Calcio e criptomonete: l’abbuffata della Serie A
#FuoriGioco
Raffaele Angius
Lorenzo Bodrero
Matteo Civillini
Il 28 novembre scorso il Napoli ospita in casa la Lazio. È la serata del ricordo di Diego Armando Maradona, l’idolo di casa scomparso un anno prima. In attesa del fischio d’inizio una statua di bronzo del Pibe de Oro, a grandezza naturale, sfila davanti agli oltre 40 mila tifosi presenti per l’occasione. Il busto di Maradona adorna anche la maglia speciale che l’undici partenopeo indossa per l’occasione. Quella, però, non è l’unica novità che appare sulla divisa di gioco. Sul retro, sotto i numeri dei giocatori, fa capolino per la prima volta la scritta “Floki.com”. Al fianco l’immagine di un cagnolino con l’elmo da vichingo.
L’insolito jersey back sponsor compare pochi giorni dopo l’annuncio dell’accordo del Napoli con Floki Inu, un cosiddetto “meme coin”, ovvero una criptovaluta nata per scherzo. Prodotti che basano il proprio valore non su una reale utilità, ma sulla viralità e sull’attivismo della comunità che spinge la diffusione della valuta stessa per provare a far salire le quotazioni. Una sorta di gioco d’azzardo collettivo in cui il rischio di scottarsi è molto alto: un mercato estremamente volatile che conta diversi tentativi di frode.
Tuttavia dall’inizio della stagione calcistica in corso, i club di mezza Europa sono impegnati a rastrellare sponsorizzazioni dal mondo delle monete digitali per far fronte a una lunga tradizione di conti in rosso, oltremodo esacerbata dalle conseguenze della pandemia. E le squadre di Serie A non sono da meno. Secondo una ricerca di IrpiMedia, sono almeno 16 i club con rapporti commerciali in essere con il mondo criptomonete. Nella Premier League inglese, sono 17 su 20. È la risposta delle società calcistiche alla crisi, una mancanza di liquidità che il “doping amministrativo” e le plusvalenze gonfiate non possono risolvere da sole.
Lo shopping compulsivo nel settore delle criptomonete da parte del calcio nostrano ha coinvolto anche due degli organi che ne sovrintendono la gestione e che più dei club dovrebbero raccomandare prudenza: da quest’anno, infatti, anche la Lega Serie A e la Figc si fregiano delle sponsorship, rispettivamente, di crypto.com e Socios.
La grande abbuffata
Le sponsorizzazioni tra società del mondo delle criptovalute e i club di Serie A durante la stagione 2021/2022
A richiamare l’attenzione «sugli elevati rischi connessi con l’operatività in cripto-attività» sono sia Banca d’Italia sia la Consob. Un portavoce dell’organo di controllo per la tutela degli investitori ha dichiarato a IrpiMedia che «il tema è attenzionato dai nostri uffici e non possiamo che raccomandare agli investitori la massima cautela, visti i rischi altissimi in cui possono incorrere». La stessa Consob, lo scorso luglio, ha segnalato con un warning la società Binance, sponsor della Lazio da ottobre, precisando che le società del gruppo «non sono autorizzate a prestare servizi e attività di investimento in Italia».
Ma gli interventi delle autorità avvengono in ordine sparso anche nel resto d’Europa: il 21 dicembre, nel Regno Unito, l’autorità nazionale che controlla la liceità dei contenuti pubblicitari (Advertising Standards Authority, Asa) ha sanzionato due pubblicità per l’acquisto dei fan token dell’Arsenal che permette principalmente di acquistare prodotti dai suoi negozi online. Come con Floki, anche i fan coin sono strumenti a rischio basati sulla blockchain e scambiabili utilizzando altre criptovalute. Nel dispositivo adottato dall’Asa si legge che il club londinese stava «approfittando dell’inesperienza o della credulità dei consumatori, banalizzando l’investimento in attività cripto, ingannando i consumatori sul rischio dell’investimento e non rendendo chiaro che il token è un asset cripto»
Tornando a Floki Inu, dal giugno scorso, data della sua creazione, la criptovaluta ha lanciato una campagna di marketing senza precedenti nel mondo crypto. Oltre al Napoli, altri storici club europei come Bayer Leverkusen, Spartak Mosca, Fenerbahce e Twente hanno stretto accordi commerciali con la criptovaluta. Il pugile inglese Tyson Fury ha pubblicato un video promozionale sulla sua pagina Instagram in cui si definisce «orgoglioso di essere un vichingo Floki».
