L’Europa dei braccianti: lavoratori invisibili e senza tutele

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L’Europa dei braccianti: lavoratori invisibili e senza tutele
Lorenzo Bagnoli
Matteo Civillini
Sara Manisera

L’Italia ha un problema irrisolto con il settore agricolo. L’emergenza Covid ne è stata l’ennesima dimostrazione. «Mancano migliaia di stagionali», era il messaggio d’allarme che girava tra aziende e amministrazioni locali tra fine aprile e inizio maggio: il blocco imposto dalla pandemia ha impedito a migliaia di lavoratori di entrare in Italia, proprio nel momento decisivo per la stagione agricola. Per far fronte alla crisi, il governo ha introdotto una sanatoria per migranti che lavorano in nero, nella speranza di recuperare manodopera. Come scrive il Viminale in una nota del primo luglio, al 30 giugno sono pervenute in totale 80.366 domande di regolarizzazione. Di queste circa l’80% riguardava operatori domestici. Doveva essere la regolarizzazione dei braccianti, invece per ora lo è più che altro di colf e badanti. Gli stagionali agricoli, invece, restano nell’ombra.

Verso la fine di giugno è scoppiato poi il caso di Mondragone: un focolaio di una quarantina di persone in mezzo alle palazzine ex Cirio, in una delle zone centrali della cittadina, dove abitano i braccianti della zona, soprattutto bulgari di etnia rom. Il focolaio non è partito dai campi, ma si è diffuso nella comunità rom a causa delle condizioni abitative in cui sono costretti a vivere: appartamenti sovraffollati, subaffittati in nero. Una situazione mai affrontata, che dura da decenni. Alcuni bulgari pare siano andati alle piantagioni comunque, nonostante fossero in quarantena. Sostenevano di non potersi permettere di stare a casa.

Si è scatenata la rabbia sociale che scorreva carsica per le vie di Mondragone: da un lato della barricata, asserragliati in casa, stavano gli stranieri che lavorano nei campi; dall’altro chi li accusava di essere il motivo per cui la città fosse stata messa in zona rossa proprio in prossimità dell’inizio della stagione turistica. Per fortuna i casi Covid erano asintomatici e poco gravi. Il focolaio è stato contenuto e risolto in poco tempo. Però, le condizioni di totale emarginazione in cui vivono i rom bulgari non sono cambiate da allora. I braccianti della città, finita l’emergenza Covid, sono tornati invisibili.

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Invisible workers è la serie di inchieste coordinata da Lighthouse Reports a cui IrpiMedia partecipa insieme a Der Spiegel, Mediapart, Euronews, The Guardian Follow the Money. È un quadro di come l’Europa intera abbia ignorato il tema del lavoro agricolo, salvo poi accorgersene quando in piena pandemia frutta e verdura continuavano ad arrivare sugli scaffali dei supermercati. Nelle prossime settimane usciranno nuove puntate riguardanti l’Italia su IrpiMedia.

Le contraddizioni delle politiche agricole europee

Nemmeno le politiche europee sull’agricoltura mettono un freno allo sfruttamento dei braccianti, ma anzi spesso ne acuiscono i punti critici. Ogni anno l’Unione europea versa circa 50 miliardi di euro di contributi alle aziende agricole attraverso i fondi della Politica agricola comune (Pac). Un terzo di questi fondi è erogato in modo diretto. Inizialmente concepiti come strumenti per stabilizzare le rendite agricole, oggi non riescono più a incentivare alcun miglioramento nelle aziende. Sono versati a prescindere, senza che venga richiesto ai beneficiari di garantire condizioni lavorative degne ai propri dipendenti. Il criterio dei pagamenti diretti favorisce infatti grandi produttori e proprietari terrieri: più è esteso il terreno, più soldi si ricevono. Gli unici incentivi previsti riguardano, in minima parte, il benessere degli animali e il rispetto dell’ambiente. «Gli animali hanno delle lobby più forti rispetto ai lavoratori migranti», commenta Arnd Spahn, segretario generale del settore agricoltura per la European Federation of Trade Unions in the Food, Agriculture and Tourism (Effat), sigla sindacale che difende 22 milioni di lavoratori europei.

