I misteri di Avcon Jet, la compagnia di jet privati che piace agli oligarchi

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I misteri di Avcon Jet, la compagnia di jet privati che piace agli oligarchi

Lorenzo Bagnoli
Benjamin Weiser

Il 4 marzo 2021, il jet privato Embraer Legacy 600 con targa OE-IRK vola da Tel Aviv a Vienna. A bordo c’è Sebastian Kurz, in quel momento Cancelliere d’Austria. Torna nella capitale austriaca a seguito di una visita di Stato a casa del presidente israeliano Benyamin Netanyahu per lanciare una nuova cooperazione nella ricerca contro il Covid, a cui ha partecipato anche la Danimarca. Nonostante il jet sia privato, è un volo di Stato.

«La prenotazione di voli tramite compagnie come Avcon Jet è una procedura standard assolutamente normale», è la risposta fornita dall’ufficio stampa della Cancelleria austriaca al quotidiano Der Standard. In realtà, il problema non è tanto nella modalità con la quale è stato gestito il rientro dalla trasferta, ma nel proprietario del jet scelto, un nome controverso.

I colleghi austriaci di ZackZack, che firmano con noi questa inchiesta, scoprono che il velivolo è di proprietà di Dmytro Firtash, uomo d’affari ucraino finito agli arresti domiciliari nel 2014 a Vienna a seguito di una condanna per corruzione ricevuta negli Stati Uniti. In quello stesso 2021, Firtash è anche messo sotto sanzione dal governo di Kyiv per le sue relazioni con Mosca.

L’oligarca – che dopo l’invasione dell’Ucraina ha rilasciato al Financial Times una lunga intervista in cui sostiene che l’Ucraina non sarà l’unico Paese a essere invaso da Vladimir Putin e che l’Europa deve fare qualcosa per fermarlo – vive da allora in pianta stabile in Austria, forte di connessioni politiche con la destra dell’allora governo. Due anni prima, nel 2019, il primo governo di Kurz era già caduto per le relazioni di un partito di governo, l’FPO, con la Russia (vedi box nell’articolo Le accuse di finanziamenti russi ai partiti identitari). Le entrature degli oligarchi a Vienna tornano così d’improvviso d’attualità sulle pagine dei giornali.

L'inchiesta in breve
  • Avcon Jet è una compagnia che opera jet privati di base in Austria. Attraverso i documenti che riguardano tre dei suoi vecchi aerei, ora venduti, è possibile tracciare chi sono gli utilizzatori dei velivoli, spesso ceduti attraverso contratti di leasing. Sono oligarchi russi e aziende a rischio sanzione, che pongono problemi per le banche europee che lavorano con Avcon Jet.
  • Il primo aereo è stato acquistato da Dmytro Firtash, oligarca ucraino di cui è stata chiesta l’estradizione negli Usa per un caso di corruzione. L’ha usato anche l’ex Cancelliere austriaco, Sebastian Kurz.
  • Il secondo aereo è stato venduto nel 2016. Proprietaria è una società di leasing di UniCredit che dipende dalla sede austriaca della banca. Secondo uno scambio di email interne, l’ad della banca, Robert Zandzil, ha imposto che partecipasse alla vendita un broker maltese collegato ad Avcon Jet.
  • Il terzo aereo è stato venduto tre volte lo stesso giorno, nel luglio 2022. La proprietà è di Baca Hydra, altra società di leasing di UniCredit, a farne uso è Kamavia, società russa che appartiene a Kamaz, sotto sanzione dal giugno 2022. Il gruppo è parte di ROSTEC, sotto sanzione dal 2014.
  • Avcon Jet ha una succursale all’Isola di Man, con un conto alla banca Cayman National. I manager della compliance esprimono timori per diversi profili di rischio della società e di altri che lavorano con lei, tra cui che non si conoscono i veri beneficiari o proprietari dei jet.

Quando ZackZack pubblica la notizia dei voli di Stato con il jet di Firtash, in Austria scoppia un caso, uno dei tanti che riguardano Kurz nel 2021. La Cancelleria prende le distanze: «Chi possiede il rispettivo aeromobile (Embraer Legacy 600 con targa OE-IRK, ndr) è al di là della nostra conoscenza e non è più rilevante», prosegue il commento dell’ufficio stampa pubblicato da Der Standard. A dicembre di quell’anno Wunderkurz – “Kurz il fantastico”, come lo soprannominavano i giornali – si dimette da ogni incarico per ritirarsi a vita privata. È stata una delle tappe fondamentali che ha segnato la fine politica della promessa dei conservatori d’Austria, a soli 36 anni.

Rispetto alla gestione dell’aereo, resta però un dubbio. L’ufficio stampa dell’oligarca ucraino ha infatti confermato a ZackZack che «l’aereo in questione (OE-IRK) è di proprietà di una società che può essere attribuita al signor Firtash» ma ha precisato poi che «è gestito autonomamente da una società terza». L’entità che «si può attribuire al signor Firtash» è Ukrinvest, che secondo un contratto del 2017 ottenuto da ZackZack ha acquistato attraverso un leasing il jet OE-IRK. La società di Firtash, secondo il contratto, ha poi ceduto l’aereo a una società terza che gestisce i voli a fronte di una commissione del 9% sul totale dei costi di noleggio, che secondo stime di mercato stanno in una forbice tra i duemila e gli 11 mila dollari all’ora.

Quest’azienda si chiama Avcon Jet e ha sede a Vienna, a 15 minuti a piedi dal palazzo nobiliare in pieno centro nella capitale che fa da ufficio a Firtash .

Chi è Dmytro Firtash

Il nome di Dmytro Firtash, in Italia, è collegato al tentativo di vendita di Pravex Bank, la controllata di Banca Intesa che nel 2014 è stata quasi acquistata dall’oligarca a un prezzo stracciato. Considerato uno dei principali sponsor di Viktor Yanukovich, il presidente dell’Ucraina pro Putin che è stato cacciato nel 2014, dall’ultima “operazione speciale” di Mosca si è schierato apertamente contro Putin. L’origine del suo patrimonio, però, è proprio grazie agli scambi di gas tra Ucraina e Russia.

Da nove anni i suoi legali contestano la richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti: avrebbe cercato di corrompere il governo indiano per ottenere del titanio da vendere a Boeing, che non è indagata. A giugno 2019, la Corte suprema austriaca ha autorizzato l’autorizzazione per l’estradizione di Firtash, che però non è mai avvenuta. Tra i soci celebri dell’uomo d’affari, anche Paul Manafort, l’ex capo della campagna elettorale di Donald Trump. È anche accusato di aver passato informazioni contro Joe Biden all’ex avvocato di Trump, Rudolph Giuliani.

I profili di rischio di Avcon Jet AG

«Ad Avcon Jet – declama un video promozionale dell’azienda diffuso nel 2018 – pensiamo che nulla sia impossibile». Per quanto il claim pubblicitario suoni già sentito, la società è tra le leader del mercato europeo per il noleggio di jet privati e dispone di un gruppo di controllate e di fornitrici di servizi con una dotazione complessiva di almeno 80 velivoli. Sono anni che il suo nome viene citato in inchieste giornalistiche e giudiziarie, spesso in relazione a oligarchi russi e ucraini oppure con governi dell’area delle ex repubbliche sovietiche.

Avcon Jet nasce nel 2007, a seguito del fallimento di un’altra società austriaca. Già da quell’anno, il nome della compagnia per 88 volte ricorre tra i beneficiari dei denari inviati da tre società offshore che hanno depositato i propri conti correnti alla Ukio Bankas di Kaunas, in Lituania, controllata della russa Troika Dialog (fallita nel 2013, dopo essere finita al centro delle indagini della Banca centrale lituana). Sia le società offshore, sia la banca sono accusate di aver preso parte alla “lavanderia” attraverso cui la banca Troika avrebbe ripulito denaro sporco proveniente dalla Russia facendolo transitare attraverso società veicolo con operazioni fittizie.

La sede di Avcon Jet in Wohllebengasse a Vienna – Foto: ZackZack

Le relazioni di Avcon Jet con i proprietari dei velivoli – sia Legacy 600 targato OE-IRK, sia gli altri aerei della flotta di Avcon Jet e delle sue sorelle – sono opache e Avcon non ha voluto fornire alcuna spiegazione ai giornalisti. Grazie al lavoro di colleghi come ZackZack in Austria o Hetq in Armenia, in passato è stato possibile legare il nome di Avcon Jet a oligarchi condannati per corruzione, come Firtash, o a personaggi esposti politicamente, due categorie di clienti che per gli istituti di credito sono problematiche da gestire dal punto di vista della compliance e dell’adeguamento a normative internazionali e interne.

Avcon Jet è anche la società che è stata pagata dall’ambasciata kazaka per riportare nella capitale Astana Alma Shalabayeva, moglie del banchiere Mukhtar Ablyazov, ricercato in patria e promotore di movimenti politici di protesta contro il vecchio regime di Nursultan Nazarbayev, vicino a Mosca. In Italia la vicenda sul piano giudiziario si era chiusa in primo grado, nel 2021, con la condanna dei nove imputati per quello che era stato definito un «rapimento di Stato», teorema che in secondo grado, a novembre 2022, è stato del tutto respinto dalla Corte d’Appello che ha assolto i nove imputati. Anche i governi, o le ambasciate, sono clienti difficili per gli istituti bancari sul piano delle verifiche e dei controlli.

A questo si aggiungono altri due elementi: primo, altri proprietari di velivoli sono del tutto occulti e dalla nostra inchiesta risulta che anche per le banche è difficile conoscerne i nomi. Secondo, Avcon Jet è molto esposta in Russia: fino al 2019, ha avuto come socio di maggioranza un uomo d’affari russo con cittadinanza austriaca, che ha investito in Austria con prestiti di Sberbank, la più grande banca di Stato russa, sotto sanzione dall’occupazione della Crimea nel 2014. La maggior parte del suo equipaggio è russo, Paese a rischio sanzione per gli istituti di credito internazionali già da nove anni.

Tra i diversi istituti di credito che, nonostante i rischi, hanno lavorato con Avcon Jet ci sono UniCredit, attraverso due delle sue controllate in Austria che si occupano di leasing, e la banca Cayman National all’Isola di Man. L’Austria è un Paese dove vige una forma di segreto bancario: «In linea di principio – si legge sul sito del governo alla voce “segreto bancario” – le banche non sono autorizzate a fornire alcuna informazione sulle finanze dei clienti», a meno che non ci siano condizioni particolari, come un’inchiesta giudiziaria per evasione fiscale. L’Isola di Man è un importante paradiso offshore che dipende dalla Corona inglese, come le Isole Cayman da cui proviene la banca Cayman National.

Leasing: cos’è e quali sono i suoi profili di rischio

Un contratto di leasing prevede una triangolazione: un soggetto, detto concedente (lessor in inglese), si obbliga ad acquistare da un soggetto terzo (fornitore) un bene richiesto e scelto dal concessionario (lessee in inglese) che paga un canone per poterlo utilizzare. Lo spiegano Anna Masutti e Vincenzo Scaglione dello studio di avvocati e commercialisti Lexjus Sinacta in una ricerca sul leasing degli aerei. Non è l’unica forma possibile di leasing: in alcuni casi, il concessionario può limitarsi al solo “noleggio” e in quel caso si tratta di un leasing operativo, differente dal finanziario, che è la casistica descritta prima e più frequente nel mondo dei jet privati. Una terza possibilità è quella del lease-back, in cui un venditore aliena un bene a una società di leasing e lo utilizza pagando un canone in modo che la proprietà resti formalmente del concedente.

Sul piano dell’antiriciclaggio, alcuni contratti di leasing potrebbero porre rischi simili a quelli degli schemi di riciclaggio loan-back (forme di prestito a “se stessi”), secondo il vice direttore di Transcrime Michele Riccardi, esperto di reati finanziari. «Due società, A e B, potrebbero utilizzare la compravendita di un velivolo per riciclare denaro tramite la triangolazione di una società di leasing C compiacente», spiega.

Questo ipotetico schema potrebbe occultare rapporti diretti tra strutture societarie complesse che rendono difficile individuare il titolare effettivo del bene in questione. Per analizzare i collegamenti tra le società citate nell’articolo, abbiamo utilizzato DATACROS, software sviluppato dal centro Transcrime di Università Cattolica, insieme al suo spin-off Crime&tech.

Domande senza risposte, all’Isola di Man

Nel 2015, Avcon Jet apre una sua società all’isola di Man, un paradiso fiscale dove non esistono tasse sui profitti. Il Paese ha un proprio registro aeronautico che nel 2019 era considerato il principale per i bizjet, il nomignolo dato agli aerei privati degli uomini d’affari, immatricolati offshore. Il conto corrente della società è depositato presso la succursale dell’isola di Man della Cayman National Bank and Trust (CNBT), di cui l’organizzazione di hacker Distributed Denial of Secrets (DDoSecrets) ha ottenuto un leak di due terabyte di documenti nel 2019. Da qua si possono ricostruire i dubbi degli addetti alla compliance della banca su un cliente come Avcon Jet e i suoi fornitori.

Tra i documenti del conto corrente di Avcon Jet Limited all’Isola di Man si trovano estratti conto dal 2015 al 31 dicembre 2018 dove sono ricorrenti i bonifici in uscita verso un’azienda chiamata SOS Limited. Proprietario è ST, di cui non facciamo il nome per conformarci al modo in cui i nostri partner trattano gli incensurati, lo stesso imprenditore che risulta possedere, almeno nominalmente, anche la Avcon Jet Limited. In un report interno sulle società dell’imprenditore, si legge che SOS Limited ha lo scopo di fornire l’equipaggio dei jet. Il personale non è però alle sue dipendenze: «Per l’equipaggio viene stipulato un contratto di servizio con la società che gestisce l’aeromobile», prosegue il documento. Il documento specifica che Avcon Jet Limited è «tra i primi operatori dell’Isola di Man» e «gestisce e opera i jet per conto del proprietario».

Nel report sui profili di rischio del conto corrente di SOS Limited presso la Cayman National Bank si legge che i versamenti a favore degli assistenti di volo e degli altri lavoratori impiegati dalla società sono quasi tutti su conti correnti russi. Inoltre, i proprietari degli aerei operati dalle società clienti di SOS Limited, come Avcon, sono occulti. Entrambe queste circostanze pongono un problema per l’istituto di credito: «Questo conto corrente – si legge nel documento redatto da un compliance manager della banca, datato agosto 2019 – ha bisogno di passare a Rischio Alto a causa delle transazioni verso la Russia e anche perché non sappiamo chi siano i titolari effettivi dei velivoli, dato che ST ha comunicato di non essere in possesso di tali informazioni in quanto non ne ha bisogno».

Nelle note conclusive del documento, alla voce «azioni richieste», il funzionario della banca scrive: «Quando vengono effettuati i pagamenti verso la Russia, riceviamo solo le copie dei CV dell’equipaggio come prova della loro identità, senza che vengano effettuate ulteriori verifiche sulle persone. Siamo tranquilli?». Senza un’adeguata verifica, esiste almeno in teoria, il rischio che i soldi in realtà siano incassati da altri, anche altri cittadini russi eventualmente sotto sanzione.

