Appoggia ancora la famiglia dell’ex rais e l’ascesa di Haftar. E intanto possiede diversi conti segreti in Credit Suisse
I professionisti della segretezza di Credit Suisse
#SuisseSecrets
Lorenzo Bagnoli
L’invasione russa dell’Ucraina sembra aver fatto perdere alla Svizzera la sua tradizionale neutralità e sta mettendo in crisi lo stesso principio di assoluta protezione della privacy dei clienti ultraricchi. La Confederazione elvetica svolge due ruoli fondamentali nel grande gioco finanziario del capitalismo di Stato russo: da un lato è la piazza dove si scambia circa l’80% delle materie prime russe nel mercato internazionale (commodities trading); dall’altro è il luogo sia di residenza fisica, sia di conservazione del patrimonio di diversi oligarchi. Sul piano del mercato delle materie prime, il New York Times il 7 marzo sottolineava che, a quella data, Mosca ancora non era stata esclusa dalle piazze finanziarie svizzere dove si negozia il prezzo di grano, petrolio, metallo e altre materie prime (i legami tra Russia e Svizzera in questo settore risalgono addirittura agli anni Settanta). Sul piano della caccia ai patrimoni degli oligarchi, invece, la Svizzera si è allineata decisamente alle posizioni europee, adottando le medesime sanzioni.
Questa scelta ha avuto dei contraccolpi nel sistema di protezione dei clienti delle banche svizzere. Il 2 marzo il Financial Times ha rivelato che Credit Suisse, la banca al centro dell’inchiesta SuisseSecrets, ha chiesto persone fisiche, hedge fund o fiduciarie che lavorano con clienti dell’istituto di credito di distruggere i documenti che fanno riferimento a yacht, aerei privati e patrimoni immobiliari riconducibili a oligarchi russi sotto sanzione allo scopo di limitare la fuga di notizie. Il giorno seguente il membro del Consiglio degli Stati (la Camera del Parlamento svizzero) Carlo Sommaruga ha depositato un esposto per chiedere che il Ministero Pubblico della Confederazione, la procura generale svizzera, promuova delle indagini sul comportamento della banca.
La distruzione dei documenti è un tentativo di mantenere intatta la coltre di segretezza. Quest’ultima è un valore assoluto che Credit Suisse ha preservato anche in diverse aule di tribunale. A portarla di fronte ai giudici sono stati alcuni clienti super ricchi, proprio coloro che sono di solito protetti da questa segretezza speciale. Questo principio è stato usato per difendersi dalle accuse di frode mosse da clienti che dicono di non essere nemmeno a conoscenza degli investimenti che la banca faceva con i loro soldi. I ricorrenti sono magnati dell’area ex sovietica d’altri tempi, diventati ricchi e influenti quando Putin e il suo cerchio magico nemmeno erano al potere. I processi sono partiti dalla gestione di un ex manager prodigio, ma sono arrivati a contestare i meccanismi di controllo dell’istituto di credito.
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#SuisseSecrets, il progetto
Suisse Secrets è un progetto di giornalismo collaborativo basato sui dati forniti da una fonte anonima al giornale tedesco Süddeutsche Zeitung. I dati sono stati condivisi con OCCRP e altri 48 media di tutto il mondo. IrpiMedia e La Stampa sono i partner italiani del progetto.
Centosessantatre giornalisti nei cinque continenti hanno rastrellato migliaia di dati bancari e intervistato decine di banchieri, legislatori, procuratori, esperti e accademici, e ottenuto centinaia di documenti giudiziari e finanziari. Il leak contiene più di 18mila conti bancari aperti dagli anni Quaranta fino all’ultima decade degli anni Duemila. In totale, lo scrigno è di oltre 88 miliardi di euro.
«Ritengo le leggi sul segreto bancario svizzero immorali – ha dichiarato la fonte ai giornalisti-. Il pretesto di proteggere la privacy finanziaria è semplicemente una foglia di fico che nasconde il vergognoso ruolo delle banche svizzere quali collaboratori degli evasori fiscali. Questa situazione facilita la corruzione e affama i Paesi in via di sviluppo che tanto dovrebbero ricevere i proventi delle tasse. Questi sono i Paesi che più hanno sofferto del ruolo di Robin Hood invertito della Svizzera».