Endorsement di alto livello che hanno contribuito, almeno sulla carta, a creare un’aura di legittimità intorno a Floki Inu. La criptovaluta vanta oltre 370 mila possessori e un valore di mercato di 1,2 miliardi di dollari (al 21 dicembre 2021). Ma cosa c’è davvero dentro? Uno dei progetti che promettono di sviluppare sarà “Valhalla”, un luogo virtuale ribattezzato in onore dell’aldilà di tradizione vichinga in cui sarà possibile acquistare e scambiarsi Non Fungible Tokens (NFTs). Un NFT corrisponde alla frazione di un bene – a cui è associata una stringa di codice univoca – per acquistare il quale un utente deve sborsare un determinato valore in criptovaluta. La società è inoltre attiva in attività benefiche attraverso il sostegno alla creazione di scuole elementari in Ghana, Guatemala e Laos, come confermato a IrpiMedia dalla organizzazione non governativa Pencils of Promise.
Il glossario delle criptovalute
Blockchain: immaginate una sequenza potenzialmente infinita di “blocchi” ciascuno dei quali contiene una serie di informazioni. L’acquisto di criptomoneta costituisce un blocco di informazioni, così come la vendita, l’aggiunta di un nuovo utente o di un wallet, la stessa cosa vale per una transazione economica. Chiunque può aggiungere nuove informazioni e a ciascun blocco, di default, è assegnato un codice univoco il quale “memorizza” e quindi verifica anche l’identità del blocco che lo precede. In questo modo è praticamente impossibile manomettere l’intera catena, motivo per il quale la blockchain è considerata sicura. In estrema sintesi, la blockchain è un enorme database controllato dai blocchi che lo compongono, immutabile, decentralizzato e altamente sicuro dal punto di vista informatico.
Criptovaluta: moneta virtuale, ossia che non esiste in forma fisica. Si genera e si scambia criptomoneta esclusivamente per via telematica e in modalità peer-to-peer, ovvero tra due dispositivi senza l’ausilio né l’intermediazione di autorità centralizzate. Le entità che danno vita allo scambio sono i “nodi”, nient’altro che dei computer gestiti da utenti all’interno dei quali sono continuamente all’opera software che svolgono la funzione di portamonete.
Fan Token: è un asset digitale creato sulla blockchain e collegato a una specifica squadra di calcio che permette ai detentori l’accesso di beni e servizi. Nel caso di Socios, principale emittente di questi prodotti, i fan token si appoggiano su Chiliz, una criptovaluta gestita da Socios stessa.
Meme coin: sono quelle criptovalute che nascono a seguito di fenomeni sociali, scherzi o contenuti diventati virali in rete. Il contenuto virale stesso diventa il volto, e spesso il logo, con cui è individuata la moneta. Il caso più celebre è Dogecoin, creata per scherzo nel 2013 e che si ispira all’ormai celebre cane Shiba Inu, razza giapponese dal pelo folto e di colore ocra. Simile è la genesi di Floki. Il nome del celebre personaggio della serie televisiva Vikings è quello con cui è stato battezzato il cane di Elon Musk. Floki Inu ha quindi raccolto l’eredità mediatica di due fenomeni diventati virali.
Non Fungible Token (NFT): sono dei certificati di proprietà di opere digitali ma non nella loro interezza. Un singolo NFT, infatti, corrisponde ad una frazione del bene/oggetto in questione il quale ha un valore determinato in base al valore dell’oggetto stesso. In sostanza, è come possedere una o più azioni di una società quotata.
Wallet: un portafoglio virtuale, simile a quelli più comuni associati, per esempio, alle app per i pagamenti in forma digitale. Sono necessari per immagazzinare e trasferire criptovalute.
Scavando poco più a fondo, però, si incontrano più ombre che luci. Partendo dal team, quasi esclusivamente anonimo, che gestisce il progetto. Passando dai forti dubbi sulle caratteristiche tecniche della valuta. E arrivando, infine, alla società dietro a Floki Inu: una “scatola vuota” con sede in un paesino sperduto della Georgia est-europea.