«C’è stata risposta all’email di [nome di un impiegato della banca] dell’11 luglio 2019 in merito a Igor Makarov, un oligarca russo?», domanda il funzionario più avanti. Makarov è il fondatore di Itera, la prima società di gas privata in Russia, comprata nel 2012 dal colosso privato russo Rosneft per 2,9 milioni di dollari. Turkmeno di origine, Makarov è stato consigliere per l’energia dell’allora presidente Gurbanguly Berdimuhamedow (a cui nel 2022 è succeduto il figlio Sedar), che con la Russia ha stretto importanti accordi di cooperazione economica proprio sulle forniture di gas.

Il jet Embraer Legacy 600 con targa OE-IRK – Foto: Wikimedia
Il jet Embraer Legacy 600 con targa M-ESGR – Foto: Wikimedia
Il jet Embraer Gulfstream G280 con targa OE-HKT – Foto: Wikimedia

Nell’email dell’11 luglio 2019, un dipendente della banca ha scritto che ST, il proprietario di Avcon Jet e SOS Limited, aveva chiesto un finanziamento per gli equipaggi di altri due velivoli di Makarov. Il pagamento sarebbe passato da una società terza, sempre con sede all’isola di Man. Makarov però compare al numero 55 della Lista Putin, un documento del 2018 reso pubblico dal Dipartimento del tesoro americano in cui comparivano i nomi di 210 personaggi legati al Cremlino che rischiavano di finire sotto sanzione. «Presumo che questo fatto da solo ci precluda la possibilità di sostenere ST in questa impresa», si chiudeva l’email.

In un’altra corrispondenza, ST invia alla banca un accordo di noleggio tra SOS Limited e una società di Hong Kong per la quale Avcon Jet fornirà il velivolo. Dall’ufficio compliance della banca chiedono più volte a ST di sapere i titolari effettivi della società anonima di Hong Kong, ma non ottengono risposta. La banca Cayman National non ha risposto alle domande dei giornalisti in merito alle conseguenze che hanno avuto i rilievi fatti dal compliance manager della banca.

Nel leak si trova però dell’altro: nel giugno dell’anno precedente, ST aveva fornito qualche risposta a dei dubbi simili in merito alle connessioni con la Russia di SOS Limited e di Avcon Jet Limited. Aveva specificato che la maggioranza degli aerei che utilizzano sono registrati in Germania, Austria e Gran Bretagna. «Non abbiamo un coinvolgimento diretto nella gestione quotidiana degli aerei», aveva specificato, a meno che non si tratti dei jet con una targa dell’Isola di Man per i quali è coinvolta un’altra entità, IOM Executive Aviation Limited, sempre controllata da ST, «che ha connessioni con i russi». Anche quest’ultima compare tra i pochi destinatari dei bonifici di Avcon Jet Limited. In altri termini, sono tutte scatole cinesi del sistema Avcon Jet.

Pyxis Aviation, l’intermediario voluto da UniCredit Bank Austria

Tra gli aerei gestiti da Avcon Jet, c’è un altro Embraer Legacy 600, questa volta registrato all’Isola di Man, con targa M-ESGR. Questo jet nel 2016 è stato venduto dal proprietario, UniCredit Global Leasing Export Gmbh, perché i clienti che hanno sottoscritto il contratto non hanno pagato il canone. Vendere il bene è l’unico modo che ha la società per rientrare dai mancati introiti. Solo che questa cessione ha qualche elemento anomalo, in particolare per quanto riguarda l’intermediario che ha trovato i clienti.

Tutti gli oligarchi del jet targato M-ESGR

Fin dal 2007, i miliardari che usano il jet Embraer Legacy 600 con targa M-ESGR, la cui identità è sempre schermata da società nei paradisi fiscali, non pagano il nolo. Forse è colpa delle guerre carsiche che attraversano l’oligarchia russa e ucraina fin da quando Vladimir Putin è salito al potere, nel 1999. Prima, tra il 2007 e il 2009, non fu in grado di pagare il fondatore del fondo d’investimento russo Industrial Investor Group, Sergey Generalov, poi, dal 2010, il magnate Konstantin Grigorishin, imprenditore dell’acciaio e dell’industria petrolifera.

Generalov fu un ministro dell’Energia e magnate di diverse imprese un tempo di Stato ai tempi di Boris Eltsin, una generazione di oligarchi mai sostenuta da Putin. Grigorishin, invece, in diverse interviste ha dato prova di essere un acceso sostenitore delle sanzioni contro la Russia di Vladimir Putin, ma dallo scorso novembre le quote delle sue società sono state confiscate, insieme a quelle di altri cinque controversi oligarchi d’Ucraina, dal governo di Kyiv in quanto le loro aziende «hanno un valore strategico».

Per Grigorishin, socio in affari di diversi ex politici ucraini, i guai cominciarono già nel 2016: a maggio, il Tribunale moscovita di Basmanny ne ordinò l’arresto per un’evasione fiscale da circa 9,2 milioni di euro. Sia Generalov, sia Grigorishin non sono stati infatti in grado di pagare il canone previsto dal contratto con la società di leasing di UniCredit per poter utilizzare l’aereo. Chiudere il contratto e vendere il mezzo, quindi, per la società di leasing significa cercare di rientrare dal passivo provocato dai mancati pagamenti.

Dalla perizia di prevendita del velivolo, datata agosto 2016, risultano tre broker che avrebbero dovuto occuparsi di trovare sul mercato un nuovo proprietario per il jet. Invece, a settembre 2016, ne subentra un quarto, Pyxis Aviation Group, una società con sede a Malta. Avcon Jet ha anche lei una sede sull’isola, a Sliema, il cui legale rappresentante è lo stesso di Pyxis. Quest’ultima è titolare di un contratto esclusivo di marketing per la cessione del Legacy 600 a fronte di una commissione del 2,5%. Dai documenti non è possibile stabilire se poi sia stata corrisposta all’intermediario.

Uno dei dipendenti della società di leasing di UniCredit, a settembre 2016 aveva già trovato un potenziale acquirente, con un uno dei tre broker iniziali. Lo dimostra uno scambio di email interne, ottenuto da ZackZack. Lo stesso dipendente, di cui non riveliamo il nome per potenziali ripercussioni nei suoi confronti, è però stato in seguito allontanato perché non ha rispettato le indicazioni giunte dal quartier generale: «Bank Austria (Zadrazil) ci ha ora chiesto di cedere il contratto a Pyxis Aviation». La mail ammette che ci sono stati «problemi» in passato, ma precisa che il rapporto commerciale è duraturo e consolidato. Il nome tra parentesi si riferisce a Robert Zadrazil, il numero uno della banca austriaca di UniCredit. Amministratore delegato di Bank Austria dal 2016, dal 2018 è anche presidente del Comitato di vigilanza della Oesterreichische Kontrollbank, il fornitore di servizi finanziari centrale dell’Austria, controllato a sua volta dalle banche commerciali austriache e azionista in varie società d’investimento. In altri termini, è uno dei più importanti banchieri dell’Austria.

I jet al centro dell’inchiesta

Già nel 2017, ZackZack aveva scritto che Zadrazil volava con un jet operato da Avcon Jet. Proprietario del velivolo sarebbe stato un lobbista che ha lavorato parecchio con Bank Austria. L’aeromobile in questione avrebbe un contratto di leasing dal 2015 con Baca Hydra, una società di leasing controllata da UniCredit Austria. Alla fine il jet è stato venduto da un quinto broker a un prezzo finale inferiore di 1,5 milioni di dollari rispetto a una prima offerta ottenuta per il mezzo.

Tre vendite lo stesso giorno

Nuovo aereo, nuovo caso sospetto. Il jet Gulfstream G280 targato OE-HKT fino al 12 luglio 2022 è stato operato da Avcon Jet. Quel giorno è stato ceduto tre volte di seguito. Gli atti di vendita hanno la carta intestata del Dipartimento dell’aviazione del ministero dei Trasporti degli Stati Uniti. Il primo documento alla voce «venditore» dice solo «venditore straniero».

L’acquirente è Pyxis Aviation, il broker maltese collegato ad Avcon. Il documento riporta come orario di «cessione registrata» le 11:06. Allo stesso identico orario, è registrato anche un seconda vendita: a cedere sono il solito «venditore straniero» insieme a Pyxis Aviation, a comprare è una società inglese, di cui, alle 11:07, è registrato un altro atto di vendita (venditori: la società inglese e il solito anonimo, che permane) e acquirente finale una società statunitense. È un accordo back-to-back, una forma contrattuale per cui c’è una terza parte – in questo caso duplice: sia Pyxis Aviation, sia la società inglese – che si interpone tra acquirente e cedente per accollarsi una serie di responsabilità e soprattutto incassare una percentuale.

Il leasing dei velivoli: come funziona

Per trovare il «venditore straniero» si deve cercare nel documento con il quale l’aereo viene depennato dal registro aeronautico austriaco, sempre il 12 luglio 2022. La cancellazione avviene tutte le volte che un velivolo viene ceduto e registrato da un’altra autorità aeronautica. Alla voce «ultimo operatore» si legge «Avcon Jet», alla voce «ultimo proprietario», si legge «Baca Hydra Leasing». Una lettera di intenti per la vendita dell’aereo testimonia però che già il 19 maggio 2022, due mesi prima della tripla cessione, era già stato trovato lo stesso acquirente finale.

UniCredit smentisce ogni ricostruzione: «In linea di principio non facciamo commenti su potenziali clienti o su singoli casi aziendali, ma vorremmo richiamare la vostra attenzione sul fatto che la maggior parte delle affermazioni da voi fatte sono di fatto errate. Inoltre, vi preghiamo di notare che UniCredit e le sue controllate rispettano sempre scrupolosamente tutte le normative legali nazionali e internazionali, in particolare per quanto riguarda il riciclaggio di denaro e le sanzioni finanziarie, e le applicano nella misura più ampia e rigorosa. Pertanto, respingiamo fermamente l’affermazione che UniCredit abbia intrattenuto rapporti d’affari con persone sottoposte a sanzioni», è la risposta dell’ufficio stampa della banca.

Alla fine le tre vendite sembrano aver avuto quindi un doppio scopo: da un lato tenere coperto il nome di Baca Hydra; dall’altro inserire a forza un broker, Pyxis Aviation, che sei anni prima aveva partecipato a un trattativa di vendita (con conseguente guadagno) per l’esplicita volontà dell’amministratore delegato di UniCredit Bank Austria, Robert Zadrazil. Per due volte, in uno schema ricorrente, un intermediario inizialmente escluso dalla partita, rientra in una vendita che passa da una società di leasing di UniCredit. Resta però un interrogativo: qual è stato il vantaggio economico ottenuto da UniCredit impiegando Pyxis come broker per la vendita degli aerei?

Aggiornamento del 7 aprile: il sommario dell’articolo è stato modificato per riflettere più puntualmente il contenuto dell’inchiesta

CREDITI

Autori

Lorenzo Bagnoli
Benjamin Weiser

In partnership con

ZackZack

Editing

Giulio Rubino

Illustrazioni

Lorenzo Bodrero

Foto di copertina

milanvirijevic/Getty

Costa Smeralda, per servirla

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Costa Smeralda, per servirla

Cecilia Anesi
Raffaele Angius

Yacht, camerieri e secchielli di Champagne. Spariscono dalla Costa Smeralda, in Sardegna, i simboli del potere russo che qui, per oltre un decennio, ha stabilito il suo quartier generale con vista sul mare. Dopo l’invasione dell’Ucraina e l’emissione delle sanzioni contro la Russia, tutto l’Occidente si è dato da fare per stanare i beni seminati in giro dai potenti oligarchi: uomini funzionali alla tenuta dello zar Vladimir Putin, che negli anni si sono arricchiti smantellando e appropriandosi di quel che restava dell’Unione Sovietica. Da mesi sulle loro tracce è la Guardia di finanza che, una dopo l’altra, ne ha individuato e congelato ville, yacht, automobili e conti correnti.

Affiora così, da questo sistematico lavoro di sottrazione, il sistema economico e amministrativo che ha finora permesso agli oligarchi di stabilire qui la propria base sul Mediterraneo. Non solo un luogo di vacanza, feste o agi, ma la versione in salsa multimiliardaria dello smart working, permesso da uno Stato nello Stato fatto di consiglieri, amministratori, commercialisti e fornitori di servizi che hanno garantito all’intera area di diventare il punto di riferimento di Mosca in Europa. Il tutto raggiungibile con tre ore di aereo dopo colazione e in tempo per pranzo.

Il progetto Russian Asset Tracker
I 22 anni di governo di Vladimir Putin hanno prodotto enormi fortune per oligarchi, politici, funzionari della sicurezza e altri beneficiari del suo regime corrotto e clientelare. All’inizio del suo governo, Putin venne lodato per aver messo alle strette i magnati che avevano saccheggiato l’economia russa negli anni Novanta. Alcuni gli hanno giurato lealtà, assicurandosi così un posto nel nuovo ordine. Durante il suo governo è poi sorta una nuova generazione di ricchi magnati: sono i suoi alleati, amici, finanziatori.

Sulla scia del brutale assalto della Russia all’Ucraina, i governi di tutto il mondo hanno imposto sanzioni a molti sostenitori di Putin. Come gli altri oligarchi del mondo, però, questi ultimi hanno imparato a tenere nascosta la loro ricchezza in conti bancari segreti e strutture societarie offshore. Capire chi possiede cosa è difficile anche per gli investigatori più esperti.

Insieme a OCCRP e agli altri partner del progetto, IrpiMedia ha partecipato alla creazione di un database delle loro proprietà tracciabili: terreni, ville, aziende, barche, aerei. Il valore complessivo del patrimonio degli uomini di Putin scoperto finora da #RussianAssetTracker è di 17,5 miliardi di dollari.

Gli oligarchi cominciavano ormai a sentirsi “di casa” in Costa Smeralda: dopo avere utilizzato per anni società di comodo per acquistare proprietà, da qualche tempo hanno iniziato a usare i loro veri nomi su atti e utenze.

Alexei Mordashov – presidente del colosso siderurgico Severstal – tra il 2011 e il 2017 acquista a nome proprio 2.400 metri quadri di proprietà, per un valore di almeno 35 milioni di euro, con un cantiere partito nel 2016 per creare un complesso a “basso impatto visivo”. Oggi il “villaggio” di Mordashov è quasi invisibile se non si sa dove cercare.

C’è poi Petr Aven, decimo uomo più ricco della Russia, proprietario di Villa Maureena a Porto Rafael. «Prima la casa era intestata a una società», spiegano persone informate sui fatti, ma da qualche anno figura il cognome di Aven nei documenti e sulle utenze che IrpiMedia ha potuto consultare.

E infine Usmanov, che nel 2020 acquista un’ennesima villa a nome proprio, dopo avere utilizzato per anni società offshore.

L’enclave russa

Chiamata in origine Monti di Mola (nome che darà il titolo anche a una canzone di De André), la Costa Smeralda nasce negli anni ‘60 dalla visione di Karim Aga Khan, allora venticinquenne imam degli ismailiti nizariti, che intende creare in Gallura un’oasi di lusso per i ricchi del pianeta. Gite in barca e partite a golf hanno da allora scandito le giornate di magnati e imprenditori arabi, britannici e svizzeri, che per primi hanno stabilito tra Olbia e Porto Cervo il proprio buen retiro.

