Cuochi messicani per la metanfetamina olandese

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Cuochi messicani per la metanfetamina olandese
The Cartel Project

Willem-Jan Joachems ricorda perfettamente quel 10 maggio 2019. Era appena arrivato sul canale della marina di Moerdijk, nei Paesi Bassi: «È qui che è successo tutto», ricorda. Per il giornalista della tv locale era lo scoop della vita. Era riuscito a riprendere la polizia mentre smantellava un laboratorio galleggiante di metanfetamina costruito da zero nella plancia di una barca di 85 metri. È la stessa droga della serie televisiva Breaking Bad. All’interno dell’imbarcazione, la polizia ha trovato 70 chili di prodotto, 150 litri di olio di metanfetamina e tre messicani sulla trentina. «Al momento della perquisizione, i messicani stavano cucinando la droga», racconta Willem-Jan. Resta un mistero: cosa ci facevano lì, a migliaia di chilometri dal Messico?

Una parte delle prove è andata distrutta insieme al laboratorio galleggiante, che ha cominciato a imbarcare acqua dopo che la polizia ha accidentalmente azionato una pompa. Gli inquirenti hanno ugualmente trovato il dna dei tre messicani sulle maschere e sui guanti rinvenuti a bordo. Nei cellulari dei tre c’erano diversi elementi di prova utili a ricostruire i loro passi in Olanda. Il primo era una specie di “lista della spesa”, datata 12 dicembre 2018, con 30 chili di fogli di alluminio, termometri e guanti di lattice, il kit di un “cuoco” di metanfetamine.

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C’erano poi foto di marzo 2019, che mostrano polvere in misurini di vetro. Un altro video di aprile documenta un enorme quantitativo di crystal meth (la forma più pura della metanfetamina, ndr) appoggiato su una bilancia da cucina: 91,7 chili. Il laboratorio è stato scoperto un mese dopo, a maggio 2019 e quasi un anno dopo, il 19 maggio 2020, un tribunale olandese ha condannato a quattro anni di carcere i tre messicani Candelario Valenzuela Leon e i due fratelli Ivan Diego e Victor Manuel Villareal con l’accusa di aver partecipato alla produzione dello stupefacente. Tutti e tre originari di Sinaloa. Dagli account Facebook dei fratelli Villareal emergono contatti con il cartello di narcotrafficanti dello Stato messicano. Alcuni tra i loro parenti sono infatti membri di corpi paramilitari che lavorano per il cartello di Sinaloa, come la FEX5. Tra i loro compiti c’è anche supervisionare alcune delle importazioni di cocaina, via aerea, dal Sudamerica.

Nel 2020 le autorità hanno sequestrato finora il numero record di 32 laboratori in Olanda. In tutto 19 messicani sono stati arrestati in laboratori di meth tra Olanda e Belgio, secondo i dati del Cartel Project. Il sequestro più recente risale al 30 novembre 2020, quando le autorità olandesi hanno trovato un laboratorio a Westdorpe, sul confine con il Belgio, e arrestato due messicani.

The Cartel Project

Con l’aiuto di 25 media partner, Forbidden Stories ha indagato i percorsi dei chimici messicani che lavorano per i re delle droghe sintetiche nel vecchio continente: le bande olandesi. L’inchiesta è parte del progetto The Cartel Project, un’inchiesta collaborativa di cui IrpiMedia è l’unico partner italiano.

«EncroChat è oro»

«Emergenza EncroUser: oggi il nostro dominio è stato illegalmente sequestrato dalle agenzie governative […] ti consigliamo di spegnere il tuo telefono e liberartene fisicamente appena puoi», così recitava un messaggio – in un inglese traballante – inviato a giugno scorso a milioni di clienti EncroChat, azienda che forniva sistemi per la comunicazione.

Al quartier generale si è scatenato il panico perché la società è stata presa di mira dalla più grande operazione di hacking per mano della polizia mai vista. Una catastrofe per EncroChat, che aveva promesso ai propri clienti comunicazioni ultra sicure. Con 1000 euro di telefono e 1500 euro di abbonamento biennale, il servizio vendeva TurnKey, un software di cifratura che prometteva anonimato completo, discrezione e supporto tecnico 24 ore su 24.

