L’“emissario di Putin” che prometteva bitcoin agli indipendentisti catalani

#OperazioneMatrioska

L’“emissario di Putin” che prometteva bitcoin agli indipendentisti catalani

Lorenzo Bagnoli

Nel 2020 i media spagnoli hanno pubblicato una notizia che sembrava assurda. Gli inquirenti spagnoli che indagano sui presunti finanziamenti illeciti al movimento separatista catalano hanno reso noto che l’ex presidente della Regione Autonoma e leader degli indipendentisti Carles Puigdemont (oggi eurodeputato che in Spagna rischia il carcere) nell’ottobre 2017 aveva ricevuto un’offerta di 500 miliardi di dollari per azzerare il debito pubblico catalano e 10 mila soldati per costituire un proprio esercito. Mittente della proposta un non precisato «gruppo di russi».

L’inchiesta collaborativa #RussianOffer – a cui IrpiMedia partecipa insieme a OCCRP, El Periódico, Bellingcat, Il Fatto quotidiano e iStories – è in grado di confermare che la strana offerta fu effettivamente fatta, e non solo. Possiamo svelare infatti che i contatti tra gli indipendentisti e i russi sono andati avanti anche dopo il rifiuto dell’offerta di Puigdemont e che il gruppo era composto da una squadra di negoziatori tra cui un ex diplomatico che ha collaborato a lungo con Sergey Lavrov. Il suo nome è Nikolay Sadovnikov e la sua carriera diplomatica si è svolta per buona parte in Italia.

I collegamenti con #OperazioneMatrioska

Non è la prima notizia di un tentativo dei russi di finanziare l’indipendentismo catalano: El Periódico nel 2019 e Occrp nel 2021 avevano già scoperto altre trattative, poi fallite, finalizzate a ottenere il riconoscimento della Catalogna indipendente da parte della Russia. Questo genere di operazioni si inseriscono nel contesto del tentativo di infiltrare la politica europea che in Italia è passato dagli accordi programmatici tra Lega e il partito di Vladimir Putin Russia Unita e dalle trattative dell’hotel Metropol; in Francia dai finanziamenti russi al Front National, l’allora partito di Marine Le Pen; in Austria con lo scandalo Ibiza che ha travolto l’FPO (ne abbiamo scritto in #OperazioneMatrioska)

Nikolay Sadovnikov ha lavorato all’ambasciata di Roma tra il 1984 e il 1987, poi è stato vice console a Milano tra il 1991 e almeno il 1995, a cavallo del crollo dell’Unione sovietica. Poi è tornato in Russia, dove ha continuato a lavorare per il ministero degli affari esteri. Dal 2012 il suo nome è apparso nei fascicoli di diverse agenzie di intelligence europee, che però è da tempo che hanno smesso di fare attenzione al suo caso.

La foto della patente di guida di Nikolay Sadovnikov, ottenuta dai giornalisti

La foto della patente di guida di Nikolay Sadovnikov, ottenuta dai giornalisti

Una di queste lo descrive così: «È coinvolto nei dossier di Siria, Iran, Libia e più in generale nelle relazioni bilaterali con i Paesi del Golfo». Il suo scopo era «promuovere la convergenza di interessi tra Russia e Iran in particolare per ridurre l’influenza americana nella regione». Il report cita un viaggio in Iran nell’aprile 2012 e uno il mese seguente negli Emirati arabi uniti, nel quale Sadovnikov secondo le fonti dell’intelligence sarebbe stato al seguito del ministro degli esteri di Mosca, Sergei Lavrov, per prendere parte a degli incontri per lo sfruttamento di un bacino petrolifero. Secondo il report è «un’ipotesi credibile» che Sadovnikov sia un agente dei servizi segreti russi, per quanto riconosca di non poterlo stabilire con certezza.

