagonisti di estrema destra» sono diventati «convenzionali e normali, soprattutto a causa del Partito popolare europeo», rendendo l’intera politica europea più «autoritaria e nativista». Per Borchia, invece, la questione è soprattutto legata ai partiti nazionali che compongono il PPE, di cui fa parte Forza Italia. A suo parere, le delegazioni di alcuni Paesi, soprattutto nord europei, rappresentano «un centrodestra abbastanza annacquato, un po’ più liberale, meno ancorato ai valori cristiani, conservatori».
Le sfumature della destra, dall’Europa al caso Verona
PPE, ID e ECR corrispondono a tre differenti sfumature del centrodestra. Se il PPE è un gruppo parlamentare governativo, che lavora storicamente in coalizione, ECR e ID raccolgono invece forze più identitarie e radicali, che raramente collaborano con il centro e la sinistra dell’arco parlamentare europeo. Questa differente capacità di coalizzarsi e governare non corrisponde però a una vera differenza ideologica, per come descrive lo scenario Francesco Giubilei. Ci sono quindi proposte politiche diverse per raggiungere obiettivi che alla fine dei conti sono molto simili. Cas Mudde, professore della University of Georgia e grande esperto di populismo, sostiene che ormai si siano erosi i confini tra conservatori e liberali da un lato e estremisti dall’altro. I discorsi del grande insieme allargato dell’estrema destra – corruzione, criminalità, immigrazione, famiglia, difesa della tradizione – sono diventati sempre più popolari a tutto l’arco della destra.
Questo quadro teorico diventa pratica anche nel piccolo. Queste diverse anime della destra, in tutte le loro sfumature e contraddizioni, si vedono ad esempio nelle elezioni amministrative di giugno. Verona è un caso scuola: la città è storicamente una culla della destra, in particolare ultracattolica e tradizionalista. Anche per questo nel 2019 è stata scelta come casa del Congresso Mondiale delle Famiglie.
In questa tornata elettorale, il fronte della destra presenterà al primo turno tre candidati diversi. Sostenuto da Fratelli d’Italia e Lega – divisi al governo nazionale e nei gruppi parlamentari europei, ma uniti sul piano locale – c’è il sindaco uscente Federico Sboarina, tra gli speaker del convegno milanese di Fratelli d’Italia. A sfidarlo c’è l’ex sindaco Flavio Tosi. Già nel 2015 agli Stati Generali raccontava il suo tentativo di annacquare le simpatie per l’estrema destra per presentarsi come centrista. Ex leghista, oggi si presenta con una lista civica tutta concentrata sulla sua immagine di buon amministratore. Uno dei suoi hashtag è #tornailsindaco, per sottolineare l’incapacità della precedente amministrazione, in particolare in materia di sicurezza. A sostenerlo c’è una coalizione di cui fanno parte pezzi del centrodestra come Forza Italia o Coraggio Italia (il movimento del sindaco di Venezia Luigi Brugnaro e del governatore della Liguria Giovanni Toti) ma anche Italia Viva di Matteo Renzi. Il movimento di Tosi aveva già provato nel 2017 a esprimere una sua candidata ma non era riuscito a spezzare il fronte dei partiti tradizionali.
L’ultima formazione, la più radicale e minoritaria, è una lista civica che sostiene Alberto Zelger sindaco. Altro ex leghista, Zelger si definisce ultracattolico e portavoce del Coordinamento nazionale amministratori No Green Pass. Diverge con la Lega per l’appoggio a Draghi, con Fratelli d’Italia per il non essersi imposta contro le mascherine e vaccini. Nei suoi appuntamenti elettorali, ha dato ampio spazio alle voci di canali di disinformazione sulla guerra in Ucraina (come contro.tv) e alla scrittrice e giornalista Ornella Mariani, volto noto del mondo complottista rossobruno. È prevedibile che queste divisioni convergeranno su un unico candidato, nel caso di un ballottaggio, ma sono comunque il sintomo di una maggiore frammentazione rispetto al passato.
