Chi sostiene la lobby pro-vita tra Usa e Italia: la rete dei sovranisti cristiani

24 Settembre 2019 | di Lorenzo Bagnoli, Luca Rinaldi, Giulio Rubino

Il 24 settembre la Corte costituzionale dovrà esprimersi sull’articolo 580 del Codice penale, “Istigazione o aiuto al suicidio”: “Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni”. Il dubbio sulla costituzionalità è stato sollevato dalla Corte d’Appello di Milano che si è dovuta pronunciare sul caso per cui è stato incriminato il radicale Marco Cappato, colpevole di aver accompagnato Fabiano Antoniani – Dj Fabo – in Svizzera per porre fine alla sua esistenza attaccato alle macchine. Con una prima pronuncia, i giuristi di Palazzo della Consulta avevano dato un anno di tempo al Parlamento per legiferare. Altrimenti esprimeranno la posizione della Corte.

La Conferenza Episcopale Italiana l’11 settembre ha fatto sentire la sua voce contro ogni tentativo di legittimare il suicidio assistito. Una posizione ancestrale, vecchia quanto la Chiesa. Ma il fronte provita, in Italia e nel mondo, si è aperto a un universo sempre più composito, che va ben oltre il mondo cattolico. È infatti stato il cavallo di Troia attraverso cui l’ultradestra sovranista – dagli Usa alla Russia, dal Brasile all’Ungheria – si è forgiata una narrativa usurpando temi della tradizionale dei cristiano democratici: la famiglia, le radici cristiane, le tradizioni, l’anticomunismo.

L’origine di quest’alleanza sovranisti identitari-democristiani comincia da tre istituzioni tanto sconosciute quanto influenti: Political network for values, One of us – European Federation for Human Dignity e Eclj – European Center for Law and Justice.

Tre pilastri della rete diplomatica informale attraverso cui il sovranismo identitario si è trasformato da ideologia per pochi a movimento globale che occupa giornali e discorso pubblico. Gianluca Savoini, coinvolto in veste di imprenditore e uomo della Lega nella vicenda dell’hotel Metropol, è uno dei tanti ingranaggi di questa macchina di propaganda globale, il più esposto, ora che è finito nelle indagini della procura di Milano. Da un lato, questa rete si muove nei palazzi del potere, dall’altro porta in piazza le famiglie, il volto pulito e innocente della retorica sovranista. Obiettivo dichiarato: difendere l’Europa dalla colonizzazione islamica e dal globalismo che uccide la famiglia.

Gregory Puppinck, il principe del foro

Gregory Puppinck è l’avvocato pro-life “in missione” a Strasburgo, sede del tribunale dell’Unione europea. Canadese di nascita, francese di passaporto, dirige lo European Center for Law and Justice (Ecjl), organizzazione che difende in Tribunale le cause provita. Ha seguito il caso, analogo a quello italiano di DJ Fabo, di Vincent Lambert, il 42enne ex infermiere tetraplegico a cui è stata staccata la spina l’11 luglio, nonostante i suoi sforzi per evitarlo. In questa battaglia, il fronte cattolico è parso unito. Ma è un errore di prospettiva: in realtà le posizioni dell’avvocato franco-canadese sono molto vicine a quella che è la fronda anti Francesco che esiste in Vaticano, che incidentalmente risponde alle posizioni apprezzate dall’area sovranista.

Nel 2011 Puppinck ha guidato in Italia il team legale per la causa contro l’abolizione del crocifisso in classe, ottenendo il riconoscimento di Cavaliere al merito per la Repubblica italiana. Nel 2012 viene chiamato da Luca Volontè per realizzare uno studio sui “prigionieri politici” in Azerbaijan, così da spingere la bocciatura nel 2013 in seno al Consiglio d’Europa del rapporto Strasser, relazione sui prigionieri politici azeri. Volontè è oggi a processo per corruzione internazionale a Milano (assolto in primo grado, la Procura ha fatto appello, il processo è in corso).