È da qui che, a inizio stagione, i villa manager mandano i galoppini fino alla Svizzera o alla Germania per recuperare le auto da corsa dei ricchi magnati. Edizioni limitate di Lamborghini e Ferrari – che i fidati lavoratori stagionali vanno a prendere per guidarle per un lungo viaggio stradale e che da luglio iniziano a popolare la Costa Smeralda, raccontano. Così appare tutt’oggi a chi la visita, con siepi curatissime e cancelli in legni lavorati, creando uno stile alieno che nel tempo ha finito per influenzare l’architettura costiera dell’intera isola.

Ben diversa dal resto della Sardegna è la qualità di strade e servizi. Quasi tutto fa capo al Consorzio Costa Smeralda, fondato proprio dall’Aga Khan per garantire ai ricchi abitanti di godere del maggiore comfort possibile. Sull’intero territorio di 3.114 ettari, con 55 chilometri di coste, solo il 3,7% del territorio è occupato da costruzioni private o opere infrastrutturali, così da garantire il noto aspetto selvaggio. Guardianie, servizi medici privati e addirittura tredici unità operative antincendio (con due autobotti e un elicottero) sopperiscono a tutti i bisogni che nel resto dell’isola non sono invece altrettanto garantiti.

Come in un lussuoso ristorante – dove a ogni sigaretta spenta arriva pronto un cameriere a cambiare il posacenere – in Costa Smeralda IrpiMedia ha visto gli operatori ecologici del consorzio sfidare il maestrale e la pioggia sferzante per cambiare la busta di un cestino praticamente vuoto su una spiaggia deserta. Una cura che testimonia il retaggio di lusso diluito negli anni ma ancora presente in questa enclave sul territorio di Sardegna, che di sardo non ha nulla.

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Ad aggiungere pregio all’intero sistema, in particolare per i russi, è la presenza del vicino aeroporto di Olbia, dove atterrano i jet privati dei ricchi inquilini della Costa Smeralda.

Grazie a tabulati di volo ottenuti in esclusiva in collaborazione con OCCRP, IrpiMedia è in grado di ricostruire l’assidua presenza di aerei appartenenti a oligarchi russi che da Mosca, ma anche dall’Austria e dalla Germania, atterrano a Olbia, dove spesso ad attenderli c’è un elicottero per portarli fino alle ville.

E proprio da questa lista emerge il via vai dei cortigiani di Putin, dal magnate della vodka Roustam Tariko – ormai cittadino onorario di Olbia – ad Alexei Ananyev, imprenditore del mondo IT che nel 2017 figurava tra i duemila uomini più ricchi del mondo secondo Forbes.

Gli aerei di entrambi i magnati hanno effettuato numerose sortite nel nord Sardegna tra la primavera del 2017 (i dati più vecchi di cui siamo in possesso) e l’ottobre del 2021.

Ma ad attirare maggiormente l’attenzione è un aereo che, a quanto risulta a IrpiMedia, ha compiuto un solo volo registrato. Si tratta di un Tupolev di fabbricazione russa intestato al Fsb, i servizi segreti eredi del Kgb, che atterra a Olbia il 5 luglio 2017 alle 6:36 del mattino ora locale, la cui ripartenza non è registrata. Gli spostamenti dei servizi segreti russi sono generalmente collegati agli spostamenti del presidente russo, dal quale dipendono direttamente.

Appena due giorni prima, il 3 luglio, atterrava nello stesso scalo l’aereo del magnate ucraino Rinat Akhmetov, originario di Donetsk, recentemente al centro delle polemiche in quanto indicato dall’auto proclamato governatore della repubblica separatista, Pavel Gubarev, quale finanziatore dei movimenti filorussi dell’area.
A 1.300 chilometri da lì, ad Amburgo, il 7 luglio Putin incontrerà per la prima volta l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump, per discutere di «Ucraina, Siria e altre questioni», riportava all’epoca Associated Press.

Un ufficio sul mare

Fra le trame della politica e del commercio internazionali, in Costa Smeralda è normale trovare anche misure di sicurezza eccezionali, a protezione della privacy dei suoi facoltosi inquilini e dei loro affari.

Qui ha le sue residenze il magnate russo che più di tutti ha investito nell’area e che da molti è considerato alla stregua di un “re”. È Alisher Usmanov, imprenditore di origine uzbeka, naturalizzato russo, fondatore di USM Holdings, gruppo che controlla diverse aziende di rilievo, tra cui Metalloinvest, produttore di acciaio; Baikal Mining, che si occupa di estrazione di rame, e Mail.ru, il principale operatore russo di servizi internet. Usmanov è anche il proprietario di Kommersant, il più noto giornale economico-finanziario russo. Secondo l’Unione europea – che ha sanzionato l’oligarca lo scorso febbraio – «da quando Usmanov ne ha assunto il controllo la libertà della redazione è stata limitata e il giornale ha assunto una posizione manifestamente favorevole al Cremlino».

Proprio Usmanov ricorre a misure di sicurezza straordinarie, sia in tempo di vacanza – Usmanov ha passato in Costa Smeralda gran parte della pandemia – sia quando lavora da uno dei suoi complessi immobiliari tra Punta Capaccia e Piccolo Pevero: villa Capaccia, villa L’Aldiola, villa Mimosa, Li Nibani e ancora villa Cormorano, Villa Sa Piantesa, Villa Sa Pedra.

Le ville di Alisher Usmanov e Dmitri Mazepin a Capo Capaccia, Romazzino, comune di Arzachena, Sassari, per particelle catastali
Le ville di Alisher Usmanov e Dmitri Mazepin a Capo Capaccia, Romazzino, comune di Arzachena, Sassari, per particelle catastali

L’intero ecosistema delle ville di Punta Capaccia infatti è interconnesso da una rete interna in fibra ottica, sulla quale si collegano sia internet sia gli impianti di videosorveglianza. Un’informazione in esclusiva ottenuta da IrpiMedia grazie a fonti confidenziali. È così che le immagini di ogni angolo del giardino e di tutti gli ingressi vengono trasmesse a una sala di controllo degna di una base militare, con decine di monitor che riportano qualsiasi attività sotto l’occhio attento della vigilanza.

A protezione del traffico internet del complesso, specifiche configurazioni generano tutto l’anno traffico internet casuale creando un “rumore bianco” che rende impossibile a un’analisi esterna di capire se e quando qualcuno sia in casa.

Un capitolo a parte lo meritano le auto: la Guardia di Finanza ne ha sequestrate almeno una, blindata. Si tratta di una Mercedes-Benz S650 Maybach a prova di bombe e assalti armati del valore di oltre 1.2 milioni di euro simile a quella acquistata pochi mesi fa dal primo ministro indiano, Narendra Modi. Intestata a una società di “noleggio auto”, Machina srl, che risulta domiciliata in una stradina alle porte di Arzachena – il paese dell’entroterra nel cui vastissimo comune ricade buona parte della Costa Smeralda.

È una strada dismessa, nella quale si trovano un meccanico di auto e officine di rimessaggio barche. “Via del Rimessaggio” si chiama, d’altronde. Ma di Machina srl o di auto blindate neppure l’ombra: qui non l’ha sentita nominare nessuno.

Uno yacht al largo della Costa Smeralda - Foto: IrpiMedia
Uno yacht al largo della Costa Smeralda – Foto: IrpiMedia
Via del Rimessaggio nel comune di Arzachena - Foto: IrpiMedia
Via del Rimessaggio nel comune di Arzachena – Foto: IrpiMedia

Anche se la società non è conosciuta, lo è il suo proprietario: Usmanov. L’oligarca la possiede attraverso un trust delle Bermuda, la Pauillac Property Ltd, che controlla anche altre due società italiane proprietarie delle sue di Punta Capaccia. Tutte queste società sono amministrate da un avvocato cipriota e dal commercialista Ruggero Tusacciu.

Fornitori di servizi

Sebbene non sia stato possibile parlare con Tusacciu direttamente, IrpiMedia ha incontrato chi ha aperto a Tusacciu la porta del regno di Usmanov: Antonio Brigaglia. Brigaglia è un commercialista di Calangianus e titolare dello studio di riferimento per quelli che hanno proprietà nella parte più ricca della Gallura. Era stato proprio Brigaglia a creare la struttura di società italiane che curano l’ultimo miglio di gestione degli asset di Usmanov: Sardegna Servizi, Machina nonché Delemar e Punta Capaccia. Società che ormai non gestisce più lui, avendole passate al socio Tusacciu.

Da tutti indicato come “il commercialista della Costa Smeralda”, Brigaglia eredita l’attività dal padre – racconta – che fu tra i primi a intuire il potenziale del nord della Sardegna. Il suo studio, affacciato sulla provinciale 59 tra un ristorantino dove mangiano gli operai e un negozio di prodotti per piscine, è di soli due locali. Il professionista, con i modi gentili tipici della zona, riceve nella sua stanza: un divano, due poltroncine, neanche un pc sulla scrivania.

«Quando mio padre ha aperto lo studio, il mercato della Costa Smeralda ancora non esisteva», ricorda: «Parliamo di sessant’anni fa, quando sono iniziate le lottizzazioni e contestualmente la costruzione di servizi». In quegli anni gli stranieri che volevano acquistare degli immobili dovevano per forza aprire una società in Italia, e acquistare il bene tramite quella.

Tra i servizi che ha offerto la Brigaglia Service agli acquirenti stranieri c’è anche quello di rappresentante tributario: di fatto un codice fiscale con cui l’Agenzia delle entrate può interfacciarsi. Ma è evidente che per gli oligarchi russi Brigaglia è stato soprattutto il punto di riferimento per le questioni fiscali ed economiche che riguardavano le ville, dal momento dell’acquisto fino alla gestione negli anni. Parlando con lui emerge chiaramente: gli ultraricchi russi non vogliono problemi, e il sistema ville deve funzionare perfettamente e senza intoppi. E quindi si è rafforzata la figura del “fornitore di servizi”, perché lo studio Brigaglia si è dovuto occupare di costituire “società interinali” che potessero assumere e gestire il personale delle ville, le auto di lusso, nonché seguire i lavori di ristrutturazione o manutenzione.

Certo, ci spiega Brigaglia stesso, se l’oligarca assumesse il personale direttamente risparmierebbe molto. Ma non tutti lo vogliono fare. «Da anni suggerisco che le società che gestiscono i dipendenti vengano sciolte: parliamo di domestici, giardinieri e in generale persone che svolgono il ruolo di collaboratori domestici – precisa. Se venissero assunti direttamente come tali dal padrone di casa, anziché come dipendenti di una società, costerebbero molto meno e si pagherebbero meno tasse», spiega.

Un murale lungo la statale che collega Arzachena alla Costa Smeralda - Foto: IrpiMedia
Un murale lungo la statale che collega Arzachena alla Costa Smeralda – Foto: IrpiMedia

Parliamo di dieci o quindici dipendenti per villa, tra giardinieri, manutentori e il villa manager, che lavorano tutto l’anno e ai quali si aggiunge il personale assunto stagionalmente, quando le ville sono in piena operatività. Ed effettivamente, girando tra le proprietà, neanche nei mesi più freddi si ha la sensazione di essere in una località turistica deserta. Furgoni e piccole utilitarie fanno avanti e indietro senza sosta, aprendo e chiudendo cancelli di legno il cui valore è probabilmente equiparabile a quello delle stesse auto che li varcano. È il sottobosco di dipendenti che curano le ville, in attesa che il proprietario o i suoi ospiti si manifestino.

Risalire la china

Brigaglia incalza: converrebbe chiudere le società di comodo, e non solo assumere direttamente i dipendenti ma anche intestare le ville direttamente ai proprietari reali, anche nel caso degli oligarchi. Spiega che negli anni il Fisco ha cambiato strategia, oggi si può acquistare come persona fisica e anzi, conviene, perchè si risparmia in tasse. Ma acquistare beni come società ha un vantaggio: schermare la proprietà dell’asset.

Secondo Brigaglia però, la schermatura è comunque parziale, perché al rappresentante tributario di una società di comodo è richiesto per legge di depositare all’Agenzia delle entrate il nome dell’amministratore delegato con fotocopia del documento di identità. «Quindi alla fine trovi il passaporto di Petr Aven o chi per lui», dice Brigaglia.

«L’Agenzia delle entrate dovrebbe poter dire agevolmente chi sono i reali beneficiari di ogni proprietà, perché noi siamo obbligati a comunicarli per le norme antiriciclaggio», sostiene.

Nella pratica però, le cose non funzionano esattamente come racconta Brigaglia. Infatti per alcuni oligarchi – compreso Usmanov – poter tutelare la propria riservatezza è la priorità numero uno. E quindi si preferisce creare complesse strutture di scatole cinesi offshore che gestiscono asset in tutto il mondo, comprese le ville in Costa Smeralda. Non tanto per evadere il fisco italiano, quanto per proteggersi da eventuali indagini del proprio Paese d’origine, o da misure straordinarie come le sanzioni attuali.

All’Agenzia delle entrate italiana infatti, alla fine della catena di società, spesso non c’è depositato il documento di identità dell’oligarca proprietario della villa, bensì quello dell’amministratore delegato, di fatto un prestanome, o del trust manager della società di comodo creata in qualche paradiso fiscale.

Nel caso di Usmanov, il sistema di schermatura non ha funzionato e le ville e i beni sono stati congelati. Ma solo grazie alla collaborazione di Cipro, che è un’eccezione portata dalla gravità dei tempi, più che una regola. Infatti Oleg Deripaska, magnate dell’alluminio, è per ora riuscito a salvare dal congelamento la sua magione a Porto Cervo – Villa Walkirie – pur essendo sotto sanzioni dal 10 marzo 2022. Questo perché ha costituito una complessa rete di società offshore, costi quel che costi in termini di tasse e commercialisti, che le autorità italiane hanno difficoltà a comprovare.

L’ingresso di Villa Walkirie nel comune di Arzachena - Foto: IrpiMedia
L’ingresso di Villa Walkirie nel comune di Arzachena – Foto: IrpiMedia

Villa Walkirie, ha scoperto IrpiMedia, è infatti intestata a una società delle Isole Vergini Britanniche, che è controllata da un’azienda cipriota, la Advante Management Corp. In un documento ottenuto tramite un leak, è messo nero su bianco che il beneficiario finale della Advante e di tutte le sue controllate è, appunto, Oleg Deripaska. Un dato ormai noto, che resta però insufficiente a congelare il bene da parte delle autorità italiane, alle quali serve che i paradisi fiscali collaborino e consegnino la documentazione comprovante. E Deripaska resta così intoccato nel suo fortino sul mare.

Brigaglia – che tiene a precisare che Deripaska non è un suo cliente – invece paga pegno nel suo ruolo di “service provider”. Infatti, dopo aver segnalato spontaneamente due conti riconducibili a clienti sanzionati, si è visto chiudere dalla banca ben dieci conti correnti intestati alla sua azienda di consulenza: quelli da cui passa il denaro corrente legato alla gestione delle varie ville e società, anche non di russi, dove i clienti versavano il denaro per le spese.

