Vigilia del voto in Kenya: indagini ferme per le dighe della discordia
Lorenzo Bagnoli
The Elephant
«Le dighe di Kimwarer e di Arror sono state cancellate per punire i miei sostenitori». William Ruto – il vicepresidente del Kenya, candidato tra i più accreditati per vincere le elezioni presidenziali del 9 agosto – parla delle infrastrutture bloccate con l’accusa di essere al centro di un caso di corruzione internazionale di fronte alle telecamere di KTN News Kenya. È il 26 luglio, giorno del Dibattito presidenziale 2022 in diretta televisiva. Ruto però è da solo: il suo principale sfidante, Raila Odinga, ha deciso di non presentarsi per evitare di condividere il palco con una persona che «non ha alcun rispetto per l’etica, la morale pubblica o la vergogna e manca di decenza», si legge in un comunicato. Il riferimento è ad alcuni episodi della campagna elettorale, in particolare alcuni attacchi sessisti alle candidate degli altri schieramenti. Indagato dalla Corte penale internazionale per le violenze post elettorali del 2007 (poi assolto), Ruto è stato coinvolto in diversi scandali in Kenya per corruzione, furto di terra e persino per l’omicidio di un imprenditore, Jacob Juma.
Omicidio a Nairobi
Il 16 maggio 2016 il corpo di Jacob Juma, noto e controverso imprenditore keniota, è stato trovato senza vita a bordo della sua Mercedes, crivellata da dieci colpi di pistola. Fin dall’inizio, l’ipotesi degli inquirenti è che si tratti di un omicidio. Nella sua vita Juma ha accusato di corruzione ministri, giudici, alti funzionari di partito e in alcuni casi è anche riuscito a ottenere risarcimenti milionari. Cinque mesi prima del suo assassinio, ha dichiarato di aver scoperto un piano ordito dal Jubilee party, il partito del presidente Uhuru Kenyatta, eletto nel 2013 insieme a William Ruto, per ucciderlo. Ha definito politiche tutte le accuse nei suoi confronti. Un precedente piano per cercare di ucciderlo nel 2014 è stato oggetto di un’indagine. Dei tribunali civili hanno condannato Juma di ripagare alcuni proprietari terrieri a seguito di alcune acquisizioni. I magistrati del Paese ancora non sono riusciti a scoprire chi sia stato il suo killer. Il candidato Raila Odinga durante la campagna elettorale ha promesso di ordinare l’avvio di un’indagine sull’omicidio.
I giornalisti di KTN News Kenya lo incalzano con domande sulla Valle del Kerio, una regione dove impazzano le bande armate (150 morti solo nel corso del 2022), anche a causa della decisione del governo di ritirare alcuni riservisti della polizia dalla regione perché avrebbero potuto unirsi ai gruppi armati. Gli scontri tra gruppi etnici e bande sono un elemento ricorrente, purtroppo, nella storia elettorale del Paese. Secondo Ruto la scelta dell’esecutivo è stata sbagliata ed è stata presa nell’ottica di colpirlo. Destabilizzare quella regione significa infatti destabilizzare un suo bacino elettorale. D’altronde il presidente ancora in carica Uhuru Kenyatta non potrà ricandidarsi e il suo vecchio delfino Ruto non è più tra i suoi favoriti per la successione. Anzi, è il candidato che non deve vincere.
La Valle del Kerio, parte della provincia del Rift dove Ruto è molto popolare, è anche un’area ricca di risorse naturali ma povera di infrastrutture. A provocare il banditismo, secondo Ruto, sarebbe principalmente la competizione per il controllo delle risorse: acqua, terre per l’allevamento, terre agricole. La regione sarebbe il granaio del Kenya, ma nella pratica è una sacca di povertà.
La costruzione delle dighe di Kimwarer e Arror, villaggi che si trovano in questa regione, è stata bloccata per ordine della Direzione della pubblica accusa (Dpp), una sorta di procura generale del Kenya, a seguito di un’indagine del 2019 che ipotizza i reati di frode, violazioni delle procedure amministrative sugli appalti, corruzione. A commettere i reati sarebbero stati pubblici ufficiali del Kenya e il consorzio di aziende italiane a cui sono stati assegnati i lavori di costruzione: una joint venture tra la Cooperativa Muratori e Cementisti (CMC) di Ravenna e Itinera, società del Gruppo Gavio.
