Il limbo degli “El Hiblu 3”, tre vite in attesa di giudizio
11 Aprile 2023 | di Rita Martone
Il 25 marzo 2023 si sono svolte a Malta le manifestazioni in favore di Amara Kromah, Abdul Kader e Abdalla Bari, tre migranti africani intrappolati in un limbo giudiziario dal loro sbarco sull’isola, il 28 marzo 2019. All’epoca avevano rispettivamente 15, 16 e 19 anni. Kromah è diventato maggiorenne la vigilia di Natale 2021, ma dice che i suoi piani e sogni per la vita sono costantemente offuscati dal futuro incerto. Bari è diventato padre per la seconda volta; il suo primo figlio non è con lui ma è rimasto in Guinea, accudito dalla nonna. Kader, invece, studia inglese. I tre non sono costretti in un carcere, ma non sono nemmeno liberi; sono bloccati sull’isola in attesa di giudizio, con una condanna fino all’ergastolo che pende sulle loro teste per i nove crimini di cui sono accusati, tra cui spiccano atti di terrorismo, dirottamento e sequestro di persona con lo scopo di ricattare lo Stato. Secondo la loro tesi, invece, avrebbero impedito alla nave che li ha soccorso di riportarli in Libia.
Il giorno della manifestazione, diverse organizzazioni maltesi, laiche e religiose, che si occupano di diritti, migranti e corruzione si sono date appuntamento di fronte al tribunale di La Valletta per tornare a puntare i fari sulla vicenda. Si sono rivolti al procuratore generale per chiedere che vengano ritirate le accuse contro i tre della El Hiblu 1, gli “El Hiblu 3”. Da quando sono finiti sotto indagine è stato creato un coordinamento per chiederne la liberazione che ha anche realizzato un libro, Free the El Hiblu 3, in cui raccontano la loro versione dei fatti.
Le anomalie del viaggio della El Hiblu 1
È il 26 marzo del 2019 quando gli adolescenti Amara Kromah, Abdul Kader e Abdalla Bari, provenienti dalla Costa d’Avorio e dalla Guinea, salgono su un gommone insieme a circa 110 persone, tra cui 15 bambini. Sono in partenza da Gasr Garabulli, la città libica fondata dagli italiani nel 1938, una sessantina di chilometri a est di Tripoli. I campi di detenzione e i gruppi di trafficanti di uomini della città sono noti almeno dal 2016, quando Garabulli è stata la linea del fronte della guerra civile. Nei primi mesi del 2019 è da lì che partono i migranti diretti in Europa: i controlli alle frontiere si sono allentati con la crisi politica che vive l’allora Governo di accordo nazionale di Tripoli, oggi Governo di unità nazionale.
Il gommone sul quale sono a bordo Amara Kromah, Abdul Kader e Abdalla Bari dà immediatamente segni di cedimento, imbarca acqua dai lati e il motore spinge a fatica. Gli oltre 110 migranti a bordo devono essere recuperati, se non vogliono annegare.
Grazie al lavoro d’inchiesta della campagna Free El Hiblu Three e di diversi colleghi, si conoscono molti aspetti dell’operazione con la quale sono stati tratti in salvo alcuni naufraghi. Zach Campbell già nel settembre 2019 ha raccontato l’accaduto su The Atavist; l’anno seguente, insieme a Daniel Howden e Apostolis Fotidias, ha pubblicato sul Guardian le comunicazioni che proprio quel 26 marzo sono intercorse via radio tra i guardacoste libici e i militari dell’allora missione Sophia della Marina europea, impegnata nel coordinamento del recupero dei migranti che si trovavano a bordo di due gommoni. È infatti uno degli aerei della missione Sophia, identificato dal codice di chiamata Seagull 75, a segnalare ai libici i due natanti in difficoltà.
