Gioco d’azzardo: giocate in aumento e l’occhio sull’online per l’emergenza Covid

2 aprile 2020 | di Cecilia Anesi, Matteo Civillini

Non si ferma la febbre del gioco d’azzardo in Italia. Nel 2019 si tocca quota 110 miliardi, un dato costantemente in aumento da oltre un decennio. Numeri da manovra finanziaria che hanno portato nelle casse dello Stato poco più di dieci miliardi nell’anno passato. Ma quanto ci guadagna davvero l’Italia se incassati miliardi dal settore deve fare i conti con i costi sanitari e sociali del gioco d’azzardo? Stando alle analisi della Federazione Italiana degli Operatori dei Dipartimenti e dei Servizi delle Dipendenze (FederSerD), ben poco: più aumenta la dipendenza da gioco più l’incidenza sul sistema sociale sanitario si alza.

In attesa della pubblicazione del Libro Blu – il report sul gioco d’azzardo legale in Italia, redatto annualmente dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM) – l’osservatorio sul gioco d’azzardo di Avviso Pubblico ha ricevuto dagli stessi Monopoli i dati provvisori relativi al 2019.

La raccolta, ovvero l’ammontare complessivo delle puntate effettuate dalla collettività dei giocatori, ha superato i 110 miliardi di euro, un dato salito del 3,5% rispetto al 2018 e aumentato del 132% nell’ultimo decennio. Un altro dato rilevante è quello del giocato pro-capite, con 2.180 euro per cittadino. Un dato che fotografa la “distribuzione” del gioco nella popolazione totale.

Dai dati si nota come l’ammontare delle giocate effettuate dalla popolazione su tutti i giochi disponibili su rete fisica ha superato il miliardo di euro con le province di Roma, Milano e Napoli al vertice della graduatoria. Ultime in classifica invece le province di Isernia, Aosta e Enna. Guardando invece al consumo pro capite, la raccolta più alta da giochi di rete fisica avviene in provincia di Prato, Teramo e Rovigo.

Quota gioco d’azzardo pro-capite in Italia (mld €) | Fonte: Rielaborazione dati IrpiMedia su dati AAMS/Avviso Pubblico

Dati comunque al ribasso, poiché si tratta di una radiografia del solo gioco d’azzardo legale, e controllato dai Monopoli. Difficile stimare la quota di gioco illegale, in particolare quella legata all’online gaming. Un settore che, stando al gioco legale e tracciato, è cresciuto del 70% negli ultimi quattro anni: nel 2019 ha superato i 36 miliardi di euro. Dall’altra parte le indagini giudiziarie degli ultimi anni raccontano di come il gioco online sia cresciuto di pari passo anche nelle sue declinazioni illegali.

Gioco online, un settore permeato dalle mafie

Guadagni stellari, rischi minimi e sanzioni modeste. Il gioco d’azzardo è ormai da tempo terra di conquista per le organizzazioni mafiose. Un’infiltrazione che si è fatta sempre più sofisticata e pervasiva. I gruppi criminali non si muovono solo sui canali paralleli delle slot truccate e delle “bische” clandestine. Si estendono in modo significativo nel perimetro delle attività di gioco apparentemente lecito, come evidenziato anche in una relazione dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Anello particolarmente debole del settore sono i siti web di scommesse gestiti da operatori esteri. Imprenditori portatori di interessi criminali costituiscono società in paesi europei, Malta in primis, dove i controlli sono meno rigidi.

Grazie alle normative comunitarie possono poi aprire sale scommesse in tutta l’Unione, compresa l’Italia, a patto che i clienti registrino un proprio profilo in cui caricare fondi con la carta di credito, e giochino direttamente sul sito connesso ai server esteri. Spesso in Italia le cose vanno diversamente. I giocatori d’azzardo entrano in un punto vendita dove pagano in contanti per scommettere online. Giocate che, a questo punto, non transitano più da un account individuale, ma da una cassa unica che rende le scommesse anonime. Una pratica del tutto illegale per gli operatori non riconosciuti dall’AAMS (i monopoli italiani), non fosse altro perché permette anche di creare enormi fondi neri.