Per i proprietari di un telefono EncroChat il danno è stato ingente. A seguito dell’operazione di hacking, per mesi, le polizie francesi e olandesi – sotto il coordinamento di Europol – hanno seguito le comunicazioni tra gli utenti prima che venissero cifrate. Per chi di loro aveva acquistato un telefono EncroChat perché convinto di poter condurre attività criminali in piena segretezza – stando alla polizia, la maggior parte dei clienti dell’azienda di telefonia – l’operazione di Europol ha rappresentato una vera e propria tragedia. Il buco nella sicurezza informatica ha permesso di ottenere informazioni cruciali per varie indagini, comprese alcune su traffico di droga, omicidi ed episodi di violenza, si legge in un comunicato stampa di Europol ed Eurojust pubblicato a luglio 2020. EncroChat è stata costretta a chiudere a giugno 2020 e per i proprietari si sono aperte le porte del tribunale di Lille, in Francia. L’accusa: l’azienda ha fornito un sistema di cifratura delle comunicazioni il cui scopo andava oltre l’autenticazione sicura. In altri termini, ha consapevolmente fornito messaggistica che non poteva essere intercettata a gruppi criminali.

A gennaio 2019 IrpiMedia ha cercato di acquistare un telefono cifrato presentandosi come organizzazione di giornalisti. La risposta automatica arrivata via email recitava: «Abbiamo ricevuto il vostro messaggio con successo. Vi contatteremo il prima possibile». Una vera risposta non è mai arrivata, ma inquirenti dell’indagine Pollino – operazione che ha fermato una rete di narcotrafficanti legati alla ‘ndrangheta e attivi in Nord Europa – hanno confermato che i criminali, a differenza dei giornalisti, non hanno avuto problemi a procurarsi telefoni EncroChat. Bastava presentarsi agli smerci presenti direttamente sui moli dei porti di Amsterdam e Rotterdam.

«Per noi EncroChat è una miniera d’oro», dice Andy Kraag, a capo della Divisione nazionale indagini anticrimine della polizia olandese. «Il grande valore di queste informazioni è che non solo abbiamo potuto sorprendere i “cuochi” delle droghe in flagrante, ma che abbiamo accesso all’intera rete che c’è dietro», aggiunge. L’hack di EncroChat ha rivelato quanto massiccia fosse la presenza di messicani nei laboratori di droghe sintetiche in Nord Europa, molto più numerosa dei 19 identificati dal Cartel Project.

La legge del silenzio

Jesus P.V., 40 anni, in Messico lavorava come personal trainer in una palestra. O almeno, questo è ciò che ha dichiarato durante un’udienza del processo che lo vede alla sbarra per aver partecipato alla produzione di meth in un laboratorio di Wateringen; un magazzino dove, a febbraio 2019, la polizia ha sequestrato droga per 80 milioni di euro. Stando alle dichiarazioni dell’uomo, la sua vita è cambiata drasticamente quando, un mese prima, un altro iscritto alla palestra gli ha proposto di andare in Olanda a lavorare come muratore per 2mila dollari al mese, uno stipendio molto più alto dei 700 dollari che guadagnava come personal trainer. Aveva accettato, finendo però a fare il “cuoco” di meth. Così lo ha sorpreso la polizia in un sobborgo dell’Aja: in compagnia di altri due connazionali e di 400 chili di crystal meth. Anche gli altri due fermati, due ragazzi sui vent’anni, hanno raccontato durante il processo storie simili, dicendo di non avere idea di cosa li aspettasse una volta in Olanda.

In un altro laboratorio sequestrato ad Achter-Drempt, sempre nei Paesi Bassi, il messicano arrestato ha dichiarato di essere stato assunto per raccogliere frutta in Europa senza sapere che il vero impiego fosse in qualità di “cuoco” di meth. «Non ci credo», commenta Kraag, convinto che il messicano sintetizzasse droga già in Messico e fosse stato reclutato per prestare lo stesso servizio in Europa.

Anche nel caso del laboratorio galleggiante di Moerdijk, i messicani condannati hanno raccontato durante il processo di avere ricevuto offerte per lavori in Olanda pagati tre volte di più che in Messico, sostiene il giornalista locale Willem-Jan Joachems. Il fatto che prima di arrivare in Europa i tre sostengano di non aver mai lavorato nel campo del narcotraffico, lascia intendere che fossero alle prime armi, eppure non c’è stato nulla di amatoriale nella loro operazione. Tanto che il processo ha provato che i tre sapevano bene come produrre metanfetamina «di alta qualità». D’altronde erano stati loro stessi a fare orgogliosi le foto al prodotto finito. Uno dei tre ha anche confessato che lo scatto serviva a mostrare ai clienti la qualità del prodotto.