Condizioni assimilabili al caporalato si vedono anche nel Nord Europa. In questo caso, il problema legato allo sfruttamento non è solo la presenza dei caporali o intermediari. È frequente infatti che il problema nasca dall’intermediazione delle agenzie interinali

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Nell’Unione europea sono in tutto oltre nove milioni i braccianti contrattualizzati, di cui 1,1 milioni solo in Italia, il Paese con il numero più alto di impiegati nel settore agricolo. A volte si ha l’illusione che lo sfruttamento di chi lavora nei campi sia una condizione solo di Italia, Spagna e Grecia, Paesi dell’Europa meridionale con un alto tasso di lavoro nero e molto esposti al fenomeno migratorio. Invece condizioni assimilabili si vedono anche nel Nord Europa. In questo caso, il problema legato allo sfruttamento non è solo la presenza dei caporali o intermediari. È frequente infatti che il problema nasca dall’intermediazione delle agenzie interinali. Sono previste dalla legge, ma per accumulare gli utili offrono servizi sempre più scadenti e offrono paghe sempre più basse a chi firma con loro, seppur il regolamento europeo preveda che a parità di mansione, il salario debba essere per tutti uguale. Sono una forma di caporalato mascherato. Il motivo per cui le aziende si rivolgono a loro è infatti, paradossalmente, lo stesso per cui ci si rivolge a un caporale: ottenere manodopera a bassissimo costo.

Dal Sud America alle campagne francesi: il caporale è l’agenzia di lavoro interinale

Nei tre dipartimenti delle Bocche del Rodano, Valchiusa e Gard, nella Francia meridionale, a giugno sono scoppiati diversi focolai di Covid tra i braccianti agricoli stagionali. In tutto si stimano 250 lavoratori contagiati. Tra questi, alcuni sono stati portati in Francia dall’agenzia interinale Terra Fecundis. L’azienda è spagnola, di base a Murcia. Somministra, specialmente in Francia, lavoratori stagionali provenienti dall’America Latina, ma anche da Marocco e Senegal. I lavoratori sono sotto contratto con l’agenzia, che si occupa di portarli sul posto di lavoro e nel loro alloggio. L’emergenza Covid ha riacceso i riflettori su Terra Fecundis che proprio a maggio sarebbe dovuta andare a giudizio al Tribunale di Marsiglia: l’azienda è accusata, secondo le leggi francesi, di “lavoro nero” e “somministrazione fraudolenta di lavoro”. Secondo i documenti della procura, l’azienda sarebbe inoltre all’origine di una frode contributiva che solo tra il 2012 e il 2015 avrebbe toccato quota 112 milioni di euro. Il processo però è stato rimandato proprio a causa della pandemia.

Terra Fecundis – il cui profitto è generato in Francia per 57 milioni di euro su 77 totali – secondo le leggi transalpine dovrebbe registrare i lavoratori e pagare i loro contributi in Francia. E invece non lo fa, motivo per il quale è scattata l’accusa di frode al sistema previdenziale. L’azienda, concludono le indagini, a partire dal 2016 ha beneficiato di una «redditività eccessiva» dovuta proprio al mancato rispetto delle leggi sul lavoro. Una società del gruppo Terra Fecundis è stata già condannata alla pena di 75 mila euro per «lavoro nero» e applicazione indebita del regolamento europeo sul lavoro distaccato.

Il lavoro distaccato

I lavoratori distaccati, in inglese posted worker sono impiegati mandati dal loro datore di lavoro a svolgere una mansione in un Paese membro dell’Unione europea per un periodo di tempo limitato, secondo la definizione del Dipartimento Occupazione affari sociali e inclusione della Commissione europea.

