Tra Spagna, Italia e Malta: l’indagine impigliata sul tonno rosso

Tra Spagna, Italia e Malta: l’indagine impigliata sul tonno rosso

​Victor Paul Borg
Marcos García Rey
Simone Olivelli

ABeniparrell, paesino di duemila abitanti o poco più nella parte orientale della Spagna, ci si conosce un po’ tutti. Con il centro storico che si sviluppa attorno alla chiesa dedicata a santa Barbara, il piccolo paese della Comunità Valenciana è fuori dai tradizionali circuiti turistici. Ogni tanto qualche viaggiatore passa tentato dalla proposta di una paella rispettosa della tradizione, ma per il resto il paese conduce la propria esistenza fuori dalle cronache dei giornali. Quattro anni fa, però, c’è stato un momento in cui Beniparrell è finito al centro dell’attenzione internazionale. Era il 2018, in autunno, quando la Guardia Civil spagnola irruppe in un anonimo magazzino dell’area industriale portando alla scoperta di uno dei punti nevralgici di una rete di contrabbandieri che aveva nel tonno rosso il proprio oro.

L’operazione – condotta sotto il coordinamento di Europol e denominata Tarantelo, in omaggio a uno dei tagli più pregiati del pesce – portò all’arresto di 79 persone e al sequestro di 80 tonnellate di merce, oltre che di mezzo milione di euro in contanti e poi ancora gioielli, orologi e mezzi di lusso. Gli investigatori quantificarono in 25 milioni di euro all’anno il giro d’affari intercettato.

Numeri impressionanti ma giustificati dal fatto che, oltre all’area valenciana, il contrabbando avrebbe riguardato anche la zona di Murcia, la capitale dell’omonima comunità autonoma. La cifra è calcolata decisamente al ribasso, anche perché la Spagna, sarebbe stata soltanto l’anello finale di una catena che avrebbe visto protagonisti anche Malta, Italia e Francia, tutti Paesi che hanno nella pesca del tonno rosso un asset fondamentale del comparto ittico e che sono soggetti alla regolamentazione imposta dalla Commissione internazionale per la conservazione del tonno atlantico (Iccat) in materia di catture.

Con i suoi prezzi da capogiro dettati dall’elevatissima richiesta, figlia della diffusione in tutto il mondo della cultura del sushi ma anche dal sistema delle quote che mette nelle mani di pochi la possibilità di catturare i pesci, quello del tonno rosso rappresenta un mercato tra i più ricchi e come tale attraente anche per chi voglia lucrarvi aggirando le regole.

La lenza e gli ami che compongono il palamito pronti per l'utilizzo - Foto: Victor Paul Borg
La lenza e gli ami che compongono il palamito pronti per l’utilizzo – Foto: Victor Paul Borg

Lavorando a Tarantelo, gli investigatori da subito hanno avuto la sensazione di avere messo le mani su un sistema molto articolato. Rapporti e relazioni internazionali che sarebbe valsa la pena indagare ancora di più se la scoperta di una talpa all’interno della Guardia Civil, che metteva a rischio tutta l’indagine, assieme ai rischi per la salute dei consumatori di tonno, non avessero reso necessario accelerare l’esecuzione del blitz.
Tuttavia, di come si sia evoluta questa storia, a quasi quattro anni dai fatti, si sa ben poco. Per questo IrpiMedia, insieme ai propri partner in Spagna e a Malta, ha cercato di fare il punto su ciò che sta accadendo all’interno dei tribunali ma anche in mare, dove, secondo diverse fonti attendibili, il fenomeno della pesca illegale prosegue pressoché indisturbato.

Lo stallo giudiziario a Madrid

Partiamo da un punto fermo: l’indagine Tarantelo in Spagna è ancora aperta, così come a Malta, dove si procede per alcuni dei soggetti coinvolti. Eppure il procedimento fatica a fare passi in avanti. Le accuse vanno dalla frode al riciclaggio, reati commessi mettendo a rischio la salute dei consumatori, sulle cui tavole sarebbe finito pesce trattato con additivi nell’intento di camuffarne i cattivi odori e i segni di deterioramento dovuti a condizioni di trasporto ben lontane dai protocolli previsti dalla legge.

Un primo rallentamento è stato dovuto alla decisione dell’autorità giudiziaria della Comunità Valenciana di trasmettere gli atti, per competenza, all’Audiencia Nacional, tribunale che ha sede a Madrid e giurisdizione su tutto il territorio nazionale. Questo passaggio però, stando a fonti vicine ai tribunali iberici, non è sufficiente a spiegare lo stallo.

Col passare dei mesi, gli indagati che erano stati sottoposti a misura cautelare sono tornati in libertà e, in attesa delle decisioni degli inquirenti, hanno ripreso le proprie attività tra pesca, allevamenti in mare e commercio.

Il caso Tarantelo, infatti, affidato alla giudice Maria Tardon, si trova ancora nella fase istruttoria. Al momento, nonostante le prove raccolte dalla Guardia Civil, non è stata formulata richiesta di rinvio a giudizio. Il trascorrere del tempo, però, potrebbe avere effetti sull’esito del futuro processo: l’articolo 21 del codice penale spagnolo prevede, al comma 6, che una «dilazione straordinaria e indebita della trattazione del procedimento, sempre che non sia attribuibile all’imputato e che non sia correlata alla complessità della causa», possa rappresentare una circostanza attenuante della responsabilità criminale.

L'indagine Tarantelo

L’indagine Tarantelo ha riguardato 29 società e 90 persone. Gli atti dell’inchiesta, diverse centinaia di pagine stilate dalla Guardia Civil, sono all’attenzione dell’Audencia nacional, il tribunale che ha competenza in tutto il Paese. Gli investigatori hanno tracciato due direttrici lungo cui si sarebbero sviluppati gli affari sul suolo spagnolo: Valencia e Murcia. L’inchiesta è partita dal magazzino della Marfishval, grossista di Beniparrell. L’azienda avrebbe acquistato di contrabbando il tonno rosso da pescatori spagnoli, dalla società italiana Red Fish e dalla Malta Farming Limited (Mff), i cui pesci d’allevamento sarebbero stati trasportati via terra dalla società maltese Express Trailers. L’amministratore di quest’ultima, Franco Azzopardi, ha dichiarato di non essere a conoscenza di indagini in corso sulla società e di non avere mai ricevuto visite da parte della polizia giudiziaria per vicende correlate a Tarantelo. Azzopardi ha anche smentito che per Express Trailers abbia lavorato l’autista citato nelle carte dell’indagine. «Nessun autista con quel nome in quel periodo», ha detto.

L’attenzione degli investigatori si è spostata a sud quando, intercettando i telefoni degli indagati, si è capito che Red Fish riforniva anche commercianti di Murcia. Qui i referenti erano le società controllate da Ricardo Fuentes e Hijos, società leader dell’omonimo gruppo. Sarebbe stato in questa fase che una talpa all’interno del corpo della Guardia Civil avrebbe trasmesso informazioni agli indagati, pregiudicando il prosieguo dell’inchiesta. A ciò sarebbe riconducibile la decisione di José Fuentes Garcia di cambiare numero di telefono e, più in generale, l’improvvisa riduzione delle comunicazioni telefoniche tra i protagonisti.

Gli affari illeciti avrebbero fatto leva sull’utilizzo di documentazione falsificata. Dirimente per la tracciabilità del tonno sono gli eBCD (Electronic Bluefin Tuna Catch Document, ndr). Gli indagati li avrebbero alterati o addirittura riciclati. In pratica lo stesso documento che certificava una cattura regolare sarebbe stato fotocopiato e utilizzato per accompagnare esemplari pescati illecitamente. Un doppio binario che avrebbe garantito guadagni a sei zeri.

Sul fatto che Tarantelo sia un’inchiesta complessa, dubbi non ce ne sono: già l’anno scorso, fonti giudiziarie hanno riferito che le rogatorie inviate a Malta non avevano ricevuto risposta. A ciò si aggiungono le difficoltà nell’ottenere informazioni sulle operazioni finanziarie compiute da alcuni degli indagati: parte dei proventi del contrabbando sarebbero infatti finiti a Panama, le cui autorità non hanno dato riscontro alle richieste degli inquirenti. A completare il quadro, stando a quanto riferito da fonti vicine all’Audiencia Nacional, ci sarebbe la mole di lavoro a carico dei singoli giudici che costringerebbe a compiere delle scelte, dando priorità ad alcuni procedimenti a discapito di altri. Tra questi ultimi potrebbe esserci Tarantelo.

Il timore di chi da quattro anni attende i risultati di questa operazione è che l’intera vicenda possa finire su un binario morto. Tra loro c’è Celia Ojeda, responsabile Biodiversità di Greenpeace Spagna. «Abbiamo bisogno di procedimenti giudiziari che dimostrino ai cittadini e ai politici che la pesca illegale è un fenomeno reale, ma anche che facciano capire alle aziende che queste attività portano a conseguenze penali».

Nell’inchiesta Tarantelo, Greenpeace Spagna veste i panni di acusador popular, istituto previsto dal sistema giudiziario iberico che consente di esercitare l’azione penale non solo al pubblico ministero. Nella stessa posizione si trovano Balfegò, società che alleva e commercia tonno rosso, e Cepesca, associazione che raggruppa proprietari di pescherecci. Sul fronte governativo, invece, era stato il ministro spagnolo per la Pesca ad annunciare, subito dopo la notizia degli arresti, di avere dato mandato gli uffici legali del ministero di seguire direttamente l’evolversi della vicenda «a difesa dell’interesse pubblico». Fonti, però, affermano che nessuna sollecitazione sia stata fatta nei confronti della giudice per accelerare il procedimento penale. Sul punto, il ministero spagnolo non ha risposto alle domande poste da IrpiMedia.

«Non riesco a capire i motivi di questa lentezza nell’inchiesta, così si crea un senso di impunità tra gli indagati», commenta invece una fonte vicina al palazzo di giustizia chiedendo di mantenere l’anonimato.