Insomma, a questa torrida estate la Costa Smeralda si affaccia con la previsione di una stagione più “povera” e con meno ombra. Verrà a mancare sicuramente quella proiettata dal Dilbar, lo yacht di 156 metri di proprietà di Usmanov che già in passato ha causato lo scontento dei diportisti che gli si affiancano e che si sentono sminuiti dalla sua ingombrante presenza. L’imbarcazione è attualmente imprigionata in Germania, in attesa che la Corte europea di giustizia si esprima sul ricorso presentato dall’oligarca. La risposta è attesa a giorni.

CREDITI

Autori

Cecilia Anesi
Raffaele Angius

Editing

Giulio Rubino

Foto di copertina

La villa Rocky Ram di Dmitry Mazepin a Punta Capaccia
(IrpiMedia)

Gli effetti delle sanzioni sugli oligarchi

#RussianAssetTracker

Gli effetti delle sanzioni sugli oligarchi

Giulio Rubino

In una conversazione con Ezra Klein nel suo podcast del New York Times “The Ezra Klein Show”, il giornalista russo-americano Masha Gessen, noto critico del governo Putin e attivista del movimento LGBT russo (lui stesso si definisce nonbinario e transgender) dice che «la narrativa che si propone riguardo le sanzioni ricorda la definizione della follia: è una strategia che non funziona, ma che l’Occidente si ostina a fare e rifare aspettandosi risultati diversi». Di sanzioni e delle loro conseguenze si parla moltissimo in questi giorni. L’obiettivo dichiarato, che non è affatto chiaro se si stia raggiungendo o meno, sarebbe quello di creare su Vladimir Putin pressioni tali da portarlo a riconsiderare i suoi piani in Ucraina, idealmente forzandolo a porre fine all’invasione.

La logica dietro questa strategia è abbastanza chiara e la scala delle sanzioni applicate questa volta è senza precedenti. Anche Gessen, nonostante il suo scetticismo, ammette che «forse la differenza quantitativa questa volta diventerà qualitativa, quando nel giro di alcuni mesi la vita in Russia cambierà del tutto». Ma ci sono almeno due limiti a questo approccio e ai risultati che può produrre: il primo ha a che vedere con la visione del mondo dei Paesi che stanno applicando sanzioni, e il secondo ha a che vedere con la reale efficacia della misura.

La guerra di Putin contro l’Ucraina, secondo le sue stesse dichiarazioni, non è tanto motivata dalla pressione a est della NATO, né da ragioni geopolitiche in senso classico. «L’Ucraina non è solamente un Paese confinante, ma una parte inalienabile della nostra storia, cultura e spazio spirituale», aveva dichiarato il presidente russo il 21 febbraio scorso.

La storia vista dal Cremlino

In una reinterpretazione personale della storia della “Grande Madre Russia”, dove colloca se stesso nella diretta discendenza di una serie di leader da Ivan il Terribile a Stalin, Putin sembra piuttosto considerare l’esistenza stessa dell’Ucraina come stato indipendente poco più di un “errore di percorso” commesso da Lenin, e ha invece predicato la sua visione di una Russia di stampo imperiale con tutta la forza della sua macchina propagandistica; fino al punto che la maggior parte degli analisti non riesce più a tracciare il confine fra quanto questa retorica sia uno strumento di manipolazione dell’opinione pubblica e quanto sia diventata, nel progressivo isolamento di un capo sempre più onnipotente e sempre più solo, una sua stessa radicata convinzione.

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È altrettanto difficile comprendere quanto efficace sia stata questa propaganda nel portare sostegno popolare a favore della guerra, che in Russia non è neppure permesso chiamare tale ma solo «operazione militare speciale». Gessen, che era a Mosca nei primi giorni dopo l’invasione, nota come già da subito si era creata una distanza incolmabile fra il tono del dibattito pubblico e le preoccupazioni espresse nel privato delle proprie case dai cittadini russi.

È comunque molto probabile, a giudicare dalla narrativa dominante sui media russi, che per l’opinione pubblica russa, le sanzioni siano lette semplicemente come una forma di ingiustificato attacco occidentale contro il loro Paese, e che abbiano l’effetto opposto di facilitare la propaganda di regime e stringere ancor di più il popolo russo attorno al suo leader. D’altra parte non è la prima volta che i russi sono costretti ad affrontare privazioni e difficoltà a causa delle sanzioni e se da un lato sono pronti ad affrontare un periodo difficile con molto più stoicismo di quanto non si veda in Europa, dall’altro per il momento si aspettano che questa “crisi” abbia una durata limitata e che la loro vita torni presto a quanto si sono abituati a pensare come “normalità”.

L’ondata di sanzioni che erano state emesse contro la Russia nel 2014 dopo l’invasione della Crimea, ad esempio, aveva lo scopo di contrastare l’avanzamento russo in quella regione, eppure oggi nessuno scenario di fine guerra sembra poter prevedere la restituzione di quella regione all’Ucraina.

Nelle ultime quattro settimane, da quando è cominciata l’invasione dell’Ucraina, si sono susseguiti quattro diversi pacchetti di sanzioni solo dall’Unione europea, oltre a quelle emesse da Stati Uniti e Gran Bretagna e un quinto pacchetto è allo studio mentre si scrive questo articolo. Anche diversi Paesi asiatici si sono uniti alle misure emesse dall’Occidente, incluso Giappone, Corea del Sud, Singapore.

Putin, dal canto suo, aveva risposto fin dal primo momento che la Russia era preparata a queste misure, e che non avrebbero avuto alcun effetto sul suo Paese. Il dato di fatto, almeno a oggi, è che l’invasione non si è fermata, che la pressione interna su Putin non sembra metterlo in difficoltà in alcun modo e che gli oligarchi stessi sembrano affrontare queste misure senza eccessive difficoltà.

Poliziotti russi arrestano un manifestante con un cartello che recita "No alla guerra" durante una manifestazione pacifista in Piazza Manezhnaya, di fronte al Cremlino, il 13 marzo 2022 a Mosca - Foto: Getty Images

Poliziotti russi arrestano un manifestante con un cartello che recita “No alla guerra” durante una manifestazione pacifista in Piazza Manezhnaya, di fronte al Cremlino, il 13 marzo 2022 a Mosca – Foto: Getty Images

Vediamo quindi di cercare di analizzare la reale efficacia della “guerra economica” con cui si sta cercando di isolare la Russia, provando soprattutto a chiarire chi davvero soffrirà maggiormente di questi provvedimenti

Grazie anche al lavoro #RussianAssetTracker, che IrpiMedia ha svolto insieme a OCCRP, The Guardian e altri 24 media partner, abbiamo visto un’infinita galleria di yacht multimilionari, ville di lusso, beni e proprietà degne di monarchi d’altri tempi, tutti sanzionati, congelati, bloccati.

La strategia dell’Occidente: guerra economica

Ma in primo luogo bisogna chiarire che cosa sia di base un provvedimento di sanzione. Ne abbiamo parlato con Floris Alexander, avvocato esperto di reati finanziari che per il suo lavoro ha spesso dovuto confrontarsi con i meccanismi delle sanzioni internazionali.

«Le sanzioni – spiega – in generale servono a mandare un segnale a tutti quelli con cui si interagisce (dalla donna delle pulizie al provider di internet, fino alla banca) che non è permesso avere transazioni con il soggetto in questione. Quindi in un mondo perfetto un soggetto sanzionato non potrebbe effettuare neppure la più semplice operazione bancaria».

La sanzione non ha nulla a che vedere con un sequestro o una confisca. La proprietà del bene sanzionato infatti non è messa in discussione, ma è congelata in una situazione per cui, ad esempio, le aziende non possono pagare i dipendenti in Paesi che applichino la sanzione, il bene non può essere venduto, gli yacht non possono comprare carburante e le ville resteranno presto senza luce e gas perché il loro proprietario non può pagare le bollette.

Le sanzioni sono inoltre studiate per impedire le forme più semplici di “aggiramento” della misura. Spiega Floris Alexander: «Quando le sanzioni vengono evase, le stesse sanzioni vengono in teoria applicate anche al soggetto che ha aiutato a evaderle. Per esempio, se Visa offre servizi a un individuo sanzionato, allora Visa potrebbe finire sotto sanzione a sua volta». Purtroppo l’efficacia di questo aspetto, cruciale in teoria per garantire l’impatto delle sanzioni, resta estremamente difficile da applicare. Infatti le capacità “investigative” dei singoli Stati, su cui ricade la responsabilità di applicare le sanzioni, hanno dei limiti oggettivi, e ci sono fin troppe giurisdizioni e intermediari per cui pecunia non olet che possono offrire potenziali alternative.

«Ci sono sempre scappatoie [alle sanzioni] e questi soggetti hanno a disposizione eserciti di avvocati, gestori patrimoniali, consulenti fiscali, tutti molto ben pagati, che riusciranno di sicuro a trovarle»
- Floris Alexander, avvocato esperto di reati finanziari

Ma nonostante l’enorme valore economico del patrimonio sanzionato, quello che vediamo non è neppure la punta dell’iceberg della ricchezza, e di conseguenza dell’influenza, degli oligarchi russi nel mondo. Ne vediamo un sottoinsieme, all’incrocio di “quello che è stato possibile trovare” con “quello che gli oligarchi hanno ritenuto sacrificabile”.

Infatti l’applicazione delle sanzioni non è stata né immediata, né perfettamente coordinata a livello globale. «Ci sono sempre scappatoie – spiega Alexander – e questi soggetti hanno a disposizione eserciti di avvocati, gestori patrimoniali, consulenti fiscali, tutti molto ben pagati, che riusciranno di sicuro a trovarle».

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In breve, nei cinque sei giorni che sono passati dall’annuncio di probabili sanzioni all’applicazione delle medesime, c’è stato un febbrile lavoro da parte di questo esercito di asset managers a libro paga degli oligarchi, che hanno fatto il possibile per portare “fuori dal raggio” delle sanzioni gli asset più preziosi dei loro clienti.

Ne è un chiaro esempio il caso di Abramovich, riportato da Reuters, che il giorno dell’invasione dell’Ucraina ha trasferito il controllo di un’importante società di diritto cipriota, la Ervington Investments Limited, che a sua volta contiene investimenti in altre società per decine di milioni di sterline, a uno dei dirigenti del Chelsea, Eugene Tenenbaum, descritto sul sito del Chelsea stesso come uno dei più stretti collaboratori di Abramovich.

«Mentre si decideva se escludere o meno la Russia dal sistema Swift – prosegue Floris Alexander – i russi non sono rimasti in paziente attesa di essere puniti, hanno agito subito e trasferito le loro proprietà altrove». Chi aveva asset da proteggere si è mosso insomma molto più tempestivamente di Europa e Stati Uniti.

Cos’è il sistema Swift

Swift sta per Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication, ed è un’azienda cooperativa belga che offre servizi per transazioni finanziarie e pagamenti tra banche in tutto il mondo. I fondi trasferiti tramite Swift non “passano” per l’azienda in questione, che non gestisce i conti ma semplicemente trasferisce “i messaggi contenenti le istruzioni per i trasferimenti” tra i soggetti coinvolti nel pagamento.

In quanto cooperativa di diritto belga, è di base a La Hulpe, vicino a Bruxelles, ma è di proprietà di circa 3.500 aziende sparse in tutto il mondo. Gli azionisti eleggono un board di 25 direttori indipendenti, che rappresentano banche di tutto il mondo, che a loro volta controllano l’operato del management dell’azienda.

Swift è anche sotto il controllo delle banche centrali del G-10 (Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Olanda, Regno Unito, Svizzera e Svezia), oltre che della Banca centrale europea.

Swift, per quanto aderisca a tutte le sanzioni emesse nei confronti della Russia, non controlla le singole transazioni che si appoggiano al suo sistema, la cui responsabilità resta a carico delle istituzioni finanziarie che le gestiscono.

Essendo usato per la maggior parte delle transazioni globali, essere tagliati fuori dal sistema Swift può avere conseguenze molto serie, anche perchè la maggior parte delle carte di credito mondiali, inclusa Visa e Mastercard, operano tutte tramite Swift.

A seguito delle sanzioni applicate dagli Stati Uniti alla Russia dopo l’invasione della Crimea nel 2014, la Russia aveva già però sviluppato un suo sistema alternativo, lo SPFS (Sistema peredachi finansovykh soobscheniy, o Sistema di trasferimento di messaggi finanziari), al momento usato solo nei trasferimenti finanziari interni al Paese.

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Dalle stalle alle stelle, il miliardario prestanome di Putin

Eduard Khudaynatov ha iniziato la sua carriera allevando maiali per poi entrare nel settore energetico. Ha una reggia a Mosca e Villa Altachiara a Portofino, tre yacht da capogiro, incluso la Scheherazade fermo a Massa Carrara

Ma anche a sanzioni già emesse, restano ancora discreti margini di movimento. «Il sistema Swift copre l’80% delle transazioni mondiali – continua Floris – ma resta comunque aperto quel 20% rimanente, le transazioni con l’Asia, e altre vie ancora».

Quindi, possiamo immaginare, gli asset che l’Occidente sta mettendo sotto sanzione in queste settimane sono quelli che gli oligarchi non sono riusciti a proteggere. Alcune proprietà, ovviamente, sono più difficili da nascondere, più evidenti, ma forse anche più “sacrificabili” di altre, soprattutto nella misura in cui ulteriori provvedimenti, come un divieto di espatrio o di viaggio, renderebbe comunque quei beni un po’ difficili da godere.

Ecco perché, forse, la Costa Smeralda ha visto un’enorme quantità di ville e yacht messi sotto sanzione. Molti dei loro beni nel nord della Sardegna infatti, sono noti a giornalisti e autorità locali già da molti anni. Per quanto il congelamento di questi beni possa rappresentare decisamente un fastidio a soggetti abituati a certi livelli di lusso, certamente non si tratta di un danno sostanziale. È, per gli oligarchi, una specie di piccola esperienza di lockdown, del tipo di quella che abbiamo vissuto tutti negli anni passati: non possono andare nelle loro case vacanza, non possono viaggiare in Europa con la stessa comodità di un tempo.

Pacchetti azionari e matrioske

Più complessa e rischiosa è la questione del congelamento di pacchetti azionari o quote di società. Gli oligarchi russi hanno da sempre cercato di esercitare la loro influenza tramite il controllo di quote significative di società, anche quotate in borsa. «La cosa più furba da fare, per un oligarca, è comprare pacchetti di maggioranza (anche tramite prestanome e fondi di investimento, nda) in aziende del loro stesso settore di interesse. Per esempio, comprare abbastanza azioni di un’azienda come FIAT per far sì che resti legata all’uso del gas russo», precisa Alexander. Ma il congelamento di pacchetti azionari così importanti può portare rapidamente al collasso completo di quell’azienda. Infatti, una volta che una quota significativa del capitale di un’azienda è sanzionato, il valore delle azioni rimaste comincia a crollare, e gli altri azionisti cercherebbero di vendere il prima possibile, innescando una svendita che porta alla bancarotta tutto il gruppo.