La comunicazione intercorsa tra l’aeromobile Seagull 75 in capo all’Operazione Sophia dell’Unione europea e la Guardia costiera libica il 26 marzo 2019 durante un soccorso prestato a due gommoni carichi di migranti nel Mediterraneo centrale. L’intervento dell’aereo è decisivo per permettere ai guardacoste libici di individuare le imbarcazioni in difficoltà. In uno dei due natanti c’erano a bordi i migranti salvati dalla El Hiblu. (Per approfondire il ruolo delle missioni europee nel Mediterraneo centrale, leggi Da Operazione Sophia a Irini, anatomia delle missioni navali europee)
Secondo la ricostruzione di Zach Campbell, i libici non riescono a intervenire e Seagull 75 chiede assistenza alla El Hiblu 1, una petroliera di proprietà turca battente bandiera di Palau, salpata da Istanbul e diretta a Tripoli, a bordo della quale il piccolo equipaggio – quattro marinai che vengono definiti «indiani» – risponde a un comandante turco e un primo ufficiale di nazionalità libica.
Meno di un mese prima, segnala l’agenzia di intelligence marittima Windward, El Hiblu 1 ha cambiato bandiera, da quella turca a quella di Palau, e in quel momento è operata da una società con una sola nave. Ha anche passato dodici giorni in un cantiere della parte asiatica del Bosforo «che è stato, in passato, legato a episodi di traffici di alto profilo», scrive Windward. Sono indicatori di rischio, dato che quello di Palau è uno dei “registri di comodo” dove le navi sono sottoposte a pochissimi controlli in termini di rispetto delle convenzioni internazionali. Il sindacato dei marittimi Itf l’ha segnato nel 2023 tra i quattro peggiori al mondo per salari non pagati e abbandoni di equipaggi.
A questo si aggiungono altre anomalie: dal 2017 fino al 22 marzo 2019, la El Hiblu 1 aveva sempre e solo navigato in acque turche e una petroliera piccola come la El Hiblu 1 normalmente non fa tappa nel porto libico di Tripoli. Resta quindi il dubbio del perché la nave si trovasse in quel momento nelle acque internazionali tra Malta e la Libia.
«El Hiblu 1, El Hiblu 1, questo è l’aereo di pattugliamento – si legge nella trascrizione della comunicazione via radio tra il velivolo e la petroliera riportata da Zach Campbell -. Ci stiamo coordinando con la Guardia costiera libica. Signore, abbiamo bisogno che salviate quelle persone perché la motovedetta della Guardia costiera libica non funziona».
«Non riportateci in Libia»
L’equipaggio della El Hiblu 1 comunica ai naufraghi di spegnere il motore e di arrampicarsi sulla rete lungo il fianco della nave. Chi prende il mare ormai conosce le fattezze delle navi delle Ong e la El Hiblu 1 è diversa. Qualcuno chiede dove sia diretta la nave e un membro dell’equipaggio, un indiano, dice: «A Tripoli». Tanto basta per convincere sei migranti a rimanere sul gommone che si sta per inabissare. Nessuno sa cosa sia successo loro.
«Poi arrivò il primo ufficiale che disse: “Buone notizie!”. Disse proprio così: “Buone notizie, l’elicottero (aereo militare secondo altre ricostruzioni, ndr) mi ha indicato un punto d’incontro”. Giurò sul Corano che non ci avrebbe mai riportato in Libia. Disse che sarebbero arrivate due navi che ci avrebbero portato in Europa», spiega un testimone intervistato da Amnesty International che ha incontrato i sopravvissuti nei mesi seguenti.
Nader El Hiblu è il primo ufficiale libico della nave, a volte erroneamente identificato come comandante. Nelle testimonianze riportate nel libro per la campagna Free El Hiblu Three, Abdalla Bari spiega che Nader «parlava solo in inglese, ma uno di noi capiva e traduceva per gli altri». Il primo ufficiale è fratello di Salah El Hiblu, l’armatore della nave, il quale, contattato da IrpiMedia via email e Whatsapp, non ha risposto alle richieste di commento. La famiglia El Hiblu lavora in diversi settori tra Libia, Malta e Turchia: dal trasporto marittimo ai servizi di agenzia, fino al trasporto di prodotti petroliferi.
I misteri della Nehir/El Hiblu
Questa è la seconda puntata di una serie in due episodi sulle vicende della Nehir, fino al 2019 chiamata El Hiblu 1. Oggi la nave è sotto sequestro in Spagna, dopo essere stata intercettata con a bordo un carico di droga, come abbiamo raccontato nella puntata precedente.