Secondo Patrick Boyle, ex hedge fund manager e oggi professore di finanza derivata al King’s College di Londra, i meme coin come Floki Inu sono assimilabili a degli schemi di pump and dump: un antico meccanismo di manipolazione finanziaria per far lievitare in maniera artificiosa il valore di un asset per poi scaricarlo. Chi vende al momento giusto (solitamente i promotori del progetto) realizza un profitto, tutti gli altri rimangono con il cerino in mano.
«Di Floki Inu non è chiara la strategia d’investimento né cosa dovrebbe spingere la crescita del denaro investito», spiega a IrpiMedia Silvia Bossio, dirigente operativa di Chainblock: «Quasi per un fenomeno di isteria collettiva, dettata dalla speculazione, le persone si muovono in massa verso il nuovo miracolo cripto, quindi decidono di mettere i propri risparmi in questa impresa, convinti di fare un affare. Quei soldi sono stati in larga parte reinvestiti in campagne pubblicitarie e sponsorizzazioni che servono ad aumentare la platea di quanti sono convinti di avere davanti l’occasione del secolo». Il riferimento è alla cosiddetta “fomo”, fear of missing out, ovvero la paura di mancare un’occasione imperdibile e di restare fuori da una squadra vincente. «Floki Inu nasce per gioco, ma non ci è dato sapere se farà le cose seriamente in seguito, ad oggi le intenzioni del team sembrano chiare, marketing e sponsorizzazioni: vedremo se poi daranno un’utilità al proprio sito web», chiosa l’esperta.
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Pecunia non olet e per i proprietari dei club – ricchi e meno ricchi – non è il momento di sottilizzare troppo sull’origine di ricche sponsorizzazioni. E così la rapida diffusione e le repentine capitalizzazioni (seppur virtuali) delle società inducono i club a chiudere un occhio verso un mercato giudicato particolarmente instabile. Di ricchi sponsor si sente particolarmente bisogno dal luglio 2018 quando, con l’entrata in vigore del Decreto Dignità da parte del governo Conte I, alle aziende operanti nel settore delle scommesse è vietato sponsorizzare club e atleti. Nel campionato 2017/2018 – l’ultimo in cui le società di scommesse hanno solcato i campi di calcio – erano 12 le squadre di Serie A con accordi di sponsorizzazione in corso con il comparto.
A lungo infatti il settore ha tenuto a galla il mondo del pallone, e non solo in Italia. Un report di Nielsen Sports – think tank del mondo dei media – ha stimato in 633 milioni di dollari gli investimenti riversati dalle società di giochi e lotterie nei sei principali campionati europei nel decennio 2008-2017. Da qualche parte, quindi, bisogna pur trovare fonti di ricavo alternative per far fronte ai debiti che stagione dopo stagione crescono, guidati in gran parte dal lievitare dei costi dei cartellini, degli stipendi e dai compensi elargiti ai potenti agenti sportivi. Sorprende quindi fino a un certo punto la sommaria due diligence da parte dei club, cioè la valutazione, della reale natura di uno sponsor e dei milioni che porta con sé. Ne sanno qualcosa il Manchester City e il Barcellona.
Il precedente: Il Manchester City e l’azienda fantasma
Il caso ha del paradossale ma offre la misura dei rischi che le società di calcio sono disposte a correre pur di incassare qualche milione di euro in sponsorizzazioni. E se a correrli al punto da firmare un accordo commerciale pressoché in bianco sono i campioni d’Inghilterra in carica nonché la sesta squadra più ricca d’Europa con entrate commerciali nel 2020 per 285 milioni di euro (dati Deloitte) c’è da domandarsi quale sia la natura delle partnership con società cripto in Italia.
«Il mio nuovo Shiba Inu si chiamerà Floki»
Floki Inu arriva sull’affollato mercato delle criptovalute nel giugno scorso. La sua nascita non deriva da un sofisticato piano imprenditoriale, ma da un semplice tweet di Elon Musk. «Il mio nuovo Shiba Inu si chiamerà Floki», scrive il fondatore di Tesla – il riferimento è alla razza di cane di origine giapponese – causando un piccolo terremoto nel mondo cripto.