Il Vicepresidente e candidato alle elezioni presidenziali del Kenya, William Ruto, durante un comizio pubblico lo scorso 3 agosto a Thika (Kenya) – Foto: Yasuyoshi Chiba/Getty
Le due infrastrutture avrebbero dovuto far parte di un piano nazionale per rendere il Kenya più efficiente sul piano dell’approvvigionamento delle risorse entro il 2030. La commessa è stata assegnata insieme ad altre tra la fine del 2014 e il 2015, i lavori sono cominciati nel 2017. In altri 18 siti di costruzione è stata una commissione parlamentare del Kenya a bloccare i lavori: i contratti erano «esposti al rischio di abusi» e «i kenioti non [stavano] ottenendo un buon rapporto qualità-prezzo» ma per nessuna di queste opere è partita un’indagine della magistratura.
A cinque anni dall’inizio dei lavori di Kimwarer e Arror, i misteri intorno a quanto sia davvero successo ai circa 500 milioni di euro destinati alle dighe invece che diradarsi si sono sempre più infittiti. Da un lato, appare chiaro che esiste una componente politica nell’indagine; dall’altro, degli elementi concreti sembrano esistere, per quanto siano stati poco approfonditi.
I punti fermi sono pochi. Il primo è che le dighe, ad oggi, non sono state costruite. Il secondo è che il progetto è finanziato in parte dalle autorità del Kenya, in parte da istituti di credito europei attraverso uno schema che si chiama Engineering, Procurement, Construction and Financing che a monte è garantito da SACE, veicolo controllato dal Ministero delle finanze italiano. Il terzo è che il consorzio CMC-Itinera ha ottenuto un pagamento anticipato di 66,6 milioni di euro per la realizzazione delle opere.
Come funziona SACE
Da oltre 40 anni, SACE fornisce servizi assicurativi e finanziari per le imprese italiane. È da sempre a controllo pubblico. Attraverso SACE, le aziende possono ottenere una garanzia pubblica che facilita la concessione di prestiti e finanziamenti da parte delle banche. Il sistema di garanzia di SACE serve anche a sostenere il credito per le aziende dopo la pandemia, come abbiamo raccontato qui.
L’inchiesta coordinata dalla Dpp non individua le potenziali mazzette, nonostante tracci i soldi usciti dalle casse del consorzio di aziende italiane per i subappalti. Non è nemmeno chiaro quale sia esattamente la condotta criminale dei manager italiani, mentre già emergono più criticità sui comportamenti dei pubblici ufficiali del Kenya. Il cuore dell’inchiesta sono le irregolarità nella procedura d’appalto. Ad esempio, solo una delle due dighe è stata formalmente approvata dal Gabinetto del Kenya, un organismo governativo che si occupa di materie di interesse nazionale, e le dighe che dovevano essere date in concessione, secondo la deposizione a processo di un ufficiale di polizia che si è occupato delle indagini, invece sono state cedute attraverso «contratti commerciali».
Quale sia il reato implicito nella scelta di questa forma contrattuale non è tuttavia chiaro. Tanto è vero che fin dall’inizio CMC ha respinto con forza ogni accusa sul suo conto, sottolineando come l’intervento della magistratura abbia impedito la prosecuzione dei lavori, insieme alla mancata collaborazione del demanio del Kenya che non ha dato l’accesso ai terreni dove costruire la diga. Argomenti che risuonano anche nelle parole di William Ruto.
Una congiura politica?