Dei pescatori maltesi issano a bordo un tonno da 8o Kg appena pescato - Foto: Victor Paul Borg
Dei pescatori maltesi issano a bordo un tonno da 8o Kg appena pescato – Foto: Victor Paul Borg

Stando al codice penale spagnolo, gli indagati rischierebbero pene che vanno dalle multe alla reclusione fino a due anni, ma soprattutto la sospensione delle licenze di pesca da un minimo di due a un massimo di quattro anni.

Finché però i fatti non verranno esaminati all’interno di un processo, tali misure sanzionatorie resteranno solo ipotesi. La realtà vede ogni singolo protagonista della presunta rete di contrabbando proseguire senza intoppi le sue attività: è il caso della valenciana Marfishval, che rifornisce pescivendoli e punti vendita al dettaglio; della Ricardo Fuentes e Hijos, società capofila dell’omonimo gruppo attivo tanto nella commercializzazione quanto nell’allevamento con stabilimenti in Spagna e a Malta; e di Red Fish, azienda siciliana di proprietà dei figli di Salvatore Russo, imprenditore attivo nella pesca e commercializzazione di tonno e pesce spada.

A continuare a operare, in attesa delle decisioni delle autorità giudiziarie, è pure la Malta Fish Farming (Mff), società che possiede la Ta’ Mattew Fisheries Limited, tra i protagonisti dell’acquacoltura che nell’isola dei cavalieri ha uno snodo cruciale per il mercato mondiale del sushi.

Red Fish

L’indagine Tarantelo tocca l’Italia e ha in Red Fish la società che avrebbe diversificato i propri affari illeciti in Spagna, tra le città di Valencia e Murcia. Stando a quanto verificato da IrpiMedia, nell’inchiesta è coinvolto Salvatore Russo, 66enne originario di Acireale, in provincia di Catania, e padre dei due soci di Red Fish.

L’azienda, proprietaria di diverse imbarcazioni specializzate nella cattura di pesce spada e tonno, nel 2022 è stata destinataria di quote tonno: sono 19 le tonnellate assegnate all’imbarcazione Red Fish, che prende il nome della società proprietaria e che utilizza il sistema palangaro.

Salvatore Russo è titolare e unico socio della New International Fish, società proprietaria del peschereccio Andrea Doria Seconda, che gode di una quota di poco superiore alle cinque tonnellate e che, ad aprile dell’anno scorso, rimase pesantemente danneggiato da un incendio divampato all’interno di un cantiere navale di Portopalo di Capo Passero, in provincia di Siracusa.

La lunga carriera nel settore della pesca di Russo si è incrociata più volte con le aule dei tribunali. L’imprenditore, nel 1996, viene arrestato nell’operazione Ficodindia con l’accusa di associazione mafiosa. La procura lo accusava di fare parte dei Laudani, cosca attiva nel Catanese ed estranea a Cosa nostra, a cui Russo sarebbe stato vicino anche per la parentela con Giuseppe Grasso, detto Tistazza, boss da diversi lustri all’ergastolo e cognato dell’imprenditore. Russo però è stato assolto.

La storia si ripete pochi anni più tardi: è il 1999 quando i carabinieri eseguono il blitz Provvidenza, dal nome dell’imbarcazione simbolo del romanzo di Giovanni Verga I Malavoglia. Russo viene arrestato con l’accusa di illecita concorrenza con minaccia o violenza, reato aggravato dal fine di agevolare la mafia. A puntare il dito contro di lui sono diversi collaboratori di giustizia, sostenendo che l’imprenditore, grazie alla vicinanza ai Laudani, avesse ottenuto una sorta di esclusiva sulla vendita del pesce spada. Anche in questa circostanza, però, le imputazioni furono smontate dalla difesa di Russo che rimarcò come il proprio assistito fosse da intendersi una vittima del racket, a cui era costretto devolvere una somma per ogni chilo di pesce venduto.

L’imprenditore nel 2009, un decennio dopo il coinvolgimento in Provvidenza, denunciò l’estorsione subita pochi anni prima da Pippo Laudani, il giovane boss che aveva preso le redini della famiglia sull’intero territorio provinciale. Nello stesso periodo, però, sia lo stesso Laudani che altri boss di spessore del clan hanno ripetutamente citato Russo, indicandolo come un soggetto contiguo al clan. Tuttavia tali accuse non hanno portato a nuove indagini specifiche sul suo conto.

I guai con la giustizia dell’imprenditore non sono però finiti. Più di recente, Russo è stato indagato nell’operazione Oro Rosso della guardia costiera di Catania. In questo caso, le contestazioni riguardano un sistema di frodi che avrebbero consentito, con la complicità di pubblici ufficiali infedeli, di gestire un giro d’affari che ruotava attorno alla pesca illegale del tonno, riuscendo anche a tornare in possesso degli esemplari sequestrati nel corso dei controlli all’uscita dei porti. Per questi fatti è in corso un processo al tribunale di Catania.

Rispetto al coinvolgimento in Tarantelo, Russo, tramite il suo avvocato, ci ha detto di non essere indagato, ma, secondo le carte ufficiali di cui IrpiMedia ha preso visione, il suo nome è nella lista. Data la lentezza del procedimento in Spagna, è possibile che a Russo non sia stato ancora notificato alcun atto.

Sull’attuale situazione del settore della pesca del tonno rosso, l’imprenditore siciliano fa sapere di essere favorevole a una liberalizzazione «almeno per un mese all’anno in favore di tutte le imbarcazioni con il sistema del palangaro sprovviste di quote, solo per il mercato nazionale e senza possibilità di esportare il pescato come invece è consentito ai titolari delle quote». Una misura che, a detta di Russo, andrebbe incontro alle difficoltà economiche sofferte da molti operatori per l’aumento dei costi del carburante e che terrebbe conto anche del fatto che attualmento «nel Mediterraneo vi è una presenza eccessiva di tonni, che riduce la disponibilità di altre specie ittiche minori, di cui i tonni si cibano».

Un pescatore maltese installa un calamaro come esca a uno degli ami del palamito - Foto: Victor Paul Borg
Un pescatore maltese installa un calamaro come esca a uno degli ami del palamito – Foto: Victor Paul Borg

Una situazione ancora critica

L’inchiesta Tarantelo ha nell’asse Malta-Spagna la principale direttrice. Agli atti ci sono intercettazioni tra José Fuentes, imprenditore dell’omonima famiglia, e l’allora direttrice generale del dipartimento della Pesca maltese, Andreina Farrugia Fenech. Quest’ultima avrebbe utilizzato un numero spagnolo registrato da Fuentes. La Guardia Civil ritiene che il rapporto tra i due sia di «assoluta fiducia», al punto che Farrugia Fenech potrebbe essere stata consapevole delle attività illecite che i Fuentes avrebbero compiuto. Andreina Farrugia Fenech è stata sospesa dall’incarico ed è al momento sotto indagine.

Spostando lo sguardo sugli altri indagati si scopre che sono diversi coloro che in passato sono stati coinvolti in grandi e piccole grane giudiziarie. È il caso, per esempio, di Salvatore Russo, accusato (e poi assolto) di vicinanza alla criminalità organizzata siciliana (vedi box “Red Fish”), ma anche di Giovanni Ellul della Malta Fish Farming, che nel 2016 fu trovato in possesso di tonno non tracciabile. Per lui la storia si concluse – grazie all’ammissione di responsabilità e alla fedina penale intonsa – con una multa di 1.500 euro.

Mff ha finanziato l’ultima campagna elettorale a Malta per le Parlamentari svoltesi in primavera. L’azienda ha donato 2.500 euro in favore di Alicia Bugeja Said, esponente del Partito laburista che, dopo l’elezione, è stata nominata sottosegretaria del ministero per la Pesca e l’Acquacoltura. La somma pagata da Malta Fish Farming costituisce oltre il 20 per cento degli 11 mila euro raccolti da Bugeja Said durante la campagna elettorale. Altri 1.500 sono stati donati da Azzopardi Fisheries, altra società specializzata nell’allevamento di tonni.

Ai più attenti ha destato stupore il sostegno dei due gruppi imprenditoriali alla neo-sottosegretaria: Bugeja Said in passato si era espressa in maniera molto critica nei confronti degli allevamenti di tonno. In un articolo pubblicato nel 2016 sulla rivista Marine Policy, aveva parlato della transizione verso gli allevamenti come uno strumento al servizio degli «interessi delle elite» e a danno dei piccoli pescatori.

L'ufficio di Alicia Bugeja Said, parlamentatre e sottosegretaria del ministero per la Pesca e l'Acquacoltura, si trova nei pressi del porto di Marsaxlokk, al piano terreno di un edificio di proprietà di un pescatore - Foto: Victor Paul Borg
L’ufficio di Alicia Bugeja Said, parlamentatre e sottosegretaria del ministero per la Pesca e l’Acquacoltura, si trova nei pressi del porto di Marsaxlokk, al piano terreno di un edificio di proprietà di un pescatore – Foto: Victor Paul Borg

La sottosegretaria alla richiesta di un commento sull’opportunità di accettare donazioni da Mff – alla luce del coinvolgimento in Tarantelo – non ha risposto.
Sono rimaste senza risposte anche le domande riguardanti Francesco Lombardo, attuale chief scientific officer del dipartimento Pesca e in passato dipendente della Mff.

Di Lombardo, IrpiMedia ha scritto nell’ambito dell’inchiesta giornalistica Tonno Nero, per la sua passata esperienza in Oceanis, società italiana che per anni si è occupata in via quasi esclusiva della formazione in Italia degli osservatori incaricati di controllare le fasi della pesca e del trasferimento dei tonni nelle gabbie e che di recente ha ricevuto l’incarico di svolgere attività di formazione anche a Malta.

Con gli attori principali dell’inchiesta che restano più o meno tutti al loro posto, in attesa che i tribunali stabiliscano se le accuse loro rivolte siano fondate, la paura che il mondo del tonno continui a essere segnato da pratiche illegali è seria. Sono molti gli esperti che denunciano la poca trasparenza del settore.

