Passaporti d’oro, l’Europarlamento chiede che la Commissione li metta al bando

16 Marzo 2022 | di Tiziano Ferri

«Il Parlamento europeo ritiene che la cittadinanza dell’Unione non sia una merce che può essere commercializzata o venduta». Mercoledì 9 marzo l’aula di Strasburgo ha approvato una relazione d’iniziativa legislativa che chiede alla Commissione di normare l’abolizione dei cosiddetti “passaporti d’oro” e la regolamentazione dei “visti d’oro”. Con 595 voti favorevoli, 12 contrari e 74 astensioni, l’assise europea ha promosso la messa al bando dei programmi di “cittadinanza in cambio di investimenti” (Cbi, Citizenship by investment) entro il 2025, e ha posto vincoli più stringenti per i programmi di “soggiorno in cambio di investimenti” (Rbi, Residence by investment). Era da tempo che a Strasburgo si discuteva di come affrontare il tema della vendita di visti e passaporti europei. La guerra in Ucraina ha accelerato l’iter per cercare di raggiungere l’obiettivo in tempi più stretti. Lo scopo ultimo della misura, così some proposta nella risoluzione del 9 marzo, è anche colpire gli oligarchi russi, tra i principali “compratori” di residenze e cittadinanze europee.

Secondo il testo licenziato illustrato dalla relatrice, l’olandese Sophia in‘t Veld (Renew Europe), la concessione della cittadinanza in cambio di pagamenti «mina l’essenza della cittadinanza dell’Unione europea». L’eurodeputata ha affermato che «questi programmi servono solo a fornire una porta sul retro dell’Ue per personaggi loschi che non possono entrare alla luce del giorno. È ora di chiudere quella porta, in modo che gli oligarchi russi e altre persone con soldi sporchi stiano fuori». Affinché la proposta diventi una misura operativa, bisogna attendere che la Commissione elabori una sua proposta legislativa, stimolata dall’Europarlamento, ed eventualmente valutare in che misura accoglierà i suggerimenti di Strasburgo.

Cos’è una relazione d’iniziativa legislativa

A differenza dei parlamenti nazionali, il Parlamento europeo non gode del diritto d’iniziativa legislativa, che spetta a Commissione e Consiglio. A partire dal Trattato di Maastricht (1993) è prevista la “relazione d’iniziativa legislativa”, che attribuisce al Parlamento europeo un diritto d’iniziativa legislativa indiretto. Tale strumento deve contenere una proposta legislativa da sottoporre alla Commissione, e il testo deve essere approvato con la maggioranza assoluta dell’Aula. La Commissione ha tre mesi di tempo per accogliere la proposta e legiferare di conseguenza, oppure comunicare le motivazioni dell’eventuale rifiuto. A partire dall’attuale legislatura (2019-2024) la Commissione, in linea con l’impegno preso dalla presidente von der Leyen di rispondere sempre con un atto legislativo alle richieste del Parlamento, ha quasi sempre tradotto le richieste in una proposta legislativa.

Russi e cinesi i maggiori acquirenti

Più del 45% delle cittadinanze concesse con procedimenti Cbi da Cipro e Malta riguarda facoltosi russi (seguono cinesi e mediorientali, entrambi con il 15% delle cittadinanze concesse). Tra le Rbi accolte primeggiano invece gli investitori cinesi con oltre il 55% delle residenze concesse, con il picco dell’Irlanda che tra il 2012 e il 2019 ne ha concesse più del 90% a cittadini di nazionalità cinese. Da notare l’eccezione baltica: mentre ai cittadini di origine russa è intestato circa il 20% dei programmi per investimenti Rbi rilasciati dai paesi Ue, in Lettonia tali concessioni per i cittadini russi si aggirano sul 75%. Adesso per tutti i russi il Parlamento Ue chiede la revoca dei diritti di cittadinanza e soggiorno concessi in base a tali programmi.

Cittadinanza vendesi

Gli introiti generati dai programmi di “cittadinanza per investimenti” di Cipro e Malta e le domande approvate

La stretta sulla «vendita della cittadinanza» non colpirà solo i cittadini russi. L’assemblea europea non solo accoglie con favore le procedure d’infrazione che la Commissione ha già avviato per i programmi Cbi di Cipro e Malta, ma la esorta ad avviarne di nuove, se necessario, nei confronti di Paesi membri in relazione ai programmi Rbi. Attualmente adottano sistemi di “soggiorno in cambio di investimenti” Bulgaria, Cipro, Estonia, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna. Opzioni di investimento, procedure e controlli variano da Paese a Paese, con esborsi minimi che vanno da 60.000 euro della Lettonia a 1.250.000 euro dei Paesi Bassi.