Nel database di Suiss Secrets ci sono politici, faccendieri, trafficanti, funzionari pubblici accusati di aver sottratto denaro alle casse del loro Paese, uomini d’affari coinvolti in casi di corruzione, agenti di servizi segreti. Ci sono anche molti nomi sconosciuti alle cronache giudiziarie.
Fino a prima dell’invasione dell’Ucraina, i ricchi uomini d’affari russi o dell’area ex sovietica – a prescindere dal loro allineamento con il Cremlino – erano tra i clienti più contesi nelle guerre fiscali. Le banche per individuarli e gestire il loro patrimoni dispongono dei relationship manager, in gergo RM, gestori patrimoniali impiegati direttamente dalla banca che si occupano di consigliare il cliente. Per le banche che combattono le guerre fiscali sono la prima linea della fanteria, quella che per prima va incontro al nemico per conquistare e mantenere la collina più alta: il cliente più facoltoso. È la fanteria in cui si contano anche le perdite più ingenti: se qualcosa non va con il cliente, alla fine possono essere loro, e non la banca, a pagare con l’allontanamento dall’istituto. In Credit Suisse sono in tutto 3.700, divisi in diverse aree geografiche di interesse.
Tra i compiti dei relationship manager c’è mantenere la segretezza, soprattutto di qualche correntista. L’esistenza di clienti particolari è nota grazie a operazioni come quella che abbiamo raccontato della Guardia di finanza di Milano. Dopo Credit Suisse, a Milano sono state indagate altre banche svizzere, come Ubs e Pkb Privatbank. Nessun procedimento si è potuto concentrare sulla figura dei relationship manager che però sono uno degli ingranaggi del sistema attraverso il quale una banca come Credit Suisse incamerato patrimoni di origine criminale o illecita di SuisseSecrets.
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Tuttavia in Svizzera alcune indagini che riguardano i RM ci sono. La più clamorosa ha coinvolto Patrice Lescaudron, manager francese che lavorava con la sezione di Credit Suisse “Ultra High Net Worth” e procacciava clienti nell’area geografica dei Paesi ex Urss.
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I professionisti della segretezza di Credit Suisse
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Nel 2016 ha garantito all’istituto bancario 25 milioni di dollari di profitti. Nel febbraio 2018 si è dichiarato colpevole e conseguentemente è stato condannato dal tribunale di Ginevra a cinque anni di prigione per aver sottratto ai suoi clienti circa 150 milioni di dollari, reinvestiti attraverso operazioni mai autorizzate dai clienti in società e beni di lusso di cui era lui stesso il titolare effettivo. «Era considerato una star», ma «ha preso in giro i clienti e la banca», riporta la Reuters, citando il pronunciamento della sentenza. Per muovere il denaro, Lescaudron ha ammesso di aver distribuito bilanci e comunicazioni finanziarie con le firme falsificate dei suoi clienti. Durante il processo a Ginevra, il suo ex responsabile non ha saputo dare una spiegazione del perché nessuno in banca si sia accorto del comportamento dell’ex manager prodigio. Nel 2020 Lescaudron si è tolto la vita in carcere, poco dopo il suo 57esimo compleanno.
«Violate le norme di conformità»
La FINMA, L’Autorità federale svizzera di vigilanza sui mercati finanziari, tra il 2015 e il 2016 ha aperto due procedimenti contro Credit Suisse: il primo perché voleva chiarire la posizione della banca in alcuni importanti casi di presunta corruzione internazionale; il secondo incentrato su «un’importante relazione d’affari che la banca ha intrattenuto con una persona politicamente esposta», recitava il comunicato stampa del 2018. Il manager coinvolto era Lescaudron: anche se il nome non compare. Il comunicato si limita a identificare un «relationship manager» «che aveva un grande successo in termini di patrimonio in gestione» e che «ha violato le norme di conformità della banca ripetutamente e in modo documentato per un certo numero di anni.