«L’emissario di Putin è arrivato alle 5», si legge in uno dei messaggi scambiati tra i collaboratori di Puigdemont il 26 ottobre 2017. I messaggi sono stati raccolti dalla polizia spagnola sempre nell’ambito delle indagini sul finanziamento illecito del movimento separatista catalano, filone dal quale era emersa la notizia dell’offerta russa nel 2020. I registri di volo dimostrano che Nikolay Sadovnikov è effettivamente atterrato a Barcellona alle 15:44 di quel giorno sul volo Aeroflot 2514 da Mosca. Il nome Nikolay è stato confermato ai giornalisti anche da Victor Terradellas, indipendentista che è stato responsabile per le relazioni esterne di Convergència Democràtica de Catalunya (CDC), l’ex partito di Puigdemont coinvolto in scandalo di finanziamento illecito che si è sciolto nel 2016. Terradellas è stato uno degli uomini di Puigdemont che ha preso parte all’incontro e che ha tenuto contatti con i russi anche dopo il rifiuto dell’offerta da parte del leader indipendentista.

L’operazione Volhov e il CatalanGate

A ottobre 2020 l’operazione Volhov della Guardia Civil spagnola ha portato in carcere 21 persone tra cui alcuni uomini chiave del sistema di potere di Carles Puigdemont. L’accusa è aver utilizzato denaro pubblico per finanziare il tentativo fallito di ottenere l’indipendenza nel 2017 e aver pagato l’auto-esilio di Puigdemont in Belgio. L’indagine si è anche occupata di Tsunami Democràtic, il movimento accusato delle violenze di strada scoppiate a Barcellona il primo ottobre 2017, il giorno del referendum per l’indipendenza.

Secondo l’accusa, per oltre sei anni, circa 2 milioni di euro destinati alla provincia autonoma di Barcellona sarebbero stati impiegati per attività politiche del movimento indipendentista. A fare da collettore dei fondi nel 2017 era Fundació CATmón, organizzazione culturale pro-indipendenza che era presieduta da Victor Terradellas.

Accanto alle indagini finanziarie, è però recentemente scoppiato un altro scandalo, il CatalanGate. Il centro di ricerca CitizenLab, noto per la collaborazione con attivisti che si battono contro la sorveglianza di oppositori politici e difensori dei diritti umani, ha scoperto che almeno 63 indipendentisti catalani – tra politici, giuristi e membri della società civile – sono stati spiati attraverso lo spyware israeliano di NSO Group Pegasus, già finito al centro dello scandalo Pegasus Project. Il rapporto di CitizenLab non è in grado di identificare con certezza gli autori degli attacchi nei confronti degli indipendentisti, «ma forti prove circostanziali suggeriscono un legame con le autorità spagnole», si legge nel sommario.

A inizio maggio, però, è emerso che nemmeno il governo di Madrid è stato immune a Pegasus: sarebbero finiti sotto tiro dello spyware anche i telefoni del primo ministro Pedro Sanchez e della ministra della Difesa Margarita Robles. Queste ultime sarebbero avvenute tra maggio e giugno 2021 secondo il Centro Criptológico Nacional, il dipartimento dell’intelligence spagnola che si occupa di cybersicurezza. La magistratura spagnola ha aperto un’indagine per «intrusione esterna», ovvero utilizzo di sistemi di intercettazione e sorveglianza che non sono stati autorizzati dall’autorità giudiziaria spagnola.

Uno strano meeting

A Barcellona, l’incontro fra Sadovnikov e Carles Puigdemont è avvenuto il 26 ottobre 2017 alla residenza ufficiale del presidente catalano (Puigdemont non ha risposto alle domande dei giornalisti). Il giorno dopo il Parlamento catalano avrebbe approvato con voto segreto l’indipendenza della Catalogna, dopo il contestato referendum che si è tenuto il primo ottobre di quell’anno. Secondo il governo di Madrid, è stata «una messinscena»; secondo gli indipendentisti, è stato il voto con cui legittimare la separazione dalla Spagna.