Quota delle giocate in Italia e gettito fiscale (mld €) | Fonte: Rielaborazione dati IrpiMedia su dati AAMS

In questo modo i flussi finanziari sfuggono al monitoraggio delle autorità italiane, lasciando la porta aperta a maxi-operazioni di riciclaggio ed evasione fiscale.

Numerose indagini giudiziarie hanno evidenziato inoltre come concessionari di siti legali gestiscano contemporaneamente anche piattaforme di gioco illecite e si rivolgano ai vertici delle più potenti famiglie di ‘ndrangheta, Cosa Nostra e Camorra per garantire la diffusione sul territorio. È il caso, per esempio, dei fondatori del noto marchio Planetwin che, fino almeno a tutto il 2017, hanno operato su un doppio binario. Ufficialmente i loro centri scommesse disponevano di una licenza dell’AAMS. Ma, parallelamente, hanno creato un circuito di scommesse illegali stringendo alleanze con gruppi criminali, tra cui spicca la famiglia Martiradonna di Bari, veri “padroni” dell’infiltrazione mafiosa nel gioco online. Una sorta di franchising criminale che rende tutti contenti: la potenza di fuoco dei clan spazza via la concorrenza in cambio di una fetta dei guadagni. A perderci è lo Stato: 124 milioni di euro sono state le imposte evase da Planetwin, secondo le contestazioni della Guardia di Finanza.

I costi sociali del gioco d’azzardo

La consapevolezza della gravità che può assumere la dipendenza da gioco eccessivo è ormai abbastanza diffusa, ma non sembra essere ancora accompagnata da un’attenzione particolare.

Uno studio della FederSerD ha appurato che circa un italiano su due gioca d’azzardo almeno una volta nel corso di un anno, ma la maggior parte non spende più di 10 euro al mese. Non tutti diventano ludopatici, certo, ma nel solo 2015 i giocatori d’azzardo problematici erano circa due milioni.

«Credo che nel post-crisi sanitaria da Covid19 si debba porre moltissima attenzione, perché è chiaro che una delle ragioni per cui la gente gioca è un’aspettativa miracolistica di risolvere i propri problemi, e da questo punto di vista sicuramente la situazione di crisi economica gravissima come quella che si preannuncia rischia di spingere la gente a giocare»

Alfio Lucchini, esecutivo nazionale FederSerD

Per calcolare il costo sociale, lo studio FederSerD si basa su dati 2014 quando la raccolta si aggirava attorno agli 84 miliardi, e stabilisce un costo sociale di almeno 2,7 miliardi di euro. Abbiamo voluto chiedere ai ricercatori se è verosimile pensare che i costi sociali, a fronte di un aumento di raccolta nel 2019 a 110 miliardi di euro, sia salito proporzionalmente.

«Sarebbe importante – dice a IrpiMedia Alfio Lucchini, psichiatra e componente dell’esecutivo nazionale di FederSerD – proseguire gli studi e capire se l’incidenza del costo sociale è in aumento. Con le difficoltà sanitarie e sociali di oggi, è prevedibile un’impennata di spesa».

«Credo che nel post-crisi sanitaria da Covid19 si debba porre moltissima attenzione, perchè è chiaro che una delle ragioni per cui la gente gioca è un’aspettativa miracolistica di risolvere i propri problemi, e da questo punto di vista sicuramente la situazione di crisi economica gravissima come quella che si preannuncia – conclude Lucchini – rischia di spingere la gente a giocare».

La ludopatia è un problema che negli ultimi anni sta impattando sempre di più sul sistema sanitario e i ricercatori evidenziano come i costi siano sottostimati perché si limitano a quelli di natura pubblica – ovvero quanto grava sulle casse dello Stato assistere un ludopatico – e non prendono in esame i costi privati che gravano sulla famiglia del ludopatico, inclusa la spesa sanitaria. Inoltre nelle stime non si prende in considerazione l’impatto del mancato utilizzo alternativo di risorse che avrebbero potuto essere impiegate in attività produttive e investite in consumi, nonché gli effetti di usura e fenomeni di illegalità.

Costi indiretti che dovrebbero essere presi in considerazione, sottolinea l’ultimo rapporto di FederSerD sulle ludopatie. «Parliamo – si legge nel rapporto – dei costi per il sistema sanitario e di welfare, della prevenzione e repressione di reati collegati alla dipendenza, ma anche la diminuzione della produttività sul lavoro del giocatore e molto spesso la perdita del posto di lavoro stesso, i sussidi collegati, i fenomeni di indebitamento, la bancarotta e l’usura, l’incremento delle rotture familiari, l’impegno di risorse sistema giudiziario, sanitario e previdenziale».