My Shiba Inu will be named Floki
— Elon Musk (@elonmusk) June 25, 2021
Musk è una figura di culto nella comunità cripto dopo aver spinto – sempre a colpi di cinguettii – la vertiginosa crescita di Dogecoin, il capostipite dei meme coin. Creato nel 2013 per scherzo da due programmatori americani, Dogecoin è sopravvissuto per diversi anni solo all’interno di una ristrettissima nicchia. Poi, sull’onda di più ampi fenomeni speculativi sui mercati finanziari e del sostegno di vip come Musk, il valore della criptovaluta satirica è schizzato alle stelle: da 0,005 dollari registrato al 1 gennaio 2021 a un massimo di 0,72 dollari l’8 maggio successivo, con una crescita del 12.000%, secondo le stime di Cnbc. Più tardi nell’anno Dogecoin è comunque crollato, di circa il 70%, ma nel frattempo è nata una leggenda. I forum di Reddit e i canali Youtube dedicati al mondo cripto vengono inondati dalle storie di decine di personaggi che sostengono di essere diventati milionari grazie al meme coin. Tra gli adepti del mondo cripto parte una caccia frenetica alla prossima valuta satirica destinata al successo.
Tra le decine di monete spuntate come funghi immediatamente dopo il tweet di Musk c’è anche Floki Inu. Le informazioni disponibili sul progetto sono però scarne. Sviluppatori e promotori sono protetti da profili anonimi, con la sola eccezione del programmatore, Jackie Xu. Il white paper – documento che delinea le finalità della moneta – dice che «la missione di Floki è di diventare parte della famiglia dei dog token» e gli sviluppatori «sperano di creare una comunità positiva».
Le prime burrascose settimane di vita di Floki Inu
Nata intorno alla mitologia norrena – prima che del cane di Musk, Floki è il nome di un personaggio della serie Vikings – la criptovaluta ha dovuto affrontare gravi difficoltà fin dalle prime settimane, nelle quali si sono susseguite accuse di furto, litigi, riorganizzazioni e almeno due rug pull: truffe nelle quali gli sviluppatori drenano a loro vantaggio liquidità dal protocollo. Ma una narrazione epica della comunità, che si definisce come un’orda di vichinghi buoni il cui obiettivo è divertirsi nel mondo cripto, ha permesso di rafforzare la base anche nei momenti più difficili.
Come ogni epopea che si rispetti, c’è bisogno di un cattivo. Ed è così che il primo sviluppatore di Floki Inu diventa “the villain”, contro il quale la comunità ha dovuto lottare: «In stile Robin Hood al contrario, lo sviluppatore stava tassando i possessori del 20% sulle transazioni per incanalare i loro fondi nel suo portafoglio, tenendo questi fondi per il riscatto e facendo gonfiare velocemente l’offerta», ammette il team sul blog che ricostruisce i primi giorni di Floki Inu.
Anche questa vicenda finisce per consolidare l’immaginario di comunità che sostiene il meme coin dalla base: «I vichinghi di Floki sono stati implacabili e si sono radunati insieme, facendo pressione sullo sviluppatore affinché usasse questi fondi per il bene della comunità, ma alimentato dall’avidità, ha invece scelto di disfarsene», continuano nella loro narrazione: «La comunità è stata quindi lasciata con il corpo morente di Floki V1 (versione uno, ndr) con le sue metriche rotte e nessun leader in vista», prosegue la saga: «Ma sapevano che si poteva fare di più, non c’era modo di fermarli, non si sarebbero mai arresi e così inizia la vera storia…».
La strategia è di realizzare una versione 2 di Floki Inu, salvando la comunità che si era raccolta fin dalla prima ora a sostegno del progetto. Due nuovi rug pull – dall’inglese “tirare via il tappeto da sotto i piedi” di chi investe – caratterizzano le prime settimane di vita del meme coin, che per essere salvato riceve un’iniezione prima di 550 mila dollari dai fan e poi di 450 mila dollari dagli stessi amministratori, una volta costretto all’uscita l’ennesimo sviluppatore inaffidabile.
I raggiri non mettono la parola fine al progetto Floki Inu, come molti si sarebbero aspettati. Gli sviluppatori creano un nuovo contratto e modificano alcune specifiche tecniche per assicurare – a detta loro – che il progetto sia più solido e sicuro.
A parlare tramite Twitter è uno dei padri di Floki Inu, l’utente “B (Da Viking)”, che spiega di aver fatto implementare misure indispensabili per tutelare i vichinghi di Floki. Tra queste una liquidità bloccata per 265 anni – che impedisce agli sviluppatori di svuotare la cassa nella quale gli investitori mettono i propri soldi – e la corresponsabilità di tutti gli amministratori del team che devono essere concordi per operare sulla valuta. Contattato da IrpiMedia, “B” ha confermato che ora Floki Inu gode di caratteristiche di sicurezza nel pieno interesse degli investitori. Tuttavia, non è stato possibile sapere quanti wallet sono controllati da chi amministra Floki e a quanto ammonta il loro numero di token. In poche parole, non è possibile sapere se una sola persona o un piccolo gruppo avrebbero il potere di controllare le quotazioni della valuta in modo massivo.