Tuttavia, invece di disciplinare prontamente e proporzionalmente il manager dei clienti, la banca lo ha premiato con pagamenti elevati e valutazioni positive dei dipendenti. La supervisione del relationship manager era inadeguata a causa di questo status speciale». Emergeranno maggiori dettagli del report solo a seguito di una fuga di notizie di febbraio 2021, che ha sostanzialmente confermato come la banca non avesse preso le misure necessarie per interrompere le attività illecite di Lescaudron, che conosceva almeno dal 2011.
Questo caso è stato molto particolare nella storia degli scandali finanziari svizzeri. Come spiega l’ufficio stampa dell’autorità di vigilanza, «la FINMA non si esprime in merito ai singoli assoggettati o a eventuali accertamenti e procedimenti», a parte in casi eccezionali come appunto il caso Credit Suisse-Lescaudron. L’obiettivo della confidenzialità sta nel mandato della FINMA: mantenere una «situazione conforme», cioè dove tutti rispettano le regole. «La FINMA – spiega ancora l’ufficio stampa dell’autorità di vigilanza a IrpiMedia – esige che gli assoggettati gestiscano in modo adeguato i rischi, nello specifico sono tenuti a individuarli, valutarli e ridurli al minimo».
In generale i procedimenti della FINMA, spiega l’avvocato svizzero Paolo Bernasconi, sono molto temuti perché l’autorità può sospendere le licenze per operare nel mercato o all’estero, come accaduto nel caso di Ubs. Quando un’impresa commette un crimine o un delitto, invece, la multa massima prevista dal codice penale svizzero è di 5 milioni di franchi: un’inezia per un istituto di credito. La FINMA non ha potere di comminare multe, innescare procedimenti penali o arrestare, però può sporgere denuncia alla magistratura svizzera. I suoi «procedimenti di enforcement» vengono rispettati proprio per evitare sospensioni delle licenze di operare. I report sono molto dettagliati e le banche cercano sempre di impedire che vengano depositati a processo perché qualunque ente sotto la FINMA è obbligato a collaborare con l’autorità di vigilanza del mercato, che per questo ha accesso a un’enorme mole di prove. Con le procure invece non c’è alcuna collaborazione obbligatoria per lo stesso principio per cui un imputato a processo non è obbligato a dire la verità e accusarsi da solo.
Mentre il filone svizzero d’indagine su Lescaudron si è chiuso con l’ammissione di colpevolezza, quello sulle responsabilità della banca resta ancora aperto. Lescaudron può infatti essere stato un «caso isolato», come sostenuto dalla dirigenza della banca dell’epoca, oppure il sintomo di un problema più endemico, come ipotizzato da alcuni suoi clienti. Nel nostro ordinamento sarebbe proprio la banca a dover dimostrare che il caso non è ripetibile e che le procedure interne di controllo sono adeguate, in Svizzera invece resta un’ipotesi di alcuni clienti che il comportamento dei RM sia più endemico, e avallato dalla dirigenza dell’istituto.
Due ex clienti sono arrivati a chiedere per due volte, l’ultima alla Camera d’appello penale della Corte di giustizia di Ginevra, la ricusazione del magistrato che ha condotto le indagini su Lescaudron e Credit Suisse, Yves Bertossa. A loro parere in quattro anni non avrebbe investigato adeguatamente le responsabilità dell’istituto di credito. La Camera d’appello ha respinto la richiesta a luglio 2021, ma ha sottolineato la «riluttanza» del magistrato a istruire questo filone processuale e il fatto che «non si conoscono sviluppi significativi». Eppure Bertossa è uno dei magistrati che più si batte per velocizzare la giustizia svizzera nel contrasto alla criminalità economica e spesso è vittima di tentativi di ricusazione finalizzati solo a dilatare i tempi del processo, come lui stesso ha spiegato al sito d’informazione svizzero Naufraghi.
