Mordashov, Timchenko, Deripaska: le società in Italia di tre oligarchi sotto sanzione
#RussianAssetTracker
Lorenzo Bodrero
Èpartito da un’anonima bottega di un fabbro in provincia di Brescia; è passato al controllo del secondo più importante stabilimento siderurgico d’Italia e infine ha ceduto quest’ultimo a uno dei più influenti oligarchi russi. Sono tre frammenti della vita di Luigi Lucchini, personaggio di primo piano dell’industria pesante italiana morto nel 2013 all’età di 94 anni. Classe 1919, figlio di un artigiano del ferro e di una conduttrice di osteria, Lucchini trasforma la bottega del padre in una piccola azienda grazie ai tondini per il cemento armato, componente essenziale su cui fondare il boom economico italiano. Da lì la crescita è esponenziale: accelera negli anni Settanta investendo nell’acciaio, guida Confindustria tra il 1984 e il 1988, e raggiunge l’apice negli anni Novanta con l’acquisto dello stabilimento siderurgico di Piombino (oggi secondo solo a quello dell’Ilva di Taranto).
Comincia proprio in quegli anni, invece, la parabola crescente di Alexey Mordashov, classe 1965, oggi il più facoltoso tra gli oligarchi russi nonché – secondo una nostra ricerca – quello con il maggior numero di partecipazioni societarie in Italia.
Come per l’ex presidente di Confindustria, anche Mordashov è di umili origini. I genitori lavoravano entrambi nell’acciaieria di Čerepovec, cittadina posizionata a metà strada tra Mosca e San Pietroburgo (allora Leningrado) che fu scelta da Stalin negli anni Cinquanta quale sede della seconda più grande acciaieria dell’Unione Sovietica. In quello stabilimento, Mordashov ci entrerà nel 1988 con una laurea in ingegneria economica. Nel 1992 fu promosso direttore finanziario e un anno più tardi Boris Yeltsin decise la trasformazione dell’acciaieria in una società per azioni, battezzandola con il nome che porta ancora oggi: Severstal. «Nessuno, a quel tempo, sapeva che cosa fossero le azioni in Russia. Alla fine divenni proprietario dell’82% della compagnia», spiegò sommariamente il facoltoso imprenditore in un’intervista al Times.
Mordashov, le partecipazioni in Italia del re dell’acciaio
La vertiginosa crescita negli ultimi vent’anni del suo principale azionista e presidente è andata di pari passo con quella di Severstal, oggi il gruppo siderurgico più importante della Russia con interessi anche nel settore minerario. Annovera stabilimenti in Ucraina, Kazakistan, Francia, Italia e in diversi Paesi africani.
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L’inchiesta in breve
- Alexey Mordashov è uno dei principali imprenditori siderurgici del mondo. È finito sotto sanzioni per i suoi legami con il Cremlino. In Italia possiede quote di diverse società, la più importante delle quali è la Lucchini Spa.
- Gennady Timchenko è proprietario di parte del pacchetto azionario della Manucor Spa, nel milanese. È tra i principali alleati di Putin ed è stato già costretto a rivedere la sua partecipazione in alcune importanti società russe.
- Oleg Deripaska è cresciuto nel settore dell’alluminio insieme a Roman Abramovich, di cui per anni è stato socio. In Italia controlla quote della Strabag Spa, parte di un gruppo austriaco che dall’inizio della guerra ha espresso la sua massima condanna per l’invasione russa.
- Olga Rozhkova è stata per un anno la moglie di Igor Sechin, il numero uno del colosso petrolifero Rosneft. In Italia è socia al 50% di una start-up per bici e moto elettriche insieme al suo attuale compagno.
- Marina Chernova è la moglie di Roman Babayan, una delle voci della propaganda di Mosca, messo sotto sanzione in febbraio dall’Unione europea. Possiede quasi la metà delle quote di un ristorante di Pavia.
A differenza del passato, le attuali sanzioni a personaggi con importanti partecipazioni in imprese europee potrebbe provocare stravolgimenti nelle strutture societarie di aziende italiane e non solo.
Nell’ambito del filone d’inchiesta #RussianAssetTracker, IrpiMedia ha potuto appurare che sono almeno 19 le aziende in Italia riconducibili ad Alexey Mordashov, distribuite in dieci province italiane. La più proficua è quella di Livorno, dove hanno appunto sede la Lucchini Spa e lo stabilimento siderurgico di Piombino. L’acquisizione, nota da anni agli organi di stampa, è avvenuta nel 2005 con la cessione del 70% della storica azienda italiana, mentre cinque anni più tardi il gruppo russo ha acquisito un ulteriore 20%.