Sudamericani lavorano anche in Guascogna, nella Francia sud-occidentale. Qui i reporter di Mediapart, partner del progetto, hanno intervistato decine di migranti impiegati nella raccolta delle carote. La principale azienda agricola della zona è Les fermes Larrère, leader del settore. Decine di interviste descrivono un quadro di sfruttamento, con paghe da 660 euro per 70 ore di lavoro, a fronte di promesse di paghe mensili da 1.500 o 2.000 euro con turni da sei ore. I lavoratori si devono anche pagare l’alloggio.

Come nella Francia meridionale, anche in Guascogna il sistema funziona con un’agenzia interinale che fa da tramite, la G.e.n.a. Una volta ricevute le domande dai giornalisti, Les fermes Larrère ha risposto dicendo di aver organizzato un sondaggio interno tra i suoi stagionali, i quali hanno effettivamente rilevato una serie di malfunzionamenti nella raccolta delle carote di quest’anno. L’azienda si è quindi impegnata ad avviare un audit interno al fine di emanare una “carta etica” per quanto riguarda il rispetto del diritto del lavoro.

Germania, il paradiso perduto dei braccianti che arrivano da Est

George Mitache è uno dei centinaia di romeni partito per la Germania per la raccolta delle fragole con la promessa di guadagnare 5 o 6 mila euro in tre mesi di lavoro. Netti: il costo del volo, del pernottamento e del cibo saranno coperti dal datore di lavoro. È quanto gli ha assicurato l’intermediario, un concittadino di Bacani, villaggio vicino al confine con la Moldavia. Invece, una volta atterrato a Bonn, Mitache è costretto a lavorare per pagarsi il viaggio e l’alloggio, insieme agli altri lavoratori. Preferisce vivere in strada ed evitare di mangiare, pur di guadagnare qualcosa.

Truffe come queste sono molto frequenti durante le campagne di raccolta di asparagi e fragole, soprattutto con i lavoratori comunitari. Con l’emergenza coronavirus, la situazione si è ulteriormente aggravata. Nicolae Bahan, un bracciante romeno che ha lavorato nella raccolta degli asparagi a Bad Krozingen, vicino al confine con la Francia, ha contratto il virus ed è morto a fine aprile. Nello stesso periodo, ad Ahrweiler, a sud di Bonn, gli ispettori del lavoro notificavano l’assenza di disinfettanti e carenze nelle misure di distanziamento nell’azienda in cui lavorava Mitache.

Lagnasco, Cuneo – Foto: Arianna Pagani

Al problema dei contagi nei campi, si è aggiunto il clamoroso caso dei macelli. Il caso più importante riguarda un’azienda di Gütersloh, città del Nord Reno-Vestfalia. Qui intorno all’azienda Tönnies ci sono stati duemila contagi. Anche qui, la maggior parte dei dipendenti sono stagionali che provengono da Paesi dell’Europa dell’Est e sono stati i primi ad essere contagiati.

Tra Germania e Francia il virus ha colpito così forte la comunità romena da spingere la ministra dell’Interno Violeta Alexandru a violare il lockdown. È salita sull’auto a Bucarest e dopo 18 ore ha raggiunto Berlino per incontrare il suo omologo Hubertus Heil. «Questa situazione rivela una grande quantità di problemi sistematici che non abbiamo affrontato nel modo corretto», ha detto alla Reuters a margine dell’evento.

Il boom olandese dei contratti temporanei

Agata, dalla Polonia, ha lavorato a giugno nella filiera della raccolta della frutta a Waddinxveen, cittadina a meno di 30 chilometri da L’Aja. Ogni mattina cominciava il turno alle 6 di mattina, senza sapere quando avrebbe finito. Ha ricevuto insulti, è stata scaricata dal furgone che la portava al lavoro in mezzo a una strada, senza sapere esattamente dove. Furgone dell’agenzia interinale impiegata dalla società. Per ogni trasporto pagava sei euro, a cui doveva aggiungene 94 a settimana se avesse voluto un letto più vicino al posto di lavoro. Trattamenti inumani come questi sono stati confermati da altri partecipanti alla raccolta degli asparagi.