Negli anni passati, uno degli strumenti più efficaci per evitare sanzioni e confische è stato certamente quello dei cosiddetti “golden passports” o “golden visa”. Grazie a programmi che offrivano la residenza, o addirittura la cittadinanza, europea in cambio di investimenti, molti oligarchi si sono infatti assicurati la stessa protezione legale di cui godono i cittadini europei. Ma stavolta i Paesi sembrano agire in modo molto più coordinato. Sia il Portogallo che Cipro, due dei Paesi dove i sistemi di “vendita di passaporti” sono più sviluppati, hanno dichiarato che applicheranno comunque le stesse sanzioni ai loro “cittadini”, se questi sono sulle liste delle sanzioni europee.

Negli anni passati, i sistemi di vendita della residenza e della cittadinza in vigore in numerosi Paesi europei hanno garantito agli oligarchi la stessa protezione legale di cui godono i cittadini europei

Certo, delle scappatoie ci sono sempre, e nascondere la proprietà di beni e aziende non è poi così difficile. «Le strutture societarie usate nei paradisi fiscali sono come matrioske con moltissimi livelli- afferma Alexander – il beneficiario reale di una società potrebbe essere nascosto alla fine di decine di “scatole” societarie una dentro l’altra. Come i Panama Papers e molte inchieste del genere hanno rivelato, moltissimi ultra-ricchi, oligarchi inclusi, hanno a disposizione strutture di questo tipo, e quindi le loro operazioni offshore quotidiane non sono colpite più di tanto. A lungo termine, certo, perdono accesso a qualche centinaio di milioni, che sono comunque cifre considerevoli per loro».

Chiaramente, questo sistema “segreto” che protegge le loro operazioni più importanti non può essere usato per riconquistare le proprietà più visibili che già sono state sanzionate. Pagare, ad esempio, il capitano del loro yacht tramite una società offshore invece che direttamente rischierebbe di esporre tutta la loro struttura societaria.

Un effetto, quindi, le sanzioni certamente lo stanno avendo. Spiega Alexander: «L’effetto delle sanzioni può essere assimilato a quello di una crisi, e nelle crisi i primi a pagare sono sempre quelli che devono lavorare giorno per giorno per mettere il cibo sulla tavola». A soffrire delle sanzioni, per davvero, sarà in primo luogo quindi la classe media e medio-bassa russa, la stessa che, contemporaneamente, è priva anche di informazioni obiettive su quello che sta succedendo, priva della possibilità di protestare, priva, soprattutto, della possibilità di esercitare un’influenza efficace sul potere.

Perché le sanzioni comincino a fare effetto veramente sugli oligarchi quindi, sono necessarie o misure più severe e dirette, come confische vere e proprie, oppure tempi molto più lunghi, che la popolazione comune difficilmente potrà affrontare. Al contrario, la classe media russa presto si troverà a subire il pieno impatto delle sanzioni, che tutti gli analisti concordano sarà ben più terribile di quanto si possa immaginare in Europa.

Il presidente russo, Vladimir Putin, durante il comizio del 18 marzo 2022 allo stadio Luznkiki di Mosca per le celebrazioni dell'anniversario dell'annessione della Crimea - Foto: Getty Images

Il presidente russo, Vladimir Putin, durante il comizio del 18 marzo 2022 allo stadio Luznkiki di Mosca per le celebrazioni dell’anniversario dell’annessione della Crimea – Foto: Getty Images

Il prezzo del grano, l’accesso a pezzi di ricambio per auto, treni, aerei, tutte le commodities in Russia diventeranno sempre più care e razionate. «Quando quello che prima costava 10 euro arriva a costarne 20 chi ne soffrirà per primo? Chiaramente coloro che hanno solamente 10 euro in tasca – sottolinea Alexander -. Le sanzioni sono un sistema che colpisce prima alla base e poi via via sempre più in alto. Alla fine è normale che i più ricchi ne siano colpiti meno, ma è anche vero che questi hanno più influenza sul potere, almeno nelle strutture democratiche. Quindi a lungo termine sono questi che eserciteranno le pressioni maggiori sui soggetti che davvero vorremmo colpire, e la gente comune ne pagherà il prezzo. Purtroppo è sempre così».

Un braccio di ferro mondiale

Nelle prime settimane dell’invasione, racconta Masha Gessen al New York Times, era difficile per i cittadini russi anche rendersi conto della gravità della situazione che si andava delineando. Mentre il rublo già crollava, non si vedevano le scene di panico di fronte alle banche che ci si aspetterebbe in Occidente. Ma, in modo meno evidente, alcuni già cominciavano a muoversi. Gessen racconta che era diventato impossibile trovare schede di memoria o hard disk nei negozi di elettronica. I cittadini più informati, infatti, avevano chiaro che avrebbero presto perso l’accesso a grosse parti della rete, e si preparavano a fare backup di tutti i loro dati.

In conclusione, la strategia delle sanzioni resta come «una prova di forza tra Europa, Russia e Stati Uniti», commenta Floris Alexander, prova di forza che però forse nessuno vuole portare alle conseguenze più estreme. Infatti anche solo far ricadere le stesse sanzioni su qualsiasi soggetto che tratti ancora con i sanzionati rischia di spingere tutti i Paesi che già sono sotto sanzione ad agire come un conglomerato, un nuovo “blocco economico” che, fra l’altro, contiene una buona parte dei maggiori produttori di petrolio e gas.

Ma le potenziali conseguenze possono essere ancora più gravi: «Se il mondo continua ad attaccare il rublo – commenta Floris Alexander – la Russia prima o poi finirà in default. Ora, ovviamente ci sono riserve auree russe e altri asset fuori dalla Russia. Ipoteticamente l’Occidente si potrebbe rifare dei debiti russi su quelle riserve, ma allora ci sono buone possibilità di “svegliare l’orso dal suo letargo”. «La mentalità russa – conclude – è difficile da capire per l’Occidente. La Russia non ha paura del costo da pagare, anche in vite umane, per questa guerra. L’orgoglio nazionalista prevale e il prezzo della vittoria appare irrilevante».

CREDITI

Autori

Giulio Rubino

Editing

Lorenzo Bagnoli

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Oblast’ Smeralda

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Oblast’ Smeralda

Cecilia Anesi
Raffaele Angius

ARomazzino, promontorio vista mare nel cuore della Costa Smeralda, lungo le siepi delle ville sventolano nastri blu e gialli, i colori della bandiera dell’Ucraina. Chi li abbia messi non è noto, ma certamente è una denuncia chiara: questa lingua di terra parla russo. È infatti tra le rocce della Gallura che si abbattono gli effetti più immediati e visibili delle sanzioni internazionali, con le quali l’Unione europea sta congelando i beni degli oligarchi per indebolire eventuali fonti di reddito della Russia di Vladimir Putin. L’obiettivo è di colpire la rete di ricchissimi imprenditori e uomini della finanza che controlla i punti chiave del sistema economico russo: risorse di ogni tipo – dal gas all’acciaio – sulle cui esportazioni il Cremlino ha potuto contare finora per finanziarsi. E oggi queste risorse sono ancora più indispensabili dati gli alti costi dell’invasione dell’Ucraina.

Tuttavia, l’implementazione delle sanzioni deve superare l’opacità che regna sovrana sulle proprietà degli oligarchi: in Costa Smeralda è stato infatti possibile tracciarne solo una parte. Basta un fondo alle Bahamas o una società cipriota, controllata a sua volta da una fiduciaria in Vaduz, per confondere le acque e salvare il patrimonio. Schiere di avvocati e asset manager sono già al lavoro da settimane per cambiare le holding societarie e permettere agli oligarchi di mantenere (o di vendere e muovere) i propri asset.

Spostando le società proprietarie sotto giurisdizioni come quella di Dubai, ad esempio, territorio finora neutrale che ha aperto le sue porte ai ricchissimi profughi russi. Peccato che il congelamento di queste proprietà alla fine non sia altro che un atto politico, sulla cui utilità più di un analista nutre dubbi.

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Il progetto Russian Asset Tracker

I 22 anni di governo di Vladimir Putin hanno prodotto enormi fortune per oligarchi, politici, funzionari della sicurezza e altri beneficiari del suo regime corrotto e clientelare. All’inizio del suo governo, Putin venne lodato per aver messo alle strette i magnati che avevano saccheggiato l’economia russa negli anni Novanta. Alcuni gli hanno giurato lealtà, assicurandosi così un posto nel nuovo ordine. Durante il suo governo è poi sorta una nuova generazione di ricchi magnati: sono i suoi alleati, amici, finanziatori.

Sulla scia del brutale assalto della Russia all’Ucraina, i governi di tutto il mondo hanno imposto sanzioni a molti sostenitori di Putin. Come gli altri oligarchi del mondo, però, questi ultimi hanno imparato a tenere nascosta la loro ricchezza in conti bancari segreti e strutture societarie offshore. Capire chi possiede cosa è difficile anche per gli investigatori più esperti.

Insieme a OCCRP e agli altri partner del progetto, IrpiMedia ha partecipato alla creazione di un database delle loro proprietà tracciabili: terreni, ville, aziende, barche, aerei. Il valore complessivo del patrimonio degli uomini di Putin scoperto finora da #RussianAssetTracker è di 17,5 miliardi di dollari.

Pit stop Punta Capaccia

È proprio qui, sulla punta più estrema di Capo Capaccia, tra gli scorci più famosi della Costa Smeralda, che i nastri gialli e blu segnano l’ingresso alla villa Rocky Ram, villa Muflone: una proprietà di 820 metri quadrati e 25 vani con piscine e giardini che si estende fino agli scogli. Il proprietario storico della villa, una delle più famose e discusse del jet set, era Carlo De Benedetti, imprenditore e in quegli anni editore di La Repubblica, che nel 2012 ha venduto il prezioso gioiello per la somma monstre di 110 milioni di euro. Ripercorrendo le cronache dell’epoca si riscopre la curiosità che aleggiava intorno all’operazione, con i giornali di gossip che tentavano di indovinare chi fosse l’acquirente. Una prima ipotesi era stata Alexei Mordashov, il re dell’acciaio degli Urali, allora proprietario delle acciaierie di Piombino, che lascerà quello stesso anno in un mare di debiti. Ma la stessa Repubblica aveva smentito questa notizia: l’acquirente era sì un russo, ma un altro.

La stessa domanda, a dieci anni di distanza, se la pongono le forze dell’ordine, che devono eseguire i congelamenti disposti in seguito alle sanzioni internazionali, che già si sono abbattuti su diverse altre ville a Romazzino, nome dell’area che comprende capo Capaccia. IrpiMedia è in grado di rivelare il reale proprietario: Dmitry Arkadievich Mazepin, amministratore delegato della Uralchem, una delle più grandi industrie russe, specializzata nella produzione di un’ampia gamma di prodotti chimici, tra cui concimi inorganici, ammoniaca e nitrato di potassio, e fidatissimo di Putin.

Insieme ad altri 36 imprenditori e diversi dirigenti del governo russo, il 24 febbraio, Mazepin partecipa a una riunione convocata con Putin poche ore dopo l’invasione dell’Ucraina. Scopo del meeting è di discutere delle attese sanzioni che l’Occidente potrebbe imporre sugli oligarchi russi, come prevedibile risposta all’azione militare.

La base è un regolamento approvato dal Consiglio europeo del 2014, all’indomani dell’invasione russa della Crimea, che dispone il «congelamento di tutti i fondi e le risorse economiche ap­partenenti a, posseduti, detenuti o controllati, direttamente o indirettamente, da qualsiasi persona fisica o qualsiasi delle per­sone fisiche o giuridiche, delle entità o degli organismi» di volta in volta decisi dai Paesi dell’Unione.

«Maggiore produttore di nitrato di ammonio nonché il secondo produttore di ammoniaca e fertilizzanti azotati in Russia, Dmitry Arkadievich Mazepin opera pertanto in settori economici che costituiscono una notevole fonte di reddito per il governo della Federazione russa, responsabile dell’annessione della Crimea e della destabilizzazione dell’Ucraina», si legge nelle sanzioni decise dall’Unione europea, dove a ogni individuo soggetto a sanzioni viene associata una descrizione del suo ruolo nella tenuta del Cremlino.

Inserito nella lista dei sanzionati il nove marzo, a tredici giorni dall’inizio ufficiale dell’invasione, Mazepin è comunemente considerato un patriota. Non a caso nel 2021 porta i colori della bandiera russa – rosso, blu e bianco – sulle piste della Formula 1. Mazepin è proprietario della Uralkali, azienda russa produttrice ed esportatrice di potassio, con la quale diventa sponsor della scuderia statunitense Haas, nella quale otterrà di far correre suo figlio Nikita, come pilota di Formula 1.

La Villa “Rocky Ram” sulla punta di Capo Capaccia, Romazzino, comune di Arzachena, Sassari.
La Villa “Rocky Ram” sulla punta di Capo Capaccia, Romazzino, comune di Arzachena (Sassari)

Ma torniamo in Costa Smeralda: Rocky Ram risulta di proprietà della Ferimod Investments Limited, società di diritto cipriota fondata nel 2009 che però dagli elenchi telefonici risulterebbe domiciliata in un’improbabile campagna dell’entroterra gallurese. In realtà si tratta di una società i cui capitali sono costituiti da prestiti milionari ricevuti sia da Dmitry Mazepin in forma privata (88 milioni di euro nel 2018), sia da alcune aziende a lui riconducibili: la CI Chemical Invest, di cui è direttore (53 milioni) e la Quinlan Management Limited, per 3,8 milioni di euro nello stesso anno. Nei documenti, Dmitry Mazepin è identificato come «titolare effettivo» della Ferimod stessa, la quale risulta avere un unico azionista: la Bergton Management Limited. Questa stessa società controlla il pacchetto azionario di Mazepin nella Hitech Grand Prix, scuderia britannica della Formula 2 e Formula 3. Queste azioni sono state recentemente cedute da Mazepin a Oliver Oakes, presidente della società, riporta la stampa sportiva specializzata: era il 15 febbraio 2022, nove giorni prima dell’inizio dell’invasione. A oggi, secondo quanto appreso da IrpiMedia, Rocky Ram non risulta congelata.

Dmitry Mazepin e la villa a Romazzino

Affari di famiglia

A zoomare indietro dalla villa Rocky Ram su via Capaccia, si trovano quattro complessi immobiliari uno vicino all’altro: villa Capaccia, villa L’Aldiola, villa Mimosa, Li Nibani. I nomi sono incisi su dei massi accanto ai cancelli di legno lavorato, i quali seguono la forma di un’onda. A fianco, muretti a secco. Come fossero delle fortezze, a proteggerle ci sono telecamere ovunque: sono installate su pali coperti da corteccia per farli sembrare alberi. Poi, per metri e metri, corre la siepe a dividerle dalla strada, nascondendole alla vista.

A rivelare la grandezza di questi possedimenti – un totale di quasi tremila metri quadri – sono le visure catastali. Valgono almeno 41 milioni di euro stando al valore commerciale di 14.500 euro a metro quadro stimato dall’Agenzia delle entrate per questa zona della Sardegna.