I legami dell’avvocato Puppinck arrivano fino al mondo pro-life degli Stati Uniti. Fondatore di Ecjl è infatti l’americano Jay Alan Sekulow, che gestisce l’American Center for Law and Justice (Aclj), sigla dietro tutte le petizioni pro-life degli Stati Uniti dal 1998. Sekulow è anche il legale di Donald Trump nel caso Russiagate.

La Political network of values: la rete diplomatica tra parlamentari

Anche la Political Network of Values (Pnv) è made in Usa: ha tenuto il suo primo incontro nel novembre del 2014 alla sede delle Nazioni Unite a New York. Ma è in Europa che negli ultimi anni ha sviluppato la sua potenza di fuoco. Per dirla con le parole dei suoi membri, Pnv è una «piattaforma globale e una risorsa per i legislatori e i rappresentanti della politica coinvolti in un dialogo Trans-Atlantico» finalizzata a «promuovere un decalogo di valori condivisi tra cui la protezione della vita, il matrimonio, la famiglia e la libertà religiosa e di coscienza». La rete esiste, ma non si vede: l’unica sua manifestazione pubblica è un singolo evento, il Transatlantic Summit. Quest’anno tenutosi in Colombia con argomento «la crescente polarizzazione tra Nuovo Ordine Globale e populismo» provocato dall’«offensiva globale» di «ideologia gender, politiche anti-natalità, eutanasia, corruzione, ecc». Vi partecipano principalmente parlamentari da America Latina, Spagna, Lituania, Croazia, Slovacchia, Kenya e Ungheria.

A sua volta, Pnv conta su altri network alleati. A Strasburgo, per esempio, può contare sull’Ecpm – European Christian Political Movement – gruppo europarlamentare esistente dal 2002 che siede tra i banchi dei conservatori e riformisti europei, tradizionalmente casa dei democristiani. Secondo un’inchiesta del sito olandese Follow the money, il gruppo ha attratto la maggior parte delle donazioni degli evangelici americani dirette in Ue.

Jaime Mayor Oreja il grande tessitore

Il profilo di maggiore rilievo dentro il Pnv è Jaime Mayor Oreja, il presidente del network. Democristiano spagnolo che non ha mai condannato il franchismo, Oreja è stato ministro del governo conservatore di José Aznar (1996-2001), per poi passare dieci anni da europarlamentare tra il 2004 e il 2014. Da quando ha abbandonato l’emiciclo di Strasburgo, continua nella sua opera di grande tessitore. Promuove incontri e convegni, firma petizioni e documenti programmatici da proporre sia in sede di governi nazionali che davanti alle Nazioni Unite.

Sul piano ideologico, le sue battaglie più visibili del Pnv sono sul tentativo di abolizione dell’aborto e sulla difesa della famiglia tradizionale, bastioni da difendere «dall’offensiva della falsa Europa» di cui si parla nel manifesto «Un’Europa in cui possiamo credere», di cui Oreja è grande promotore. «Ignorano, anzi ripudiano le radici cristiane dell’Europa – si legge nel manifesto -. Allo stesso tempo, fanno molta attenzione a non offendere i musulmani».

One of Us, la militanza dal basso

“Un’Europa in cui possiamo credere” è il manifesto del secondo braccio di influenza politica di cui Oreja è presidente. Si chiama One of Us – European Federation for Life and Human Dignity. È il primo vero esperimento di aggregazione per i movimenti pro-life europei: il volto militante e di piazza della diplomazia sovranista. Lo dimostra il suo atto di nascita, una petizione in 28 Paesi dell’Unione europea «per la tutela dell’embrione»: le firme raccolte sono state 1,6 milioni, di cui un terzo in Italia.

Merito soprattutto dell’attivismo del Movimento Italiano per la Vita, una realtà a conduzione familiare: la presidente Marina Casini è figlia del fondatore e presidente onorario Carlo, fiorentino classe 1935, in parlamento con la Democrazia Cristiana per quattro legislature e all’Europarlamento per trent’anni in quota al Partito Popolare Europeo. La petizione è stata bocciata dagli organismi Ue e definitivamente rispedita al mittente nell’aprile dello scorso anno dalla Corte Europea di Lussemburgo dopo il ricorso presentato dalla stessa One Of Us.