La Lucchini è controllata da due società cipriote, una delle quali conduce a una finanziaria delle Isole Vergini; l’altra invece porta a una delle principali società controllate direttamente da Mordashov, la Severstal, colosso della siderurgia mondiale.
A causa delle sanzioni a cui è sottoposto l’oligarca, una divisione di Citibank di New York «ha rifiutato di effettuare un pagamento a Severstal per 12,6 milioni di dollari su eurobond per 800 milioni di dollari con scadenza nel 2024», riporta il sito economico russo RBC il 23 marzo. In sostanza l’azienda non ha potuto pagare i suoi obbligazionisti. A ulteriore conferma dello sbandamento dell’azienda, Severstal scrive sul suo canale Telegram l’11 aprile che «la Società ha deciso temporaneamente di non pubblicare i risultati finanziari del primo trimestre 2022 perché una parte importante dei propri azionisti non è in grado di prendere delle decisioni in merito agli investimenti e la diffusione di queste informazioni potrebbe mettere dei portatori di interesse in condizioni di vantaggio rispetto ad altri».
Alexey Mordashov, amministratore delegato di Severstal, raggiunge la sede del Comune di Piombino per discutere con le istituzioni locali e nazionali del futuro della Lucchini Spa il 5 agosto 2010 – Foto: Laura Lezza/Getty
Per i loro dividendi gli azionisti dovranno attendere l’esito della prossima assemblea generale del 20 maggio 2022. Il 2 marzo l’agenzia di stampa russa Interfax ha citato un comunicato stampa di Severstal in cui si legge: «Abbiamo interrotto le consegne all’Ue in relazione alle sanzioni imposte al nostro azionista (principale, cioè Mordashov, ndr). Stiamo reindirizzando i flussi di merci verso mercati mondiali alternativi».
L’amore degli oligarchi per l’Italia
Le sanzioni economiche verso la Russia e verso gli oligarchi sono al centro del dibattito dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Il loro scopo è indebolire l’economia russa e indurre Vladimir Putin a porre fine al conflitto. IrpiMedia si è già occupata della reale efficacia di queste sanzioni e l’effetto delle sanzioni sulle economie più esposte alla Russia sono ancora difficili da valutare.
Secondo IrpiMedia, sono almeno cinque gli individui di nazionalità russa al momento sotto sanzioni da Unione europea e Stati Uniti che detengono quote azionarie rilevanti (superiori al 5%) in società italiane. Oltre ad Alexey Mordashov – che in Italia ha già subito il congelamento del suo yacht da 65 milioni di euro nel porto di Imperia e una villa da 105 milioni in Costa Smeralda – nella lista figurano altri due oligarchi molto noti – Gennady Timchenko e Oleg Deripaska – e le coniugi, attuali o passate, di altri due uomini dell’entourage di Putin.
Gli oligarchi, e le loro coniugi, nelle società italiane
Considerato uno dei più stretti confidenti del presidente russo, Gennady Timchenko, prima delle ultime sanzioni, controllava – scrive Bloomberg – un patrimonio superiore ai 10 miliardi di dollari. A lui è riconducibile la Manucor, operante nel settore degli imballaggi nel milanese, con stabilimenti anche a Sessa Aurunca, in Campania.
L’azienda è il frutto di una lunga tradizione famigliare, quasi dinastica. Nacque nel 1935 dall’idea di Dardanio Manuli, siciliano trapiantato a Milano dove fondò una piccola impresa per la produzione di nastro isolante per uso elettrico. Quarant’anni più tardi l’azienda aveva conquistato un posto tra i leader europei nella produzione di plastica e materiali industriali, con 1.500 dipendenti e stabilimenti in Spagna, Grecia e sud Italia, fino a quando il controllo è passato in mano ai tre figli Manuli che diversificarono le attività cedendo quelle meno profittevoli e perseguendo un’ulteriore spinta verso l’estero.
Nel 2019 l’azienda ha annunciato una joint venture con una società russa che ha acquisito la metà delle azioni della Manucor Spa, lasciando ai Manuli una quota di minoranza. Oggi la facoltosa famiglia dirige le proprie attività tramite la AM Holding con investimenti nei settori immobiliare, industriale, editoriale e dell’asset management. Il 50% della Manucor Spa è quindi in mano alla Biaxplen, azienda russa nonché consociata della Sibur (colosso del settore petrolchimico) riconducibile a Gennady Timchenko tramite la partecipazione in un’altra società.
