Da un procedimento giudiziario si scopre il tentativo di uomini di mare di aggiudicarsi alcune delle navi protagoniste di episodi di contrabbando tra Libia, Malta e Italia dal 2015 al 2017
Tra mafia e scommesse, perché Malta è la nuova isola del tesoro
#PiratiDelMediterraneo
Matteo Civillini
Se soltanto i luoghi in cui si affollano avessero un indirizzo, dei tavoli verdi su cui depositare delle fiches, una leva da afferrare per far girare una slot, Malta conterebbe più giocatori d’azzardo che abitanti. Perché sull’isola, ogni giorno, ventiquattro ore su ventiquattro, 300 casinò virtuali macinano centinaia di migliaia di giocate. A gestirli sono società di gioco a distanza, con clienti lontani. “Gambling”, “Betting” on line. Un business che ha fatto da volano all’economia di Malta. Cercato e voluto a cominciare dal 2004, quando il governo guidato dall’allora primo ministro nazionalista Lawrence Gonzi introdusse la prima legge sul gioco online nell’Unione Europea.
Oggi, quattordici anni dopo, Malta ha la più alta concentrazione di operatori del gioco d’azzardo d’Europa fiscalmente domiciliati sull’isola, cui garantiscono il 12 per cento del PIL. La crescita esponenziale del “gambling” on line aveva incuriosito Daphne Caruana Galizia, la giornalista investigativa uccisa con un’autobomba il 16 ottobre scorso. Il “Daphne Project” (consorzio di 18 organizzazioni giornalistiche di 15 diversi Paesi, e di cui IRPI e Repubblica fanno parte) ha lavorato per cinque mesi per completare anche questo capitolo del suo lavoro. Traendone una conclusione. Che quella del gambling maltese è la storia di un successo economico pagato a caro prezzo: infiltrazioni criminali, riciclaggio e una preoccupante commistione tra organismi di controllo e controllati indicano che l’isola continua a permettere un uso spregiudicato delle licenze per questo tipo di business.
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A Malta può contare sul messinese Massimo Laganà, che lì organizza importanti eventi di poker nel casinò di Portomaso e collabora con “Planetwin365”, uno tra i marchi di betting online più noti. A Malta il passato in chiaroscuro Laganà può lasciarselo alle spalle. In Italia era stato indagato per gioco online abusivo e per avere facilitato il clan dei Casalesi con la distribuzione di slot machines, ma ne è poi uscito pulito. Per Romeo, l’esperto di Poker ha la giusta esperienza e gli affida quindi un compito importante: aprire molteplici siti online, senza che vengano registrati con l’Autorità dei Monopoli di Stato, cui potersi agganciare dai computer di centri scommesse aperti tra Catania e Messina. Un sistema capace di generare profitti milionari, rigorosamente in contanti e da portare poi a Malta.
In teoria, le regole per evitare gli abusi esistono. Chi ottiene una licenza a Malta, come in qualsiasi altro paese europeo, può aprire sale scommesse in tutta l’Unione, a patto che i clienti registrino un proprio profilo in cui caricare fondi con la carta di credito, e giochino direttamente sul sito connesso ai server maltesi. In modo tale che le transazioni possano essere tracciate dagli organismi di controllo. E tuttavia, in Italia, le cose vanno diversamente. La maggior parte dei giocatori d’azzardo entrano in un punto vendita dove pagano in contanti per scommettere online. Giocate che, a questo punto, non transitano più da un account individuale, ma da una cassa unica che rende le scommesse anonime. Una pratica del tutto illegale per gli operatori non riconosciuti dall’AAMS (i monopoli italiani), non fosse altro perché permette anche di creare enormi fondi neri. I contanti delle giocate raccolti nella sala scommesse vengono quindi affidati a degli spalloni, alcune volte dei veri e propri broker finanziari, che si occupano di trasferirli fisicamente in qualche istituto bancario “distratto”.
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In Italia, a Malta o in Svizzera. In altri casi, come scoperto recentemente dalla Procura di Palermo, il denaro viene “caricato” (versato) nell’account di un giocatore connivente o di un gestore di un centro scommesse affiliato ai clan, che, in questo modo, diventa la cassaforte per il denaro destinato alle giocate on line e per i proventi di attività illecite tipiche delle mafie. Insomma, una sorta di “libretto al portatore” 2.0 per i soldi delle mafie.