«La maggior parte della pesca illegale ha a che fare con gli allevamenti – commenta Alessandro Buzzi, esperto di tonno rosso per il Wwf –. È un’attività molto complessa da monitorare. Ci sono molte regole, ma anche altrettanti esempi di pratiche illecite in corso». Le ragioni per essere sospettosi non mancano: Buzzi da tempo segnala un’anomalia legata al tasso di crescita del peso dei pesci. «In alcuni casi sono pazzeschi, si arriva al 200 per cento», sottolinea l’esperto, secondo cui il dato potrebbe nascondere l’immissione nelle gabbie di più esemplari, fuori dalla quota permessa e ufficialmente dichiarata.

Quello del tasso di crescita è uno dei temi su cui Iccat ha intenzione di intervenire, imponendo dei limiti scientificamente provati all’aumento di peso degli esemplari. L’organismo internazionale negli ultimi anni ha pubblicato anche diverse linee guida per migliorare la qualità dei controlli. Tra queste c’è la raccomandazione 19-04 che ha accolto alcuni cambiamenti necessari alla luce delle criticità emerse con l’operazione Tarantelo. Tra le novità, l’introduzione di un ulteriore controllo: oltre agli osservatori regionali schierati da Iccat e a quelli nazionali messi in campo dai singoli Paesi, è stata prevista la sigillatura delle gabbie dagli allevamenti fino al momento della macellazione.

Tuttavia, finché le autorità dei singoli Paesi non riusciranno a perseguire infrazioni e reati in maniera tempestiva è difficile attendersi un cambio di passo. Per quanto riguarda Malta addirittura è possibile che La Valletta finisca davanti alla Corte di giustizia europea per non avere reso efficiente il sistema di controllo delle attività degli allevamenti.

Le ultime ombre

Tra le vicende che hanno riportato l’attenzione sui problemi di trasparenza nella filiera del tonno rosso spicca senz’altro quella che avrebbe visto come protagonista la spagnola Fuentes e Hijos. Fonti della Guardia Civil affermano che il ministero della Pesca di Madrid, quest’anno, avrebbe imposto alla società di liberare tonni allevati in uno degli allevamenti che possiede nelle acque iberiche. Un portavoce della società ha commentato sostenendo sia naturale ritrovarsi con più tonni rispetto alla quota assegnata, poi però, di fronte al rilievo riguardante il peso complessivo degli esemplari che andavano rilasciati – circa 1,2 tonnellate –, si è riservato di consultarsi con i vertici societari.

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Un’altra vicenda riguarderebbe alcuni pescherecci libici a circuizione e due allevamenti attivi a Malta che sarebbero stati interessati da catture illecite. Una fonte ha fornito i nomi dei natanti e specificato gli allevamenti per cui lavorerebbero.

Abbiamo cercato di verificare la segnalazione con tutti i modi in nostro possesso, in particolare ricostruendo i movimenti delle barche in questione tramite MarineTraffic, il servizio web di localizzazione delle navi. Il monitoraggio ha riguardato l’intera stagione della pesca, tenendo conto anche delle altre barche che hanno operato nelle loro vicinanze, nel tratto di mare compreso tra Malta e Libia, ovvero l’area a maggiore concentrazione di tonno rosso in fase di riproduzione del Mediterraneo.

Le navi in questione sono quattro, di cui tre battenti bandiera libica e una maltese. Per quanto riguarda le navi libiche, sembrerebbero aver operato per la maggior parte della stagione della pesca con il trasponder del sistema di localizzazione spento, una procedura altamente sospetta: per i pescherecci, infatti, rendere chiara la propria posizione alle altre navi è particolarmente importante visto che hanno la precedenza su tutti gli altri natanti nella zona. Il rischio infatti è di perdere il costoso equipaggiamento da pesca nelle eliche delle navi di passaggio, con danni potenziali per centinaia di migliaia di euro.

Le battute di pesca, sostiene la fonte, sarebbero state inoltre condizionate dalla negligenza degli osservatori schierati da Iccat, che si sarebbero limitati a trascrivere i dati forniti dai comandanti senza verificare la veridicità delle dichiarazioni. In alcuni casi, sarebbero stati addirittura assenti.

Da MarineTraffic si direbbe che nell’intera stagione della pesca del tonno rosso, i pescherecci libici siano usciti soltanto una volta: nella prima serata del 28 giugno. Due settimane dopo la comparsa nel Porto Grande di Malta e a pochi giorni dalla fine della stagione, hanno azionato i motori quasi contemporaneamente, per dirigersi a sud, verso i porti libici di Tripoli e Al Khoms.

La Torre di Santa Lucia, costruita dai Cavalieri di San Giovanni, è oggi la sede del dipartimento che regola il settore dell'acquacoltura per il governo maltese - Foto: Victor Paul Borg
La Torre di Santa Lucia, costruita dai Cavalieri di San Giovanni, è oggi la sede del dipartimento che regola il settore dell’acquacoltura per il governo maltese – Foto: Victor Paul Borg

Per quanto riguarda la barca maltese, un rimorchiatore, MarineTraffic ha registrato la sua posizione il 19 giugno, a circa sei chilometri da Marsascala, dove si trovano diversi allevamenti di tonno. Nei giorni precedenti si era affiancato ad altri due rimorchiatori, uno italiano e uno maltese, con velocità molto ridotte compatibili con il trasporto di gabbie da tonno.

L’ipotesi che i tre rimorchiatori si siano occupati del trasferimento della stessa gabbia, in una sorta di staffetta, aprirebbe una questione riguardante i regolamenti dell’Unione europea: è previsto infatti che il passaggio di gabbia debba essere autorizzato preventivamente dalle autorità statali. A riguardo, il dipartimento per la Pesca maltese non ha risposto sul rilascio di nulla osta per operazioni di questo tipo tra le imbarcazioni in questione.

Sul conto del rimorchiatore maltese segnalato dalla nostra fonte, va sottolineato che, in una prima ricerca fatta il 23 giugno, sul sito di Iccat apparivano le informazioni riguardo al proprietario della barca, mentre successivamente queste informazioni sono scomparse. Il proprietario in questione, alle nostre domande non ha confermato né negato le accuse della fonte, ma ha solo risposto che «qualsiasi domanda in merito va sottoposta alle autorità competenti».

Nonostante le importanti prove circostanziali, non è possibile allo stato attuale dire con certezza se i pescherecci abbiano svolto attività illegali. Conferme potrebbero arrivare dai documenti in possesso di Iccat e delle autorità nazionali, a partire dai rapporti degli osservatori. Materiale che però non è accessibile, neppure Iccat ha risposto alle nostre domande.

CREDITI

Autori

Victor Paul Borg
Marcos García Rey
Simone Olivelli

Ha collaborato

JournalismPlus
Grupo Merca2

Editing

Giulio Rubino

Foto di copertina

La lenza e gli ami che compongono il palamito pronti per l’utilizzo
(Victor Paul Borg)

«Perché ho ucciso Daphne». La confessione di Degiorgio e i legami con la politica maltese

#DaphneProject

«Perché ho ucciso Daphne». La confessione di Degiorgio e i legami con la politica maltese

Edoardo Anziano

«Perché avete ucciso Daphne Caruana Galizia?». Nessuna risposta. L’ispettore di Polizia Keith Arnaud insiste. «Perché George, l’hai uccisa? Cosa ti ha spinto a uccidere una giornalista in quel modo?». Silenzio. Interviene l’ispettore Kurt Zahra, il suo vice nell’indagine: «Ti ha infastidito in qualche modo o ha dato fastidio a qualcun altro?». L’interrogato tace, ostinato. È la sera del 5 dicembre 2017 al quartier generale della Polizia di La Valletta. George Degiorgio, arrestato il giorno precedente perché sospettato di aver fatto saltare in aria la reporter d’inchiesta maltese Daphne Caruana Galizia insieme a suo fratello Alfred e a Vincent Muscat, non ha aperto bocca per tutta la durata dell’interrogatorio. Degiorgio – soprannominato “iċ-Ċiniż” – confessa per la prima volta solo adesso, a distanza di cinque anni: «Se lo avessi saputo [chi era l’obiettivo dell’attentato, ndr], avrei chiesto 10 milioni. Non 150 mila!», ha detto a luglio 2022 dal carcere di Corradino al giornalista della Reuters Stephen Grey, che lo stava intervistando per il podcast Who killed Daphne? (Chi ha ucciso Daphne?), un’inchiesta sui retroscena dell’omicidio in uscita dall’11 luglio, a puntate.

«Per me erano solo affari. Sì. Affari come al solito!».

Non si tratterebbe quindi di una vendetta personale come ipotizzato dagli investigatori all’inizio delle indagini, ma di un lavoro su commissione. Il reo confesso ha aggiunto di essere dispiaciuto per le conseguenze delle sue azioni e di non conoscere la giornalista.

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I ripetuti tentativi di ottenere la grazia in cambio di informazioni sui mandanti dell’omicidio sono stati sempre respinti dalla Corte di Appello di Malta. A settembre, di conseguenza, i fratelli Degiorgio dovranno affrontare il processo. Il terzo sospettato di appartenere al gruppo di fuoco, Vince Muscat, è stato invece già condannato nel 2021 a 15 anni di carcere, dopo aver ammesso di aver piazzato l’esplosivo nella Peugeot 108 di Daphne Caruana Galizia. Muscat, che ha beneficiato di una pena ridotta in cambio di informazioni sul caso, ha rinunciato al suo diritto di fare appello contro la sentenza.

Anche George Degiorgio, nell’intervista alla Reuters, ha dichiarato di voler collaborare con i magistrati, per ottenere uno sconto sulla pena e per fare il nome di altri responsabili dell’omicidio, in modo che lui e suo fratello Alfred non siano gli unici condannati. Non è la prima volta che i Degiorgio offrono informazioni sulle menti dietro l’omicidio di Daphne Caruana Galizia e sul coinvolgimento della politica in altri crimini, in cambio della grazia. «Parlerò con il magistrato», ha assicurato di nuovo “iċ-Ċiniż”, dichiarandosi pronto a rivelare sia le responsabilità di un politico maltese in un precedente tentativo, fallito, per uccidere Caruana Galizia, sia la partecipazione di due ex ministri in una rapina a mano armata.

