Myanmar, fuori Telenor, dentro M1 Group: il regime di sorveglianza alla fase 2

13 Luglio 2021 | di Riccardo Coluccini

Acinque mesi dal colpo di stato in Myanmar, l’opposizione pacifica al regime si è trasformata in resistenza armata. Il modo in cui la giunta militare birmana sfrutta le tecnologie europee è stato ricostruito in una precedente inchiesta di IrpiMedia realizzata insieme a Lighthouse Reports, The Intercept, Al Jazeera e OCCRP. Un mese dopo la pubblicazione, i timori che in Myanmar si costituisse uno Stato di sorveglianza si stanno concretizzando sempre di più. Il più recente segnale è dato dalla decisione di Telenor, operatore di telecomunicazioni norvegese, di vendere in fretta la propria divisione birmana, Telenor Myanmar, e andarsene dal Paese. In un comunicato dello scorso 8 luglio Telenor ha annunciato la cessione completa delle sue attività in Myanmar alla società M1 Group, holding con base in Libano, a fronte di un pagamento complessivo di 105 milioni di dollari (circa 84,5 milioni di euro), di cui 55 milioni da versare in differita in un periodo di 5 anni.

«La situazione in Myanmar è diventata negli ultimi mesi sempre più impegnativa per Telenor», ha dichiarato nel comunicato Sigve Brekke, presidente e amministratore delegato di Telenor Group. Le motivazioni sono tre: «la sicurezza del personale», «le condizioni normative» e «la conformità» alle regole dettate dalla giunta. «Abbiamo valutato tutte le opzioni e crediamo che una vendita della società sia la migliore soluzione possibile – ha aggiunto Brekke -. L’accordo per la vendita a M1 Group garantirà la continuità delle operazioni».

L’acquirente libanese M1 ha già legami con l’esercito birmano visto che in passato ha investito in un’azienda locale che si occupa di installare torri telefoniche e la rapida cessione di Telenor Myanmar ha generato nuovi timori per gli attivisti.

Telenor è entrata nel mercato birmano nel 2014 ed è una dei quattro operatori telefonici in Myanmar, assieme a Ooredoo del Qatar, Myanmar Posts and Telecommunications (MPT) e a Mytel, società di telefonia nata come joint venture tra le aziende di Stato controllate dai ministeri della difesa vietnamita e birmano. Fino a questo momento Telenor era stata costretta ad accettare ordini di rimozione e blocco di pagine internet senza pubblicare i decreti ricevuti dal Ministero.

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A maggio 2021 Telenor aveva tagliato ogni prospettiva futura per le sue attività in Myanmar, a fronte di una perdita stimata in 6,5 miliardi di corone norvegesi – quasi 7 milioni di euro – per il 2021, ma la situazione è precipitata negli ultimi due mesi al punto da costringere l’azienda norvegese a fare questa vera e propria svendita.

Ricatti e pressioni dell’esercito birmano

Una delle motivazioni che potrebbero aver spinto ad accelerare i tempi dell’operazione potrebbe essere dovuta alle recenti richieste del Tatmadaw, nome con cui è conosciuto l’esercito birmano, tornato al potere dopo il colpo di Stato del 1 febbraio.

Secondo quanto ricostruito da Reuters, i dirigenti stranieri delle principali aziende di telecomunicazioni in Myanmar sono stati informati dalla giunta che non avrebbero potuto lasciare il Paese senza un permesso speciale. Questa richiesta sarebbe arrivata intorno alla metà di giugno sotto forma di ordine riservato inviato dal Dipartimento delle Poste e Telecomunicazioni (PTD) – uno dei dipartimenti del Ministero dei Trasporti e Comunicazioni (MOTC), coinvolto nella repressione online e nell’acquisto di tecnologie di sorveglianza come ricostruito da IrpiMedia.

Una seconda lettera, inviata successivamente, avrebbe chiarito agli operatori telefonici di avere tempo fino a lunedì 5 luglio 2021 per implementare «un sistema per le intercettazioni». Secondo Reuters, questa richiesta era già stata fatta in precedenza e il sistema permetterebbe alle autorità di spiare le chiamate, i messaggi e il traffico internet. Conosciuto come sistema di Lawful Interception (intercettazioni legali, ndr), anche IrpiMedia ne aveva trovato traccia nei bilanci di previsioni sui quali è stata costruita l’inchiesta coordinata da Lighthouse Reports, non riuscendo però a confermare l’avvenuto acquisto del sistema di spionaggio per chiamate, messaggi e traffico internet.