È quello che avrebbe voluto continuare a fare Vincenzo Romeo, se solo non fosse stato fermato. Sia lui che il suo braccio destro Laganà sono stati infatti arrestati lo scorso luglio dalla Procura di Messina per associazione mafiosa e raccolta di scommesse abusive. Accuse, come ha detto a Repubblica il suo avvocato che «Laganà sarà in grado di dimostrare infondate di fronte a un tribunale». Romeo non è stato il solo a coltivare il business del gioco d’azzardo sull’asse Malta-Sicilia. Lo scorso 26 gennaio la Procura di Palermo conclude infatti un’indagine che rivela per l’ennesima volta l’infiltrazione delle mafie italiane nell’industria del gioco maltese.
Tra gli arrestati c’è anche Benedetto Bacchi, accusato di aver stretto un’alleanza con Cosa Nostra palermitana per garantirsi il monopolio delle sue piattaforme di gioco d’azzardo online liberandosi di ogni forma di concorrenza. Grazie a Mario Gennaro, un bookmaker che all’epoca operava per conto della ‘Ndrangheta di Reggio Calabria, Bacchi ottiene infatti in prestito delle licenze maltesi con cui offrire gioco online a Palermo. Arriva a raccogliere oltre 15 milioni al mese di euro in giocate. In cambio, stando all’accusa, i suoi punti scommesse diventano una cassaforte per i soldi dei clan palermitani. La Dda descrive il sistema come una sorta di “bancomat” che ha permesso ai boss di Cosa Nostra di avere accesso ad un “continuo flusso di denaro” grazie a prelievi in contante che avvenivano puntualmente per qualsiasi necessità delle cosche.
«Prova a prendermi»
Le continue indagini sugli interessi mafiosi nel gioco online a Malta hanno macchiato profondamente la reputazione dell’intera industria, anche di quella che opera in una cornice di piena legalità. Non a caso, una fonte del settore ha spiegato a IRPI come alcune grosse aziende di gambling abbiano dato un ultimatum alla Malta Gaming Authority (MGA), l’Agenzia di controllo maltese, pretendendo un intervento. In mancanza del quale, avrebbero lasciato l’isola. Per questo, spinta dal timore di perdere clienti importanti, l’MGA si è impegnata a un’analisi approfondita dei suoi concessionari italiani prendendo in breve tempo alcuni provvedimenti. Il più evidente dei quali è stata la revoca della licenza di “Leaderbet”, marchio di scommesse diffuso in tutta Italia e citato anche nell’indagine palermitana.
L’MGA non ha motivato il provvedimento di revoca. Ma, stando agli atti giudiziari, a Palermo il marchio “Leaderbet” sarebbe stato sponsorizzato dalle famiglie mafiose di Partinico e Resuttana. Anche se la vera spinta imprenditoriale sarebbe arrivata da Mazara del Vallo, dove si gestiva la diffusione del brand. Per altro, proprio qui, sulla costa trapanese, gli investigatori hanno scoperto che i milioni incassati con il gioco online avrebbero addirittura finanziato la latitanza di Matteo Messina Denaro. Ed è per questo che i carabinieri arrestano Carlo Cattaneo, imprenditore in erba del gioco d’azzardo di Castelvetrano, che faceva la spola tra la Sicilia e Malta. Controllava decine di centri scommesse in tutta la Sicilia occidentale, che assicuravano guadagni di centinaia di migliaia di euro alla settimana. Un po’ per lui, un po’ per Messina Denaro e famiglia.
C’è di più. Cattaneo avrebbe fatto il doppio gioco. Ufficialmente, le sue agenzie di scommesse avevano l’insegna di “Betaland”, un noto marchio registrato a Malta e autorizzato a operare in Italia, che non ha alcun legame con l’inchiesta e che ha interrotto ogni rapporto con Cattaneo. Ma, in realtà, le piattaforme di Cattaneo nascondevano un banner invisibile ma noto a gestori conniventi di centri scommesse. Un banner che, cliccato, consentiva di accedere al sito “Bet17Nero”, il vero brand di Cattaneo. Si offriva così un servizio illecito, ma molto apprezzato dai giocatori. Garantiva quote con vincite più alte, capaci di sbaragliare qualsiasi concorrenza. E lo faceva grazie alla possibilità di evadere il fisco italiano. Anche “Bet17Nero” porta a Malta. I dati di registrazione dei domini web svelano infatti che dietro a questo marchio c’è la “LB Group”, società di Gzira, quartier generale del gioco d’azzardo di Malta, che controlla anche il marchio Leaderbet. Leaderbet ha dichiarato a La Repubblica che «Cattaneo non è nulla di più che un cliente comune. Con contratti standard. Che ha operato con LB Group solo per un limitatissimo periodo temporale e non ha mai destato sospetti per operazioni anomale».