Infografiche: Lorenzo Bodrero | Foto: Hello I’m Nik/Unsplash

Africa, il nuovo paradiso del gioco d’azzardo

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Africa, il nuovo paradiso del gioco d’azzardo

Lorenzo Bagnoli
Matteo Civillini
Dario De Luca

Lo scommettitore seriale, oggi, non frequenta più i casinò. A fiches e tavoli verdi si è sostituito il gioco online. Due click, anche da cellulare, e la puntata è fatta. L’Africa è la nuova terra promessa dei paperoni del settore. Sponsorship per il ricco calcio inglese, campagne pubblicitarie imponenti, testimonial famosi e una capillare diffusione di internet e smartphone: Nairobi, per le aziende dell’azzardo, è come Londra.

Il settore si mangia ogni anno due miliardi di dollari buttati in giocate dalla popolazione, di cui il 36,1% (dati Banca Mondiale) vive sotto la soglia di povertà. Dopo Malta e Regno Unito, il Kenya è stato per almeno gli ultimi cinque anni il luogo dove investire: un mercato ancora vergine, con pochi competitor, dove gli smartphone sono diventati un bene di consumo anche negli strati più bassi della popolazione. Da questo giugno, però, l’incantesimo si è rotto. Ottenere la licenza è diventata una guerra: la musica è cambiata per questioni di denaro e politica.

Numerosi studi statistici, tra cui quelli di PricewaterhouseCoopers, tracciano una sorta di profilo dello scommettitore medio del Kenya, Paese che insieme a Nigeria e Sudafrica registra il maggior numero di scommettitori in Africa. Per il 70 per cento under 35 e, solitamente, disoccupati.

Ma ci sono anche molti minori, attratti dal guadagno facile nonostante la legge vieti loro le puntate: «Nella maggior parte dei casi i giovanissimi giocano con un telefono e la complicità degli adulti o all’interno dei cyber caffè», spiega a Il Fatto Quotidiano Jennifer Kaberi, del National Coordinator for Children Agenda Forum. Ma dove trovano i soldi? «Alcuni fanno i lavori più disparati come il lavaggio auto o i lavori domestici. Qualcuno invece ruba o utilizza i risparmi che servirebbero per le tasse scolastiche». Il gioco inizia quindi a emergere come piaga sociale.

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Il nuovo corso è stato imposto dall’attuale capo di Stato Uhuru Kenyatta attraverso il suo ministro dell’Interno, Fred Okengo Matiang’i, che ha fatto del contrasto all’azzardo la sua campagna politica (per quanto la materia non sia di stretta competenza del suo ministero). Ha deciso di sospendere 27 licenze, per riassegnarle a gruppi nuovi, più piccoli. Sui beneficiari ultimi del settore delle scommesse si vocifera da sempre sui media kenyoti. L’ultimo nel mirino, è il figlio dell’ex presidente Kibaki: sarebbe a capo di Odibet, attualmente il gruppo di scommesse più forte del Paese. Persino Matiang’i, il grande censore dell’industria delle scommesse, è tra i presunti beneficiari: avrebbe quote della BetLion, nuova titolare della licenza per le scommesse.

L’attuale regolamentazione ha messo in ginocchio i vecchi titolari delle licenze perché è cambiata la base imponibile sulla quale le aziende dell’azzardo pagano le tasse: invece del netto della vincita, come accadeva prima, ora è l’intero importo giocato, più la vincita. Modifica retroattiva, che riguarda l’intera storia fiscale in Kenya di un’azienda del settore. Il risultato è stato un conto di diverse centinaia di milioni di euro, cifra irricevibile in particolare per tre società – SportPesa, BetIn e BetWay – che pesavano per l’80% del mercato.