Secondo quanto ricostruito dalla testata Frontier Myanmar – che ha parlato con un ufficiale della polizia e con un dipendente dell’operatore telefonico Myanmar Posts and Telecommunications (MPT) – lo scorso anno il Ministero dei trasporti birmano e la polizia nazionale avrebbero messo in piedi un team di cybersicurezza per monitorare le telefonate e i social media. Il team sarebbe però entrato in azione solo dopo un mese dal colpo di stato. La squadra di tecnici e spie sfrutterebbe una tecnologia in grado di monitorare e selezionare le conversazioni telefoniche di interesse effettuando una ricerca per parole chiave. Il monitoraggio si estende però anche ai social media. Secondo l’ufficiale di polizia contattato da Frontier Myanmar, il programma non era ancora stato esteso a tutti gli operatori e ne rimanevano fuori quelli stranieri, come Telenor e Ooredoo, quest’ultimo è un operatore con base in Qatar.

Telenor, le richieste dell’esercito birmano e il suo passato con i regimi autoritari

Il fatto che l’ordine sia partito dal Ministero sottolinea ulteriormente le criticità del contesto politico del Myanmar: l’esercito ha continuato a tenere il controllo sul Paese nascondendosi dietro la facciata della transizione democratica, controllo che è inserito persino nella Costituzione del 2008.

La situazione politica in Myanmar

Il Myanmar è un Paese del sud-est asiatico con una popolazione di circa 54 milioni di abitanti. Dopo aver ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1948 e aver formato un parlamento bicamerale, nel 1962 l’esercito compie un colpo di Stato che lascia il Paese sotto il controllo diretto dei militari fino al 2011. In quasi 50 anni, tra le violenze perpetrate dal Tatmadaw, nome con cui viene chiamato l’esercito birmano, ci sono le repressioni di proteste degli studenti negli anni ‘70 e il rifiuto dei risultati delle prime elezioni libere nel Paese avvenute nel 1990.

Solo nel 2011 il Tatmadaw inizia la transizione democratica cedendo il potere al governo civile, dopo l’introduzione nel 2008 di una nuova Costituzione. Questi sono gli anni in cui la premio Nobel Aung San Suu Kyi e il suo partito National League for Democracy (NLD) salgono al potere.

Il governo del NLD, però, pur segnando un’apertura al mondo esterno per il Paese, porta con sé ulteriori violenze: l’esercito e la polizia di frontiera hanno sottoposto la popolazione Rohingya – minoranza etnica di religione musulmana che vive nello stato del Rakhine, sulla costa ovest del Myanmar – a quello che le organizzazioni internazionali definiscono un vero e proprio genocidio.

Secondo alcune stime, almeno 6.700 Rohingya sono stati uccisi nel primo mese di violenze scoppiate nel 2017. Attualmente, più di 800.000 rifugiati sono fuggiti dal Myanmar per andare in Bangladesh. A marzo 2021 uno di questi campi profughi è stato colpito da un incendio: si contano 15 morti, e 900 persone tra feriti e dispersi.

La stessa Aung San Suu Kyi ha dichiarato alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia che le accuse di genocidio sono un «quadro incompleto e fuorviante della situazione».

In contemporanea, l’esercito ha continuato a tenere il controllo sul Paese nascondendosi dietro la facciata della transizione democratica. La Costituzione del 2008 prevede infatti un ruolo di primo piano per l’esercito: un quarto dei seggi in tutte le assemblee provinciali e nazionali riservati agli ufficiali militari in servizio e i ministeri della Difesa, degli Interni e degli Affari di Frontiera riservati ad alti ufficiali militari nominati dal comandante in capo.

In passato Telenor era già stata coinvolta in inchieste giudiziarie e giornalistiche a seguito di operazioni in Stati autoritari. Nel 1998, ad esempio, Telenor ha acquistato una quota minoritaria della società di telecomunicazioni russa VimpelCom. Secondo un’inchiesta del 2014 del quotidiano norvegese Klassekampen in collaborazione con il consorzio di giornalisti investigativi OCCRP, nel 2007 VimpelCom ha inviato denaro a un’azienda controllata da Gulnara Karimova, figlia dell’allora presidente dell’Uzbekistan Islam Karimov. Quei soldi sono serviti per acquistare le licenze per le telecomunicazioni.