Queste ville si appoggiano su una lingua di terra di una bellezza unica, con il mare ai due lati, e l’accesso privato alle spiagge, con piscine di varie forme e dimensioni, giardini tenuti come gioielli (non c’è la forma di un cespuglio fuori posto), e architetti che hanno progettato su misura seguendo i gusti dei proprietari: in questo caso una parte di villa stile piccolo castello, le altre simili a tutte le altre ville della Costa Smeralda: muri bianchi, tetti rossi, comignoli bianchi stondati. Si parla quindi di ville che potrebbero valere fino a cento milioni l’una, e che sono tutte riconducibili all’oligarca russo Alisher Usmanov.

La differenza tra valore commerciale e catastale

Il valore catastale delle proprietà di Romazzino si aggira attorno ai quattromila euro a metro quadro, esclusa Rocky Ram – l’ultima villa del promontorio – che sale a quasi novemila euro a metro quadro. I valori catastali però, non danno il vero senso del valore dell’immobile. Infatti, la rendita catastale che si trova sulle visure catastali, è un valore necessario a effettuare i calcoli ai fini fiscali di beni immobili. Per i tecnici che invece devono calcolare il reale valore commerciale di un immobile (ai fini di una compravendita o di una ristrutturazione, per esempio) l’Agenzia delle entrate ha previsto delle quotazioni immobiliari che, di solito, sono almeno il doppio rispetto ai valori di rendita catastale. Questo è il numero che più rappresenta il valore sul mercato di un immobile.

Per fare un esempio, la villa Rocky Ram che ha rendita catastale di 8.800 a metro quadro, vale almeno 14.500 euro a metro quadro perché questo è il valore commerciale standard per la zona di Romazzino. Qui il valore commerciale a metro quadro per «ville e villini» è uno dei più alti della Costa Smeralda. In altre zone si aggira tra i 3.800 e i 6.500 euro a metro quadro. In generale, la Costa Smeralda ha le case con il valore commerciale più alto d’Italia, sopra Cortina d’Ampezzo, che si tiene appena più bassa. Ma il valore può subire variazioni al ribasso o al rialzo a seconda della posizione e delle condizioni (se è fatiscente, se è appena ristrutturato, ecc.): in questo caso essendo Rocky Ram l’ultima villa del promontorio, e quindi gode di una vista unica rispetto alle altre case della zona Romazzino, la rendita catastale quasi del doppio ci suggerisce come anche il valore commerciale possa salire in proporzione. E difatti, il valore commerciale calcolato in base alla metratura e alle quotazioni viene 12 milioni di euro, ma dalla stampa si apprende che la villa potrebbe essere stata pagata anche 100 milioni di euro.

I valori degli immobili stimati in questo articolo sono quindi al ribasso, perché si basano solo sulle quotazioni ufficiali dell’Agenzia delle entrate: una villa può essere stata pagata molto meno, oppure molto di più. Nel caso degli oligarchi russi, ciò che si acquista è chiaramente non solo un immobile, ma un posto al centro del jet set della Costa Smeralda, circondati da ogni comfort e dalla massima privacy.

Le ville di Usmanov a Romazzino, comune di Arzachena (Sassari)
Le ville di Usmanov a Romazzino, comune di Arzachena (Sassari)

Usmanov è un imprenditore di origine uzbeka naturalizzato russo che ha acquistato queste ville dall’industriale Antonio Merloni di Fabriano, fondatore della Antonio Merloni Spa, azienda che nel corso degli anni Novanta divenne il più grande contoterzista d’Europa nel comparto degli elettrodomestici. Da quando Usmanov ha acquistato le dimore di Punta Capaccia sono stati in visita, tra gli altri, le figlie di Vladimir Putin e Silvio Berlusconi.

Usmanov è il fondatore di USM Holdings, gruppo che controlla diverse aziende di rilievo, tra cui Metalloinvest, produttore di acciaio; Baikal Mining, che si occupa di estrazione di rame, e Mail.ru, il principale operatore russo di servizi internet. Usmanov è inoltre proprietario di Kommersant, il più noto giornale economico-finanziario russo. Secondo l’Unione europea – che ha sanzionato l’oligarca lo scorso febbraio – «da quando Usmanov ha assunto il controllo del quotidiano la libertà della redazione è stata limitata e il giornale ha assunto una posizione manifestamente favorevole al Cremlino».

Usmanov ha un rapporto molto stretto con l’Italia. Oltre ad aver passato in Costa Smeralda gran parte della pandemia, l’imprenditore ha accumulato in Italia un piccolo impero immobiliare. Facendo anche incetta di onorificenze grazie alle sue opere di filantropia e mecenatismo. Il comune di Arzachena gli ha conferito la cittadinanza onoraria nel 2018, titolo che il sindaco non vuole ritirare nonostante le sanzioni. Nell’ottobre 2016, invece, la Presidenza della Repubblica (su proposta dell’allora governo Renzi) l’aveva insignito del titolo di Commendatore. Il motivo era il contributo di Usmanov per progetti di restauro di edifici dal valore storico.

Le ville di Alisher Usmanov e Dmitri Mazepin a Capo Capaccia, Romazzino, comune di Arzachena, Sassari, per particelle catastali
Le ville di Alisher Usmanov e Dmitri Mazepin a Capo Capaccia, Romazzino, comune di Arzachena (Sassari) per particelle catastali

A Romazzino, due dei quattro complessi congelati dalla Guardia di finanza di Sassari in risposta alle sanzioni europee, sono intestate a società italiane, la Delemar srl e la Punta Capaccia srl. Sono entrambe amministrate dal cipriota Serghides Demetrios, un avvocato conosciuto come l’uomo dell’oligarca sull’isola greca e che lì ha amministrato una delle società dell’energia di Usmanov, e Ruggero Tusacciu, il factotum di Usmanov in Costa Smeralda.

Tusacciu offre servizi di gestione di beni immobili turistici nonché servizi a tutto tondo come guardiania, bodyguard, affitto di veicoli e altro, con la società Sardegna Servizi per magnati come Usmanov. Appartiene sempre a Usmanov il trust delle Bermuda (Pauillac Property Ltd) che controlla il capitale delle tre società amministrate da Tusacciu. Lo stesso trust delle Bermuda, controlla una delle ville di Punta Capaccia – Le Mimose – attraverso una società omonima registrata nell’Isola di Man. Mentre il resto delle ville Usmanov a Romazzino sono intestate alla sorella Gulbakhor Ismailova, che l’oligarca ha usato come prestanome in più di un caso. Contattata da IrpiMedia, Sardegna Servizi non ha risposto a una richiesta di commento.

Un’altra sorella – Saodat Narzieva – dal 2013 è stata in diverse occasioni in vacanza in Costa Smeralda. Narzieva è una ginecologa con più di 30 anni di esperienza e secondo i dati di #SuisseSecrets, ha depositato negli anni circa 1,8 miliardi di franchi svizzeri in dieci conti correnti, di cui sette sono ancora attivi. Sui suoi profili social ha pubblicato diverse foto che la ritraggono in un giardino che si affaccia sul mare sardo, insieme alla sua famiglia. In alcune di queste si scorge all’orizzonte lo yacht Dilbar, l’enorme imbarcazione posseduta dal fratello Alisher.

Ricostruendo la posizione da cui sono state scattate le immagini, IrpiMedia è stata in grado di localizzare la villa. Si tratta di “Sa Pedra”, tra le più pregiate del golfo: il giardino dalle suggestioni giapponesi – con alberelli piegati dal vento e decorati come bonsai – arriva fino agli scogli tuffati nell’acqua color smeraldo.

Alisher Usmanov e le proprietà in Costa Smeralda

La villa è intestata a una fondazione del Liechtenstein, Villa Cento Anstalt. Due civici più in là, un’altra villa della galassia Usmanov: la villa Cormorano, intestata alla Klaret Properties Ltd, società cipriota di Usmanov. Sa Pedra e Cormorano guardano direttamente villa Sa Piantesa, dall’altra parte del golfo. Quest’ultima è una villa in ristrutturazione acquistata il 17 giugno 2020 proprio da Usmanov a suo nome, al prezzo dichiarato di 17 milioni di euro. Lo si evince dalla nota ipotecaria iscritta sul registro catastale dell’Agenzia delle Entrate l’8 marzo scorso, e che mette nero su bianco il congelamento avvenuto quattro giorni prima e notificato dalla Guardia di finanza in risposta alle sanzioni europee. Venerdì scorso, la GdF ha notificato anche il congelamento di Villa Cormorano e delle ville a Romazzino.

L’insenatura sulla quale si affacciano Sa Piantesa, Cormorano e Sa Pedra, ormeggio del Dilbar per buona parte dell’estate, si chiama Golfo Pevero ed è composta da due rade: Grande e Piccolo Pevero. Anche in questo golfo il valore commerciale a metro quadro per «ville e villini» è 14.500 euro, uno dei più alti della Costa Smeralda, ma ciò che Usmanov e altri oligarchi sono disposti a pagare per accaparrarsi ville qui è ben più alto dei prezzi di mercato. Infatti, quello che acquistano non sono solo mura e giardini in uno dei luoghi più esclusivi d’Italia, ma piuttosto la possibilità di costruirsi, villa dopo villa, un cortile privato dove “parcheggiare” yacht e incontrarsi con amici e familiari lontano da occhi indiscreti. «ll Pevero, si sa, è di Usmanov», riferiscono sottovoce le persone che hanno lavorato a vario titolo in queste ville.

Le ville di Alisher Usmanov a Piccolo Pevero, comune di Arzachena, Sassari, per particelle catastali
Le ville di Alisher Usmanov a Piccolo Pevero, comune di Arzachena, Sassari, per particelle catastali

Deripaska, l’oligarca senza sanzioni (europee)

Pochi chilometri più a nord, nella famosissima Porto Cervo, c’è la più prestigiosa delle tenute russe che IrpiMedia e OCCRP sono riusciti a tracciare. È Villa Walkirie, nota come «la villa di Putin» in zona: 600 metri quadri di villa, circondati da un terreno che occupa 40 mila metri quadri del promontorio. Per le quotazioni immobiliari ufficiali vale almeno 76 milioni di euro tra edifici e terreni. In questa zona di solito la rendita catastale non supera i settemila euro a metro quadro. In questo caso, Villa Walkirie vale 14.500 euro a metro quadro solo di rendita catastale. Quindi, si può immaginare un valore dell’intera proprietà di almeno il doppio rispetto alle quotazioni per il valore commerciale, ovvero anche 200 milioni di euro. D’altronde accanto alla villa c’è un eliporto, intestato a una anonima società di Vaduz (Liechtenstein) che possiede molti terreni a Porto Cervo.

A dispetto delle voci di paese, Villa Walkirie non è di Putin ma bensì di Oleg Deripaska. Uomo d’affari con interessi che vanno dalla finanza all’agricoltura, dall’estrazione mineraria alla metallurgia pesante, Deripaska è noto soprattutto come azionista di maggioranza del fondo En+, che controlla a sua volta il più grande produttore al mondo di alluminio: la Rusal.

L’ingresso di Villa Walkirie, Porto Cervo, comune di Arzachena, Sassari
L’ingresso di Villa Walkirie, Porto Cervo, comune di Arzachena, Sassari

Deripaska è considerato tra gli oligarchi più vicini a Vladimir Putin e tra gli uomini più ricchi della Russia. Nell’aprile 2018 è stato accusato dagli Stati Uniti di minacciare la vita di rivali in affari, intercettare illegalmente un funzionario governativo e prendere parte a estorsioni e racket e per questo è stato messo sotto sanzione, insieme alle sue aziende. Le sanzioni contro le aziende sono poi state sollevate, complice il timore per una potenziale crescita del prezzo dell’acciaio, ma sono rimaste quelle contro l’oligarca. A oggi l’Unione europea non ha sanzionato Deripaska, al contrario di Usa, Regno Unito, Canada e Australia.

L’8 febbraio 2021, Vladimir Ashurkov, direttore della Fondazione Anti-Corruzione guidata dall’oppositore politico russo Aleksey Navalny, ha raccomandato anche all’Ue di sanzionare i 35 individui considerati responsabili dell’avvelenamento e incarcerazione del nemico di Putin. Tra questi vi è Deripaska, considerato dalla Fondazione Navalny uno dei principali sostenitori della cleptocrazia di Putin e pericoloso proprio per la sua presenza in attività industriali chiave anche in Europa e Usa.

Le ville di Oleg Deripaska a Porto Cervo, comune di Arzachena, Sassari, per particelle catastali
Le ville di Oleg Deripaska a Porto Cervo, comune di Arzachena, Sassari, per particelle catastali
La definizione: Cleptocrazia

Cleptocrazia è un termine con cui si definiscono i Paesi governati da un’élite di uomini d’affari e politici che si è indebitamente appropriata di beni pubblici, lasciando il resto della popolazione in condizioni di maggiore povertà. Tra i rappresentanti di questa élite ci sono rapporti di reciproca dipendenza, che possono diventare anche molto conflittuali, come nel caso della Russia di Putin. Il termine è molto più comune in inglese, dove è correntemente utilizzato nella letteratura scientifica, piuttosto che in italiano.

Villa Walkirie è intestata a una società delle Isole Vergini Britanniche, la Starmark Holdings Ltd riconducibile a Oleg Deripaska poiché controllata da un’altra azienda cipriota, la Advante Management Corp. A sua volta questa società possiede le aziende proprietarie degli yacht dell’oligarca (tra cui lo Sputnik da 60 metri e il Clio da 72, entrambi registrati alle isole Cayman), dell’hotel cinque stelle Aurelio Lech in Austria, delle ville in Montenegro e del suo elicottero privato. Secondo le ricerche del consorzio #RussianAssetTracker, Deripaska ha anche una magione a Washington del valore di oltre 15 milioni di dollari, due proprietà a Manhattan per un totale di 54 milioni di dollari e altre due ville milionarie in Francia e tre in Inghilterra, nonché alcuni grossi progetti immobiliari in Lussemburgo.

Oleg Deripaska e le ville a Porto Cervo

Villa Walkirie guarda il golfo di Porto Cervo, dove la Starmark possiede novemila metri quadri di terreno con campo da tennis assieme ad un’altra società delle Isole Vergini: la Adinlor Enterprises Ltd. A quest’ultima sono intestate altre tre ville: una circondata da un grande parco con campo da calcio e percorso salute a cui se ne aggiungono altre due più piccole poco distanti. Tutte con una posizione strategica: la vista su Porto Cervo e la collina di Villa Walkirie. La villa, al civico quattro, non ha un nome scritto all’ingresso: solo due grandi sassi lavorati dalle intemperie nei secoli, a fare da cornice ad un cancello di legno dello stesso stile di quello delle ville di Usmanov a Romazzino. E, sulla rampa d’ingresso, una rosa dei venti fatta a mosaico in pietra. Sul retro invece, un ingresso pedonale con porticina in legno e codice elettronico.

A differenza delle altre ville, non si vedono telecamere puntate. C’è solo una piastrella che recita: «I signori cani sono pregati di far cacare i loro padroni da un’altra parte. Grazie».