Probabilmente Vincenzo Sofo sorriderebbe a sentire il suo ex compagno di partito Borchia pronunciare l’aggettivo «conservatori». Rendere la Lega un partito più tradizionalmente di destra è stato il suo progetto fin da quando nel 2009 ha fondato il think tank dal nome Il Talebano (come si fa una destra). Il nome conferma quanto radicale sia la sua adesione al conservatorismo, da sempre. Direttore è il suo attuale assistente parlamentare locale, Fabrizio Fratus, ex Fiamma Tricolore, ex segretario di Daniela Santanché. Il Talebano, spiegava lo stesso Sofo in un’intervista del 2015 a Q Code Magazine, è nata «come ponte tra i movimenti identitari trasversali, per ampliare la base della Lega Nord». Obiettivo raggiunto, visti i risultati elettorali della Lega e il suo mutamento in partito nazionale.
Nel 2021 ha sposato la nipote di Marine Le Pen, quella Marion Maréchal che, dopo aver militato nel Front National, oggi è nel comitato esecutivo dell’alternativa a destra al RN, Reconquete!. Sofo è ormai un volto sempre più noto a Strasburgo e Bruxelles, ospite e commentatore molto richiesto. Intervistarlo è stato impossibile, quindi bisogna accontentarsi di quanto scrive. In merito alla sua scelta di passare dalla Lega a FdI, afferma sul suo sito che il motivo è il grado di adesione al «fronte identitario», e non i sondaggi, come si può maliziosamente pensare. Scrive Sofo che Salvini, entrando nel governo Draghi, l’ha abbandonato, mentre Meloni lavora per «la costruzione di un campo politico conservatore sufficientemente forte da impedire lo slittamento del centro verso la sinistra».
L’Europa delle nazioni
All’indomani delle europee 2019, le destre avevano accarezzato l’idea di unirsi in un solo gruppo parlamentare, ma distanze ideali e interessi particolari hanno fatto naufragare il tentativo. La cosiddetta internazionale sovranista non è mai nata e i partiti che ne avrebbero potuto fare parte si sono distribuiti tra i gruppi ID, ECR e, in parte, PPE. Poi, con l’uscita del Fidesz di Orbán dal Partito Popolare Europeo e l’acuirsi dello scontro tra Ue, Ungheria e Polonia sullo stato di diritto, si è tornato a parlare di «Europa delle nazioni».
Lo scorso luglio, sedici partiti, tra cui Rassemblement National, Fidesz, PiS, Lega e Fratelli d’Italia, hanno firmato una Dichiarazione sul futuro dell’Europa per «legittimamente resistere» alla creazione di «un superstato europeo». «La cooperazione delle nazioni europee – si legge nella Dichiarazione – deve basarsi sulla tradizione, sul rispetto della cultura e della storia delle nazioni europee, sul rispetto dell’eredità giudeo-cristiana dell’Europa e sui valori comuni che uniscono le nostre nazioni, non sulla loro distruzione».
Geert Wilders, Matteo Salvini, Marine Le Pen, Veselin Mareshki, Jaak Madison e Tomio Okamura durante il comizio “Prima l’Italia! Il buon senso in Europa” a Milano, il 18 maggio 2019 – Foto: Emanuele Cremaschi/Getty
Le due pagine di documento sono poco concrete, ma del resto i punti in comune tra un cartello di organizzazioni così numerose e diverse sono più culturali che politici. «Il dialogo con gli altri partiti europei mi ha portato la consapevolezza che l’agire europeo e globale è necessario anche per i partiti che rivendicano le autonomie territoriali. “Think local, act global”, invertendo quello che era uno slogan di sinistra», ragiona Davide Quadri, international secretary della Lega Giovani che lavora al Parlamento europeo per il gruppo ID; altro tessitore di relazioni che ha iniziato giovanissimo a frequentare le segreterie politiche dei sovranisti d’Europa.
Dopo la Dichiarazione sul futuro dell’Europa, ci sono stati altri incontri d’area, fino a quello di Madrid. Qualche settimana dopo, è iniziata l’invasione dell’Ucraina. Le fratture esistenti sui rapporti con la Russia di Putin sono tornate ad allargarsi, rischiando di diventare insanabili. Da un lato, il PiS polacco è diventato il primo sostenitore dell’Ucraina. Dall’altro, Orbán e Fidesz, pur approvando i primi round di sanzioni, hanno mantenuto uno degli atteggiamenti più ambigui di tutta l’Ue, secondo diversi commentatori di destra anche per motivi storici di contrasto con l’Ucraina.