Nel 2015 l’ex amministratore delegato di VimpelCom è stato arrestato con l’accusa di corruzione in un’indagine da parte delle autorità statunitensi, svizzere e olandesi. A novembre 2017 queste accuse sono cadute. Nel frattempo VimpelCom – che ha cambiato nome in Veon – ha ammesso nel 2016 di aver pagato più di 114 milioni di dollari in tangenti e ha accettato di pagare una sanzione di 795 milioni di dollari per risolvere le relative indagini statunitensi e olandesi.

Inoltre, un’altra inchiesta di Klassekampen ha rivelato che, oltre alla corruzione, VimpelCom ha sponsorizzato la raccolta annuale di cotone in Uzbekistan, facendo donazioni al regime di Karimov. L’Ong Human Rights Watch ha equiparato queste raccolte di cotone a veri e propri lavori forzati.

Gli operatori telefonici in Myanmar giocano un ruolo importante nella repressione, in particolare i due operatori nazionali MPT e Mytel, entrambi vicini al governo e all’esercito.

Per certi versi Telenor sembrava offrire una speranza di protezione dalla sorveglianza. Pur avendo cercato di resistere alla richiesta di fornire sorveglianza in tempo reale, però, Telenor è stata costretta a consegnare i dati degli utenti come gli indirizzi e la cronologia delle chiamate, come rivelato da un’inchiesta della testata danese Danwatch in collaborazione con Frontier Myanmar e grazie alle informazioni di una fonte interna alla polizia birmana.

Da quando è entrata nel mercato birmano, Telenor è obbligata a condividere i dati dei propri utenti come ad esempio lo storico delle chiamate effettuate, il documento d’identità usato per registrare la SIM card e la posizione – ma non i contenuti delle conversazioni. Queste informazioni possono essere richieste a fini di indagine ma, in una situazione di quasi-guerra civile, potrebbero essere facilmente usati anche per reprimere l’opposizione. Una situazione simile avviene anche nei Paesi europei: in Italia gli operatori telefonici sono costretti a fornire le cosiddette “prestazioni obbligatorie di giustizia” per aiutare nelle attività di indagine.

Stando al report annuale pubblicato dalla stessa Telenor, nel 2020 l’azienda ha soddisfatto le richieste del governo birmano in 91 casi su 97. Danwatch sottolinea però che una richiesta può riguardare più persone e non è quindi chiaro quanti utenti fossero coinvolti.

Il futuro nelle mani della libanese M1 Group

Il nuovo proprietario di Telenor Myanmar desta però già preoccupazioni, come sottolineato in un articolo degli attivisti di Justice for Myanmar. M1 Group è stata fondata da Najib Mikati e da suo fratello Taha Mikati. Najib Mikati è stato due volte primo ministro del Libano nel 2005 e nel 2011. I due hanno fondato anche l’azienda Investcom con lo scopo di entrare nel mercato delle telecomunicazioni, espandendosi nei mercati dell’Africa occidentale e in altri Paesi del Medio Oriente.

Nel 2001 Investcom sbarca in Siria sotto il regime di Bashar al-Assad, in un momento in cui le atrocità del regime stavano già affiorando, sottolineano gli attivisti di Justice for Myanmar. E nel 2005 Investcom ha lanciato una rete mobile in Sudan, in un momento centrale della crisi in Darfur – proprio in quell’anno una squadra investigativa delle Nazioni unite aveva concluso che erano stati commessi crimini di guerra. Investcom si è poi fusa con MTN Group, un operatore mobile che opera in Africa, Asia e Europa, di cui M1 Group possiede la maggioranza delle azioni.

M1 Group possiede una quota anche in Irrawaddy Green Towers (IGT), una delle maggiori società di torri telefoniche del Myanmar. Come ricostruito dagli attivisti di Justice for Myanmar, IGT ha firmato un accordo con Mytel nel luglio 2017 per concedere l’utilizzo delle proprie torri telefoniche. Per gli attivisti quindi IGT sostiene gli affari dell’esercito del Myanmar ed è legata ai suoi crimini.

«Telenor è entrata in Myanmar perché credevamo che l’accesso a servizi mobili a prezzi accessibili avrebbe sostenuto lo sviluppo e la crescita del Paese», ha dichiarato il Presidente di Telenor nel comunicato di annuncio della vendita. Ora quella stessa infrastruttura potrebbe essere utilizzata esclusivamente per lo sviluppo e la crescita della sorveglianza.

Foto: la polizia del Myanmar in tenuta antisommossa a Taunggyi, Myanmar, il 28 febbraio 2021 – R. Bociaga/Shutterstock | Editing: Lorenzo Bagnoli

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