Quanto costa un omicidio

Fino all’uccisione di Caruana Galizia, i fratelli Degiorgio – e con loro Vince Muscat – non sembrano avere un ruolo di primo piano nel panorama della criminalità maltese. L’ultimo impiego ufficialmente dichiarato da George Degiorgio risale al 1983, in una società di costruzioni, mentre Alfred risulta aver avuto un unico lavoro, come buttafuori in un bar di Paceville, la cittadina della movida maltese, per appena quattro mesi nell’estate del 2005. I due fratelli non hanno immobili o società a loro intestate.

Il più giovane dei due, Alfred, anche conosciuto come “il-Fulu”, ha frequentato, fra il 2011 e il 2017, diverse sale da gioco dell’isola, fra cui il Casinò Portomaso e l’Oracle, entrambi di proprietà del gruppo Tumas Gaming dell’imprenditore Yorgen Fenech, ritenuto dagli investigatori il mandante dell’omicidio di Daphne. Degiorgio avrebbe scommesso centinaia di migliaia di euro. Nel 2021, a seguito di un’indagine della Financial Intelligence and Analysis Unit, la Tumas Gaming è stata multata per riciclaggio di denaro.

#DaphneProject

Gli intoccabili, la bomba e la mafia

C’è un gruppo di criminali a Malta, i Maksar, che gestisce i traffici più redditizi e può vantare contatti con cosa nostra. Secondo testimonianze inedite hanno fornito la bomba che ha ucciso la giornalista Daphne

Come già raccontato da IrpiMedia, Fenech è un imprenditore tra i più ricchi dell’isola, con importanti connessioni con i fedelissimi di Joseph Muscat, ex primo ministro dimessosi a gennaio 2020 in seguito allo scandalo. A incastrare Fenech è l’accusa dell’intermediario Melvin Theuma, a cui l’imprenditore avrebbe chiesto di reclutare Vince Muscat, Alfred e George Degiorgio nel gruppo di fuoco. A sua volta Fenech ha accusato Keith Schembri, l’ex capo di gabinetto di Muscat, di aver pagato 80 mila euro ai tre killer – i Degiorgio e “il-Kohhu” Muscat. Secondo la testimonianza di Theuma, Fenech avrebbe dato ai Degiorgio fra 500 e 600 mila euro.

Due rapine per una banca

Proprio il ruolo dei Degiorgio, professionisti affidabili ed esperti nell’uso di autobombe, è risultato decisivo per la buona riuscita del piano di silenziare la più nota giornalista investigativa del Paese. Ma le vicende criminali legate a “il-Fulu” e a suo fratello maggiore “iċ-Ċiniż” erano iniziate già molto tempo prima.

Il 26 ottobre 2000 un furgone portavalori della compagnia di sicurezza privata G4S viene assaltato da uomini armati mentre lascia la banca HSBC a Santa Venera, uno dei paesi che circondano la penisola di Valletta. I rapinatori trafugano quasi 900 milioni di lire maltesi, circa 2,1 milioni di euro. Insieme ai complici Mario Cutajar ed Emanuel Formosa, viene arrestato Alfred Degiorgio, con l’accusa di rapina, furto di tre autovetture, detenzione illegale di terze persone, danneggiamento.

Il processo però si impantana a causa della mancanza di un esperto forense che confermi che le impronte digitali trovate sui sacchi di monete rubate siano proprio di Degiorgio. Solo nell’agosto del 2017, due mesi prima che Daphne Caruana Galizia venga fatta esplodere, Alfred “il-Fulu” viene condannato. Sarà poi assolto per difetti procedurali l’anno seguente, e nel 2021 la Corte Costituzionale gli riconoscerà un risarcimento danni.

C’è poi un’altra rapina, sempre alla banca HSBC, che aveva già delineato le reti di alleanze criminali che avrebbero poi giocato un ruolo nell’omicidio Caruana Galizia.

Nella notte fra il 30 giugno e il primo luglio 2010, mentre il Presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano si trova in visita istituzionale a Malta, un gruppo di rapinatori assalta la sede HSBC della città di Qormi, al centro dell’isola. Si tratta di uno degli edifici più sicuri di Malta, ma i rapinatori hanno una «preparazione militare» e impegnano la polizia in una sparatoria in cui i soli malviventi sparano 65 colpi.

L’arrivo delle forze dell’ordine costringe però i rapinatori a scappare. Saranno arrestati poco dopo. Fra questi c’è Vincent Muscat, uno dei membri del commando che, sette anni dopo, avrebbe messo l’esplosivo nell’auto di Daphne Caruana Galizia. Proprio Muscat fa il nome di un politico laburista, Carmelo Abela, ministro degli esteri dal 2017. All’epoca della rapina, Abela lavorava al Dipartimento salute e sicurezza della HSBC e pertanto sarebbe stato in grado di fornire i badge per accedere alla sede della HSBC a Qormi. Le dichiarazioni di Muscat convergono con quelle del suo complice nell’omicidio Caruana Galizia, Alfred Degiorgio, che aveva affermato di avere una «conoscenza diretta» in grado di coinvolgere un ministro in carica nella tentata rapina.

Come confermato dallo stesso ministro nel 2021, Abela è stato interrogato sul caso e poi indagato, dopo che uno dei Degiorgio aveva fatto il suo nome alla Polizia. Abela ha dichiarato di non avere «nulla da nascondere». Già all’epoca della tentata intrusione alla HSBC, la Polizia aveva interrogato Abela e altri dipendenti, ritenendo che i rapinatori avessero ottenuto gli accessi elettronici a un’area di massima sicurezza grazie a informazioni dall’interno.

L’ex poliziotto diventato avvocato dei criminali

Gli intrecci criminali di Alfred e George Degiorgio, insieme con Vincent Muscat, non si limitano però a saltuarie rapine. I tre, infatti, secondo l’Europol fanno parte di una organizzazione criminale – al cui vertice ci sono i fratelli Robert e Adrian Agius – con il ruolo di esecutori e intimidatori. La cellula maltese guidata dagli Agius è inserita in un’organizzazione più grande dedita al traffico di droga dal Sudamerica, al traffico di sigarette, di veicoli rubati dal Regno unito, in contatto con trafficanti di gasolio e di migranti dalla Libia nonché con trafficanti di armi legati alla mafia.

All’interno di questa organizzazione – di cui IrpiMedia aveva già raccontato il ruolo nella fabbricazione della bomba che ha ucciso Daphne Caruana Galizia – supporto e «consulenza legale» sarebbero state fornite da David Gatt, un ex poliziotto diventato avvocato penalista. Era stato licenziato dal suo ruolo di Ispettore dopo che il Commissario John Rizzo lo aveva accusato di avere rapporti con il mondo criminale. Gatt era stato poi arrestato nel 2010 perché coinvolto nel tentato assalto alla banca HSBC. All’epoca faceva parte dello studio del parlamentare laburista Chris Cardona, anche lui avvocato.

Ministro dell’Economia nel governo Muscat, Cardona avrebbe ammesso – secondo la testimonianza dell’imprenditore Yorgen Fenech – di aver ucciso lui stesso Daphne Caruana Galizia. L’ex ministro sarebbe stato coinvolto anche in un tentativo di uccidere la giornalista nel 2015, secondo quanto riportato da George Degiorgio e da Vince Muscat. Alcune fonti hanno riferito a Lovin Malta che per incriminare l’ex ministro gli inquirenti maltesi non hanno prove al di là delle dichiarazioni dei due criminali.

Le indagini sull’esplosivo

Nel novembre 2017, un team di agenti del Laboratorio forense della Polizia maltese e della Esplosive Ordinance Disposal dell’esercito di Malta coordinato da un esperto di esplosivi dell’Europol lavora per una settimana sui resti della Peugeot 108 di Daphne Caruana Galizia. Dell’auto non è rimasta che la carcassa, mentre «la maggior parte delle parti non metalliche sono state distrutte dal fuoco», si legge nel rapporto stilato dal team.

Per evitare che qualcuno tenti di inquinare le prove rimaste, i rottami dell’auto vengono custoditi nel complesso della Polizia di St. Andrew, nella piccola città di Pembroke. Il veicolo viene tenuto in un garage chiuso a chiave e sigillato, controllato giorno e notte da telecamere e presidiato da forze di polizia. Alla porta del garage vengono tolti e apposti i sigilli, da un esperto nominato dal tribunale, ogni giorno in cui i membri della scientifica effettuano le analisi.

L’esplosione, accertano i membri della scientifica, è stata causata da un IED, un dispositivo esplosivo improvvisato, costituito da una scatola – di metallo o plastica – una carica esplosiva e un modulo GSM che è servito a farlo detonare a distanza. Una bomba artigianale, ma non per questo rudimentale. Come esplosivo sono stati infatti usati circa 3-400 grammi di TNT, un esplosivo dotato di alto potere dirompente e capace di detonare a una velocità di 5000 m/s. Si tratta di una sostanza per uso commerciale o militare, non immediatamente disponibile al pubblico.

La conclusione del report dell’Europol è che una bomba con queste caratteristiche posizionata sotto il sedile ha il 100% di probabilità di uccidere il conducente. La tipologia di esplosivo, la quantità e la posizione «mostrano chiaramente l’intenzione dell’autore di provocare la morte del conducente e, potenzialmente, di altre persone a bordo del veicolo».

Errori da principiante

L’omicidio della giornalista maltese fa da sfondo a tutti questi intrecci fra criminalità comune e organizzata, politica e imprenditoria. Quello che emerge dai vari casi di cronaca, solo apparentemente irrelati, è il ruolo sempre importante di Alfred e George Degiorgio. La confessione di George rappresenta l’epilogo di una catena di errori che lasciano pochi dubbi sulle responsabilità dei Degiorgio.

La ricostruzione è affidata alle parole dell’ispettore di Polizia Keith Arnaud, il primo a interrogare un silenzioso George Degiorgio il giorno dopo il suo arresto. Riporta che il fratello di George, Alfred, e Vincent Muscat il giorno dell’omicidio – il 16 ottobre 2017 – stavano sorvegliando la casa di Daphne Caruana Galizia a Bidnija. George invece si trovava al largo, sulla sua barca, la Maya. I tre avevano comprato delle schede SIM Vodafone, due per tenersi in contatto, una inserita in un dispositivo GSM collegato al detonatore piazzato nell’auto della giornalista.