È un fatto che la licenza maltese di Leaderbet sia stata ritirata dalla MGA, ma che Leaderbet continui a raccogliere scommesse nei punti vendita italiani e i suoi operatori proseguano ad operare dall’ufficio di Gzira. E su questo, sempre a Repubblica, Leaderbet ha sostenuto che «l’azienda ha acquisito una ulteriore licenza, e non ha mai interrotto la propria attività». Irpi ha così scoperto che in Italia Leaderbet opera grazie ad una scappatoia. Tiene in vita i propri servizi dichiarando sul proprio sito di usare la licenza austriaca di un’altra azienda di giochi online, la Tipexbet. Quel che sorprende però è che a Repubblica Tipexbet dichiara di non avere mai autorizzato Leaderbet all’uso della propria licenza. Dicono di essersi accorti solo ora che Leaderbet si «appoggiava» alle loro licenze da un mese, e di essere riusciti a rimuoverle dal loro sito con successo oggi pomeriggio. «La legge austriaca non permette a terzi di usare la nostra licenza. Abbiamo proceduto a informare i nostri legali per diffidare Leaderbet e chiedere una sanzione pecuniaria».
Chi debba risponderne rimane un mistero. Dal registro delle imprese maltese risulta che l’amministratore sia un ragusano su cui non esistono informazioni. E l’identità del proprietario di Leaderbet è protetta da una serie di scatole cinesi. Il capitale è infatti detenuto da una holding maltese, che a sua volta fa riferimento a una società di consulenza. Fino al 2016, quel ruolo di fiduciaria era ricoperto dalla “GVM Holding” di David Gonzi, figlio dell’ex primo ministro Lawrence. Proprio colui che nel 2004 diede il là all’industria del gioco d’azzardo online. Del resto, il trust di Gonzi sembra essere stato molto popolare tra gli operatori italiani, compresi i siciliani indagati dalla Procura di Palermo. Per il suo servizio prestato anche a Mario Gennaro, il bookmaker della ‘Ndrangheta poi diventato collaboratore di giustizia, David Gonzi finì iscritto al registro degli indagati dell’Antimafia di Reggio Calabria.
Ma la sua posizione è stata poi archiviata per insufficienza di prove. Un ruolo chiave quello dei trust maltesi che è proprio Gennaro a raccontare ai pm. “Ci sono delle società di consulenza – dice a verbale – che se tu ti vuoi, diciamo ipoteticamente, nascondere, quindi non fare apparire la vera proprietà, loro si prestano. Per esempio, la Unit Group era appunto la nostra società, le risulta che il proprietario della Unit Group è la Star Games – dice al pm, continuando la spiegazione. “E chi è Star Games? Il proprietario di Star Game è GVM, che è la fiduciaria, chi è dietro GVM non me lo dicono”. David Gonzi ha dichiarato a Repubblica di «non essersi mai incontrato o aver parlato con Mario Gennaro» e che «dal Dicembre 2015 la GVM Holdings ha cessato la propria attività».
Dalla MGA alla Mafia
L’avvocato maltese Anthony ‘Tony’ Axisa è uno dei pionieri del gaming a Malta. Oggi è un affermato consulente per decine di società, ma fino al 2006 era uno dei controllori dell’MGA. Fu addirittura lui a disegnare le normative nazionali per il gioco online: un ruolo di primissimo piano che gli ha permesso di acquisire una perfetta conoscenza del settore e preziosi contatti da mettere a disposizione dei propri clienti. Axisa ha aperto dozzine di società di gambling e avviato vari marchi, tra cui Bet1128, che stando alle indagini della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro sarebbe riconducibile alla criminalità organizzata. A guidare la società – scrivono i pm – è Francesco Martiradonna, figlio di “Vitino l’Enel”, un barese già condannato per associazione mafiosa. Martiradonna – arrestato a maggio 2017 – è accusato di aver stretto un patto commerciale con il potente clan Arena di Isola di Capo Rizzuto, mettendo di fatto a disposizione il suo marchio Bet1128.
Nel 2009, la Bet1128 viene trasferita in fretta e furia da Londra a Gzira, dopo che le autorità britanniche avevano risposto positivamente a una richiesta di sequestro e di sospensione delle licenze a seguito di un’indagine dell’antimafia barese. A Malta, il marchio finisce nella mani di una azienda aperta per l’occasione, Centurionbet, amministrata da Tony Axisa e controllata da società di comodo con sede in paradisi fiscali nei Caraibi. Il nome di Martiradonna è scomparso.
Ma le conversazioni intercettate dalla Guardia di Finanza di Crotone, guidata dal Colonnello Emilio Fiora, svelano che Martiradonna il brand Bet1128 non lo ha mai abbandonato. Sarebbe stato lui, infatti, il burattinaio. Gestiva i contatti a Malta. Raccoglieva gli incassi in contanti e viaggiava in lungo e il largo per l’Italia e il mondo, America Latina compresa, a stringere nuovi accordi commerciali. Inclusi quelli con il clan Arena. L’avvocato di Martiradonna ha detto a Repubblica che il suo assistito «chiarirà la propria posizione in sede giudiziaria».