È passato poco tempo da quando Nader El Hiblu ha giurato sul Corano, quando riceve una seconda chiamata dalla Missione Sophia per soccorrere un’altra imbarcazione in difficoltà. Riporta Zach Campbell: «Non posso procedere perché ho un grosso problema. Lasciatemi… non mi permettono di spostarmi dalla mia posizione, ok? Vogliono andare in Europa, in Spagna o in Italia», dice agli uomini a bordo dell’aeroplano della missione europea.
«Signore – è la risposta -, stiamo collaborando con la guardia costiera libica. Ci hanno detto di dirle che può trasferire queste persone a Tripoli».
«Riporto le persone a Tripoli?», chiede conferma El Hiblu.
«Signore – ribadiscono dall’aeromobile di Sophia -, stiamo coordinando… siamo sotto il coordinamento della Guardia costiera nazionale libica. Non andate a salvare l’altra barca. Potete procedere verso Tripoli».
«Se una nave viene incaricata di sbarcare le persone salvate in Libia si crea un potenziale conflitto tra l’equipaggio e le persone disperate, che potrebbero opporsi al rimpatrio – ha commentato nei giorni successivi all’incidente Guy Platten, il segretario della Camera internazionale dello shipping (Ics), l’organizzazione mondiale che rappresenta l’industria delle spedizione marittima -. Dato il numero di persone salvate in queste operazioni su larga scala, l’equipaggio della nave soccorritrice può facilmente essere sopraffatto perché in inferiorità numerica». «I comandanti delle navi mercantili – ha aggiunto – devono aspettarsi che le autorità di ricerca e soccorso degli Stati costieri provvedano a indicare lo sbarco in un luogo sicuro, sia per le persone soccorse, sia per i marittimi coinvolti nel salvataggio». In altri termini, assegnare Tripoli come porto di sbarco mette in pericolo tutti, anche gli equipaggi delle navi che soccorrono i naufraghi.
Per approfondire
Il mistero della cocaina scomparsa dalla petroliera Nehir
Secondo l’equipaggio, condannato a nove anni di carcere, a bordo c’erano oltre tre tonnellate. Gli inquirenti spagnoli ne hanno trovato la metà. Tutti i misteri della Nehir
Il primo ufficiale Nader El Hiblu descrive agli uomini di Sophia una situazione già molto difficile a bordo e chiede assistenza. Durante la notte, dopo un paio di manovre, la El Hiblu 1 riesce comunque a fare rotta verso la Libia. Sono le prime luci del mattino quando a bordo si inizia a vedere terra. Dopo una prima fase di gioia, scoppia la disperazione: un migrante sul telefono prende il segnale che gli indica una compagnia telefonica libica. Grida: «Libia! Libia!», scatenando la rabbia tra i passeggeri.
Dopo l’inizio delle proteste, l’equipaggio della El Hiblu 1 è asserragliato: «Hanno attaccato la cabina di pilotaggio, picchiando pesantemente sulle porte e sulle finestre e hanno minacciato di distruggere la nave», ricorderà Nader El Hiblu sbarcato a Malta all’Associated Press. Descriverà l’esperienza come «un orrore»: «Non mi importava della nave, ma dell’equipaggio».
Alla fine l’imbarcazione farà rotta verso Malta. Testimonianze raccolte dal Times of Malta però non indicano né l’uso della violenza durante l’operazione di “dirottamento”, né la presenza di armi a bordo. Secondo il giornale, la polizia maltese ha anche ipotizzato la possibilità che fosse aperto un fascicolo per traffico di esseri umani ai danni del comandante, di cui però ad oggi non c’è traccia.
«Ero sconvolto dall’inganno del comandante – testimonia invece Abdalla Bari nel libro del comitato Free The El Hiblu Three -, ma superai la rabbia per unirmi a coloro che cercavano di riportare la calma sulla nave. Quando la situazione si è placata, il comandante (qui forse si riferisce a Nader El Hiblu, ndr) è uscito dalla sua cabina per parlare con la persona che capiva e parlava inglese, mentre noi eravamo davanti alla folla a spiegare e aiutare». Secondo la sua testimonianza, sarebbero poi stati costretti a rimanere nella cabina del comandante come “ostaggi”, fino a quando la nave non è stata approcciata dalla Marina militare maltese.