Tassare il reddito da passaporti d’oro

Su più di 132 mila persone di Paesi terzi beneficiarie dei programmi di cittadinanza e soggiorno in cambio di investimenti nel periodo 2011-2019 (per un totale di oltre 21 miliardi di euro di versamenti), circa 9 mila nuovi cittadini hanno fruttato ai Paesi concedenti 7,5 miliardi di euro. Un «fenomeno di parassitismo», lo definisce la risoluzione, che espone stati membri e Unione a corruzione, riciclaggio, elusione fiscale, squilibri macroeconomici, pressione sul settore immobiliare. Da qui la proposta di istituire un contributo al bilancio Ue tramite il prelievo di «una percentuale significativa» sugli investimenti effettuati negli stati membri beneficiari dei programmi Cbi e Rbi.

Miliardi di incassi a cui rinunciare

Una brutta notizia per i piccoli Paesi che puntano molto su questi strumenti per sostenere il loro bilancio. In base a uno studio dello European parliamentary research service (Eprs), i programmi Cbi a Cipro hanno generato 6,3 miliardi di euro, a Malta 1,2 miliardi di euro, mentre il maggior beneficiario per programmi Rbi risulta il Portogallo che ha ottenuto 5 miliardi di euro.

Anche Paesi candidati a entrare nella Ue offrono percorsi di Cbi (Macedonia del Nord, Montenegro e Turchia) e Rbi (Albania, Montenegro e Serbia). Tra questi il Montenegro risulta il Paese con un investimento più contenuto (100 mila euro) per il programma Rbi; chi desidera acquisirne la cittadinanza (che a breve potrebbe significare cittadinanza Ue), con una spesa di 800 mila euro può ottenerla entro 3 mesi, senza necessità di recarsi nel Paese balcanico.

Soggiorno vendesi

Gli introiti ottenuti dai programmi di “soggiorno per investimenti” di Portogallo, Spagna, Ungheria, Grecia, Lettonia, Irlanda e Bulgaria e le relative domande approvate

Esistono anche Paesi extra europei, con esenzione del visto d’ingresso in area Schengen, che adottano sistemi di “cittadinanza per investimenti”: Antigua e Barbuda, Dominica, Grenada, Saint Kitts and Nevis, Saint Lucia, Vanuatu. Possiedono una caratteristica in comune: sono tutti paradisi fiscali. Per fare un esempio, con un investimento minimo di circa 120 mila euro, in meno di due mesi è possibile acquisire la cittadinanza di Vanuatu senza neppure metterci piede, status che dà accesso senza visto all’area Schengen.

Un nuovo regolamento per i golden visa

Pertanto, tra le proposte inviate alla Commissione per legiferare in materia, il Parlamento ha chiesto di inserire come criterio di adesione alla Ue, per i Paesi candidati e potenziali candidati, l’eliminazione di programmi Cbi e la regolamentazione dei programmi Rbi. Quanto ai Paesi terzi extra europei, i cui cittadini entrano nell’Unione senza visto, la richiesta è che siano portati ad allineare i propri programmi Rbi al nuovo regolamento europeo in via di definizione.

Nelle intenzioni dell’Europarlamento le linee guida per il regolamento di Rbi includono rigorosi controlli sui precedenti dei richiedenti (familiari e origine dei fondi inclusi); la verifica incrociata delle banche dati nazionali, Ue e internazionali per controllare principalmente fedina penale e origine degli investimenti; l’obbligo per ciascuno Stato di notificare ogni domanda al vaglio attraverso un sistema che consenta ad altri Stati membri di presentare obiezioni; l’introduzione di requisiti minimi di residenza effettiva da parte dei richiedenti, nonché il loro coinvolgimento attivo per qualità, valore aggiunto e contributo all’economia del Paese. Previsto il divieto delle “domande congiunte”, in virtù delle quali un richiedente principale e i familiari possono far parte della stessa domanda.

Intermediari da vagliare

Le autorità pubbliche che trattano le domande di cittadinanza e residenza dovranno adeguarsi alla normativa internazionale in materia di antiriciclaggio. Una maggioranza significativa degli investimenti richiesti dovrebbe consistere in investimenti produttivi nell’economia reale, in linea con i settori prioritari legati alla green economy e all’economia digitale. Gli investimenti in beni immobili, fondi di investimento, titoli di stato o pagamenti versati direttamente al bilancio dello stato dovrebbero limitarsi a una minima parte dell’importo investito.

Considerato che gli intermediari privati che facilitano le procedure d’acquisto di cittadinanze e residenze hanno dimostrato di non operare sempre in modo trasparente, il Parlamento europeo chiede il divieto della loro partecipazione ai programmi Cbi. Richiede inoltre una regolamentazione sul loro ruolo nei programmi Rbi, con sanzioni previste in caso di violazione delle regole. I nuovi requisiti implicano una specifica licenza per gli intermediari rilasciata dall’Ue, il divieto in tutta l’Unione di pratiche di commercializzazione per i programmi Rbi che li leghino a benefici connessi ai trattati europei, l’impossibilità per gli intermediari di attuare interi programmi per conto degli Stati, ma solo agire nelle specifiche domande e solo previo contatto da parte dei singoli richiedenti.