La guerra alle scommesse fa in realtà parte di uno scenario più ampio: lo scontro tra Kenyatta e il suo vice, William Ruto, il quale vorrebbe succedergli alle presidenziali del 2022. Gli effetti sono stati immediati: 17 dirigenti stranieri di società di betting e gaming non possono più rientrare nel Paese. È accaduto anche a due cittadini kenyoti di origini italiane: Leandro e Domenico Giovando, padre e figlio. Proprietari di Gamcode, società che in Kenya opera con il marchio BetIn, e che adesso sono bloccati a Londra. Eppure Nico Giovando in Kenya ci è nato.

Nesti e Giovando, i decani dell’azzardo alla conquista dell’Africa

La guerra delle licenze per il gioco d’azzardo, in Kenya, è cominciata con una fake news: «Il vicepresidente Ruto ha quote nascoste dentro BetIn», si leggeva mesi fa sulla stampa locale. I documenti ufficiali forniti dalla società a Il Fatto quotidiano smentiscono questa versione. BetIn, infatti, risulta principalmente italiana. Gamcod Ltd, proprietaria del marchio, per il 10% è di Leandro e Domenico Giovando, mentre il 90% è di una società delle Mauritius, Samson Capital Investments Limited, il cui socio di maggioranza è un imprenditore, anche lui italiano, residente a Londra: Stefano Nesti. Un decano, come Giovando, dell’industria dell’azzardo. Il loro fiuto per gli affari li ha portati tra i primi in Africa: i due, infatti, operano insieme anche in Nigeria con il marchio Bet9ja.

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Sanno entrambi che se si vogliono mettere al sicuro gli introiti è prudente che le società di gioco abbiano forzieri nascosti offshore e sistemi societari complessi, a discapito della trasparenza. L’azzardo è un gioco rischioso: bisogna adattarsi a mercati e Paesi con regole ed equilibri politici che possono cambiare in un baleno, come dimostra il caso del Kenya. Qui BetIn contava però già sulla reputazione dei Giovando, famiglia molto in vista nel Paese, e contava su due partner kenyoti, uno dei quali sposato con la nipote di Museveni, il presidente dell’Uganda (anche se per i legali di Giovando non è una figura politicamente influente). Non è stato sufficiente.

La partnership tra Nesti e Giovando esiste dal 2012, quando Nesti deve ricostruire una società, Goldbet, che ha rilevato da Paolo Tavarelli, nome all’epoca ancora poco noto, ma ormai ricorrente nelle inchieste sulle scommesse illegali in odore di mafia. Quando Tavarelli lascia Goldbet con il fardello di parecchi debiti per aprire una società concorrente, PlanetWin/Sks365, Nesti inizia la sua “guerra giudiziaria” con l’ex amministratore delegato: i due, dichiarano gli avvocati di Nesti e Giovando a Il Fatto Quotidiano, «non avranno mai più alcun rapporto». Nesti tra il 2004 e il 2006 è stato socio e manager del rischio anche di Paradisebet, società dei Martiradonna, famiglia che s’incontra spesso nelle inchieste su mafia e scommesse.

A novembre 2018 la Dda di Bari scrive che tra Nesti e i Martiradonna si apre una causa legale nel momento in cui l’imprenditore prova a comprarsi l’intera società. I due – spiegano gli avvocati di Nesti – non hanno più avuto rapporti, per quanto i Martiradonna abbiano cercato di infilarsi anche nei mercati africani dove operano Nesti e Giovando. in Kenya, riporta la procura antimafia di Bari, i Martiradonna avrebbero cercato una sponda, senza mai concludere l’affare, con John Kamara, imprenditore nel settore blockchain e nel gioco online tra i più famosi del continente.

In Nigeria, invece, secondo i riscontri dell’indagine Galassia (novembre 2018), contano sull’attuale portavoce della Camera dei rappresentanti, Femi Gbajabiamila e sul fratello Lanre, capo del National Lottery Board, il regolatore del gioco in Nigeria. L’email pubblica del parlamentare risulta tutt’oggi legata a due siti di scommesse, ora non più raggiungibili: quickbet247.info e kwikbet247.info. Quest’ultimo compare anche nelle carte delle Dda italiane: sarebbe un marchio aperto nel 2016 dal politico nigeriano con gli emissari dei Martiradonna e il supporto del fratello Lanre, l’uomo che concede le licenze in Nigeria.

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Autori

Lorenzo Bagnoli
Matteo Civillini
Dario De Luca

In partnership con

Editing

Lorenzo Bagnoli

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