Le reazioni post sbarco sono state molto dure verso i migranti. Matteo Salvini, che all’epoca dei fatti era ministro dell’Interno, descrisse l’accaduto come «un atto di pirateria» e un portavoce della Marina maltese parlò di una «nave pirata». Al contrario, secondo il diritto internazionale, un’acquisizione ostile di una nave deve avvenire in alto mare e a opera dell’equipaggio di un’imbarcazione diversa perché si qualifichi come atto di pirateria. In questo caso, la nave era stata rilevata nelle acque nazionali libiche (era a sei miglia dalla costa) e da persone sulla stessa nave, sottolinea il blog accademico Völkerrechtsblog, che pubblica dibattiti sul diritto internazionale.
I precedenti del caso El Hiblu 1
E se la El Hiblu avesse avuto fin dall’inizio il compito di riportare in Libia dei migranti recuperati in mare? Negli anni passati, ci sono state diverse navi mercantili coinvolte o nel traffico di esseri umani oppure in operazioni di salvataggio che avrebbero dovuto concludersi con il rimpatrio in Libia. Sono casi che possono offrire qualche chiave interpretativa per rispondere ai dubbi che restano intorno al caso El Hiblu 1, la cui storia è finita in Spagna, semi-affondata insieme a un carico di droga nel 2021.
Il primo caso: la Blue Sky M
31 dicembre 2014: il mercantile Blue Sky M parte dalla Turchia diretto a Rijeka, in Croazia. Quando si trova vicino all’isola greca di Corfù, nello Ionio, alcuni migranti che si trovano a bordo – sono 800 in tutto – chiamano le autorità elleniche per segnalare «uomini armati» a bordo. Il comandante richiamerà poco dopo per bloccare l’intervento e tranquillizzare le autorità greche. Qualche ora dopo, le autorità italiane troveranno la nave di fronte alle coste pugliesi, senza equipaggio e con il pilota automatico impostato per dirigersi verso l’Italia. Windward segnala che alcune delle anomalie della El Hiblu 1 si ripetono nel caso della Blue Sky M, in particolare il cambio di bandiera e la navigazione sempre e solo in Turchia prima dell’ultimo viaggio in Italia. IRPI aveva indagato per Correctiv sulla “flotta fantasma” di grosse navi mercantili impiegate per trasportare migranti verso l’Italia, nei primi mesi del 2015.
Il “dirottamento” della Vos Thalassa
8 luglio 2018: il rimorchiatore di supporto per le piattaforme petrolifere Vos Thalassa interviene a recuperare più di 60 migranti che stavano naufragando a bordo di una piccola imbarcazione di legno. Coordina le operazioni il centro di Roma, che chiede alla nave di andare a Lampedusa. Le autorità della Guardia costiera libica richiamano l’imbarcazione perché vogliono trasbordare i migranti a bordo della loro motovedetta e riportarli in Libia. La Vos Thalassa inverte la rotta, ma i migranti protestano e costringono le autorità italiane a intervenire con un trasbordo sulla nave Diciotti della Guardia costiera, che li riporta in Italia. A dicembre 2021, la Cassazione ha stabilito che l’intervento dei migranti è stato «per legittima difesa», ribaltando le conclusioni della Corte d’Appello di Palermo.