«Onorevole Ruto, – la giornalista, impassibile, si rivolge al candidato ricapitolando quanto ha appena elencato: il teorema ha del surreale – ci sta dicendo quindi che esiste una grande cospirazione tra il tribunale, la procura e con pezzi della politica in merito alle dighe di Kimwarer e Arror che ora sono in tribunale?». «Per sua informazione – risponde l’interlocutore, piccato – Arror e Kimwarer sono stati firmati insieme ad altri progetti governativi, assegnati alle stesse aziende, finanziati dagli stessi istituti finanziari e non con la mia firma ma quella del presidente del Kenya». Prosegue dicendo che quando sarà chiaro perché le dighe sono state fermate, i cittadini keniani saranno «scioccati» e promette di riuscire a portare a compimento le due opere, quando diventerà presidente.
Per quanto parte di una stessa compagine di governo, Kenyatta e Ruto sono diventati acerrimi rivali da quando è cominciata l’inchiesta sulle dighe. Henry Rotich, ex ministro del Tesoro molto vicino a Ruto, è l’unico personaggio politico di rilievo nazionale che è stato messo sotto processo (dopo un primo arresto a luglio 2019 finalizzato al suo interrogatorio). Sarebbe il vero beneficiario dell’operazione, nell’ipotesi investigativa. In una petizione per chiedere la fine dell’indagine nei suoi confronti, Rotich si domandava come mai altre figure chiave del governo Kenyatta non fossero state indagate. Ruto ha ripreso il punto nel corso del dibattito per le presidenziali: perché altri progetti non sono stati toccati, per quanto le persone fisiche e giuridiche coinvolte siano le stesse?
Il riferimento più immediato è il progetto per la diga di Itare, sempre nella Rift Valley. È stato assegnato a dicembre 2014, pressoché in contemporanea con Kimwarer e Arror, sempre a CMC, con finanziatori in project financing gli stessi istituti di credito europei. Il pagamento anticipato ha permesso all’azienda italiana di incassare 36 milioni di euro, da restituire una volta raggiunto il 30% di completamento del progetto. Secondo alcuni documenti interni ottenuti da IrpiMedia, i dipendenti dell’azienda che si trovavano al cantiere a novembre 2018 erano rimasti con poco più di 50 mila euro in cassa ma avevano già debiti (tra fornitori e spese vive per vitto e alloggio degli expat) per circa 26 milioni di euro. Avevano due conti corrente accesi, uno alla banca Barclays e l’altro alla banca keniota Equity Bank. Il primo era sostanzialmente inutilizzabile perché già CMC aveva ottenuto un prestito che non riusciva a restituire. In un carteggio si legge che CMC «ha perso ogni credibilità» con l’istituto di credito inglese: «Aspettano notizie dalla Sede che non arrivano». Di certo CMC si trovava infatti già in pessime acque finanziarie.
Per ottenere la gara di Itare, CMC nel 2013 ha sottoscritto un contratto di consulenza con Stansha Limited, società specializzata nel settore delle costruzioni di proprietà di Stanley Muthama, parlamentare di Lamu, area molto lontana dal progetto. Stansha si impegnava ad aiutare CMC a ottenere degli appalti con le autorità The Rift Valley Water Services Board (RVWSB) e Athi Water Service Board (AWSB) al prezzo del 3% del valore dell’appalto. Secondo quanto ricostruito dall’indagine della Dpp, però, potrebbe non esserci solo Itare tra gli appalti sui quali Stansha ha messo lo zampino. Infatti ci sarebbe un certo Stanley Muthama che il 25 novembre 2015 partecipa in qualità di «CMC Kenya staff office» a un incontro con l’autorità della Kerio Valley per chiarire alcuni punti sul contratto per la diga di Arror, insieme a dei dirigenti della società italiana. È uno degli incontri decisivi per l’assegnazione dell’appalto di Arror.
Stanley Muthama non è stato indagato nel procedimento su Kimwarer e Arror. È stato però arrestato a giugno 2019 dalla Kenya Revenue Authority (KRA), l’autorità fiscale keniana, che gli contesta circa 4 milioni di euro di frode fiscale commessa tra il 2013 e il 2017. Eletto con uno dei partiti che sosteneva la candidatura del presidente Kenyatta cinque anni fa, alle elezioni del 2022 Muthama è un sostenitore di Raila Odinga.