“B” sostiene che gli sviluppatori di Floki Inu non hanno nessuna intenzione di vendere i propri token – incassando i guadagni – e che stanno facendo numerosi sacrifici per portare avanti il progetto.
Tra blogger nigeriani e scatole vuote in Georgia
«Chiunque potrebbe creare un meme token in qualsiasi momento e proporne l’acquisto», osserva Stefano Capaccioli, dottore commercialista e fondatore di Coinlex, società di consulenza e network di professionisti sulle criptovalute e soluzioni blockchain: «Ma l’intero mercato dei meme coin si compone di strumenti complicati, wallet e volatilità: tasselli di un puzzle estremamente complesso che non sempre è originato da persone competenti o in buona fede», osserva.
Per avere un’idea più precisa sull’affidabilità di Floki Inu, IrpiMedia ha provato a scavare un po’ più a fondo su chi ci sia realmente dietro questo progetto. L’unico nome reale che Floki Inu ha pubblicato è quello del lead developer Jackie Xu, ingegnere informatico con base in Olanda. A capo degli aspetti tecnologici, Xu sembra invece poco impegnato nella promozione di Floki al pubblico.
A trainare queste attività è una serie di profili Twitter in cui le reali identità sono nascoste da alias. Un membro del team di Floki spiega che questa è una scelta dettata dal fatto che nel mondo delle criptovalute «il focus non dovrebbe essere sulle singole persone, ma sulla comunità intera e sui processi tecnologici».
Un utente di nome “Sabre” si definisce “direttore marketing” di Floki Inu. Un presunto imprenditore di base a Londra, sarebbe stato lui a occuparsi delle sponsorizzazioni con le società di calcio. “Sabre” sostiene di voler mantenere l’anonimato perché non vuole la notorietà che ne deriverebbe.
Altro profilo particolarmente attivo è quello dell’utente “B Da Viking”, che si autodefinisce “stratega” di Floki Inu. IrpiMedia ha scoperto che dietro questo alias c’è un 27enne blogger e scrittore freelance nigeriano. Prima di dedicarsi a tempo pieno al mondo delle criptovalute, fino a febbraio scorso “B” (come è noto online) gestiva un sito web in cui dispensava consigli su come fare soldi tramite blogging e ghostwriting. «Ci sono sicuramente innumerevoli modi per fare soldi online ma scrivere per altri è uno dei metodi più remunerativi per fare un bel gruzzolo», si leggeva sulla pagina, ora rimossa. “B” sosteneva di guadagnare uno stipendio a sei cifre attraverso la propria attività. Sul suo sito era inoltre possibile acquistare un e-book, al prezzo di 29,99 dollari, con una guida per diventare uno scrittore freelance di successo.
Affianco alla carriera da blogger, il capo delle operazioni di Floki si era cimentato nell’allevamento di pesce gatto alle porte del suo paese natìo, con il quale progettava di «risolvere il problema della fame in Nigeria e in vari Paesi africani, e infine nel mondo». Ha aggiunto di non voler rivelare la propria identità perché teme per la propria incolumità fisica. «In Nigeria il pericolo di rapimento è molto elevato», spiega.
Il team di Floki ci tiene a precisare di essere un progetto votato alla decentralizzazione le cui operazioni si compiono quasi esclusivamente sulla blockchain. Quello è il futuro, sostengono loro. Ma, nel mondo di oggi, per finalizzare gli accordi pubblicitari si è resa necessaria la presenza di un’entità legale.
Così, i promotori di Floki hanno scelto di mettere radici in Georgia. Il Paese est-europeo è da anni diventato una destinazione preferita dei cripto-imprenditori attratti dalla bassa tassazione e da un regime regolatorio molto permissivo. Floki Ltd viene fondata lo scorso primo ottobre a Marneuli, cittadina da poco più di 20 mila abitanti situata al confine con Armenia e Azerbaigian. Nell’azienda non compaiono i membri della dirigenza di Floki. Ma l’unica amministratrice e azionista è una donna georgiana di 52 anni con nessuna apparente esperienza nel mondo finanziario.