Gennady Timchenko (dx) insieme a Alexey Mordashov (sx) durante una conferenza stampa a Sochi il 18 aprile 2018 – Foto: Sasha Mordovets/Getty
Il 22 marzo la Strabag Ag, società di costruzioni austriaca, ha dichiarato di voler interrompere i rapporti con uno dei suoi azionisti, l’oligarca sotto sanzione Oleg Deripaska. Per anni molto vicino a Roman Abramovich, Deripaska è partito dall’alluminio della Siberia per diventare uno degli industriali più importanti del mondo. Strabag già a inizio marzo aveva affrontato il tema della guerra e della presenza di Deripaska tra gli azionisti in un comunicato stampa: «STRABAG – si legge – condanna fermamente questa aggressione militare da parte della Russia sull’Ucraina e aiuterà tutte le iniziative volte al sostegno della popolazione in Ucraina e al ripristino della pace nella regione». Rispetto all’ingombrante azionista russo, Strabag specifica che «secondo il diritto societario austriaco, il consiglio di amministrazione gestisce la società in modo indipendente, vale a dire senza istruzioni da parte del consiglio di sorveglianza e degli azionisti della società». Tra le società del gruppo Strabag, c’è anche una Spa in Italia, con sede a Bolzano, nata nel 2011 a seguito dell’acquisizione di una società di costruzioni di Bologna pochi anni prima.
Una società è invece riconducibile a Roman Babayan, conduttore di due programmi televisivi in Russia, caporedattore di una radio locale a Mosca e membro del consiglio comunale della capitale. L’Unione europea ha incluso Babayan lo scorso 28 febbraio nella lista degli individui sanzionati perché ritenuto cruciale nella diffusione della propaganda russa anti-ucraina: si «è reso responsabile di attività che minano e mettono a repentaglio l’integrità, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina», si legge nel documento. La moglie, Marina Chernova, controlla il 48% del capitale di un’azienda di ristorazione in provincia di Pavia.
Olga Rozhkova nel 2011 ha cambiato il suo cognome in Sechina, come scoperto dal giornale russo Novaya Gazeta. Per un anno, infatti, è stata moglie di Igor Sechin, il presidente di Rosneft, il colosso petrolifero russo. Il giornalista di I-Stories Roman Anin rischia il carcere in Russia per aver scritto di uno yacht a cui Sechin aveva dato il nome della sua allora moglie, St. Princess Olga. Rozkhova dal 2020 è socia al 50% di una start-up che sviluppa bici e moto elettriche a Roma insieme all’attuale fidanzato, il pilota professionista Francesco “Frankie” Provenzano. Dalla visura italiana si legge che ha frequentato l’Accademia diplomatica del Ministero degli Affari esteri della Russia e si è laureata all’Accademia russa del commercio internazionale, università che dipende dal Ministero dello Sviluppo economico russo. È stata anche dipendente di Gazprombank, la banca di Gazprom, l’altra società energetica di Stato.
Il ventre molle dell’Europa
L’Italia non è certo l’unico Paese in Europa che registra una penetrazione russa nel proprio tessuto imprenditoriale. Quanto, quindi, dell’economia europea è esposta verso società e investitori russi? La domanda è alla base di un primo studio del centro di ricerca Transcrime e del suo spin off Crime & Tech pubblicato nell’ambito di TOM (The Ownership Monitor), un osservatorio che analizza le strutture proprietarie delle imprese. IrpiMedia collabora con Transcrime allo sviluppo di Datacros, un sistema che esamina strutture societarie complesse e ne identifica potenziali fattori di rischio.
Nel report di TOM pubblicato da Transcrime in merito alla penetrazione dell’imprenditoria russa nel tessuto economico europeo risultano almeno 44.000 persone con passaporto russo in qualità di titolari effettivi di società registrate nell’Unione europea, nel Regno Unito e in Svizzera. Il numero più alto si registra in Repubblica Ceca (quasi un terzo), seguita da Regno Unito, Lettonia, Germania e Bulgaria. Quanto ai settori di investimento, piace particolarmente il mattone: a livello europeo, infatti, il settore immobiliare è quello che registra il maggior numero di partecipazioni russe (quasi il 15% di tutte le imprese europee a partecipazione russa), seguito dal commercio all’ingrosso/dettaglio e dalle attività di holding finanziarie.