Il Movimento Italiano per la Vita è stato tra i partecipanti al Congresso mondiale delle famiglie di Verona così come lo sono state molte altre associazioni in orbita One of Us. Le più importanti per l’Italia sono “Difendere la vita con Maria”, l’associazione Medici Cattolici Italiani e l’Associazione Papa Giovanni. A ulteriore suggello della vicinanza con la piazza veronese, la presenza di Massimo Gandolfini, leader del Family Day e del Popolo della Famiglia, tra gli ambasciatori della federazione. Gandolfini, il Movimento per la Vita e l’Associazione Medici Cattolici Italiani sono tra le realtà promotrici del Tavolo Famiglia e Vita da cui la Cei ha lanciato il suo appello contro il fine vita.

Ignacio Arsuaga: il pontiere tra Stati Uniti e Spagna

Ignacio Arsuaga, personaggio di rilievo all’interno di One of Us, è rimasto folgorato sulla route 66, più che sulla via di Damasco. Cattolico fervente lo era già prima di andare a vivere negli Stati Uniti, ma non aveva idea della potenza delle petizioni prima di conoscere MoveOn.org, la Christian Coalition, Americans United for Life e le altre organizzazioni statunitensi per il «diritto alla vita». «Questa è vera democrazia per questo ho vissuto negli Stati Uniti», ha spiegato a Buzzfeed in un’intervista telefonica.

Spagnolo come Oreja, dopo dieci anni negli States è tornato in Europa per diventare uno dei diplomatici più influenti dell’Internazionale sovranista. È membro del board in Pnv e presiede due fondazioni (CitizenGo e HazteOir) delle 17 spagnole – nazionalità più numerosa – affiliate a One of Us. Gli sforzi diplomatici di Arsuaga hanno fatto breccia in particolare in Vox, partito di estrema destra spagnolo. Alle ultime elezioni in Spagna, il partito si è fatto portavoce delle istanze del mondo pro-family, guadagnando spazio, per la prima volta, all’interno del parlamento. Era dal 1982 che l’ultradestra spagnola non sedeva tra i banchi del Congreso de los diputados.

La visibilità delle istanze di HazteOir è stata ottenuta anche con mezzi non proprio leciti secondo il Ministero dell’Interno spagnolo che a febbraio 2019 le ha revocato lo status giuridico di associazione senza fini di lucro. Pietra dello scandalo la campagna della fondazione contro i transessuali «priva del rispetto della dignità e delle persone che hanno una concezione diversa in termini di orientamento sessuale nella società» e «non è compatibile con il fine di utilità pubblica» riconosciuto alle associazioni di promozione sociale» secondo il governo di Madrid.

Appuntamento d’obbligo per la rete informale degli ultracattolici sovranisti a cui Arsuaga non manca mai è il Congresso mondiale delle famiglie, evento annuale organizzato dall’associazione americana World Congress of Families. Ambasciatore alle Nazioni Unite per l’associazione è Alexey Komov, che è al contempo anche membro del direttivo della spagnola CitizenGo e presidente onorario dell’Associazione Lombardia-Russa, la stessa di quel Gianluca Savoini finito nell’occhio del ciclone per il caso dell’hotel Metropol.

Citizen Go ha anche un’articolazione italiana: Generazione Famiglia, il network erede di Manif Pour Tous Italia, la sigla che rilanciava nel nostro paese la mobilitazione contro i matrimoni omosessuali in Francia tra i promotori delle manifestazioni e le campagne profamily e antigender. Qui ha promosso diverse iniziative, tutte incentrate contro la così detta “ideologia gender”.