«Per noi EncroChat è una miniera d’oro. Non solo abbiamo potuto sorprendere i “cuochi” in flagrante ma abbiamo avuto accesso all’intera rete che c’è dietro»

Andy Kraag, Divisione nazionale indagini anticrimine polizia olandese

Impacchettamento della metanfetamina in Messico – Foto: Amrai Coen/Die Zeit
Un laboratorio di metanfetamina in Olanda – Foto: Benedikt Strunz/Ndr

I tre messicani in manette si sono rifiutati categoricamente di rivelare qualsiasi dettaglio sui datori di lavoro. Durante un’udienza, uno di loro ha raccontato di avere ricevuto minacce, come si può leggere dai verbali del processo: «Quando è giunto all’appartamento, la persona che lo ha prelevato all’aeroporto ha detto che non avrebbero lavorato in cantieri edili ma avrebbero svolto un altro tipo di lavoro e che avrebbero dovuto stare zitti». In seguito, il “cuoco” è stato anche minacciato. Contattati da Forbidden Stories, gli avvocati dei messicani implicati nella produzione del meth in Europa si sono rifiutati di commentare.

Cani sciolti

Le comunicazioni di EncroChat sono state fondamentali anche per capire il sistema di reclutamento dei cuochi messicani richiesti dalle organizzazioni criminali olandesi. Falko Ernst, esperto di Messico che lavora con l’International Crisis Group, un’organizzazione non governativa che si occupa di politiche per prevenire i conflitti, spiega come funziona il sistema degli intermediari. I futuri chimici dell’organizzazione li scelgono i cartelli fin dall’inizio: «Si studiano tutti gli iscritti al corso di chimica delle facoltà in Messico e selezionano alcuni “candidati”».

I narcos procedono poi a contattare lo studente tramite un intermediario che farà un’offerta economica, di solito molto allettante. «E se non bastasse, si passa alle minacce», spiega Ernst. Nelle conversazioni via EncroChat i poliziotti hanno trovato diversi messaggi in cui si legge «sto cercando un cuoco, conoscete qualcuno?» spediti da numeri olandesi. A riceverli erano messicani in azione per il reclutamento. «Il sistema era così, molto semplice», spiega il poliziotto olandese Andy Kraag.

I narcotrafficanti in Olanda si affidano ai messicani non solo per le loro capacità e competenze ma anche per l’approvvigionamento dei precursori, inviati principalmente da Cina e India direttamente in Sudamerica

Gli intermediari lavorano come freelance, in pratica cani sciolti. «Da ciò che abbiamo notato, in questo business ci sono dei cani sciolti, dei broker che si autogestiscono e pagano una percentuale di ciò che guadagnano dagli olandesi al cartello di riferimento, in Messico», aggiunge Kraag. I broker, quindi, sono l’anello di congiunzione tra messicani e criminalità europea. Sono responsabili anche della logistica del viaggio dei “cuochi” fino in Europa e dei loro salari.

Secondo Kraag, la maggior parte entra con un visto turistico dalla Spagna e poi da lì prosegue fino in Olanda. Prima dello scoppiare della pandemia da Covid19 – che ha frenato drasticamente l’arrivo dei chimici – gli intermediari messicani erano soliti fare un viaggio preliminare e ispezionare le location per i laboratori. I cuochi venivano forniti agli olandesi solo dopo che questi ultimi avevano già predisposto strutture e il materiale per lavorare. «Con l’aiuto di EncroChat – prosegue il capo della polizia olandese Kraag – stiamo cercando il modo di togliere gli intermediari dal mercato. Ma è molto complesso perchè sono in Messico e vengono qua solo sporadicamente, quando possono».

Competenze messicane

A sud di Culiacan, capitale di Sinaloa, tutti hanno sentito parlare dei “cuochi” messicani in Europa. “El Chapo Jr.”, un piccolo produttore di droghe sintetiche per il cartello di Sinaloa che si fa chiamare così per la sua adorazione del narcotrafficante Joaquin “El Chapo” Guzman, lo conferma ai reporter del Cartel Project: «Mandiamo i cuochi in Europa perché noi messicani siamo i migliori nelle droghe sintetiche!». Ha un laboratorio dai muri rosa shocking illuminati a neon: sulla tavola, crystal meth che l’uomo impacchetta meticolosamente con fogli di alluminio.