In Italia i titolari effettivi russi sono almeno 2.025 distribuiti in 1.300 aziende. La maggiore concentrazione è nella provincia di Milano, seguita da quelle di Roma, Brescia, Firenze e Rimini. Nel complesso, Transcrime stima che il valore contabile di queste società nel nostro Paese ammonti a circa 2,5 miliardi di dollari.
Titolari effettivi russi
Il numero di persone di nazionalità russa in qualità di titolari effettivi di società registrate in Europa, nel Regno Unito e in Svizzera
Gli investimenti russi nemmeno dopo l’annessione della Crimea nel 2014 sono stati un grosso problema per le economie europee. Le sanzioni di oggi, invece, potrebbero provocare delle conseguenze maggiori anche sul piano delle composizioni societarie in Europa.
Delle 31.000 società controllate da persone russe e attive in Europa, il report di TOM ne individua 1.402 (il 4,5%) riconducibili a individui sotto sanzione da parte di Stati Uniti, Ue e Regno Unito al momento dell’uscita del rapporto, a fine marzo. La stragrande maggioranza è quindi partecipata o controllata da persone di nazionalità russa che non sono stati sanzionati da Unione europea e Stati Uniti.
Strutture societarie complesse
La ricerca di Transcrime mostra però «un numero di anomalie ben più alto» nelle aziende sotto il controllo degli oligarchi rispetto alle altre. La loro struttura societaria, ad esempio, è molto più intricata. Significa che il controllo di una società si avvale di una catena di partecipazioni articolata, costituita in media da sei aziende, contro una media europea di 0,5.
Italia e Russia: da decenni di stretti rapporti alle sanzioni di oggi
Sanzioni economiche, congelamento dei beni, limitazioni a import ed export. La “guerra economica” contro la Russia può sembrare dovuta in queste settimane di conflitto russo-ucraino ma bisogna ricordare che fino al 2014 – soltanto otto anni fa – la situazione era ben diversa. Dal Dopoguerra a oggi, infatti, la Russia e buona parte dei Paesi europei hanno beneficiato reciprocamente l’una degli altri. L’Italia, in particolare, condivideva con la Russia una marcata “simpatia ideologica” grazie al consenso che il Partito comunista italiano, tra i più solidi nel Vecchio continente, raccoglieva nel nostro Paese.
Questa convergenza si rifletteva anche e soprattutto sul piano economico. Due simboli dell’industria italiana quali Fiat e Eni furono tra i primi a investire nell’Unione Sovietica, e con il crollo del Muro di Berlino il commercio e la politica estera italiana verso la Russia si sono ulteriormente intensificati. È impossibile elencare qui tutti i più importanti partner commerciali che in Russia hanno fatto fortuna ma basti ricordare, oltre alle già citate Fiat ed Eni, anche Enel e Pirelli (di quest’ultima, la Rosneft – colosso russo del petrolio – divenne maggiore azionista nel 2014 e il suo amministratore delegato Igor Sechin – oggi sotto sanzione – divenne membro del consiglio di amministrazione).
Due dati certificano il crescente rapporto economico tra i due Paesi: dal 2005 al 2013, le esportazioni verso la Russia sono passate da 6 a 11 miliardi di euro; gli investimenti diretti stranieri (FDI), invece, da 1,7 a 11 miliardi di euro tra il 2007 e il 2016. Insomma, il Paese guidato da Vladimir Putin è cruciale per le sorti economiche dell’Italia la quale – secondo i dati del Ministero degli esteri di gennaio 2022 – è il secondo partner russo più importante in Europa (dietro alla Germania) e il quarto nel mondo.
Un altro settore strategico per i due Paesi – oltre all’oil&gas e a quello industriale – è l’industria bancaria: nel 2019, l’esposizione finanziaria verso la Russia degli istituti di credito italiani era la seconda più grande al mondo (dietro alla Svizzera), pari a quasi 23 miliardi di euro. Unicredit, il gruppo bancario più importante d’Italia, è la prima banca straniera in Russia per volume di attività. E ancora: i rapporti tra Intesa Sanpaolo, il secondo gruppo bancario in Italia, e la Russia risalgono ai tempi dell’Unione Sovietica dove l’allora Banca Commerciale Italiana aveva investito pesantemente tra gli anni Sessanta e Settanta.