«Un vento di cambiamento»
In questo contesto, il messaggio che il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha inviato alla conferenza programmatica di Fratelli d’Italia assume particolare rilevanza. L’esponente di PiS prima si augura che gli «ottimi risultati nei sondaggi» portino «un vento di cambiamento nella politica europea» e, subito dopo, ringrazia Meloni per la posizione che ha assunto nei confronti della Russia: «Grazie Giorgia per non aver esitato a fare una netta distinzione tra bianco e nero».
Fin dai primi giorni del conflitto, Meloni si è schierata apertamente. «Oggi è il momento di restare uniti e prendere posizione. E sappiamo molto bene che la nostra parte è il mondo occidentale» ha detto a Orlando, in Florida, intervenendo il 27 febbraio al Conservative Political Action Conference (CPAC), incontro annuale dei conservatori Usa. «Leggo sulla stampa di una presunta svolta atlantista di Giorgia Meloni. Vorrei ricordare che dal Msi a oggi la destra è sempre stata atlantista», ha ribadito la leader di FdI il 6 aprile, dimenticandosi come nella destra radicale ci sia fin dalle origini del Movimento sociale una corrente che non vuole stare con la Nato. In pubblico, però, il risultato è coerenza contro compromissione: a differenza della sorella Lega, i Fratelli d’Italia non hanno mai sfoggiato magliette con il volto di Putin o siglato accordi con il suo partito Russia Unita.
Nello scacchiere politico attuale, Morawiecki è per FdI un alleato più spendibile di quanto non lo sia Orbán per la Lega. La guerra in Ucraina sta allontanando Ungheria e Polonia, con la prima che sembra guardare sempre più ad est e la seconda che invece ha migliorato le sue credenziali nei confronti di Bruxelles. Nel 2023, dopo le elezioni italiane di maggio, ci saranno quelle polacche di novembre: «L’Italia ha bisogno del vostro successo. L’Europa ci conta», si augura il primo ministro polacco.
Le radici
«Voi cercavate di dipingerci come retrogradi che scimmiottano altri tempi, altre storie, e non vi accorgevate che intanto noi costruivamo una storia tutta nostra completamente nuova, disperatamente ancorata al nostro tempo». Giorgia Meloni, dal palco milanese della convention di FdI, rivendica e attacca. Il fascismo è il convitato di pietra del suo discorso. Il “voi” è l’appellativo per rivolgersi all’indistinta schiera di nemici sulla quale FdI ha costruito la sua ascesa. Nemici esterni ma anche interni, che hanno preso le distanze da un partito a lungo ritenuto impresentabile in quanto di estrema destra: «Voi sognate una detra sfigata nostalgica, cupa, perdente e invece noi siamo una destra vincente, siamo una destra seria, moderna, seria, credibile, rispettata, che non si è fatta mettere all’angolo – declama -. […] Continuate a raccontarvi le vostre favolette che noi intanto facciamo la storia».
«L’ideologia mondialista – prosegue – ha bisogno di privarci delle nostre radici». Queste sono il tesoro da difendere per la destra conservatrice. In quelle radici c’è anche il fascismo, come reso evidente da tutta la simbologia che accompagna una parte della militanza di FdI, come la commemorazione di Ramelli. La loro santificazione è un modo per riappropriasi di un pezzo di identità, per screditare gli accusatori e per scongiurare la profezia per cui i post fascisti non possono guidare un governo. L’ultima volta s’è avverata in Francia: per quanto impensabile anche solo cinque anni fa, il consenso di Marine Le Pen non è andato oltre il 40%. E ancora più a destra, Eric Zemmour di Reconquête!, l’intellettuale prestato alla politica con una storia molto diversa da Le Pen e Meloni, sostiene che a perdere sia stata la candidata e non le idee.
«So bene dove è piantata Fratelli d’Italia – dice ancora Meloni -, non so benissimo dove siano piantati gli altri. Spero che vogliano stare con noi». Ancora una volta, coerenza contro compromissioni. Il concetto è benedetto anche dalla vecchia guardia: «Gli alberi senza radici non crescono – ha riferito al Corriere della Sera lo storico portavoce di Giorgio Almirante, Massimo Magliaro -. Noi veniamo da una storia difficile, una storia che nessuno vuole restaurare e nessuno vuole rinnegare». In quelle radici, scommette Fratelli d’Italia, si ritroverà l’intera destra italiana.
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Autori
Lorenzo Bagnoli
Paolo Riva