La misura di Catanzaro dipinge un quadro di un’imprenditoria espressione e strumento di interessi mafiosi. Il boss Pasquale Arena avrebbe infatti imposto i termini di gioco della Bet1128 in centri scommesse e bar del territorio di riferimento, in cambio di una percentuale sui guadagni. A giugno 2017, un mese dopo gli arresti, la Malta Gaming Authority sospende tutte le licenze concesse alla Centurionbet. Le autorità maltesi non rispondono però alla richiesta di sequestro preventivo avanzata dal Tribunale di Catanzaro, nonostante il timore che il patrimonio dell’azienda potesse venire spostato offshore. La mancanza di collaborazione manda su tutte le furie il Procuratore Capo Nicola Gratteri che in un’audizione della Commissione Parlamentare Antimafia dichiara: «Ho più facilità a collaborare con la Colombia e col Perù che con Malta. Se Malta decide di non collaborare con l’Italia, o risponde con sei mesi o un anno di ritardo, l’indagine sarà inutile».
A gennaio di quest’anno è stato richiesto nuovamente il sequestro tramite rogatoria. Dopo una cordiale risposta, i maltesi sono spariti per fare capolino nuovamente solo quando Repubblica ha contattato la Procura Generale Maltese per un commento. Il Procuratore Generale Peter Grech ha dichiarato di avere proceduto all’esecuzione della misura e di averlo già comunicato alla controparte italiana. In Calabria però il decreto maltese non è ancora arrivato. Alla richiesta di potere vedere il decreto da parte di Repubblica, il procuratore Grech ha risposto picche. Resta quindi incerto su cosa, esattamente, i maltesi abbiano apposto i sigilli. Anche considerato che all’ufficio di Tas-Sliema 11, a Gzira, Centurionbet non c’è piu.
“Centurionbet ha fatto le valigie e se ne è andata in tutta fretta lo scorso dicembre”, ha spiegato a IRPI la receptionist dell’edificio che ospitava l’ufficio di Centurionbet. Oggi, al suo posto lavora una start-up norvegese del gioco online. Ma, un piano più in basso, in un ufficio identico e completamente vuoto, seduto all’interno di un box di vetro, c’è una vecchia conoscenza. Si tratta di un ex manager di Bet1128, e uomo fidato di Francesco Martiradonna, la mente dietro Centurionbet. Dal gioco d’azzardo si è lanciato in una nuova avventura: “Ivy Net Ltd”, un’azienda che offre sistemi di pagamento in criptovalute. Un rappresentante di Ivy Net raggiunto da Repubblica ha negato alcuna connessione con Centurionbet, dichiarando che l’attuale manager è stato scelto per le sue competenze e che è un “professionista serio e persona onesta”.
Ivy Net dichiara anche di avere scelto quell’ufficio per puro caso, ma stava cercando in quella zona, a Gzira. Non è una coincidenza. Il quartiere sta infatti diventando il quartier generale delle criptovalute, dopo avere ospitato per anni il gambling. Come accaduto per il gioco online più di un decennio fa, Malta ora si sta proponendo come la prima capitale al mondo delle monete virtuali. L’attuale primo ministro laburista Joseph Muscat le ha definite “il futuro” e sta spingendo affinché nel paese venga introdotta la prima normativa al mondo del settore. Quella delle criptovalute è ancora un’industria indecifrabile, tra grosse potenzialità e timori di illegalità diffusa. Per questo, diversi paesi se ne tengono alla larga. Muscat è comunque pronto a scommetterci. “È come navigare in acque inesplorate, dove non abbiamo una mappa da seguire. Ma cammineremo, impareremo e saremo in testa,” ha dichiarato il primo ministro nel marzo del 2018. “Anche se ci saranno degli ostacoli lungo la strada, saremo i pionieri del mondo. La nostra direzione è chiara.” Un decreto legge è attualmente in discussione nel Parlamento di La Valletta. Se approvato, il compito di regolamentare l’industria delle monete virtuali ricadrà sulla Malta Financial Services Authority (MFSA), l’autorità finanziaria del paese. Alla sua guida a quel punto ci sarà Joseph Cuschieri, fino a poche settimane fa a capo della Malta Gaming Authority.
Porte girevoli. A Malta tutto cambia, perché nulla cambi.
CREDITI
Autori
Cecilia Anesi
Matteo Civillini
In partnership con
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