«Non puoi restare a casa perché l’SMS rintraccerebbe la tua posizione, non è vero George?», lo incalza l’ispettore Arnaud. «Non potevi stare al capanno [il “potato shed” dove i Degiorgio e Muscat saranno poi arrestati, ndr] perché, come testimoniano queste foto e come tutti sanno, voi siete sempre lì. Dentro un bar non potevi stare perché se avessimo visto le telecamere ce ne saremmo accorti. Avete scelto un “business as usual” in mare. Doveva essere il posto più sicuro, ma non è bastato».

I membri del gruppo di fuoco commettono un primo errore. Daphne Caruana Galizia sta uscendo di casa e Alfred chiama il fratello George. Una chiamata di 45 secondi. Ma la giornalista ritorna in casa, ha dimenticato il blocchetto degli assegni. Esce di nuovo, e Alfred richiama George. Sono le 14:57, stanno al telefono 107 secondi. Alle 14:58 George invia un messaggio al telefono connesso al detonatore: «REL1 = ON». «E in quel momento, quando l’SMS viene inviato, la tua imbarcazione è ferma», afferma Arnaud.

Poi, mentre i suoi complici gettano via immediatamente i propri telefoni, George Degiorgio compie un altro errore: lo lascia acceso fino alle 15:45. Viene localizzato proprio in prossimità della base operativa del gruppo: un capannone di Marsa, cittadina dove si trovano i cantieri navali dell’isola. Nel frattempo, un’altra disattenzione. Alle 15:30 invia un messaggio alla compagna: «Apri una bottiglia di vino». E infine, l’ultimo errore: Degiorgio getta il telefono sotto la barca, ormeggiata di fronte al magazzino, dove poi verrà trovato durante la perquisizione. «Eravate così felici e contenti perché avevate ucciso Daphne, dimmi? Dimmi, cosa volevate festeggiare [con la bottiglia di vino, ndr]? Cosa c’è da festeggiare in questo, George?». Cinque anni dopo, lo ha confessato ai microfoni del collega Stephen Grey.

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Autori

Edoardo Anziano

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Lorenzo Bagnoli

Foto di copertina

Un momento della manifestazione organizzata a La Valletta il 16 ottobre 2021 per ricordare l’omicidio di Daphne Caruana Galizia avvenuto quattro anni prima
(Joanna Demarco/Getty)

Il caso Bonnie B e la flotta contesa

#PiratiDelMediterraneo

Il caso Bonnie B e la flotta contesa

Lorenzo Bagnoli

DDal 2015 al 2017 tra Libia, Malta e Italia si è costituito un cartello di contrabbandieri che ha cercato di mettere le mani sul business dei prodotti petroliferi, uno dei più lucrosi in quel quadrante del Mediterraneo. In quei tre anni, il tema del contrabbando di gasolio è stato tra le prime preoccupazioni per aziende petrolifere, governi, organizzazioni internazionali. Erano moltissimi gli attori in gioco, tutti in competizione costante per mettere le mani su un affare che tutti sapevano era destinato a esaurirsi, almeno in quelle dimensioni. In quegli anni a Malta si sono anche aperte cause giudiziarie che riguardano la proprietà di alcune navi che hanno fatto parte della flotta di imbarcazioni sospettate di aver preso parte a traffici di gasolio.

Da anni le autorità internazionali cercano di disegnare l’intera filiera del contrabbando nel Mediterraneo centrale, dai venditori, ai broker, agli acquirenti. Pedine del sistema attraverso cui si sono arricchite anche organizzazioni mafiose italiane (in qualità di intermediari) e milizie libiche (in qualità di fornitori). Fin da subito Malta è stata lo snodo principale dei traffici, sia per la posizione geografica, sia per il suo ruolo di fabbrica della documentazione contraffatta che accompagnava i carichi di gasolio in una prima fase. Questa condizione ha come minimo offerto alle organizzazioni locali di costruire network criminali più strutturati al di fuori dell’isola. Come per la pesca del tonno, si sa che il tempo impiegato dal pesce per la migrazione – il momento in cui lo si può prendere – non è infinito. Sarà anche per questo che molti dei principali trafficanti, almeno le figure di livello medio-basso, vengono dal mondo dei pescatori maltesi.

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L'inchiesta in breve
  • Sono anni che le autorità internazionali cercano di disegnare il perimetro del cartello di contrabbandieri tra Libia, Malta e Italia. Gli anni d’oro del cartello sono stati tra il 2015 e il 2017.
  • In questi ultimi anni si sono sviluppati diversi casi giudiziari intorno alla proprietà di navi poi coinvolte secondo i report delle Nazioni Unite in presunti casi di contrabbando di gasolio.
  • La Bonnie B è una petroliera che è stata acquistata a novembre 2017 dalla società Daha Oils&Gas, di cui uno dei soci è Amer Abdelrazek, secondo Europol un contrabbandiere di gasolio. A firmare i documenti per la cessione è stato un imprenditore, Norman Spiteri, dopo però che si era dimesso dalla carica di direttore.
    Il venditore della nave, Nicolò Alì, contesta a Spiteri la frode. Il processo è in corso ma a febbraio Spiteri ha subito un primo congelamento dei beni per 3,5 milioni di euro. L’avvocato di Spiteri contesta fortemente l’accusa.
  • La Daha Oils & Gas ha acquistato la Bonnie B nel momento in cui l’altra società di Abdelrazek, Rema Trading, era bloccata in un altro procedimento giudiziario contro Graziella Attard. Tra i vantaggi per il cartello ci sarebbe stata la possibilità di utilizzare diverse navi poi coinvolte nei report delle Nazioni Unite.
  • Graziella Attard è un’avvocata che nel 2015 ha portato in tribunale un gruppo di imprenditori accusandoli di averla costretta a firmare una dichiarazione per cedere le sue imprese a degli investitori italiani. La sua macchina è stata data alle fiamme nell’ottobre del 2017. Del cartello avrebbe fatto parte anche Abdelrazek, che però nega.
La petroliera Bonnie B – Foto: MarineTraffic.com

La cessione della Bonnie B

La petroliera Bonnie B è stata indicata come «un’imbarcazione di interesse» per il contrabbando dal comitato di esperti delle Nazioni Unite nel report sulla situazione in Libia del 2019. La petroliera era stata comprata tra ottobre e novembre 2017 dalla Daha Oils & Gas, una società maltese. Valore dell’imbarcazione: 700mila euro. A pagare è stato un imprenditore di lungo corso a Malta con interessi soprattutto nel settore immobiliare, Norman Spiteri, che tra il 2013 e il 2017 ha anche fatto parte del consiglio di amministrazione della compagnia aerea di Stato AirMalta. Eppure già dal 19 ottobre 2017 i documenti depositati in un procedimento giudiziario dall’esito ancora in bilico a Malta riportano come proprietari di Daha Oils & Gas Amer Abdelrazek, uomo di mare egiziano che Europol ritiene legato al contrabbando di gasolio dalla Libia, e un secondo imprenditore maltese: Paul Cutajar. «Mi occupo delle navi, dell’equipaggio, delle riparazioni. Non mi occupo del business», ha spiegato Abdelrazek al telefono. Sostiene di non essere più nella società, per quanto invece dalla visura risulti ancora socio.

Spiteri, fino al gennaio 2018, è rimasto solo in qualità di segretario, cioè una carica amministrativa. Perché Norman Spiteri, che formalmente non poteva più rappresentare Daha Oils & Gas, ha comprato per conto dell’azienda una nave in seguito coinvolta in operazioni sospette? «Chiaramente – è stata la risposta via email dell’avvocato di Norman Spiteri – lei ha accesso agli atti processuali di cui mi scrive e quindi sa che il mio cliente sta contestando energicamente le accuse», ha risposto. «Le consiglierei di attendere l’esito del suddetto caso giudiziario prima di giungere a qualsiasi conclusione poiché la fonte delle sue informazioni potrebbe essere sospetta. Le risposte alle vostre domande sono riservate all’analisi indipendente e alla decisione finale del tribunale», ha concluso. Secondo quanto emerge dalle carte processuali, la causa riguarda prima di tutto il ruolo di Spiteri all’interno della società e la sua capacità o meno di firmare in qualità di direttore alcuni documenti che impegnavano Daha Oils & Gas all’acquisto di una petroliera.

Il venditore della Bonnie B, cioè il querelante di Norman Spiteri, è un imprenditore italiano, Niccolò Alì, citato nelle due principali operazioni italiane contro il contrabbando di gasolio, Dirty Oil e Vento di Scirocco (del 2017 e del 2020), ma mai rinviato a giudizio per mancanza di prove, come ha precisato l’imprenditore in una replica a IrpiMedia dopo l’uscita del primo articolo su Abdelrazek. Le indagini sono le stesse che hanno fatto scoprire le attività di Gordon e Darren Debono, due imprenditori maltesi al momento sotto sanzione negli Usa per contrabbando di gasolio, e gli interessi di cosa nostra etnea al business petrolifero.

La Bonnie B era stata armata per conto di Alì dallo stesso Abdelrazek, come conferma il comandante. È di proprietà di Alì dal gennaio 2017, secondo quanto risulta dai registri navali aperti. Nei piani dell’imprenditore italiano la nave avrebbe dovuto fare la spola tra Malta e Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, dove la società petrolifera Pinta Zottolo, tra i clienti di Alì, aveva un deposito fiscale. La Pinta Zottolo però nel dicembre 2016, mentre l’imprenditore chiudeva le trattative per l’acquisto della petroliera, ha subito il sequestro di 40 milioni di euro per «fittizie operazioni di denaturazione», si legge nell’ordinanza, cioè un sistema attraverso cui si faceva in modo che il gasolio sembrasse di una categoria diversa, con un regime fiscale agevolato. Dopo quell’episodio, Alì si è trovato con una nave dal costo di circa 20mila euro al mese che non riusciva a far lavorare. In quei mesi tra i clienti di Alì c’è stato anche Marco Porta della Maxcom Bunker, acquirente dei prodotti dei Debono al centro dell’indagine Dirty Oil. Nicolò Alì ha spiegato sempre in una nota ricevuta da IrpiMedia dopo la prima uscita di non essere mai riuscito a chiudere un affare con Gordon Debono, che in realtà era un suo concorrente in qualità di fornitore della Maxcom. Secondo Amer Abdelrazek, dopo l’acquisto di Daha Oils & Gas la nave è stata ferma per altri due anni. Poi, sempre Daha Oils & Gas, l’ha mandata in Turchia: «L’unico viaggio che ha fatto è stato per la demolizione», ha spiegato il comandante.