Sebbene sia da sottolineare il rinnovato sforzo del Parlamento Ue per ridurre l’acquisto della cittadinanza o della residenza in cambio di investimenti, la strada da percorrere prima dell’effettiva interruzione del sistema di vendita dei passaporti è ancora molto lunga. Sarà infatti molto difficile rimettere del tutto in discussione diritti già acquisiti e programmi già in corso ed è lecito attendersi dai Paesi maggiormente implicati una certa riluttanza nell’adeguarsi alla nuova normativa.

Foto: piosi/Shutterstock
Infografiche: Lorenzo Bodrero
Editing: Lorenzo Bagnoli

Il boom dei visti d’oro italiani

13 Maggio 2021 | di Matteo Civillini

Èboom di richieste per il visto d’oro italiano, il lasciapassare che permette ai paperoni del mondo di stabilire la residenza nella Penisola in cambio di lauti investimenti. I dati ottenuti da IrpiMedia mostrano come dall’inizio del 2021 le candidature per l’”Investor Visa” abbiano già raggiunto lo stesso numero registrato nei primi due anni e mezzo di vita del programma. Un incremento di interesse vertiginoso, diretta conseguenza della radicale trasformazione del visto promossa dal governo Conte II. A far gola agli investitori sono stati il dimezzamento delle somme necessarie per investimenti in società di capitali e, soprattutto, l’abolizione dell’obbligo di permanenza fisica in Italia. Una modifica, quest’ultima, che a detta degli esperti ha tramutato l’Investor Visa italiano in un vero e proprio visto d’oro, cosiddetti “golden visa”.

«Quello della libertà di spostarsi tra diversi Paesi è un aspetto fondamentale per i cosiddetti high net worth individuals (cioè persone che dispongono di alti redditi, ndr)», spiegava già lo scorso gennaio a IrpiMedia l’avvocato Marco Bersani, a capo di uno studio specializzato in diritto di immigrazione per investitori esteri. «Questa novità – prosegue Bersani – ha reso l’Investor Visa molto competitivo rispetto agli altri Paesi europei».

Oggi i numeri lo confermano: dalla nascita del programma (gennaio 2018) a metà aprile 2021 le domande pervenute al Ministero dello Sviluppo Economico – il dicastero di competenza – sono state 40. Più della metà (23) sono arrivate in seguito alle modifiche apportate dal governo Conte II durante la pandemia per rendere il visto più appetibile. Il 75% delle candidature su cui si è già espresso il Comitato interministeriale ha portato al rilascio del nulla osta con cui, entro sei mesi, l’investitore può richiedere il visto d’ingresso in Italia. Otto domande erano ancora in corso di valutazione al momento dell’invio dei dati da parte del Mise a IrpiMedia.

Come è cambiato il golden visa italiano

Creato dal governo Renzi con la legge di bilancio 2017, l’Investor Visa prevedeva nella sua forma originale la scelta tra quattro tipologie di investimento: due milioni di euro in titoli di Stato, un milione di euro in azioni in società di capitali, 500mila in quote di startup innovative o un milione di euro in donazioni filantropiche.

Dopo lo scarso successo iniziale, il governo ha approfittato della crisi economica legata all’emergenza Covid-19 per trasformare il programma. La prima novità, introdotta nel luglio 2020 con il Decreto Rilancio, è stato il dimezzamento delle somme necessarie per gli investimenti in società di capitali e startup (500mila e 250mila euro rispettivamente). La seconda modifica, invece, è stata apportata a settembre nel Dl Semplificazioni e riguarda l’abolizione dell’obbligo di permanenza fisica in Italia per tutta la durata del visto.

L’investimento in SpA si conferma l’opzione preferita di chi ottiene il pass privilegiato per la residenza in Italia. Quindici domande andate a buon fine riportano l’indicazione del versamento di almeno 500mila euro in società di capitali. I beneficiari dei restanti visti hanno invece barrato le caselle dell’ investimento in startup (4 casi) o dell’acquisto di titoli di Stato (4 casi). Nessuno ha optato per le donazioni filantropiche.

Eni e Unicredit tra i beneficiari degli investimenti

Da quando è partito il nuovo corso del “golden visa” italiano sono però solo due le aziende che hanno effettivamente beneficiato degli investimenti. Si tratta di Eni e Unicredit, due colossi strategici nello scacchiere dell’industria italiana. Entrambe hanno incassato dagli investitori almeno mezzo milione di euro dando così il via libera al rilascio dei visti. Come avevamo già scritto nella precedente inchiesta, le altre due aziende beneficiarie del programma prima del giugno 2020 sono state Prysmian, leader mondiale nell’industria dei cavi per la trasmissione di energia, e l’azienda alimentare Valsoia.