In azienda, non è stata presa nessuna misura anti-Covid, nonostante le statistiche dimostrino che i migranti impegnati nella raccolta della frutta e nei macelli siano stati i più contagiati. Quando attendeva di riavere indietro i documenti a fine giornata, Karolina aspettava in una mensa sovraffollata, dove non era possibile mantenere il rispetto delle distanze di sicurezza. È in un contesto simile che, tra maggio e giugno, diverse aziende dell’industria della macellazione (sulla stampa locale sono usciti i nomi di Van Rooi Meat e Vion Food Group) sono finite in quarantena, dopo l’esplosione di piccoli focolai.

Tra maggio e giugno, diverse aziende dell’industria della macellazione sono finite in quarantena, dopo l’esplosione di piccoli focolai

I dipendenti con contratti temporanei, nei Paesi Bassi, sono passati da 140 mila nel 1995 a 900 mila oggi. Il business più importante non è per i datori di lavoro, ma per le agenzie interinali che somministrano i lavoratori, passate in 30 anni da poche centinaia a circa 14 mila. Tutto grazie alla “flessibilità”: in altri termini, la stagione che dal 1996 in avanti ha reso possibile per legge il lavoro a tempo determinato, stagionale o precario.

Sugli stagionali del settore agricolo e dell’allevamento esistono solo stime, i numeri esatti sono difficili da trovare. Di certo la filiera ortofrutticola e quella della macellazione sono due dei settori di impiego più importanti. Ci lavorano soprattutto polacchi, altrimenti romeni e bulgari. Una stima molto al ribasso fornita dai sindacati parla di almeno centomila stagionali che tengono in piedi questi due settori. Nonostante i regolamenti europei sul lavoro stabiliscano paghe uguali per chi svolge la stessa mansione, nei Paesi Bassi chi raccoglie la frutta con un contratto stagionale guadagna di media il 13% in meno dei colleghi con un impiego fisso, nota il Centraal Bureau voor de Statistiek (Cbs), l’Istat olandese. Un dato che gli stessi analisti definiscono «inspiegabile», ma che è possibile, paradossalmente, per legge. Infatti il principio della parità retributiva può essere derogato in caso sopraggiunga un accordo tra le parti sociali, come in questo caso. Non solo: il lavoro temporaneo, con le condizioni di svantaggio di cui sopra, sono consentiti dal contratto collettivo di lavoro. Questo tipo di somministrazione riduce al minimo i costi del lavoro e al contempo riduce le tutele. È evidente, quindi, il motivo del successo di questo modello di impiego.

La scappatoia legale è stata sempre tollerata perché altrimenti, evidentemente, si dovrebbe mettere mano all’intero sistema. A partire dai contratti collettivi. Lo ha scritto in modo chiaro il ricercatore dell’Università di Amsterdam Niels Jansen in un report di Social Economic Research Agency (Seo), istituto universitario che conduce studi per conto di ministeri o aziende. Il lavoro si intitola “La posizione dei lavoratori temporanei” ed è stato presentato anche alla Camera dei deputati olandese. Tra i principali risultati c’è il fatto che i contratti collettivi, per chi ha un lavoro temporaneo o stagionale, sono controproducenti. Chi si ritrova in questa situazione dovrebbe conoscere sia quello della categoria nella quale lavorano (come a esempio quella ortofrutticola), sia quello degli stagionali: una missione praticamente impossibile. Eppure il sindacato confederale olandese Fnv lo difende. Il sindacalista Erik Pentenga ammette che il contratto collettivo crea differenze salariali rispetto agli altri 800 contratti collettivi, ma molte delle disposizioni erano in buona fede. È un problema di uso improprio, non dello strumento di per sé.

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Luca Rinaldi

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Stefan Widua, Moritz Knöringer, Frederic Köberl, Stephan Bernard/Unsplash