La situazione di CMC
CMC, storica cooperativa costituita nel 1915 che conta circa 340 soci-lavoratori, è in una situazione economica molto grave da almeno quattro anni. Nel 2018 è entrata in concordato preventivo allo scopo di restituire un debito da 1,5 miliardi di euro, tra debiti ai fornitori e stipendi dei propri dipendenti. Durante l’ultima riunione al ministero dello Sviluppo economico, svoltasi due giorni prima della caduta del governo Draghi, l’amministratore delegato Romano Paoletti ha chiarito che «il fabbisogno finanziario dell’operazione di salvataggio (tramite cessione di ramo d’azienda a valore di mercato) ammonta a 100 milioni di euro e che, allo stato, CMC sta onorando le pre-deduzioni molto onerose del piano concordatario, con seria difficoltà, qualora non intervengano soluzioni medio tempore, a far fronte, nel prossimo autunno, al pagamento degli stipendi del personale dipendente, considerate anche le fortissime restrizioni subite in relazione all’accesso al credito bancario».
In altri termini: CMC ha bisogno di un’iniezione immediata di liquidità per cercare di salvarsi, visto che ormai i rapporti con le banche sono del tutto compromessi.
Tra le principali cause della crisi di CMC, comune a molte aziende del settore edilizio italiano, c’è il ritardo nei pagamenti in particolare dei committenti pubblici. CMC però fino alla prima relazione semestrale del 2018 ha minimizzato i problemi con i suoi soci, mostrando un bilancio in positivo grazie alle commesse in continua crescita. La crisi di liquidità che però era già in essere ha sostanzialmente compromesso la gestione dei cantieri. Non è bastato ottenere gli anticipi per l’esecuzione dei lavori da commesse estere per rimettersi in sesto, come dimostra l’esempio del Kenya. Anzi, lavori come questi si sono portati dietro un lungo strascico di contenziosi.
La Tunnel Boring Machine, o “talpa”, di CMC per lo scavo di una galleria a Yintao (Cina) – Foto: cmcgruppo.com
Un caso riguarda la commessa da 550 milioni di dollari per la costruzione di un impianto idroelettrico in Nepal. Il contratto con la cooperativa italiana è stato recesso dalla stazione appaltante nepalese nel 2019. Una sentenza della Terza sezione del Tribunale di Bologna del 4 giugno 2020 ha condannato la cooperativa a restituire circa 15 milioni di euro a una banca del Nepal che aveva finanziato il progetto. La cooperativa italiana non aveva infatti avvertito la banca nepalese della sua situazione economica difficile e «non aveva neppure dato inizio ai lavori oggetto di contratto, così realizzando l’inadempimento totale e assoluto delle obbligazioni assunte».
Se la partita giudiziaria in Nepal si è chiusa, in Kenya invece è ancora agli inizi. CMC ha un procedimento aperto alla Corte internazionale di arbitrato della Camera di commercio internazionale, la principale sede arbitrale del mondo. Chiede all’autorità della Kerio Valley 115 milioni di dollari per quella che di fatto è stata una cancellazione delle due commesse. A questo si aggiunge una decina di casi aperti nei tribunali civili del Kenya con subappaltatori. A rischio c’è un’azienda da una storia ultracentenaria con circa 3.800 dipendenti.
Comunque vadano le elezioni in Kenya, è difficile che l’inchiesta giudiziaria keniana riesca davvero a svelare cos’è successo alle commesse per le dighe. In Italia, non sembra esserci margine per l’apertura di un fascicolo. Di certo l’andamento degli arbitrati e dei contenziosi con le autorità africane potrà al massimo contribuire ad affossare CMC, non a risollevarla dalla crisi economica in cui versa. Per questo servirà il contributo italiano o qualche acquirente straniero. È il finale annunciato di una saga infinita, sia per CMC, sia per il governo del Kenya.
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Lorenzo Bagnoli
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Foto di copertina
Il Vicepresidente e candidato alle elezioni presidenziali del Kenya, William Ruto, durante un comizio pubblico lo scorso 3 agosto a Thika (Kenya)
(Yasuyoshi Chiba/Getty)