A destra la tenuta della Adinlor Enterprises a Porto Cervo
A destra la tenuta della Adinlor Enterprises a Porto Cervo
Gli effetti delle sanzioni sui lavoratori di Portovesme

Anche nel Sulcis, tra le province più povere d’Italia secondo gli indicatori nazionali, si temono i riflessi del conflitto tra Russia e Ucraina. È nel profondo sud-est della Sardegna, a 220 chilometri dal ricchissimo nord-ovest della Costa Smeralda, che dal 2009 si consuma il dramma di Eurallumina, azienda di Portovesme acquistata nel 2006 dalla Rusal di Oleg Deripaska, che chiuderà i battenti solo pochi anni dopo. Oggi le sanzioni internazionali gettano un’ombra sulla delicatissima situazione dei 220 lavoratori che ancora curano la manutenzione dell’impianto fermo, le cui sorti sono appese a un progetto da 300 mila euro che ne garantirebbe la ripartenza e per il quale la Rusal è in attesa delle dovute autorizzazioni da parte della Regione.

Il “villaggio” di Mordashov

È vari chilometri più a sud, in una zona meno “ricca” della Costa Smeralda, che Alexey Mordashov ha costruito la più sorprendente di tutte le tenute russe in Sardegna, alla fine di un labirinto di stradine di un villaggio turistico degli anni Settanta. Si è preso un’intera punta di terra: il “piccolo” promontorio di Portisco, che guarda l’omonimo isolotto. Sono quasi 2.400 metri quadri di proprietà, per un valore di almeno 35 milioni di euro, costruiti a “basso impatto visivo”: il “villaggio” di Mordashov è quasi invisibile. Un mega villaggio turistico che si staglia alle spalle, al contrario, impatta malamente nel quadro naturalistico di Portisco.

Le case del “villaggio” di Mordashov hanno i tetti coperti d’erba. Sono costruite seguendo le curve delle colline, sfruttando al massimo la copertura naturale degli elementi. Tutt’attorno, un giardino decorato da sculture di acciaio corten (un materiale che sembra arrugginito ma che in realtà è molto di pregio), lo stesso delle cancellate d’ingresso alla tenuta. Le stesse a cui hanno bussato i finanzieri il 18 marzo, per comunicare che anche tutta questa proprietà era, da quel momento, congelata. D’altronde Mordashov, a differenza di Usmanov, Mazepin e Deripaska aveva registrato tutta la proprietà a suo nome.

La tenuta di Mordashov a Portisco, Olbia
La tenuta di Mordashov a Portisco (Olbia)

Considerato l’oligarca russo più facoltoso, Mordashov è il principale azionista e presidente di Severstal, un colosso siderurgico. Detiene inoltre partecipazioni importanti in Tui, tour operator con sede in Germania, in diverse società di estrazione mineraria e in Rossiya Bank, «la banca personale degli alti funzionari della Federazione russa», secondo le sanzioni Ue.

Costa troppo, paga poco

Se ci saranno nuove sanzioni contro la Russia le conseguenze per l’Italia «potrebbero essere irreversibili», ha tuonato negli scorsi giorni il direttore del primo dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo, Alexey Paramonov, ricordando gli accordi e la vicinanza che negli anni hanno caratterizzato i rapporti tra Mosca e Roma. Un tema sentito anche in Italia, dove il governo fatica a tenere in equilibrio il costo di carburanti ed energia, senza tuttavia potersi tirare indietro dalle sanzioni internazionali volute da Unione europea, Regno Unito e Stati Uniti. Così sembra quasi una soluzione perfetta quella di aggredire principalmente i beni di lusso degli oligarchi, tra cui quelli in Costa Smeralda.

Ma tra giardinieri, imprese edili e custodi, le sanzioni rischiano di indebolire più il modello economico della Costa Smeralda che quello degli oligarchi. «Per loro queste case sono poco più di un vezzo», spiega a IrpiMedia Mirko Idili, segretario generale della Cisl Gallura: «Il timore iniziale era che a pagare sarebbe stata solo una parte dei lavoratori che lavorano direttamente nelle ville – spiega Idili – ma man mano che passa il tempo la dimensione assume un perimetro molto più preoccupante». Un pessimo modo per festeggiare i sessant’anni della Costa Smeralda, che proprio a marzo del 1962 prendeva vita dall’intuizione imprenditoriale dell’allora venticinquenne imam degli ismailiti nizariti, Aga Khan.

Oggi, secondo i dati di Federalberghi, le perdite derivanti dall’assenza delle 220 mila presenze di russi previste per il 2022 in Sardegna ammonteranno a 40 milioni di euro, con ulteriori 40 milioni sui servizi strettamente connessi richiesti dai clienti come escursioni, auto, ristoranti e shopping, per citarne alcuni. Tuttavia, il comune di Arzachena assicura che il flusso di russi «è minore per numero assoluto di arrivi, intorno al 2% del totale, mentre il mercato principale in termini di presenze è quello tedesco, svizzero, francese e del nord Europa in generale», spiega a IrpiMedia l’ufficio stampa del comune gallurese.

Tra i problemi attualmente sul tavolo di crisi aperto dal sindaco di Arzachena, Roberto Ragnedda, che ha convocato i sindacati, Confartigianato e Federalberghi, c’è quello dello status dei lavoratori a fronte dei congelamenti. Le sanzioni disposte non sono come i sequestri, infatti gli oligarchi sono solo temporaneamente impossibilitati di fruire delle ville e dei loro conti. Questo implica che «molti dei lavoratori non sono stati licenziati, semplicemente gli è stato detto che dal mese prossimo non avrebbero saputo come pagarli», spiega ancora Idili. «Un oligarca come Usmanov, giusto per fare un esempio, lascia sul territorio non meno di 250 buste paga dirette», spiega Idili: «Di queste, 96 sono solo quelle del Dilbar, yacht di Usmanov».

«Ma che le ville siano degli oligarchi rischia di essere una semplificazione – aggiunge Idili -, dal momento che le ville sono gestite da società, e molti dipendenti non sanno nemmeno realmente chi ci sia dietro. Il loro compito è di tenere le case efficienti, per i loro molteplici ospiti, in modo estremamente riservato». Con tanto di clausola di riservatezza. Che siano stati proprio i dipendenti a mettere i nastri dei colori dell’Ucraina non è dato saperlo. Di certo ora non sono pagati per rimuoverli.

CREDITI

Autori

Cecilia Anesi
Raffaele Angius

In partnership con

The Guardian
OCCRP

Infografiche/Illustrazioni/Mappe

OCCRP
Lorenzo Bodrero
Lorenzo Dessì

Editing

Lorenzo Bagnoli

Foto di copertina

IrpiMedia

I professionisti della segretezza di Credit Suisse

#SuisseSecrets

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Lorenzo Bagnoli

L’invasione russa dell’Ucraina sembra aver fatto perdere alla Svizzera la sua tradizionale neutralità e sta mettendo in crisi lo stesso principio di assoluta protezione della privacy dei clienti ultraricchi. La Confederazione elvetica svolge due ruoli fondamentali nel grande gioco finanziario del capitalismo di Stato russo: da un lato è la piazza dove si scambia circa l’80% delle materie prime russe nel mercato internazionale (commodities trading); dall’altro è il luogo sia di residenza fisica, sia di conservazione del patrimonio di diversi oligarchi. Sul piano del mercato delle materie prime, il New York Times il 7 marzo sottolineava che, a quella data, Mosca ancora non era stata esclusa dalle piazze finanziarie svizzere dove si negozia il prezzo di grano, petrolio, metallo e altre materie prime (i legami tra Russia e Svizzera in questo settore risalgono addirittura agli anni Settanta). Sul piano della caccia ai patrimoni degli oligarchi, invece, la Svizzera si è allineata decisamente alle posizioni europee, adottando le medesime sanzioni.

Questa scelta ha avuto dei contraccolpi nel sistema di protezione dei clienti delle banche svizzere. Il 2 marzo il Financial Times ha rivelato che Credit Suisse, la banca al centro dell’inchiesta SuisseSecrets, ha chiesto persone fisiche, hedge fund o fiduciarie che lavorano con clienti dell’istituto di credito di distruggere i documenti che fanno riferimento a yacht, aerei privati e patrimoni immobiliari riconducibili a oligarchi russi sotto sanzione allo scopo di limitare la fuga di notizie. Il giorno seguente il membro del Consiglio degli Stati (la Camera del Parlamento svizzero) Carlo Sommaruga ha depositato un esposto per chiedere che il Ministero Pubblico della Confederazione, la procura generale svizzera, promuova delle indagini sul comportamento della banca.

La distruzione dei documenti è un tentativo di mantenere intatta la coltre di segretezza. Quest’ultima è un valore assoluto che Credit Suisse ha preservato anche in diverse aule di tribunale. A portarla di fronte ai giudici sono stati alcuni clienti super ricchi, proprio coloro che sono di solito protetti da questa segretezza speciale. Questo principio è stato usato per difendersi dalle accuse di frode mosse da clienti che dicono di non essere nemmeno a conoscenza degli investimenti che la banca faceva con i loro soldi. I ricorrenti sono magnati dell’area ex sovietica d’altri tempi, diventati ricchi e influenti quando Putin e il suo cerchio magico nemmeno erano al potere. I processi sono partiti dalla gestione di un ex manager prodigio, ma sono arrivati a contestare i meccanismi di controllo dell’istituto di credito.

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#SuisseSecrets, il progetto

Suisse Secrets è un progetto di giornalismo collaborativo basato sui dati forniti da una fonte anonima al giornale tedesco Süddeutsche Zeitung. I dati sono stati condivisi con OCCRP e altri 48 media di tutto il mondo. IrpiMedia e La Stampa sono i partner italiani del progetto. 

Centosessantatre giornalisti nei cinque continenti hanno rastrellato migliaia di dati bancari e intervistato decine di banchieri, legislatori, procuratori, esperti e accademici, e ottenuto centinaia di documenti giudiziari e finanziari. Il leak contiene più di 18mila conti bancari aperti dagli anni Quaranta fino all’ultima decade degli anni Duemila. In totale, lo scrigno è di oltre 88 miliardi di euro.

«Ritengo le leggi sul segreto bancario svizzero immorali – ha dichiarato la fonte ai giornalisti-. Il pretesto di proteggere la privacy finanziaria è semplicemente una foglia di fico che nasconde il vergognoso ruolo delle banche svizzere quali collaboratori degli evasori fiscali. Questa situazione facilita la corruzione e affama i Paesi in via di sviluppo che tanto dovrebbero ricevere i proventi delle tasse. Questi sono i Paesi che più hanno sofferto del ruolo di Robin Hood invertito della Svizzera».

Nel database di Suiss Secrets ci sono politici, faccendieri, trafficanti, funzionari pubblici accusati di aver sottratto denaro alle casse del loro Paese, uomini d’affari coinvolti in casi di corruzione, agenti di servizi segreti. Ci sono anche molti nomi sconosciuti alle cronache giudiziarie.

Fino a prima dell’invasione dell’Ucraina, i ricchi uomini d’affari russi o dell’area ex sovietica – a prescindere dal loro allineamento con il Cremlino – erano tra i clienti più contesi nelle guerre fiscali. Le banche per individuarli e gestire il loro patrimoni dispongono dei relationship manager, in gergo RM, gestori patrimoniali impiegati direttamente dalla banca che si occupano di consigliare il cliente. Per le banche che combattono le guerre fiscali sono la prima linea della fanteria, quella che per prima va incontro al nemico per conquistare e mantenere la collina più alta: il cliente più facoltoso. È la fanteria in cui si contano anche le perdite più ingenti: se qualcosa non va con il cliente, alla fine possono essere loro, e non la banca, a pagare con l’allontanamento dall’istituto. In Credit Suisse sono in tutto 3.700, divisi in diverse aree geografiche di interesse.

Tra i compiti dei relationship manager c’è mantenere la segretezza, soprattutto di qualche correntista. L’esistenza di clienti particolari è nota grazie a operazioni come quella che abbiamo raccontato della Guardia di finanza di Milano. Dopo Credit Suisse, a Milano sono state indagate altre banche svizzere, come Ubs e Pkb Privatbank. Nessun procedimento si è potuto concentrare sulla figura dei relationship manager che però sono uno degli ingranaggi del sistema attraverso il quale una banca come Credit Suisse incamerato patrimoni di origine criminale o illecita di SuisseSecrets.

La drammatica fine di una stella del mondo bancario svizzero

Tuttavia in Svizzera alcune indagini che riguardano i RM ci sono. La più clamorosa ha coinvolto Patrice Lescaudron, manager francese che lavorava con la sezione di Credit Suisse “Ultra High Net Worth” e procacciava clienti nell’area geografica dei Paesi ex Urss.

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I professionisti della segretezza di Credit Suisse

Il processo a Patrice Lescaudron, le sanzioni agli oligarchi russi, i procedimenti di vecchi clienti contro la banca. Come lavorano i custodi della riservatezza dei clienti più abbienti

Nel 2016 ha garantito all’istituto bancario 25 milioni di dollari di profitti. Nel febbraio 2018 si è dichiarato colpevole e conseguentemente è stato condannato dal tribunale di Ginevra a cinque anni di prigione per aver sottratto ai suoi clienti circa 150 milioni di dollari, reinvestiti attraverso operazioni mai autorizzate dai clienti in società e beni di lusso di cui era lui stesso il titolare effettivo. «Era considerato una star», ma «ha preso in giro i clienti e la banca», riporta la Reuters, citando il pronunciamento della sentenza. Per muovere il denaro, Lescaudron ha ammesso di aver distribuito bilanci e comunicazioni finanziarie con le firme falsificate dei suoi clienti. Durante il processo a Ginevra, il suo ex responsabile non ha saputo dare una spiegazione del perché nessuno in banca si sia accorto del comportamento dell’ex manager prodigio. Nel 2020 Lescaudron si è tolto la vita in carcere, poco dopo il suo 57esimo compleanno.

«Violate le norme di conformità»

La FINMA, L’Autorità federale svizzera di vigilanza sui mercati finanziari, tra il 2015 e il 2016 ha aperto due procedimenti contro Credit Suisse: il primo perché voleva chiarire la posizione della banca in alcuni importanti casi di presunta corruzione internazionale; il secondo incentrato su «un’importante relazione d’affari che la banca ha intrattenuto con una persona politicamente esposta», recitava il comunicato stampa del 2018. Il manager coinvolto era Lescaudron: anche se il nome non compare. Il comunicato si limita a identificare un «relationship manager» «che aveva un grande successo in termini di patrimonio in gestione» e che «ha violato le norme di conformità della banca ripetutamente e in modo documentato per un certo numero di anni.

Tuttavia, invece di disciplinare prontamente e proporzionalmente il manager dei clienti, la banca lo ha premiato con pagamenti elevati e valutazioni positive dei dipendenti. La supervisione del relationship manager era inadeguata a causa di questo status speciale». Emergeranno maggiori dettagli del report solo a seguito di una fuga di notizie di febbraio 2021, che ha sostanzialmente confermato come la banca non avesse preso le misure necessarie per interrompere le attività illecite di Lescaudron, che conosceva almeno dal 2011.