Gli ostaggi della Nivin
7 novembre 2018: una volta salvati dalla nave da carico per veicoli Nivin, impegnata solitamente lungo la rotta tra il porto libico di Al Khoms e Savona, i 79 naufraghi sono stati rassicurati dai soccorritori: li avrebbero portati in Italia. Invece il comandante della Nivin fa improvvisamente rotta verso Misurata, in Libia, come gli era stato ordinato dalla Guardia costiera libica, che aveva preso il coordinamento al posto dell’Italia. Tredici giorni dopo, le autorità libiche fanno irruzione nella nave costringendo i passeggeri a rientrare nei centri di detenzione per migranti irregolari. «Questa situazione è il risultato degli sforzi dell’Italia e dell’Unione europea per ostacolare le operazioni di salvataggio da parte delle organizzazioni non governative e dare potere alla Guardia costiera libica, anche quando l’Europa sa che la Libia non è un luogo sicuro», aveva commentato Judith Sunderland di Human Rights Watch. Anche l’equipaggio della Nivin, in buona parte europeo, era stato messo in pericolo dalla decisione di respingere i migranti in Libia.
I respingimenti del 2019
A dicembre 2019, l’organizzazione Forensic Architecture ha analizzato diversi respingimenti in Libia con modalità simili a quelle che si sono verificate con il caso El Hiblu. I nomi delle imbarcazioni sono Gesina Schepers, Lady Sham, BFP Galaxy, OOC Emerald, Maridive: in tutti i casi, le navi hanno sbarcato i migranti in Libia dopo l’intervento della Guardia costiera libica, subentrata nella gestione dei salvataggi. Tra luglio 2018 e maggio 2019, Forensic Architecture scrive che ci sono stati almeno 13 tentativi di respingimenti operati da mercantili di flotte private, undici dei quali realizzati con successo (in tre casi i respingimenti sono avvenuti in Tunisia).
La strage di Pasquetta
Pasquetta 2020: durante un naufragio, dodici migranti muoiono annegati. Altri 52 migranti sono tratti in salvo da tre navi private, partite dal porto di Marsa, a Malta, su ordine delle autorità dell’isola. Sono poi riportati a Tripoli. È il caso più evidente in cui l’intervento di salvataggio, con respingimento verso la Libia, è stato deciso fin dall’inizio dalle autorità maltesi. IrpiMedia se ne è occupata qui (1 e 2) e insieme ad Avvenire nel Libyagate (1, 2 e 3).
Lo sbarco a Malta e l’inizio della detenzione
Entrato in acque maltesi, il mercantile El Hiblu 1 viene perquisito dall’Unità C per le operazioni speciali della Marina maltese (Afm). Appena sbarcati al porto di La Valletta, Amara Kromah, Abdul Kader e Abdalla Bari vengono arrestati con le accuse che pendono ancora sulle loro teste. Detenuti in custodia cautelare per sette mesi, vengono rilasciati su cauzione nel novembre 2019. I tre, da allora, devono presentarsi ogni giorno alla stazione di polizia e partecipare alle udienze preliminari mensili, con le quali si decide se il processo è o meno da celebrare. Se venissero ritenuti colpevoli da una giuria a Malta, i tre potrebbero affrontare l’ergastolo.
«Questo caso ci preoccupa molto, perché rientra nei tanti casi di criminalizzazione della solidarietà – spiega Ilaria Masinara, campaign manager di Amnesty International Italia –. Un accanimento politico e giudiziario nei confronti dei migranti e di chi si occupa di migrazione e in questo caso in maniera abbastanza trasversale perché i ragazzi hanno una doppia veste. Sono persone che scappano da un contesto geografico pericoloso ma sono equiparabili anche a difensori di diritti umani. Perché quello che hanno fatto sull’imbarcazione è stato agevolare la comunicazione e far sì che l’intera imbarcazione non venisse riportata in luoghi di tortura. Insieme alla preoccupazione di una stretta sempre più repressiva nei confronti di queste persone, ci preoccupa ciò che sta succedendo a livello della giustizia a Malta».
Amnesty International ha lanciato un appello per la scarcerazione dei tre ragazzi, un appello che ha raccolto ad oggi migliaia di firme online. «Dal nostro appello si è mossa anche l’ex presidente della Repubblica maltese Marie Louise Coleiro Preca; si è attivato il Papa che ha voluto incontrare i ragazzi. Si sono mosse persone di altissimo livello. Nonostante ciò siamo in attesa che si pronunci il Procuratore generale. Da un momento all’altro ci aspettiamo la decisione che può essere quella di mandarli in giudizio oppure revocare il processo. In ogni caso c’è una carenza della giustizia che non comunica e che ha lasciato queste persone in un limbo», prosegue Masinara.