Erano ore di trattative frenetiche per Puigdemont. Tra queste, c’è stata anche quella con la delegazione russa guidata da Nikolay Sadovnikov. Lo accompagnava un altro cittadino russo e un interprete, Jordi Sardà Bonvehí, un faccendiere con un passato controverso. Reuters lo definisce «un maestro di sci che è diventato uomo d’affari». È stato protagonista di un tentativo di frode nel 2012: aveva cominciato a negoziare con le autorità dell’Ucraina la costruzione di un deposito di gln, gas liquido naturale, lungo la costa del Mar Nero, fingendo di essere il rappresentante della Gas Natural, una società spagnola. Rispondendo al telefono a Reuters in occasione di quell’inchiesta aveva riconosciuto di non avere alcuna autorizzazione da Gas Natural ma aveva aggiunto: «Pensavo di poter firmare e poi trovare un accordo con la società». Non ha invece risposto alle domande dei giornalisti di #TheRussianOffer.

Secondo quanto è stato possibile ricostruire dai messaggi e dalle testimonianze, l’unica richiesta della delegazione russa in cambio del sostegno economico e militare della Catalogna indipendente era una legislazione favorevole alle criptovalute. L’intento sarebbe stato trasformare la Catalogna in un centro finanziario per le monete virtuali paragonabile a quello che è la Svizzera per le banche internazionali.

Occrp ha contattato Christopher Nehring, docente di storia dell’intelligence all’università di Potsdam, per cercare di capire quale possa essere lo scopo di quella assurda offerta della delegazione russa. Da un lato, spiega il docente, i catalani stavano parlando con persone che «ovviamente avevano un’affiliazione con i servizi segreti russi». Dall’altro, però, «la presunta richiesta di trasformare la Catalogna nella “Svizzera delle cryptovalute” suona come una truffa». «Mettendo insieme le due parti – prosegue – sembra che stiamo guardando a un’operazione segreta, sostenuta dall’intelligence, che ha lo scopo di dare supporto a un movimento separatista, con di contorno una componente di truffa o di frode».

Keir Giles, esperto di Russia del think tank britannico Chatham House, ritiene che si tratti di «un’operazione ibrida tra interferenza politica e ricerca di profitto». «La stretta e intima connessione tra il potere politico e il crimine organizzato … è una caratteristica che definisce gran parte dei mezzi di proiezione del potere della Russia moderna», precisa.

I contatti del 2018

Nonostante il rifiuto dell’offerta e i sospetti sui protagonisti della delegazione, gli indipendentisti catalani hanno mantenuto aperti i loro contatti con i russi. Attraverso 200 pagine di messaggi intercettati dalla polizia nell’ambito del processo sui finanziamenti a sostegno degli indipendentisti catalani, alcuni dei quali pubblicati da Occrp, è possibile dimostrare come il 10 marzo 2018 il partner di Puigdemont Victor Terradellas e l’interprete del meeting con Sadovnikov Jordi Sardà abbiano parlato del possibile trasferimento di 56 bitcoin a favore degli indipendentisti, il corrispettivo di 525 mila dollari, all’epoca. Nei documenti c’è anche il numero di portafoglio online che Terradellas ha condiviso con Sardà. I giornalisti sono stati in grado di rintracciarlo e di individuare il pagamento di un singolo bitcoin.

Tra i messaggi scambiati tra i due protagonisti dell’incontro con Sadovnikov, c’è anche una foto in cui Tarradellas tiene in mano quello che sembra un un certificato di deposito della banca svizzera UBS. Il valore che si legge è di 500 miliardi di dollari. Tre esperti hanno confermato ai reporter che si tratta di un falso: «Falsi di questo genere sono spesso utilizzati da truffatori che vogliono dimostrare di essere in possesso di somme del genere. E il falso è fatto in modo molto maldestro», commenta Daniel Thelesklaf, ex capo dell’Ufficio di segnalazione del riciclaggio di denaro del governo svizzero.