Questo caso è stato molto particolare nella storia degli scandali finanziari svizzeri. Come spiega l’ufficio stampa dell’autorità di vigilanza, «la FINMA non si esprime in merito ai singoli assoggettati o a eventuali accertamenti e procedimenti», a parte in casi eccezionali come appunto il caso Credit Suisse-Lescaudron. L’obiettivo della confidenzialità sta nel mandato della FINMA: mantenere una «situazione conforme», cioè dove tutti rispettano le regole. «La FINMA – spiega ancora l’ufficio stampa dell’autorità di vigilanza a IrpiMedia – esige che gli assoggettati gestiscano in modo adeguato i rischi, nello specifico sono tenuti a individuarli, valutarli e ridurli al minimo».

In generale i procedimenti della FINMA, spiega l’avvocato svizzero Paolo Bernasconi, sono molto temuti perché l’autorità può sospendere le licenze per operare nel mercato o all’estero, come accaduto nel caso di Ubs. Quando un’impresa commette un crimine o un delitto, invece, la multa massima prevista dal codice penale svizzero è di 5 milioni di franchi: un’inezia per un istituto di credito. La FINMA non ha potere di comminare multe, innescare procedimenti penali o arrestare, però può sporgere denuncia alla magistratura svizzera. I suoi «procedimenti di enforcement» vengono rispettati proprio per evitare sospensioni delle licenze di operare. I report sono molto dettagliati e le banche cercano sempre di impedire che vengano depositati a processo perché qualunque ente sotto la FINMA è obbligato a collaborare con l’autorità di vigilanza del mercato, che per questo ha accesso a un’enorme mole di prove. Con le procure invece non c’è alcuna collaborazione obbligatoria per lo stesso principio per cui un imputato a processo non è obbligato a dire la verità e accusarsi da solo.

Mentre il filone svizzero d’indagine su Lescaudron si è chiuso con l’ammissione di colpevolezza, quello sulle responsabilità della banca resta ancora aperto. Lescaudron può infatti essere stato un «caso isolato», come sostenuto dalla dirigenza della banca dell’epoca, oppure il sintomo di un problema più endemico, come ipotizzato da alcuni suoi clienti. Nel nostro ordinamento sarebbe proprio la banca a dover dimostrare che il caso non è ripetibile e che le procedure interne di controllo sono adeguate, in Svizzera invece resta un’ipotesi di alcuni clienti che il comportamento dei RM sia più endemico, e avallato dalla dirigenza dell’istituto.

Due ex clienti sono arrivati a chiedere per due volte, l’ultima alla Camera d’appello penale della Corte di giustizia di Ginevra, la ricusazione del magistrato che ha condotto le indagini su Lescaudron e Credit Suisse, Yves Bertossa. A loro parere in quattro anni non avrebbe investigato adeguatamente le responsabilità dell’istituto di credito. La Camera d’appello ha respinto la richiesta a luglio 2021, ma ha sottolineato la «riluttanza» del magistrato a istruire questo filone processuale e il fatto che «non si conoscono sviluppi significativi». Eppure Bertossa è uno dei magistrati che più si batte per velocizzare la giustizia svizzera nel contrasto alla criminalità economica e spesso è vittima di tentativi di ricusazione finalizzati solo a dilatare i tempi del processo, come lui stesso ha spiegato al sito d’informazione svizzero Naufraghi.

Tra le società scelte da Lescaudron per i suoi investimenti c’è stata anche la Meinl European Land Ltd, società di Jersey che ha improvvisamente perso valore nel 2007 e per questo era finita sotto indagine all’epoca. L’indagine a Jersey si è chiusa nel 2012 perché «non sono state trovate violazioni». Anche la doppia battaglia giudiziaria tra l’attuale compagine societaria, Atrium European Real Estate, e la banca che gestiva la società, Meinl, si è chiusa nel 2011 senza vincitori. Meinl è l’istituto di credito coinvolto nella vicenda dell’Aeroporto di Parma di cui IrpiMedia ha scritto nel novembre 2011.

Per approfondire

La strana storia dell’aeroporto di Parma

Il rilancio si basa su previsioni economiche di documenti fantasma dagli scenari improbabili. La vicenda dell’ex azionista di maggioranza, la banca austriaca Meinl, accusata di riciclaggio e con licenza bancaria sospesa. In gioco 12 milioni pubblici

Ivanishvili v. Credit Suisse

Bidzina Ivanishvili è stato primo ministro della Georgia tra il 2012 e il 2013 ed è il fondatore del partito di governo Sogno georgiano. Nel 2021 ha dichiarato di aver completamente lasciato la politica attiva. Il suo nome così come quello di alcuni suoi familiari compare più volte nei file di SuisseSecrets con conti aperti tra il 2004 e il 2013. Alcuni di questi sono ancora attivi ma sono oggetto di un contenzioso con la banca.

Storicamente, Ivanishvili è diventato un imprenditore nella prima Russia post-comunista. Ogni suo legame con la Russia si è però interrotto definitivamente nel 2012 (il processo di allontanamento è cominciato già nel 2004) e non ha alcuna forma di appartenenza al gruppo di oligarchi oggi sotto sanzione.

La sua fortuna nasce in Russia nel settore metallurgico e bancario, negli anni dopo la caduta del Muro di Berlino. È stato legato all’ex presidente russo Boris Eltsin, di cui ha dichiarato di aver sostenuto la campagna elettorale nel 1996 e in questo senso apparteneva all’elite del potere politico-economico della Russia allargata post-comunista. Bloomberg stima il suo patrimonio in 6 miliardi di dollari, più del Pil del suo intero Paese. Quando Lescaudron lo ha portato in Credit Suisse, l’ex relationship manager ha iniziato la sua incredibile carriera. Nel 2017, però, Ivanishvili ha cominciato una sua battaglia per recuperare il denaro che Lescaudron gli ha sottratto: circa 400 milioni di dollari.

Il rifiuto del 2004 alle autorità russe

Mikhail Khodorkovsky è stato il primo degli oligarchi contrari a Vladimir Putin ha costruire un legame storico con la Svizzera. Negli anni della perestrojka, la politica economica di Mikhail Gorbachev che ha accompagnato l’Unione sovietica nel capitalismo tra la seconda metà degli anni Ottanta e la fine dell’Urss, è diventato uno degli imprenditori più ricchi del Paese ed è stato tra i principali sostenitori di Boris Eltsin. È in quegli anni che diventa il numero uno della Yukos, la principale società petrolifera russa della prima fase post-comunista. Quando Vladimir Putin è diventato presidente della Russia, nel 1999, i suoi rapporti con il Cremlino si sono velocemente deteriorati dal momento in cui Khodorkovsky ha rifiutato l’offerta di “pace” in cambio di una sua uscita di scena dalla politica russa.

Nel 2003 è stato accusato di evasione fiscale e frode, due capi d’imputazione usati in seguito contro altri oligarchi usciti dal circolo del potere del Cremlino. Dopo una prima condanna nel 2005, alla lista dei reati di Yukos sono stati aggiunti appropriazione indebita e riciclaggio. Alla fine l’oligarca-oppositore è stato rilasciato nel 2013. Le autorità russe fin dal 2004 hanno chiesto assistenza alla loro controparte svizzera perché è nella Confederazione elvetica che Khodorkovsky e Yukos avevano le proprie casseforti. Dopo un’iniziale sequestro di 6 miliardi di franchi nel 2004, il Tribunale federale svizzero, facendo leva su decisioni simili del Consiglio d’Europa, ha bollato come «politica» la decisione delle autorità giudiziarie russe nei confronti di Khodorkovsky e si è rifiutato di collaborare con Mosca.

Lo scontro tra Ivanishvili e Credit Suisse si sviluppa su due fronti fondamentali: Singapore e Bermuda. Consigliato da Credit Suisse, l’uomo d’affari georgiano a Singapore aveva costruito un trust amministrato dalla stessa banca, mentre alle Bermuda aveva sottoscritto una polizza-mantello di Credit Suisse Life (Bermuda) Ltd, lo stesso strumento finanziario mascherato da polizza assicurativa scovato a Milano nel 2013. A Singapore la sentenza è attesa per la fine del 2022, mentre alle Bermuda ci sono già state due sentenze e una terza, conclusiva, è attesa. Le prime sono entrate nel merito di quali documenti dovessero essere prodotti da Credit Suisse Life (Bermuda) Ltd a giustificazione delle perdite subite da Ivanishvili e dalla sua famiglia, mentre la terza si pronuncerà sull’eventuale responsabilità della società delle Bermuda di Credit Suisse.

Tra le operazioni più spericolate di Lescaudron c’è stato l’acquisizione con trust e veicoli riconducibili a Ivanishvili di circa il 20% delle quote societarie di una piccola società biotech da poco quotata in borsa dove, secondo il Wall Street Journal, aveva delle azioni lui stesso. Ivanishvili ha sostenuto di aver seguito le indicazioni degli esperti della gestione patrimoniale, senza sapere nulla dell’enorme rischio a cui lo stava esponendo Lescaudron attraverso quella rete di partecipazioni via società offshore, di cui dice di essere sempre stato all’oscuro.

Tra il crollo della biotech e altre speculazioni per spese personali, il conto finale pagato da Ivanishvili sarà di 400 milioni di dollari sui 755 depositati in Credit Suisse, secondo quanto risulta dai documenti giudiziari delle Bermuda. «Quello che so è che Credit Suisse ha perso i miei soldi», ha detto l’ex primo ministro georgiano all’avvocato della banca durante un’udienza dell’ultimo filone processuale tenutasi alle Bermuda, a metà novembre 2021. «Avevo dato i soldi a Credit Suisse e non ho mai saputo [altro]», ha aggiunto. «Cosa avrebbe dovuto fare Credit Suisse?», si è chiesto invece l’avvocato di Credit Suisse Life alle Bermuda, Stephen Moverley Smith. La piccola società di biotech era un investimento incerto: «Una speculazione su un titolo farmaceutico rischioso, ecco cosa fanno gli oligarchi con i soldi che avanzano», è stata la considerazione dell’avvocato.

Nelle sentenze di febbraio 2020 e settembre 2021 la Corte Suprema delle Bermuda ha stabilito che Credit Suisse Life (Bermuda) Ltd è costretta a produrre il materiale richiesto dalla controparte per capire se la responsabilità delle perdite economiche sono del cliente o della società. «CS Life non si è fatta carico né ha commissionato alcuna indagine in merito alle transazioni fraudolente che poi potesse diventare materiale mostrabile», ha testimoniato un ex dipendente, citato nella sentenza del 2021. Più avanti: «La ragione per cui non ci sono documenti di questa categoria che si possono produrre è che questo materiale è confidenziale». Talmente confidenziale che non è nemmeno in possesso alle Bermuda ma solo alla sede di Zurigo.

La prassi del segreto bancario impedisce all’ufficio centrale di consegnare documenti di un cliente. La difesa le chiama «considerazioni di riservatezza» che «impediscono alla Banca di fornire il rapporto FINMA a Credit Suisse Life (Bermuda) Ltd». Non solo: visto che i contenuti del rapporto sono stati resi noti da una fuga di notizie, Credit Suisse ha fatto appello all’Alta corte inglese che le ha concesso un’ingiunzione per impedire che la famiglia Ivanishvili possa fare «uso» del rapporto. Questo complica ulteriormente la gestione del dossier.

Da sempre nella storia dei processi alle banche svizzere gli istituti di credito fanno resistenza all’acquisizione di documenti del genere: «Il proceduralista accorto fa spesso valere l’argomento che un rapporto del genere non è utilizzabile come prova in sede penale perché è stato acquisito con altre regole», spiega l’avvocato svizzero Paolo Bernasconi. In pratica, mentre la FINMA è un organismo con il quale la banca è obbligata a collaborare non vale lo stesso con una procura. Il discorso però non vale per i processi civili, come nel caso delle Bermuda.

Il costo della segretezza

La riservatezza è uno dei beni più preziosi storicamente del sistema bancario svizzero e i clienti che hanno un conto “segreto” sono ritenuti «speciali». Sono quelli con cui si fanno i maggiori margini di profitto, come quelli che Leuscardon faceva con i clienti dell’area ex sovietica: il costo dei servizi è fino al 70% più elevato di quello standard di altre banche.

Una giornalista del consorzio SuisseSecrets, per capire come funziona questo mercato, si è finta una ricca investitrice interessata. «Pochi, anche all’interno della banca, potranno accedere alle informazioni relative al suo conto», le ha assicurato un manager in una conversazione. Ci sono diverse alternative per una gestione sicura e riservata che vanno dai conti cifrati, cioè anonimi, fino alle polizze-mantello e ai trust. Tra gli schemi proposti, c’era anche la costituzione di una società il cui socio unico sarebbe stato un prestanome fornito da Credit Suisse. Questo sarebbe apparso come il proprietario formale di yacht, beni immobili e aeroplani, e il patrimonio che finisce sotto la lente degli investigatori o sotto sanzione sarebbe stato amministrato da un trust gestito dalla stessa Credit Suisse.

Tra gli schemi proposti da Credit Suisse c’era anche la costituzione di una società il cui socio unico sarebbe stato un prestanome fornito da Credit Suisse

Finora i clienti dalla Svizzera che hanno scelto questa opzione si sono sempre dovuti appoggiare a trust stranieri (come quello a Singapore di Bidzina Ivanishvili) ma a gennaio 2022 il Parlamento ha incaricato il Consiglio federale di creare le basi legislative per avere istituti del genere anche nella Confederazione. Si tratta di uno dei modi per continuare a essere competitivi nel mercato finanziario globale, a seguito dell’introduzione della comunicazione automatica imposta dal sistema di scambio di informazioni bancarie Crs. In pratica, è un modo per cercare di restare una potenza nello scenario delle guerre fiscali: il segreto bancario è di casa anche a Singapore, i Paesi Bassi sono anche più in alto nella classifica del Tax Justice Network dei Paesi con maggiore opacità fiscale, ma la Svizzera in questi anni ha subito più attacchi.

L’opzione per un deposito bancario cifrato, del tutto anonimo, è stata proposta alla potenziale cliente al costo di 2.250 dollari all’anno. In una comunicazione via mail con la futura potenziale cliente, il vice presidente della sede di Zurigo che si occupa dei mercati emergenti ha tuttavia precisato che «i conti cifrati sono in realtà un servizio che stiamo gradualmente eliminando, dato che il livello di protezione offerto è diminuito molto negli anni».

Per un’investitrice dall’Africa, però, resta ancora un’opzione: la Nigeria ha aderito al Crs solo nel 2020, il Ghana dal 2019, le isole Mauritius dal 2018 e il Sudafrica all’inizio, nel 2017. Gli altri Paesi sono fuori dal sistema di scambio automatico di informazioni bancarie.

Secondo quanto risulta a SuisseSecrets, in un sondaggio interno a Credit Suisse 50 mila dipendenti hanno identificato «un’urgente necessità di un ambiente che aiuti le persone che si occupano di rischio e conformità fiscale a parlare». Il segreto assoluto, forse, non è più un valore così indiscutibile, nemmeno all’interno della sua cattedrale.

CORREZIONE: L’articolo è stato modificato il 12 marzo per eliminare ogni connessione tra Bidzina Ivanishvili e il Cremlino. 

CREDITI

Autori

Lorenzo Bagnoli

Editing

Giulio Rubino

Foto di copertina