Tra le società scelte da Lescaudron per i suoi investimenti c’è stata anche la Meinl European Land Ltd, società di Jersey che ha improvvisamente perso valore nel 2007 e per questo era finita sotto indagine all’epoca. L’indagine a Jersey si è chiusa nel 2012 perché «non sono state trovate violazioni». Anche la doppia battaglia giudiziaria tra l’attuale compagine societaria, Atrium European Real Estate, e la banca che gestiva la società, Meinl, si è chiusa nel 2011 senza vincitori. Meinl è l’istituto di credito coinvolto nella vicenda dell’Aeroporto di Parma di cui IrpiMedia ha scritto nel novembre 2011.
Per approfondire
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Ivanishvili v. Credit Suisse
Bidzina Ivanishvili è stato primo ministro della Georgia tra il 2012 e il 2013 ed è il fondatore del partito di governo Sogno georgiano. Nel 2021 ha dichiarato di aver completamente lasciato la politica attiva. Il suo nome così come quello di alcuni suoi familiari compare più volte nei file di SuisseSecrets con conti aperti tra il 2004 e il 2013. Alcuni di questi sono ancora attivi ma sono oggetto di un contenzioso con la banca.
Storicamente, Ivanishvili è diventato un imprenditore nella prima Russia post-comunista. Ogni suo legame con la Russia si è però interrotto definitivamente nel 2012 (il processo di allontanamento è cominciato già nel 2004) e non ha alcuna forma di appartenenza al gruppo di oligarchi oggi sotto sanzione.
La sua fortuna nasce in Russia nel settore metallurgico e bancario, negli anni dopo la caduta del Muro di Berlino. È stato legato all’ex presidente russo Boris Eltsin, di cui ha dichiarato di aver sostenuto la campagna elettorale nel 1996 e in questo senso apparteneva all’elite del potere politico-economico della Russia allargata post-comunista. Bloomberg stima il suo patrimonio in 6 miliardi di dollari, più del Pil del suo intero Paese. Quando Lescaudron lo ha portato in Credit Suisse, l’ex relationship manager ha iniziato la sua incredibile carriera. Nel 2017, però, Ivanishvili ha cominciato una sua battaglia per recuperare il denaro che Lescaudron gli ha sottratto: circa 400 milioni di dollari.
Il rifiuto del 2004 alle autorità russe
Mikhail Khodorkovsky è stato il primo degli oligarchi contrari a Vladimir Putin ha costruire un legame storico con la Svizzera. Negli anni della perestrojka, la politica economica di Mikhail Gorbachev che ha accompagnato l’Unione sovietica nel capitalismo tra la seconda metà degli anni Ottanta e la fine dell’Urss, è diventato uno degli imprenditori più ricchi del Paese ed è stato tra i principali sostenitori di Boris Eltsin. È in quegli anni che diventa il numero uno della Yukos, la principale società petrolifera russa della prima fase post-comunista. Quando Vladimir Putin è diventato presidente della Russia, nel 1999, i suoi rapporti con il Cremlino si sono velocemente deteriorati dal momento in cui Khodorkovsky ha rifiutato l’offerta di “pace” in cambio di una sua uscita di scena dalla politica russa.
Nel 2003 è stato accusato di evasione fiscale e frode, due capi d’imputazione usati in seguito contro altri oligarchi usciti dal circolo del potere del Cremlino. Dopo una prima condanna nel 2005, alla lista dei reati di Yukos sono stati aggiunti appropriazione indebita e riciclaggio. Alla fine l’oligarca-oppositore è stato rilasciato nel 2013. Le autorità russe fin dal 2004 hanno chiesto assistenza alla loro controparte svizzera perché è nella Confederazione elvetica che Khodorkovsky e Yukos avevano le proprie casseforti. Dopo un’iniziale sequestro di 6 miliardi di franchi nel 2004, il Tribunale federale svizzero, facendo leva su decisioni simili del Consiglio d’Europa, ha bollato come «politica» la decisione delle autorità giudiziarie russe nei confronti di Khodorkovsky e si è rifiutato di collaborare con Mosca.