Il faro del Copasir sugli investimenti stranieri in asset strategici

Sull’acquisizione da parte di investitori stranieri di quote rilevanti di asset strategici nazionali ha puntato i fari anche il Copasir, l’organismo di vigilanza del Parlamento sui servizi segreti. In particolare, in una relazione del novembre scorso il Comitato ha analizzato i possibili rischi derivanti dal crescente ingresso di capitali esteri nell’azionariato di “campioni nazionali” del settore finanziario come Unicredit e Generali.

«Le influenze e gli interessi che grandi imprese ed altri soggetti possono proiettare sulle dinamiche economico-finanziarie interne rappresentano un fattore potenzialmente rischioso – scriveva il Copasir – non solo in relazione a ricadute sul versante sociale, industriale e occupazionale, ma anche con possibili minacce agli interessi nazionali».

Il Comitato evidenziava come il passaggio del controllo di istituti di credito in mani straniere potrebbe comportare uno scollamento con il territorio italiano, con un più difficile accesso al credito per le piccole e medie imprese e un reimpiego delle risorse raccolte in Italia fuori dai confini nazionali.

Nello specifico il Copasir aveva acceso i riflettori su Unicredit definendo «preoccupanti» le voci dei mesi precedenti circa la possibile fusione con l’istituto tedesco Commerzbank o le banche francesi Crédit Agricole e Societé Générale. Operazioni successivamente accantonate con il riassetto del management di Unicredit e il passaggio di consegne tra l’ex Ad francese Jean Pierre Mustier e il nuovo numero uno Andrea Orcel.

I nomi delle altre società indicate dagli investitori nella loro candidature non sono stati resi noti, perché, ad oggi, il versamento dell’ammontare non è ancora avvenuto. L’obbligo di perfezionare l’investimento promesso nella domanda scatta, infatti, solo al termine dell’iter burocratico. Fino a sei mesi possono passare tra il rilascio del nulla osta da parte del Mise e la formale richiesta del visto da parte dell’investitore. Dopo l’ingresso in Italia il detentore del “golden visa” ha a disposizione altri tre mesi per inviare la documentazione comprovante l’investimento. Un arco temporale lungo che, complici anche le restrizioni dettate dalla pandemia, ha portato pochi beneficiari del programma a completare il proprio investimento.

Tra i nulla osta concessi da giugno 2020 a oggi, in soli due casi i detentori hanno perfezionamento l’investimento (in Eni e Unicredit, appunto). Un ulteriore versamento sarebbe stato effettuato, ma è ancora in corso di valutazione da parte del Ministero. Due beneficiari hanno fatto trascorrere i sei mesi di validità del documento senza richiedere il visto e, quindi, investire la cifra promessa. Negli altri casi i possessori del nulla osta sono ancora dentro i tempi tecnici per completare la procedura, sebbene ad oggi non l’abbiano fatto.

Dal punto di vista geografico, la Russia guida la classifica delle nazioni di provenienza dei richiedenti con nove candidature. A seguire troviamo Stati Uniti (con sei) e Canada (con cinque) – quasi tutte pervenute nell’ultimo anno – davanti a Cina, Siria e Israele. I dati forniti dal Ministero non permettono di identificare da quale Paesi provengono gli investitori che hanno effettivamente ottenuto il visto.

La rapida impennata di richiedenti del visto italiano per investitori potrebbe portare un ulteriore attenzione sui rischi che da sempre accompagnano questi programmi. A livello mondiale, infatti, i golden visa godono di una reputazione sempre peggiore. Sia per la creazione di corsie preferenziali, dove pagando ci si può assicurare un bene – come residenza o cittadinanza – precluso ai più, sia per l’infiltrazione di investitori pregiudicati nelle liste di chi fa domanda di visto allo scopo di ricostruirsi un’identità. A finire nel mirino sono stati innanzitutto i “passaporti d’oro” di Malta e Cipro che, a differenza di sistemi come quello italiano, concedono una cittadinanza a tutti gli effetti in cambio di investimenti. Nell’ottobre 2020 l’Unione Europea ha aperto una procedura d’infrazione nei confronti dei programmi dei due Paesi del Mediterraneo in quanto avrebbero concesso passaporti «in assenza di un vero legame» dei beneficiari con il Paese stesso. Il mese successivo, Cipro ha chiuso il programma mentre Malta promette di andare avanti senza cambiare una virgola.

Infografiche: Lorenzo Bodrero | Foto: Daniel Sharp/Unsplash | Editing: Luca Rinaldi

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