Victor Terradellas mostra il certificato dei 500 miliardi di dollari di UBS. Credits: messaggi di Terradellas
Victor Terradellas mostra il certificato dei 500 miliardi di dollari di UBS. Credits: messaggi di Terradellas

Raggiunto al telefono per un commento, Sadovnikov ha negato sia ogni tipo di coinvolgimento con il governo o i servizi segreti russi, sia di aver offerto agli indipendentisti denaro e un esercito. Ha confermato però di aver viaggiato a Barcellona nella seconda metà di ottobre 2017 e di essere stato portato a un incontro «da un amico». Incontro del quale Sadovnikov dice di sapere poco, perché non parla spagnolo. «Volevo solo che la piantasse – racconta al telefono in merito all’incontro – e che (il mio amico, ndr) mi portasse al mare». «Sapete cosa sono 500 miliardi di dollari? – ha domandato Sadovnikov ai giornalisti che gli hanno chiesto spiegazioni in merito alla cifra proposta per il finanziamento del debito pubblico catalano – È praticamente il bilancio dello stato russo. E qualcuno darà il bilancio dello stato russo alla Catalogna? Beh, sapete, non è nemmeno assurdo, è solo, sapete, folle».

I legami con l’Italia

Dopo l’esperienza diplomatica a Roma e Milano, Sadovnikov ha mantenuto aperti i suoi canali con l’Italia. Fonti diplomatiche hanno spiegato a Il Fatto quotidiano che Savodnikov nel gennaio 2016 ha ottenuto un visto turistico per l’Italia attraverso una società, Pgb Group, di cui titolare è Piergiorgio Bassi. La società si occupa di consulenza e lobbying in vari settori, dall’innovazione tecnologica, alle risorse petrolifere, fino al settore finanziario e bancario e Piergiorgio Bassi è un nome noto tra i lobbisti che in passato hanno permesso a società russe di investire in Italia. Secondo quanto spiega Bassi, ogni volta che un cittadino russo viene in Italia, anche solo per turismo, deve avere un invito per poter ottenere il visto. Questo invito può anche essere sostituto da un’agenzia di viaggi che svolge le pratiche per ottenere le autorizzazioni burocratiche per l’ottenimento del lasciapassare.

Bassi ricorda che in quegli anni capitava che Sadovnikov venisse in Italia per turismo e che lo conosceva per i suoi incarichi al ministero degli Esteri di Mosca: «Era il consigliere politico di Lavrov per la politica strategica estera», aggiunge, contattato al telefono da Il Fatto quotidiano. Non aveva particolari progetti in Italia, però «andando a memoria – prosegue Bassi – mi sembra che in quel periodo in Spagna stesse analizzando tutta la situazione della Catalogna».

Carles Puigdemont durante la sua permanenza in Germania dove è stato arrestato, e poi scarcerato, a seguito di un mandato di arresto internazionale nell'aprile 2018 - Foto: Carsten Koall/Getty

Carles Puigdemont durante la sua permanenza in Germania dove è stato arrestato a seguito di un mandato di arresto internazionale nell’aprile 2018 – Foto: Carsten Koall/Getty

Altre tracce di Sadovnikov in Italia compaiono anche nelle visure camerali delle aziende di cui è stato socio. Per esempio all’interno dei documenti della panamense Onava Energy International, società aperta nel marzo 2005 di cui però non si trova alcuna attività, l’indirizzo di riferimento di Sadovnikov è a Pedivigliano, in provincia di Cosenza. Per lui e per tutti gli altri soci: un cittadino russo e due italo-americani, Ottavio Antonio e Antonio Mario Angotti, padre e figlio, il primo nativo proprio di Pedivigliano.