“B” ha inizialmente spiegato che la proprietaria di Floki Ltd è una persona «collegata al management di Floki». Alla successiva domanda di IrpiMedia se la donna fosse una testa di legno che cura gli interessi dei reali beneficiari dell’azienda, “B” ha risposto: «Esatto, questo è il miglior modo di definirla».
La spinta mediatica di Floki Inu
Nella sua terza reincarnazione Floki si lancia in un’imponente campagna pubblicitaria. A finanziarla – dicono – è una tassa sugli acquisti della valuta da parte degli investitori. Una maggiore esposizione mediatica porta a più transazioni che a loro volta fanno lievitare il budget per le attività di marketing in un ciclo continuo.
Verso la fine di ottobre sui mezzi pubblici di diverse metropoli europee compaiono cartelloni con il messaggio “Ti sei perso Doge? Prendi Floki”. Un chiaro riferimento al meme coin originale, Dogecoin, e, ancora, alla fear of missing out, i presunti guadagni dovuti alla crescita del valore della moneta. Diventata presto virale, la campagna suscita controversie. A Londra, in seguito alla denuncia di un consigliere comunale, l’Advertising Standards Authority (l’equivalente britannica dell’Agcom) fa scattare un’indagine nei confronti dei messaggi pubblicitari. Floki Inu dichiara alla BBC di aver rispettato tutti i requisiti legali e sposta la propria attenzione su un nuovo fronte della campagna marketing: gli accordi con top club del calcio europeo.
Il 23 novembre il Napoli annuncia che Floki Inu diventa il nuovo sponsor sul retro della maglia azzurra. Il primo comunicato pubblicato dal club partenopeo cita un portavoce di Floki, secondo cui l’obiettivo è «di diventare la criptovaluta più conosciuta e più utilizzata al mondo». Il Napoli, invece, spiega di «aver scoperto che il nostro club e Floki hanno in comune gli stessi valori e le stesse aspirazioni di crescita». Quali siano i valori e le aspirazioni non è chiaro: il club ha declinato di rispondere a questa domanda, come alle altre poste da IrpiMedia. Nel frattempo, il comunicato è stato successivamente sostituito sul sito del Napoli da uno più stringato in cui i virgolettati sono scomparsi.
All’accordo con il club partenopeo si sono susseguite in breve tempo le sponsorizzazioni con il Bayer Leverkusen in Germania, il Twente in Olanda, lo Spartak Mosca in Russia e il Fenerbahce in Turchia. I promotori di Floki Inu celebrano ogni annuncio, esaltando l’esposizione mediatica che ne deriva. «La partnership strategica è una grande vittoria per il mondo crypto», dice Floki Inu in occasione dell’accordo con il Bayer Leverkusen, «perché introduce le criptovalute a milioni di persone nella Bundesliga e nell’Europa League, al contempo legittimando il settore agli occhi di centinaia di milioni di persone».
Per Boyle, professore di finanza derivata del King’s College, attraverso queste sponsorizzazioni i club espongono i propri tifosi a grossi rischi. «Credo che sia sbagliato spingere il proprio pubblico verso questi prodotti, soprattutto senza fornirgli informazioni adeguate», dice Boyle. «Promuovere un prodotto di investimento, in particolare uno speculativo e non convenzionale come una “nuova forma di denaro”, potrebbe mandare le persone in bancarotta».
IrpiMedia ha chiesto a Napoli, Bayer Leverkusen e Twente dettagli rispetto alle verifiche effettuate su Floki Inu prima di firmare i rispettivi accordi. Nicola Lombardo, addetto stampa del Napoli, ha dichiarato di non avere altro da aggiungere rispetto al comunicato stampa pubblicato sul sito. «Il comunicato è pienamente esaustivo. I dubbi sono suoi (degli autori, ndr)», ha aggiunto Lombardo. «E ricordo che in questa gestione societaria, il Napoli ha sempre fatto tutto quello che doveva fare nella massima correttezza». A IrpiMedia non sono pervenute risposte alle domande inviate al Bayer Leverkusen e al Twente.
CREDITI
Autori
Raffaele Angius
Lorenzo Bodrero
Matteo Civillini
Infografiche
Lorenzo Bodrero
Editing
Luca Rinaldi
Foto di copertina
Lorenzo Insigne e Mario Rui durante la partita Napoli-Lazio del 28 novembre 2021.
BSR Agency/Getty