La maxifrode russa finita in Italia tra yacht, vacanze e conti bancari

20 Aprile 2019 | di Lorenzo Bagnoli, Gianluca Paolucci

D.K., cittadino russo, nel luglio del 2009 invia da un conto della filiale Unicredit di Forlì 99.850 euro in un conto della lituana Ukio Bankas. L’operazione – due bonifici in due giorni, il primo da 50 mila e il secondo da 49.850 – presenta una lunga serie di anomalie.

La prima che salta all’occhio è che l’indirizzo di residenza del cittadino russo corrisponde a quello dell’aeroporto di Forlì. La seconda è che il conto al quale vengono spediti i soldi è intestato a una società del Belize legata a una maxifrode, un caso clamoroso di riciclaggio internazionale che ha occupato per anni le autorità di mezzo mondo.

La società del Belize si chiama Eviac Holding e il suo nome compare nelle indagini sul cosiddetto Caso Magnitsky. Il caso torna d’attualità oggi perché, grazie ai documenti rilasciati da Occrp sul cosiddetto Troika Laundromat – uno schema di presunto riciclaggio di oltre 4,4 miliardi di euro provenienti dalla Russia e arrivati in vari paesi d’Europa – è possibile ricostruire per la prima volta il ruolo dell’Italia come «terminale» di una fetta dei fondi del caso Magnitsky. E si scopre così che una parte di quei soldi verso l’Italia sono transitati da Ubi Banca, che ha agito come banca di corrispondenza per Ukio Bankas – l’istituto al centro del caso Laundromat, chiuso nel 2013 – nelle transazioni da e verso gli istituti tricolore.

Il fisco moscovita

Sergey Magnitsky di mestiere faceva l’avvocato. Nel 2009 è morto in carcere, per mano della polizia russa secondo il suo cliente William Browder, cittadino britannico che in Russia gestiva dal 1996 l’hedge fund Hermitage Capital Management. La storia che si cela dietro il suo decesso inizia nel 2007, anno in cui Sergei Magnitsky ha scoperto il modo in cui il Cremlino ha redistribuito 230 milioni di dollari dal fisco a società riconducibili anche a personaggi vicini a Vladimir Putin. Browder, all’epoca, si era già fatto notare a Mosca. La sua Hermitage gestiva un patrimonio da 4,5 miliardi di dollari.

Ad un certo punto, nel 2005, il Cremlino gli è diventato ostile. Browder sposta la sede moscovita a Londra per motivi di sicurezza, ma Magnitsky decide di rimanere in Russia. Nel gennaio 2007 un blitz della polizia russa mette sottosopra il suo ufficio per impossessarsi di documenti interni e del timbro, che per la legge russa equivale alla proprietà di un’azienda. Poco dopo sono arrivate finte richieste di risarcimento mosse da società che sarebbero state aperte da complici di quel raid. Queste società hanno poi depositato una richiesta di rimborso al fisco russo pari a 230 milioni di dollari, tanto quanto secondo loro Hermitage avrebbe dovuto pagare di tasse. Fatto ancor più curioso, l’intera somma viene bonificata l’indomani, attraverso un complesso giro di società offshore.

Va detto che come ogni storia di Guerra fredda che si rispetti anche quella del Caso Magnitsky ha una sua contro-narrazione. Almeno dal 2012, nei siti di notizie pro-Russia alla Sputnik, circolano articoli che considerano la vicenda un’enorme montatura per sanzionare la Russia architettata dall’amministrazione Obama. Nel 2012 infatti l’amministrazione Obama ha emanato il Magnitsky Act, una sanzione speciale per gli oligarchi russi che si ritengono coinvolti nella vicenda. Mentre il mese scorso una versione «europea» del Magnitsky Act è stata votata a larghissima maggioranza dal Parlamento di Strasburgo.

Intanto, i nomi delle società in paradisi fiscali scoperte dall’avvocato Magnitsky continuano a ritornare, ad anni di distanza dalla frode: dai Panama Papers fino al Troika Laundromat. Come la Eviac Holding e i soldi che per una volta fanno il percorso inverso e dall’Italia vanno in Belize per comprare forse una casa in Russia.