Navi ancorate a Hurd’s Bank, al largo di Malta – Foto: maltashipphotos.com (Lawrence Dalli)

La firma della discordia

La vicenda processuale tra Niccolò Alì e Norman Spiteri è cominciata per una questione economica: la società dell’imprenditore italiano sostiene di non aver mai incassato l’ultimo degli assegni per il pagamento della Bonnie B. Così è partita la prima causa, ora ritirata dal querelante. Nel preparare il materiale difensivo, Alì si è accorto che Spiteri firmava da direttore quando invece era ormai solo il segretario della società. La questione, per il querelante, diventa allora frode e non più mancato adempimento degli obblighi contrattuali: Spiteri secondo Alì non aveva i poteri per firmare quell’accordo. Così Alì ha sporto una seconda denuncia che, dopo un iniziale rigetto da parte del tribunale maltese, a febbraio ha portato al congelamento di 3,5 milioni di euro di proprietà delle due holding familiari di Spiteri. Queste due società nel luglio 2018 hanno effettuato un prestito da due milioni alla Daha Oils & Gas per mantenere attive le due navi della sua flotta: la già citata Bonnie B e la Jaguar. Anche quest’ultima ha concluso la sua vita nel 2019. Norman Spiteri ha fatto appello alla decisione del tribunale e la prossima udienza è prevista a luglio.

L'abbandono della Bonnie B e della Jaguar

Entrambe le navi della Daha Oils & Gas hanno avuto un caso di abbandono dell’equipaggio nella fase finale della loro vita. Nel caso della Bonnie B, l’episodio è stato registrato sul portale dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) il 15 novembre 2018. Il 4 febbraio 2019 il sindacato ha preso contatti con i marittimi che hanno detto di non aver ricevuto paghe, né cibo. Secondo quanto osservato dai sindacalisti, «la proprietà dell’imbarcazione è cambiata oppure lo scafo nudo sarebbe stato dato a nolo». La pratica del noleggio dell’imbarcazione è molto diffusa nell’industria marittima e rende difficile rintracciare chi sia il proprietario del carico e di conseguenza il committente del lavoro per l’equipaggio. Infatti nel caso si legge che si tratta di una «disputa sul passaggio di proprietà». Il caso è stato tuttavia risolto quando a dicembre 2020 è stato liquidato il 72% delle paghe dei marittimi. Il caso della Jaguar, Jag dal luglio 2017, è invece ancora aperto, per dei pagamenti in arretrato. Secondo la scheda dell’Ilo, la nave è arrivata a Malta il 5 maggio 2019 per una serie di riparazioni. Il 6 luglio 2019 ha invece lasciato l’isola trainata da una rimorchiatore, per essere demolita ad Aliaga, in Turchia. Nella scheda dell’abbandono si legge di un’accusa per «demolizione irregolare» per la quale il governo di Ankara, però, dice di non essere stato in grado di raccogliere prove.

Dall’inizio della querelle giudiziaria con Spiteri, Alì ha cambiato diversi difensori, come si può ricostruire attraverso le carte giudiziarie. Durante l’ultima udienza, il 17 giugno, si è presentato senza avvocato, si legge nel verbale dell’udienza e a questo è dovuto l’ultimo rinvio. Kris Scicluna, l’avvocato che ha istruito la causa, ha spiegato di aver abbandonato il procedimento «per una scelta personale» e non per condizionamenti esterni. Un altro ex avvocato di Alì, contattato, non ha voluto chiarire per quale motivo avesse lasciato l’incarico e una terza non ha mai risposto alle domande mandate via whatsapp.

Vecchi contenziosi

A marzo 2017 Amer Abdelrazek stava già lavorando come procacciatore di navi per Nicolò Alì, ma questa volta attraverso un’altra società, Rema Trading. Una fattura dell’epoca dimostra l’acquisto da parte della società di Alì per conto della Rema trading di Abdelrazek di un carico di 2 milioni di litri di gasolio da trasferire sulla Bonnie B nella secca al confine delle acque contigue maltesi che in quegli anni è stata usata in diverse occasioni per consegne di prodotti petroliferi di contrabbando, Hurd’s Bank. Quell’acquisto è una forma di cofinanziamento della Rema Trading, in linea con le regole della sharia, la legge islamica, che impedisce la ricezione di prestiti in denaro, come dimostra la stessa email allegata. In sostanza, quindi, Rema gestiva l’approvvigionamento dai fornitori, la società di Alì invece la distribuzione del prodotto. Rema, da gennaio 2017, era però già impegnata in un’altra causa legale, durata fino alla fine di quell’anno, che ha sostanzialmente reso impossibile agire per la società. È in questo contesto che Abdelrazek, come si legge in un’email depositata a processo, ha ottenuto dalla società di Alì il passaggio del cofinanziamento alla Daha Oils & Gas, con l’obiettivo di continuare a lavorare.

La lunga causa che ha bloccato Abdelrazek in tribunale è stata intentata dall’avvocata Graziella Attard, fino al 2016 segretaria della Rema. «Non abbiamo più niente in sospeso con quella donna (Graziella Attard, ndr) dal 2017. Mi ha tolto tutto», è stato il commento di Abdelrazek alla richiesta di maggiori informazioni sul caso giudiziario che ha riguardato Rema Trading. L’avvocata nel 2015 ha depositato un esposto in cui dichiarava di essere stata costretta dalle sue controparti a cedere la direzione di due società a un gruppo italiano. Diceva di essere stata costretta a firmare «con la forza, con le minacce e con atti fraudolenti». Secondo la sua ricostruzione, le controparti, dodici in tutto, sarebbero state già d’accordo sulla cessione ai nuovi arrivati italiani, nonostante non esistessero rapporti commerciali precedenti. Tra i partecipanti a questo cartello, secondo la denuncia depositata da Attard, c’erano anche Amer Abdelrazek, suo fratello Khaled e Gordon Debono. «Ho lavorato per Gordon Debono nel 2012 per un paio d’anni», ha replicato il comandante al telefono. Alcune delle navi che la società italiana ha ottenuto da questo cartello di imprenditori – di cui avrebbero fatto parte anche Debono e gli Abdelrazek – sono state segnalate a partire dal 2016 per sospette attività di contrabbando.

Il 16 ottobre 2017, lo stesso giorno dell’omicidio di Daphne Caruna Galizia e tre giorni prima che Abdelrazek facesse il suo ingresso nella quote di Daha Oils & gas, la macchina dell’avvocata è stata data alle fiamme in un incendio doloso. La polizia all’epoca aveva suggerito che l’episodio potesse essere maturato nell’ambiente dei contrabbandieri di gasolio. Il mistero, però, ad oggi non si è ancora risolto e la diretta interessata non è più raggiungibile al telefono. «So che si diceva in giro di questo episodio, ma non ho mai visto documenti che lo provassero – ha commentato Abdelrazek -. Non è mai stata costretta a firmare dei documenti».

Contrabbandi di ieri e di oggi

Oggi il traffico via mare è molto meno fiorente di cinque-sei anni fa, annota il comitato di esperti delle Nazioni Unite nell’ultimo rapporto pubblicato, tuttavia non si può dire che si sia davvero esaurito. Sul sito di IRINI – la missione europea con il mandato di pattugliare le acque internazionali per impedire l’ingresso di armi in Libia, il contrabbando di prodotti petroliferi e il traffico di esseri umani – nel corso del 2020 e del 2021 sono apparse diverse notizie di imbarcazioni (per lo più turche) intercettate perché sospettate di trasportare prodotti petroliferi la cui esportazione non è stata approvata dalla National Oil Corporation (NOC), la società petrolifera statale libica. La Libia ha speso moltissimo denaro in sussidi pubblici per fare in modo di vendere carburanti raffinati a prezzi calmierati all’interno del paese. Una parte, però, grazie al prezzo bassissimo sostenuto dai sussidi, è diventata la materia prima del mercato nero.

Dal 2015 in avanti, il prodotto è uscito principalmente dai porti dell’ovest del paese – Zuwara, Zawiya e Abu Kammash – secondo quanto è stato possibile dimostrare finora. Questa circostanza rafforza le accuse contro la Brigata al Nasr, milizia che a Zawiya svolge il compito di Guardia costiera e di sicurezza armata alla raffineria cittadina. Sono stati i fornitori del cartello dei contrabbandieri negli anni d’oro del business. A Bengasi, nell’area sotto il controllo del generale Khalifa Haftar, l’uomo che dal 2014 sfida il governo di unità tenuto insieme dalle Nazioni Unite, il ramo locale della NOC ha cercato di diventare indipendente e ha autorizzato esportazioni senza tenere conto della volontà di Tripoli almeno fino al 2020. La NOC di Begasi costituiva un’alternativa più “grigia” per chi cerca prodotti a basso prezzo da importare in Europa. Oggi Haftar è appoggiato da Fathi Bashagha, premier voluto dalla Camera dei Rappresentanti di Tobruk, in contrapposizione del primo ministro nominato dalla missione delle Nazioni Unite a Tripoli, Abdul Hamid Dabeiba. Sono i due principali protagonisti degli scontri in corso oggi.

Il petrolio resta tutt’oggi la principale fonte di ricchezza libica e continua a dividere il paese. Scontri e chiusure degli impianti fanno oscillare la produzione da un minimo di 100 mila a un massimo di 700 mila barili al giorno, che vanno portati principalmente all’estero per essere raffinati e poi riportati in Libia per il mercato interno. L’instabilità perenne, data da una decennale guerra civile “a bassa intensità”, si sovrappone alla necessità di tenere attiva l’unica industria che veramente può funzionare ora nel paese, quella di gas e petrolio. In questo contesto è evidente che il contrabbando continua ad avere spazio.