Lo scontro tra Ivanishvili e Credit Suisse si sviluppa su due fronti fondamentali: Singapore e Bermuda. Consigliato da Credit Suisse, l’uomo d’affari georgiano a Singapore aveva costruito un trust amministrato dalla stessa banca, mentre alle Bermuda aveva sottoscritto una polizza-mantello di Credit Suisse Life (Bermuda) Ltd, lo stesso strumento finanziario mascherato da polizza assicurativa scovato a Milano nel 2013. A Singapore la sentenza è attesa per la fine del 2022, mentre alle Bermuda ci sono già state due sentenze e una terza, conclusiva, è attesa. Le prime sono entrate nel merito di quali documenti dovessero essere prodotti da Credit Suisse Life (Bermuda) Ltd a giustificazione delle perdite subite da Ivanishvili e dalla sua famiglia, mentre la terza si pronuncerà sull’eventuale responsabilità della società delle Bermuda di Credit Suisse.
Tra le operazioni più spericolate di Lescaudron c’è stato l’acquisizione con trust e veicoli riconducibili a Ivanishvili di circa il 20% delle quote societarie di una piccola società biotech da poco quotata in borsa dove, secondo il Wall Street Journal, aveva delle azioni lui stesso. Ivanishvili ha sostenuto di aver seguito le indicazioni degli esperti della gestione patrimoniale, senza sapere nulla dell’enorme rischio a cui lo stava esponendo Lescaudron attraverso quella rete di partecipazioni via società offshore, di cui dice di essere sempre stato all’oscuro.
Tra il crollo della biotech e altre speculazioni per spese personali, il conto finale pagato da Ivanishvili sarà di 400 milioni di dollari sui 755 depositati in Credit Suisse, secondo quanto risulta dai documenti giudiziari delle Bermuda. «Quello che so è che Credit Suisse ha perso i miei soldi», ha detto l’ex primo ministro georgiano all’avvocato della banca durante un’udienza dell’ultimo filone processuale tenutasi alle Bermuda, a metà novembre 2021. «Avevo dato i soldi a Credit Suisse e non ho mai saputo [altro]», ha aggiunto. «Cosa avrebbe dovuto fare Credit Suisse?», si è chiesto invece l’avvocato di Credit Suisse Life alle Bermuda, Stephen Moverley Smith. La piccola società di biotech era un investimento incerto: «Una speculazione su un titolo farmaceutico rischioso, ecco cosa fanno gli oligarchi con i soldi che avanzano», è stata la considerazione dell’avvocato.
Nelle sentenze di febbraio 2020 e settembre 2021 la Corte Suprema delle Bermuda ha stabilito che Credit Suisse Life (Bermuda) Ltd è costretta a produrre il materiale richiesto dalla controparte per capire se la responsabilità delle perdite economiche sono del cliente o della società. «CS Life non si è fatta carico né ha commissionato alcuna indagine in merito alle transazioni fraudolente che poi potesse diventare materiale mostrabile», ha testimoniato un ex dipendente, citato nella sentenza del 2021. Più avanti: «La ragione per cui non ci sono documenti di questa categoria che si possono produrre è che questo materiale è confidenziale». Talmente confidenziale che non è nemmeno in possesso alle Bermuda ma solo alla sede di Zurigo.
La prassi del segreto bancario impedisce all’ufficio centrale di consegnare documenti di un cliente. La difesa le chiama «considerazioni di riservatezza» che «impediscono alla Banca di fornire il rapporto FINMA a Credit Suisse Life (Bermuda) Ltd». Non solo: visto che i contenuti del rapporto sono stati resi noti da una fuga di notizie, Credit Suisse ha fatto appello all’Alta corte inglese che le ha concesso un’ingiunzione per impedire che la famiglia Ivanishvili possa fare «uso» del rapporto. Questo complica ulteriormente la gestione del dossier.