Le società dello schema Magnitsky in Italia  – Foto: La Stampa

Il contratto per la casa

A supporto, per così dire, dei due bonifici di D. K. c’è un contratto per l’acquisto di un appartamento di 62,8 metri quadri alla periferia di Mosca. È in inglese, occupa una pagina e mezzo e contiene palesi errori: gli indirizzi di compratore e venditore sono invertiti, per dire. In tutto questo D. K. non è mai risultato domiciliato in Italia. I documenti di un’altra società italiana della quale è stato socio dal 2008 al 2012 lo danno sempre residente allo stesso indirizzo di Mosca.

Cose che potevano capitare, in quegli anni. Le norme antiriciclaggio erano meno stringenti e anche l’attenzione di banchieri e bancari agli aspetti reputazionali: «Oggi non sarebbe possibile», spiega una fonte del settore. Anche se il meccanismo delle segnalazioni automatiche esiste dal 2007 e una operazione così qualche sospetto doveva farlo sorgere. Unicredit, contattata, non ha commentato.

Fatto sta che dalle holding offshore legate al caso Magnitsky arrivano in Italia quasi 90 milioni di euro. Non è possibile dire con certezza che questi soldi siano tutti provenienti dalla vicenda denunciata da Browder. Le strutture societarie dello schema Troika potrebbero essere state infatti utilizzate da più «clienti». Ma sui 230 milioni della frode fa un bell’effetto.

I «corrispondenti»

Almeno una parte di questi soldi, secondo i documenti delle transazioni esaminati da La Stampa e Irpi, prima di arrivare in Italia sono transitati dai conti di Commerzbank, l’istituto tedesco che dovrebbe fondersi con Deutsche Bank ma che, secondo il Financial Times, potrebbe interessare anche a Unicredit e che proprio per il suo ruolo di banca corrispondente di Ukio – ovvero uno degli istituti che si occupava di compensare le transazioni in euro prima dell’ingresso della lituania nell’eurozona – è finita nuovamente nella bufera. Così come Deutsche Bank: un rapporto interno rivelato dal Guardian nei giorni scorsi dedicato proprio al caso Laundormat cita proprio il ruolo di banca corrispondente di Ukio tra i rischi per l’istituto da questa vicenda.

In una serie di transazioni verso l’Italia visionate da La Stampa, la banca di corrispondenza di Ukio Bankas verso l’Italia è Ubi Banca. «L’attività a sostegno delle imprese esportatrici ci porta ad avere rapporti di corrispondenza con banche presenti in tutto il mondo, in questo ambito Ubi era controparte di Ukio Bankas la quale deteneva un conto in euro presso di noi – replica Ubi alle richieste de La Stampa sui rapporti con l’istituto lituano chiuso nel 2013 -. Nella valutazione di operazioni e controparti Ubi si attiene alle più stringenti procedure di osservanza delle norme di antiriciclaggio in vigore in Italia e a livello internazionale».

Lo shopping

Fatto sta che da Ukio e dalle banche corrispondenti questi 90 milioni finiscono un po’ dappertutto, attraverso almeno dieci diverse società. Una delle holding, la Venta Production, pare specializzata nella bella vita. Spende un totale di 375 mila euro che vanno per il noleggio di un’elicottero da una società napoletana (10.500 euro), per il Capodanno in un albergo di lusso in Toscana (25 mila euro per due settimane) o per le vacanze estive in Sardegna. Ventiquattromila euro vanno alla Mac Events srl, che curava l’organizzazione della Mille Miglia storica fino al 2012. Zarina Group spende invece in un’altra delle eccellenze italiche, il comparto della meccanica: macchinari per l’industria e componenti o pezzi di ricambio. Con l’importante eccezione di 200 mila euro relativi ad una tranche di pagamento per uno yacht dei cantieri Mondomarine di Savona. Il pagamento più elevato – 208 mila euro – lo riceve nel 2010 una società di consulenza per design di interni di Gorizia.

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