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Autori

Lorenzo Bagnoli

Editing

Giulio Rubino

Malta, la grande scommessa di Iosif Galea

17 Giugno 2022| di Edoardo Anziano

Durante la notte tra il 14 e il 15 maggio i Carabinieri hanno arrestato a Cellino San Marco, in provincia di Brindisi, il consulente maltese di società di gioco d’azzardo online Iosif Galea. Circa un anno fa era stato raggiunto da un mandato di arresto internazionale per evasione fiscale, spiccato in Germania. La sua cattura è diventata di dominio pubblico a fine maggio, quando il Times of Malta ne ha dato per primo notizia, mentre in Italia il nome dell’arrestato è stato a lungo omesso, visto che dalle fonti di polizia giudiziaria non sono mai arrivate conferme sull’identità. La cattura ha fatto molto clamore sull’isola: tra il 2007 e il 2013 Galea è stato il responsabile della compliance per l’Autorità di vigilanza maltese su lotteria e settore dell’azzardo, poi diventata Malta Gaming Authority (MGA) nel 2015. Nel 2021 gli è stata comminata una multa di 53.333 euro per esercizio di attività commerciale non autorizzata nel settore dei servizi alle società dalla Malta Financial Service Authority, l’autorità di vigilanza del mercato a Malta.

Galea è uno dei nomi più conosciuti (e chiacchierati) dell’industria dell’azzardo maltese, settore diventato talmente importante nell’economia dell’isola da pesare circa il 13% del Pil (2 miliardi di euro) dopo 15 anni dall’apertura del mercato. Almeno dal 2015, però, l’autorità di vigilanza maltese è sotto i riflettori delle procure internazionali per presunte infiltrazioni mafiose nel settore del gioco online, operazioni di riciclaggio, schemi di evasione fiscale e frodi.

Uno scandalo politico

Secondo quanto riporta il Times of Malta, al momento dell’arresto Galea si trovava in vacanza in compagnia di Joseph Muscat, ex premier laburista maltese eletto nel 2013 e costretto a dimettersi nel 2020 a seguito di uno scandalo che ha visto adombrare il coinvolgimento del suo ex capo di gabinetto nell’omicidio di Daphne Caruana Galizia (il processo per l’omicidio della giornalista è ancora in corso). Insieme a Muscat e Galea, a Cellino San Marco c’era anche l’ex first lady maltese Michelle, e la sua amica Maria Grech, l’attuale fidanzata di Galea. «Il signor Galea è stato negli scorsi mesi il fidanzato di un’amica di lunga data che si trovava nel gruppo – ha dichiarato Muscat al Times of Malta. Stavamo viaggiando in un gruppo vasto, di amici e conoscenti, per una breve vacanza. Dopo alcune ore dal nostro arrivo siamo stati informati che il signor Galea è stato arrestato. Il resto del gruppo ha continuato la vacanza e ha fatto rientro qualche giorno dopo a Malta, come previsto».

Al di là della presenza di Muscat, a Malta il caso è diventato uno scandalo politico perché a Galea è stato concesso di uscire dai confini nazionali «almeno due volte», dice l’agenzia Italpress, nonostante il mandato d’arresto internazionale nei suoi confronti. A Malta è stata lanciata un’inchiesta per capire come questo sia stato possibile ma il giudice assegnato – il pensionato (dal 2003) Franco Depasquale, 84 anni – secondo The Shift è sempre stato molto debole nel condurre le indagini, specialmente quando riguardavano le istituzioni maltesi.

Dieci giorni dopo il suo fermo in Italia, il 25 maggio, anche Malta ha spiccato un altro mandato d’arresto europeo nei confronti di Galea, con l’obiettivo di ottenere in custodia Galea. Da procedura, in teoria il consulente dovrebbe prima essere estradato in Germania per affrontare il processo e poi a Malta. Qui Galea sarebbe coinvolto in un sistema di estorsioni e compravendita di dati all’interno della Malta Gaming Authority, secondo le prime notizie emerse dal tribunale di Malta. Galea sarebbe stato informato delle attività della MGA da Jason Farrugia, funzionario dell’authority fino a prima di dicembre 2021 che avrebbe ricevuto 130.600 euro suddivisi in 177 pagamenti da Galea.

L’ipotesi degli investigatori è che Farrugia acquisisse in modo illecito dei documenti interni della MGA e li rivendesse a terzi, tra cui Galea. Anche l’ex amministratore delegato della MGA, Heathcliff Farrugia, è finito sotto indagine con l’accusa di traffico di influenze per via di alcune conversazioni con il presunto mandante dell’omicidio di Daphne Caruana Galizia, Yorgen Fenech, il quale è anche proprietario del casinò di Portomaso, una delle attrazioni dell’isola.

Il Dalligate

«U Iosif ukoll! Ara x’kumbinazzjoni!», «E anche Iosif, che combinazione!», commentava Daphne Caruana Galizia sul suo blog nell’ottobre del 2012. Nel post la giornalista ha pubblicato una foto con John Dalli, allora Commissario europeo per la salute e la politica dei consumatori e Silvio Zammit, popolare ristoratore a Malta e all’epoca una sorta di assistente personale di Dalli. Insieme a loro c’era una terza persona: Iosif Galea. I tre si trovavano in vacanza in Italia.

Nel dicembre 2012 Dalli ha dovuto lasciare il posto da commissario europeo in seguito a uno scandalo passato alla storia come Dalligate. Nel maggio 2012 il produttore di snus – tabacco da masticare illegale in tutta la Ue tranne in Svezia – Swedish Match aveva inviato una lettera alla Commissione europea per accusare l’amico di Dalli, Silvio Zammit (morto a febbraio 2022) di aver usato i suoi contatti con l’allora commissario per ottenere una tangente da 60 milioni di euro in cambio della revoca del divieto di vendere snus.

L’Ufficio antifrode dell’Unione ha aperto un’indagine, concludendo che Dalli sarebbe stato a conoscenza del tentativo di Zammit di intascare la mazzetta e non avrebbe fatto niente per impedirlo. Dalli ha sempre negato qualsiasi accusa, ma si è anche dimesso da Commissario alla salute dopo la richiesta del Presidente della Commissione Josè Manuel Barroso.

Secondo quanto scritto da Daphne Caruana Galizia, Galea sarebbe stato «uno dei cospiratori al centro dello scandalo John Dalli». Avrebbe infatti avvisato l’imprenditore Zammit dell’indagine dell’antifrode, dopo averlo saputo da una teste chiave nella vicenda Delligate con cui aveva una relazione. Galea si dichiarava «collaboratore» di Zammit in quegli anni.

I Tegano a Malta

Quando sono emersi gli investimenti di gruppi riconducibili a clan mafiosi nel settore del gioco d’azzardo maltese, dieci licenze per le scommesse ogni 200 erano di proprietà di italiani, secondo i dati forniti all’epoca dalla Malta Gaming Authority. Era il 2015. Secondo quanto ricostruito quell’anno dall’operazione Gambling, coordinata quell’anno dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Iosif Galea è stato uno dei consulenti che ha lavorato con persone legate alla cosca di ‘ndrangheta Tegano. La Dda all’epoca non era stata in grado di identificarlo ma il suo nome compariva inizialmente nella lista degli indagati. Insieme a lui, tra gli indagati non identificati, c’erano anche i due maltesi Kevin Mallia e David Gonzi, quest’ultimo figlio dell’ex premier nazionalista Lawrence, che nel 2004 ha lanciato il settore del gioco d’azzardo nell’isola. I tre non sono stati rinviati a giudizio.

A partire dal 2012, il gruppo criminale legato ai Tegano ha operato attraverso la Betsolution4u Ltd, una società maltese a cui facevano capo numerosi siti di scommesse. Galea all’epoca dei fatti era amministratore della società, mentre Gonzi, attraverso la GVM Holding Ltd, controllava il gruppo della Betsolution4u.

Come scriveva la Gip Caterina Catalano nelle carte di Gambling, la Betsolution4u – insieme ad altre società – serviva come «schermo giuridico» dietro al quale si muoveva parte del sodalizio criminale. Un filone processuale ha portato alla condanna definitiva di sei imputati che lavoravano per le cosche nel 2021. A maggio 2022 la Corte di appello di Reggio Calabria ha invece riformulato altre condanne, ma ha sostanzialmente confermato la parte più rilevante dell’impianto accusatorio, seppur con diverse assoluzioni.

Secondo i documenti del registro imprese di Malta, Galea è stato anche direttore della Bet Passion Limited, un’altra società in cui si ritrovano – a vario titolo – i nomi di diversi indagati nell’operazione Gambling e della Take Five Limited, una società non più attiva dal 2020.

Della Take Five Limited era azionista la Fast Run Limited, di cui è tuttora unico azionista e rappresentante legale il crotonese Antonio Pantisano Trusciglio. Almeno fino al 2016, azionista della Fast Run era la GVM Holding di David Gonzi, anche lui indagato insieme a Galea e Trusciglio nell’operazione Gambling. È l’unica società ancora attiva del vecchio gruppo riconducibile ai Tegano. Pantisano Trusciglio non ha risposto alle richieste di commento mandate via email e non è stato possibile rintracciarlo al telefono. Nemmeno suo padre Aldo, anch’egli coinvolto nell’inchiesta Gambling e socio in affari di Antonio, ha voluto rispondere alle domande di IrpiMedia. Trusciglio junior nel 2021 è stato condannato a 2 anni e 9 mesi nell’ambito di Game Over, uno dei primi processi che ha indagato gli interessi di cosa nostra nel settore del gaming. Anche in questo caso, Malta veniva utilizzata come sede legale dei marchi di scommesse.

Infine c’è la OIA Services Limited, sempre maltese, di cui Galea è stato direttore per poco meno di un anno, tra novembre 2014 e agosto 2015. Proprio dal 2015, secondo la DDA di Reggio Calabria, la OIA Services – proprietaria di alcuni marchi di scommesse – avrebbe fatto parte del patrimonio dell’imprenditore Antonio Ricci, arrestato a Malta ed estradato in Italia a seguito dell’operazione Galassia. Ricci era coinvolto in un business di scommesse illegali che avrebbe stretto accordi con la cosca di ‘ndrangheta Tegano. Fra il 2015 e 2016, la OIA Services avrebbe omesso di dichiarare ricavi per 440 milioni di euro in Italia. Galea non è stato indagato, mentre la OIA Services ha confermato la totale estraneità ai fatti dell’attuale proprietà.