Di come economia e politica corrano spesso su strade parallele lo dimostra una dichiarazione del presidente del Cda di Banca Intesa all’indomani delle sanzioni italiane per l’invasione della Crimea: «Sono illegali – diceva Antonio Fallico nel 2017 – e sono state imposte per ragioni ideologiche». Simili prese di posizione hanno coinvolto politici e partiti italiani di primo piano: l’ex primo ministro Silvio Berlusconi è stato per anni legato a Vladimir Putin da una profonda amicizia; Matteo Salvini e la Lega hanno stretto nel 2017 un patto con il partito di Putin Russia Unita che secondo Report è ancora in vigore e hanno costruito sinergie ideologiche tra l’estremismo cattolico e la chiesa ortodossa; il Movimento 5 Stelle, da partner di governo della Lega, aveva nel suo programma del 2018 l’abolizione delle sanzioni alla Russia.
Insomma, l’Italia è da decenni terreno fertile non solo per gli investimenti ma anche per l’agenda politica di Mosca. Si spiega, in parte, così la faticosa inversione di rotta da parte dell’Italia che ha portato il nostro Paese ad allinearsi alla volontà dell’Unione europea e a perseguire economicamente la Russia per l’aggressione all’Ucraina, non senza polemiche interne.
Ripercorrendo i collegamenti azionari di queste società è inoltre emerso come in quelle 1.402 società sono presenti 207 trust e fiduciarie in qualità di intermediari, un numero 15 volte superiore alla media europea. Tipicamente, trust e fiduciarie sono utilizzate per mascherare l’identità del reale titolare effettivo così da mettere al riparo chi realmente le detiene da eventuali sanzioni.
Una tale opacità aziendale rende meno efficaci le recenti sanzioni emesse contro gli oligarchi russi. È il caso, per esempio, del mega-yacht di Alisher Usmanov, tra i più influenti e ricchi oligarchi vicini a Putin: ormeggiato nel porto di Amburgo (Germania), la lussuosa imbarcazione di quasi 200 metri di lunghezza e del valore stimato in 200 milioni di dollari, è registrato alle Isole Cayman e di proprietà della Klaret Continental Leasing Limited, una società di base a Malta. Collegare la proprietà dello yacht direttamente al magnate russo, scrive Forbes, è stato finora impossibile e le autorità tedesche non hanno potuto fare altro che “congelare” l’imbarcazione (renderla, cioè, inutilizzabile), ben altra cosa rispetto al sequestro.
Le società degli oligarchi
Il numero di società in Europa, Regno Unito e Svizzera in cui persone di nazionalità russa sotto sanzione risultano titolari effettivi
Analizzando le strutture societarie di milioni di aziende in Europa, i ricercatori di Transcrime sono riusciti a individuare 33 oligarchi sotto sanzioni aventi quote aziendali (dichiarate) in società registrate nella Ue, nel Regno Unito e in Svizzera. Il valore totale sfiora i 440 miliardi di dollari, cifra che considera il valore globale delle aziende e non solo le quote azionarie in mano agli oligarchi. Tra i Paesi europei, il record appartiene alla Germania dove sono registrate 362 società riconducibili a oligarchi sanzionati, seguita da Austria (181) e Regno Unito (153).
I risultati della ricerca «sono certamente una sottostima – precisano i ricercatori – di quanto, rispetto al volume reale, è difficile dirlo». Le difficoltà da aggirare, infatti, non sono di poco conto. In primo luogo, è verosimile credere che molti russi controllino società europee attraverso l’utilizzo di prestanome, oppure utilizzando la cittadinanza di un Paese Ue ottenuta attraverso i programmi cosiddetti “golden passport” e “golden visa”, eludendo quindi la voce “cittadinanza russa” nella raccolta dei dati. Inoltre, il controllo su una società può essere anche indiretto, ovvero esercitato tramite una persona terza o una holding registrata all’estero.
Il Paese più utilizzato in questo senso è Cipro dove risiede il 17% dell’azionariato russo in Europa, con un valore contabile stimato in 106,5 miliardi di dollari. L’isola del Mediterraneo si conferma dunque quale porto di transito privilegiato per gli investimenti in Europa in arrivo dalla Russia.
CREDITI
Autori
Lorenzo Bodrero
Ha collaborato
Lorenzo Bagnoli
Infografiche
Lorenzo Bodrero
Editing
Lorenzo Bagnoli
Foto di copertina
(Sasha Mordovets/Getty)