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Cuochi messicani per la metanfetamina olandese

Laboratori di droga scoperti tra Belgio e Paesi Bassi sono gestiti da chimici venuti dal Messico. Li reclutano intermediari via EncroChat, un sistema di comunicazione (mal)ritenuto a prova di indagini

I tentacoli del cartello di Sinaloa in Italia

A gennaio 2020 i narcos hanno portato 400 chili di cocaina in Sicilia. Cercavano di aprire una nuova rotta aerea. Un segnale della campagna per la conquista del mercato europeo

La pratica serve a rendere più difficile l’identificazione ai cani antidroga: i trafficanti avvolgono i cristalli con una busta di plastica, poi carta stagnola e nastro americano e poi di nuovo una busta di plastica. «Abbiamo esperienza, e possiamo formare altri cuochi in Europa», dice El Chapo Jr. I narcotrafficanti che in Olanda si affidano ai messicani non contano solo sulle loro capacità e competenze, il cui prezzo è una percentuale sulla vendita delle droga che i trafficanti europei corrispondono direttamente a intermediari e “cuochi”. Si affidano ai messicani anche per l’approvvigionamento dei precursori, inviati principalmente da Cina e India direttamente in Sudamerica.

Cosa sono i precursori

Con il termine “precursori” – spiega il Ministero dell’Interno – si intendono sostanze chimiche di vario genere normalmente utilizzate in numerosi processi industriali e farmaceutici. Si tratta di prodotti legali, ma che sono fondamentali per reazioni chimiche alla base della sintetizzazione e raffinazione di molti stupefacenti.

“Precursore” è ovviamente un termine generico, che fa riferimento a un “ingrediente non cucinato” del prodotto finale (lecito o illecito). Fra quelli più usati per la produzione di droga c’è l’anidride acetica, un reagente per l’ottenimento di eroina e cocaina, oppure solventi come acetone, etere e acido cloridrico per la raffinazione. La maggior parte di queste sostanze chimiche è commercializzata dalla Cina, o almeno arriva da quel Paese a prezzi più convenienti, anche se vi è una produzione anche in alcuni paesi Europei e in India.

Anche l’ultimo rapporto sulle droghe dello UNODC, il dipartimento delle Nazioni Unite che si occupa di narcotraffico e crimine organizzato, parla di «specialisti messicani» capaci di sintetizzare una forma molto pura di metanfetamina. «Come quella di Walter White, il protagonista di Breaking Bad», commenta Laurent Laniel, un analista che lavora per l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (EMCDDA). Questi specialisti, dice Laniel, «sono capaci di produrre grandi quantità di una potente metanfetamina che può essere fumata o iniettata. Hanno trovato l’equazione perfetta: produrre una potentissima metanfetamina grazie ad un secondo processo di sintesi».

Olanda: la cucina di meth del mondo

Il prezzario della metanfetamina cambia a seconda del mercato in cui si vende. In Giappone e in Australia un grammo costa anche più di 400 euro. Nel 2017 la stessa quantità negli Stati Uniti si pagava circa 50 euro. Una delle ragioni è il rischio connesso a viaggi lunghi: «Il rischio di spedire, considerata anche la distanza, aumenta i costi per i trafficanti e questo si riflette sul consumatore, che paga a caro prezzo il “privilegio” di avere quella droga sul mercato», afferma Anna Sergi, ricercatrice e professoressa all’Università di Essex, in Inghilterra. La polizia olandese, però, è soprattutto preoccupata che il consumo possa aumentare anche in Europa, producendo nuovi tossicodipendenti che pesano sui sistemi sanitari europei.

Nell’alleanza criminale tra cartelli e gang olandesi, però, non va sempre tutto liscio. Uno scambio di messaggi su EncroChat ha svelato alla polizia belga l’esistenza di sei container insonorizzati trasformati in celle per prigionieri, vicino al confine con l’Olanda. Il settimo era usato come stanza delle torture, con tanto di sedia da dentista con una sega, un bisturi, una fiamma ossidrica e diversi tipi di pinze. «Se l’Olanda diventasse uno di quei Paesi super-produttori di crystal meth che non dipende più dalle competenze e dalle forniture di precursori dei messicani, diventerebbe un concorrente – ragiona Kraag -. Non posso prevedere cosa succederebbe a quel punto, ma ci sono enormi rischi, dato che la concorrenza tra criminali è sempre accompagnata da violenza. E noi vogliamo prevenire il disastro», conclude Kraag.

CREDITI

Hanno collaborato

Cecilia Anesi (IrpiMedia)
Audrey Travère (Forbidden Stories)
Wil Thijssen (de Volkskrant)
Kristof Clerix (Knack)
Benedikt Strunz (NDR)
Philipp Eckstein (NDR)
Anne Michel (Le Monde)
Mathieu Tourlière (Proceso)
Bart Libaut (freelance)

In partnership con

Editing

Lorenzo Bagnoli

Infografica

Lorenzo Bodrero

Foto

Amrain Coen/Die Zeit