Foto: Omaggi a Daphne Caruana Galizia deposti lo scorso ottobre sul luogo dove fu assassinata nel 2017 – Foto: Joanna Demarco/Getty
Editing: Lorenzo Bagnoli

Malta blocca le indagini sul contrabbando di tonno

1 Marzo 2022 | di Victor Paul Borg, Tiziano Ferri

Malta è il più importante attore nella lucrativa industria dell’ingrasso del tonno, ma è anche considerato l’anello debole nella gestione sostenibile della pesca di questo animale. Da quando Iccat (Commissione internazionale per la conservazione del tonno dell’Atlantico), nel 2009, ha implementato il sistema delle quote per limitarne la pesca, gli stock mediterranei di tonno rosso sono lentamente ma costantemente aumentati, almeno secondo i dati disponibili. Il sistema delle quote prevede una rigida serie di controlli basati su osservatori il cui compito è monitorare tutte le fasi della filiera del tonno, dalla cattura alla macellazione e all’esportazione.

IrpiMedia ha ricevuto un leak da una fonte anonima interna all’industria che evidenzia le connivenze tra buona parte del settore degli osservatori e l’industria che richiede controlli più “leggeri”; le informazioni lì contenute sono state il punto di partenza per l’inchiesta Tonno Nero. Ma le ricerche non si sono fermate con la pubblicazione. Altre nostre fonti tra i pescatori hanno dichiarato che la cattura illegale di tonno da parte dei piccoli pescatori maltesi, specialmente dei tonni liberi che seguono le gabbie di trasporto verso gli allevamenti, sarebbe quantitativamente ancor più importante della pesca legale. Lacune nella catena dei controlli e pesca di frodo sono i fattori che mettono in pericolo la sostenibilità della filiera.

IrpiMedia ha scoperto che la più importante indagine sulla filiera del tonno rosso degli ultimi anni, l’operazione Tarantelo, guidata da Europol, e la connessa inchiesta giudiziaria, si sono bloccate. Le rivelazioni arrivano sulla scia dell’escalation dei procedimenti legali contro Malta da parte della Commissione europea, la quale ha affermato «che Malta non ha messo in atto un efficace sistema di monitoraggio, controllo e ispezione per le attività di allevamento del tonno rosso».

Fonti della Commissione, a condizione di rimanere anonime, ci hanno rivelato che c’è opacità e preoccupazione per ciò che sta accadendo a Malta, tanto che tale istituzione è a un passo dal portare il piccolo Paese membro dinanzi alla Corte di giustizia europea. Il racket del contrabbando tra Malta e Spagna, stimato in 2.500 tonnellate di tonno l’anno, per un valore di circa 12 milioni di euro, è stato scoperto alla fine del 2018. 

I limiti alla pesca del tonno

Le quote massime di cattura, anche dette TAC (Total Allowable Catches), di tonno rosso per il mondo e l’Italia stabilite dalla Commissione Internazionale per la Conservazione dei Tonni dell’Atlantico (Iccat)

A Malta questo traffico illegale sarebbe stato per lo più proveniente dalla Mare Blu Tuna Farm Limited, sebbene almeno un altro allevamento sia implicato, secondo fonti giudiziarie in Spagna. Il tonno veniva trasportato via terra e consegnato a una rivendita di pesce di proprietà dello stesso gruppo aziendale proprietario della Mare Blu, il Grupo Ricardo Fuentes e Hijos. Le indagini hanno mostrato che ciò avveniva grazie a documenti duplicati: per ogni spedizione di tonno inviata in Giappone (dove viene esportata la maggior parte del tonno d’allevamento di Malta), i documenti venivano fotocopiati per trasportare via terra, con camion diretti in Spagna, la stessa quantità di tonno catturato illegalmente.

La pubblicazione dell’indagine portò alla sospensione dell’allora direttrice del Dipartimento della pesca di Malta, Andreina Fenech Farrugia. I giornalisti di IrpiMedia hanno potuto vedere documenti che dimostrano che, anche se tecnicamente è ancora impiegata dal Ministero dell’Agricoltura e della Pesca maltese, Fenech Farrugia è ancora sospesa senza stipendio. La polizia ci ha confermato la scorsa settimana che «le indagini di polizia e l’inchiesta giudiziaria sono ancora in corso».

Resta inteso che pure le indagini in Spagna sono ancora in corso. Fonti giudiziarie spagnole hanno riferito a IrpiMedia la scorsa estate, che non c’era stata risposta né collaborazione a una rogatoria inviata a Malta. Le rogatorie sono richieste giudiziarie ufficiali alla magistratura di una giurisdizione straniera per ottenere informazioni puntuali su un caso specifico. Non è stato possibile stabilire quali informazioni specifiche fossero richieste e se il magistrato maltese abbia risposto da allora o, in caso negativo, perché non lo abbia fatto. Le indagini della magistratura a Malta sono interamente protette dal segreto istruttorio. Un’alta percentuale di queste indagini tende a trascinarsi per vari motivi, fra i tempi lunghi degli esperti nominati dal tribunale nel redigere le loro perizie, i magistrati oberati di lavoro, e la ricerca di prove difficili da trovare.

Fonti all’interno della Commissione europea, e separatamente dell’Iccat, hanno espresso la loro preoccupazione per i controlli inadeguati a Malta, soprattutto data l’importanza primaria del Paese nell’industria dell’ingrasso del tonno.

Malta ha una capacità di allevamento del tonno di 12.200 tonnellate – la più grande del mondo – distribuita in cinque allevamenti. Il tonno, catturato principalmente da pescatori italiani e francesi con reti a circuizione (pesi e galleggianti creano una specie di sacca dove rimangono intrappolati i pesci), è trasferito a Malta, dove viene ingrassato negli allevamenti. Le gabbie galleggianti di quattro allevamenti si trovano a circa 6 km dalla costa di Marsascala a Is-Sikka tan-Nofs, mentre il quinto ha gabbie nel nord-ovest dell’isola. Da qui viene macellato e spedito, per la maggior parte in Giappone e in misura minore in altri Paesi, per il mercato del sushi e del sashimi.

Per approfondire

Tonno nero

Tra le più redditizie a livello globale, la pesca al tonno rosso è anche una delle più regolamentate. Il controllo è però monopolizzato da poche aziende private

In realtà, il tonno guadagna poco peso e “l’ingrasso” avviene principalmente alimentando il tonno con sgombri e aringhe, per aumentare il rapporto grasso/carne al livello ricercato nel mercato giapponese del sushi e del sashimi.

Scienziati e ambientalisti contestano questo tipo di allevamento, dato il basso rapporto di conversione del mangime – ci vogliono circa 20 kg di sgombro o aringa, che sono pesci commestibili, perché un tonno aumenti di 1 kg di peso – che comporta una perdita di biomassa considerata la più alta rispetto a qualsiasi altro scenario di allevamento al mondo.

Ma si tratta di un’attività altamente redditizia: il tonno può valere diverse dozzine di euro al chilo, per cui un unico tonno (che pesa in media più di 100 kg) può fruttare migliaia di euro. L’allevamento o l’ingrasso del tonno è diventato quindi una delle più grandi industrie di esportazione di Malta, generando circa 150 milioni di euro all’anno.

I funzionari della Commissione europea non hanno effettuato ispezioni negli allevamenti di tonno maltesi dall’avvento del Covid, e questo ha reso la situazione maltese ancor più opaca. Nell’escalation del procedimento giudiziario avviato nel maggio del 2020, lo scorso novembre la Commissione Ue ha inviato a Malta un “parere motivato” col quale l’ha accusata di «non essere riuscita» a mettere in atto «monitoraggio, controllo e ispezioni efficaci» sugli allevamenti di tonno. E ha aggiunto: «La Commissione ritiene che Malta non abbia adottato le misure necessarie per affrontare tutte le carenze individuate dalla Commissione in diverse missioni di audit e verifica, tra cui il mancato controllo delle partite di tonno rosso che lasciano Malta, il ritardo delle indagini e la mancata adozione di provvedimenti sugli operatori in caso di non conformità».

Il prossimo passo della Commissione, se lo riterrà fattibile o necessario, sarà deferire il caso alla Corte di giustizia europea. In una riunione dello scorso novembre, una settimana dopo che la Commissione Ue aveva inviato il parere motivato a Malta, l’Iccat ha affermato che il piano di recupero per il tonno rosso ha portato a un aumento della popolazione e che i Paesi potrebbero avviarsi verso una gestione della pesca non più emergenziale. A tal fine, ha adottato una serie di nuove misure per rafforzare il controllo e il monitoraggio delle operazioni di ingrasso del tonno.

Le nuove misure creano tre livelli di controllo e supervisione. Gli osservatori regionali incaricati dall’Iccat devono essere presenti durante la pesca, i trasferimenti e la macellazione del tonno, mentre gli osservatori nazionali (che sono ingaggiati specificamente dai Paesi) devono essere presenti durante il traino di “gabbie di trasporto” dalle zone di pesca agli allevamenti a Malta. Inoltre, ogni Paese dovrebbe avere un’Autorità competente che deve garantire la presenza durante i trasferimenti del tonno dalle gabbie da trasporto alle gabbie da allevamento. Dopo il trasferimento, il funzionario dell’Autorità competente dovrebbe quindi “sigillare” la gabbia e in seguito, sola persona a poterlo fare, rompere il sigillo per la macellazione.

Queste misure di controllo rafforzate sostituiscono una precedente serie di misure concordate nel 2017 e nel 2018 che Malta non aveva attuato. La preoccupazione tra i funzionari è che questo Paese non riuscirà ad attuare neppure le nuove misure più severe.

Foto: sirtravelalot/Shutterstock
Infografiche: Lorenzo Bodrero
Editing: Giulio Rubino