Ottavio Angotti è deceduto nel 2009. Il suo nome compare nel fascicolo giudiziario che riguarda la caccia al tesoro di don Vito Ciancimino, l’ex sindaco di Palermo condannato per associazione mafiosa negli anni Novanta. Il figlio Massimo negli anni Duemila aveva cominciato a investire il suo patrimonio in diverse operazioni in tutto il mondo. Secondo quanto è stato scoperto dalla Procura di Palermo, stava cercando di dedicarsi anche a operazioni di trading di gas. Aveva incontrato uomini di Gazprom e nel 2004 aveva chiuso un contratto per una fornitura di gas dal Kazakistan, sempre gestito da una joint venture di cui faceva parte Gazprom. Il tramite di questo accordo, ricorda ancora oggi Massimo Ciancimino, era il professor Ottavio Angotti: «Era il consigliere economico di Nazarbayev», ossia l’allora presidente del Kazakistan Nursultan Nazarbayev, dimessosi nel 2019 dopo 29 anni di governo incontrastato a seguito delle proteste di piazza.

Una manifestazione a favore dell'indipendenza della Catalonia presso la stazione ferroviaria di Barcellona il 28 ottobre 2019 - Foto: Guy Smallman/Getty

Una manifestazione a favore dell’indipendenza della Catalonia presso la stazione ferroviaria di Barcellona il 28 ottobre 2019 – Foto: Guy Smallman/Getty

Secondo le dichiarazioni di Ciancimino, Angotti sarebbe stato tra i consulenti che lo hanno aiutato a ottenere anche altre concessioni pubbliche in Kazakistan, ad esempio «due sorgenti d’acqua al confine tra Kazakistan e Cina, a Urumqi», ha detto Ciancimino a processo. Una GPA Foundation è stata registrata nel 2007 anche a Macao, l’isola a largo di Hong Kong. Uno dei soci è Antonio Mario Angotti, il figlio di Ottavio, che secondo il suo profilo LinkedIn lavora in una società energetica proprio a Hong Kong. Angotti non ha risposto alle domande dei giornalisti di #RussianOffer via LinkedIn.

Entrambi gli Angotti sono finiti nelle cronache giudiziarie degli Stati Uniti per il fallimento di un istituto di risparmio all’inizio degli anni Novanta. Secondo la stampa statunitense, Ottavio Angotti è scappato nel 1993, prima che fosse pronunciata la sentenza nei suoi confronti, dopo essere stato portato in una clinica oncologica. Tre anni dopo è stato arrestato nuovamente a Hong Kong. Nel 1995 Antonio Mario Angotti è stato condannato a 41 mesi di reclusione per frode e riciclaggio negli Usa. Sei anni dopo è andato in Estonia, dove si faceva chiamare Tony Massei: ha partecipato a una truffa per aggiudicarsi la gestione delle ferrovie estoni durante il processo di privatizzazione.

Oltre all’Onava Energy International panamense, Sadovnikov nel marzo 2005 appare tra i soci di una Onava Energyia registrata in Russia. Insieme a lui nel capitale sociale ci sono ancora una volta i due Angotti e un altro cittadino russo. Di questa società è importante l’indirizzo: il civico 5 della Piazza Rossa di Mosca. Corrisponde al Middle Trading Rows, palazzo di fine Ottocento che era di proprietà del Ministero della Difesa. Qui hanno sede anche altre quattro società di cui Sadovnikov risulta socio. In una di queste, Alfa-Ros, insieme a lui ci sono un certo Liberato Scollato e una certa Larissa Conti. Il primo è un salentino residente a Milano che in passato è stato condannato due volte in via definitiva per truffa; Conti è invece un’imprenditrice residente in Svizzera nativa del Donbass che oggi è portavoce della Repubblica popolare di Donetsk. I due hanno avuto società insieme in Svizzera, in passato. Entrambi smentiscono categoricamente di essere stati soci di Sadovnikov.

«Mi aiutò a ottenere il visto, ma non sono mai stato azionista di una società in Russia», ricorda Scollato. Conti invece dice non aver mai sentito il nome Sadovnikov e sostiene che si tratti di un caso di omonimia. «Scollato non lo vedo probabilmente da dieci anni», conclude.

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