I tre giovani si sono sempre dichiarati innocenti, sostenendo di aver agito come mediatori per evitare il respingimento verso la Libia. Proprio in relazione ai respingimenti verso la Libia i giudici italiani hanno emesso sentenze di condanne verso comandanti di navi che, pur seguendo direttive di operazioni europee, hanno riportato in Libia migranti salvati da naufragi nel Mediterraneo. È il caso della sentenza di condanna del capitano del rimorchiatore Asso 28 (vedi box dell’articolo Migranti e gasolio, il cartello dei trafficanti coinvolto nella strage di Pasquetta).
President Emeritus of Malta @MarieLouise_MT: “Our country arrested them for nothing. … Four years of waiting in court is excessive, not right, and is unjust. This is nothing but cruelty to children, who like other children have a right to live free."https://t.co/W1idSIfpZn
— ElHiblu3 (@ElHiblu3) March 28, 2023
Un processo senza fine
Fondata nell’ottobre 2021, la Commissione ElHiblu3 Freedom è un’alleanza indipendente di vari sostenitori dei diritti umani che chiedono a Malta di archiviare immediatamente il processo contro i tre giovani uomini. La Commissione ha un ruolo di monitoraggio, attenzione, diffusione e condivisione di pratiche e di saperi. Il tema centrale è quello della criminalizzazione della migrazione che è comune a tutti i Paesi d’Europa.
«L’idea di fare rete, di monitorare e studiare tali questioni è ciò che anima questa Commissione e la mia personale partecipazione» spiega a IrpiMedia Francesca Cancellaro, avvocato e membro della Commissione. «È vero che gli ordinamenti giuridici sono diversi ma è pur vero che le regole internazionali e i diritti fondamentali hanno una portata trasversale e devono trovare un’applicazione in tutti gli ordinamenti. Da questo punto di vista la Commissione ha il senso di tenere alta l’attenzione, monitorare quello che avverrà anche nelle fasi processuali successive e riuscire a creare una rete di sostegno e di impegno internazionale per evitare che queste vicende rimangano confinate nei territori a cui si riferiscono e non riescano a essere lavorate in modo condiviso. Il paradosso – secondo l’avvocato Cancellaro – è che per vedere rispettati i propri diritti fondamentali i tre ragazzi stanno rischiando condanne pesantissime e tutt’ora sono in un limbo giudiziario».
Tempi così lunghi per un processo del genere non se ne sono mai visti a Malta. E ancora va deciso se rinviare a giudizio i tre indagati.
I membri della polizia maltese e i membri dell’equipaggio della nave mercantile sono stati ascoltati subito dopo lo sbarco della El Hiblu 1, l’accusa maltese ha impiegato invece due anni per chiedere ai sopravvissuti di testimoniare. Finora l’hanno fatto in sei, solo uno di loro nella sua lingua madre con l’ausilio di un interprete. Per loro è chiaro che Kromah, Kader e Bari sono innocenti e hanno contribuito a impedire che più di 100 persone fossero costrette a tornare in Libia.
«I ragazzi, che ho avuto occasione di conoscere a Malta durante un meeting organizzato dalla Commissione e tutte le realtà che stanno lavorando alla campagna, sono stati in detenzione dura per molti mesi e ci hanno raccontato che è stato difficile – prosegue Cancellaro -. Non è stata considerata in questa fase di detenzione la giovane età. Tutt’ora ci sono delle limitazioni, restrizioni, adempimenti che limitano la loro libertà di movimento».
I ragazzi infatti hanno l’obbligo di presentarsi alle autorità maltesi quotidianamente. La situazione è giunta a un punto cruciale. Adesso si aspetta la decisione definitiva del procuratore generale, a cui la Commissione ha indirizzato una lettera aperta per chiedere la chiusura del procedimento.
Foto: Il mercantile El Hiblu 1 attraccato a La Valletta durante le operazioni di sbarco dei 110 migranti a bordo, il 28 marzo 2019 – Matthew Mirabelli/Getty
Editing: Lorenzo Bagnoli