Da sempre nella storia dei processi alle banche svizzere gli istituti di credito fanno resistenza all’acquisizione di documenti del genere: «Il proceduralista accorto fa spesso valere l’argomento che un rapporto del genere non è utilizzabile come prova in sede penale perché è stato acquisito con altre regole», spiega l’avvocato svizzero Paolo Bernasconi. In pratica, mentre la FINMA è un organismo con il quale la banca è obbligata a collaborare non vale lo stesso con una procura. Il discorso però non vale per i processi civili, come nel caso delle Bermuda.
Il costo della segretezza
La riservatezza è uno dei beni più preziosi storicamente del sistema bancario svizzero e i clienti che hanno un conto “segreto” sono ritenuti «speciali». Sono quelli con cui si fanno i maggiori margini di profitto, come quelli che Leuscardon faceva con i clienti dell’area ex sovietica: il costo dei servizi è fino al 70% più elevato di quello standard di altre banche.
Una giornalista del consorzio SuisseSecrets, per capire come funziona questo mercato, si è finta una ricca investitrice interessata. «Pochi, anche all’interno della banca, potranno accedere alle informazioni relative al suo conto», le ha assicurato un manager in una conversazione. Ci sono diverse alternative per una gestione sicura e riservata che vanno dai conti cifrati, cioè anonimi, fino alle polizze-mantello e ai trust. Tra gli schemi proposti, c’era anche la costituzione di una società il cui socio unico sarebbe stato un prestanome fornito da Credit Suisse. Questo sarebbe apparso come il proprietario formale di yacht, beni immobili e aeroplani, e il patrimonio che finisce sotto la lente degli investigatori o sotto sanzione sarebbe stato amministrato da un trust gestito dalla stessa Credit Suisse.
Tra gli schemi proposti da Credit Suisse c’era anche la costituzione di una società il cui socio unico sarebbe stato un prestanome fornito da Credit Suisse
Finora i clienti dalla Svizzera che hanno scelto questa opzione si sono sempre dovuti appoggiare a trust stranieri (come quello a Singapore di Bidzina Ivanishvili) ma a gennaio 2022 il Parlamento ha incaricato il Consiglio federale di creare le basi legislative per avere istituti del genere anche nella Confederazione. Si tratta di uno dei modi per continuare a essere competitivi nel mercato finanziario globale, a seguito dell’introduzione della comunicazione automatica imposta dal sistema di scambio di informazioni bancarie Crs. In pratica, è un modo per cercare di restare una potenza nello scenario delle guerre fiscali: il segreto bancario è di casa anche a Singapore, i Paesi Bassi sono anche più in alto nella classifica del Tax Justice Network dei Paesi con maggiore opacità fiscale, ma la Svizzera in questi anni ha subito più attacchi.
L’opzione per un deposito bancario cifrato, del tutto anonimo, è stata proposta alla potenziale cliente al costo di 2.250 dollari all’anno. In una comunicazione via mail con la futura potenziale cliente, il vice presidente della sede di Zurigo che si occupa dei mercati emergenti ha tuttavia precisato che «i conti cifrati sono in realtà un servizio che stiamo gradualmente eliminando, dato che il livello di protezione offerto è diminuito molto negli anni».
Per un’investitrice dall’Africa, però, resta ancora un’opzione: la Nigeria ha aderito al Crs solo nel 2020, il Ghana dal 2019, le isole Mauritius dal 2018 e il Sudafrica all’inizio, nel 2017. Gli altri Paesi sono fuori dal sistema di scambio automatico di informazioni bancarie.
Secondo quanto risulta a SuisseSecrets, in un sondaggio interno a Credit Suisse 50 mila dipendenti hanno identificato «un’urgente necessità di un ambiente che aiuti le persone che si occupano di rischio e conformità fiscale a parlare». Il segreto assoluto, forse, non è più un valore così indiscutibile, nemmeno all’interno della sua cattedrale.
CORREZIONE: L’articolo è stato modificato il 12 marzo per eliminare ogni connessione tra Bidzina Ivanishvili e il Cremlino.