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Recovery Fund: il muro di gomma sui negoziati europei
#RecoveryFiles
La questione della trasparenza sul PNRR Europeo, già affrontata dal progetto RecoveryFiles nella precedente inchiesta sulla mancata partecipazione dei Parlamenti europei alla stesura dei Recovery Plan, resta un nodo irrisolto nella gestione del piano post pandemia e nella politica europea in generale. Nonostante infatti decine di richieste di accesso agli atti (FOIA, Freedom Of Information Act) fatte dai giornalisti di Recovery Files sia alla Commissione europea che ai governi degli Stati membri, la maggior parte della documentazione riguardo i negoziati che hanno portato ai piani attuali resta segreta.
Lo strumento della richiesta di accesso agli atti, per i giornalisti come per tutti i cittadini, su carta è una garanzia di trasparenza estremamente potente. Sono infatti poche e molto ben delimitate le circostanze che permettono alle istituzioni europee, e quasi ovunque nel continente anche a quelle nazionali, di rifiutare l’accesso a qualsiasi tipo di documentazione pubblica, inclusi i verbali delle riunioni, la corrispondenza fra funzionari pubblici, i budget e le spese effettuate.
Eppure, dopo mesi di tentativi da parte dei giornalisti del progetto Recovery Files, un’inchiesta collaborativa fra testate europee coordinata dal magazine online olandese Follow The Money, bisogna constatare che tale strumento è nella pratica molto meno efficace di come appaia nel diritto, e che permane una notevole ritrosia a livello europeo nel rendere davvero trasparente il processo di spartizione della più grande torta mai messa sul piatto dell’Unione europea.
Questo atteggiamento di chiusura, oltre a danneggiare direttamente il diritto all’informazione dei cittadini, finisce per dare molti argomenti in mano ai detrattori del Recovery Fund in generale: la legittima preoccupazione per il corretto uso di questi fondi viene sempre di più associata ad una posizione di contrarietà al progetto stesso, mentre il dibattito fra coloro che supportano l’iniziativa del PNRR è messo a tacere dall’alto in nome di una realpolitik che pretende di poter agire senza supervisione pubblica.
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L'inchiesta
Questa è la seconda uscita di Recovery Files, un progetto di ricerca paneuropeo che indagherà le spese dei fondi di ripresa e resilienza nei mesi a venire. Il progetto è coordinato da Follow the Money, piattaforma di giornalismo olandese.
Il progetto d’inchiesta è importante non solo in termini di quantità di investimenti pubblici – circa 725 miliardi di euro- ma anche per il preoccupante mancato coinvolgimento dei parlamenti nazionali. Il modo in cui questa enorme quantità di denaro verrà spesa è ovviamente una materia di interesse pubblico per i cittadini di tutta Europa.
IrpiMedia lavora al progetto insieme al resto del team di Recovery Files:
- Attila Biro, Rise (Romania)
- Atanas Tchobanov, Bird.bg (Bulgaria)
- Hans-Martin Tillack, Die Welt (Germania)
- Petr Vodsedalek, Denik (Repubblica Ceca)
- Anuska Delic/Matej Zwitter, Ostro (Slovenia)
- Gabi Horn, Atlatszo (Ungheria)
- Marie Charrel, Le Monde (Francia)
- Peter Teffer/Remy Koens/Lise Witteman, Follow the Money (Paesi Bassi)
- Piotr Maciej Kaczynski, Euractiv.com e Onet.pl (Polonia)
- Staffan Dahllöf, DEO.dk (Danimarca/Svezia)
Sei mesi di FOIA
Quando il team di Recovery Files ha cominciato a investigare il processo, la prima cosa che abbiamo notato era che i piani sembravano esser stati decisi da gruppi ristretti di membri dei governi e della Commissione europea, con un contributo però molto forte, almeno a giudicare dalle agende dei ministri, di una selezionata schiera di interessi privati.
La mancanza di coinvolgimento dei rappresentanti eletti, nello specifico dei parlamenti nazionali, è stata la prima preoccupazione del team, che nel processo di ricerca ha individuato, per quasi tutti gli Stati membri, un periodo chiave, fra novembre 2020 e marzo 2021, quando finalmente, con vari ritardi, le varie bozze di piano hanno preso forma.
In quei mesi di febbrile lavoro gli ultimi nodi e veti incrociati si sono sciolti, le road-map delle riforme richieste dalla Commissione sono state tracciate e infine, è stata annunciata la luce verde ai vari piani nazionali, ancora con moltissime postille, dettagli da chiarire, fra rischi di green washing e richieste a gran voce di trasparenza da moltissimi attori della società civile.
Il progetto Recovery Files, fin da subito, ha deciso di concentrare gli sforzi su quei mesi chiave, e di cercare di portare alla luce il processo decisionale e i dibattiti che erano stati negati ai parlamenti nazionali.
Lo strumento scelto, inevitabilmente, è stato quello della richiesta di accesso agli atti, per poter ottenere in modo completo e trasparente tutta la documentazione ufficiale rilevante che non fosse già stata pubblicata.
Il processo ha richiesto molti mesi: la prima richiesta è stata infatti inviata dal nostro collega tedesco Hans-Martin Tillack alla Commissione verso la metà di luglio 2021. Si chiedeva la totalità dei documenti in cui si valutava il recovery plan tedesco, una manovra del valore di 25,6 miliardi di euro. Dopo le rituali due settimane di attesa, la risposta della Commissione è stata piuttosto insoddisfacente: la richiesta deve essere più specifica, perché la documentazione in questione è troppo ampia.
A questa prima risposta il nostro collega ha risposto chiedendo una lista dei documenti disponibili, per poter circoscrivere la richiesta precedente. Ancora una volta, la risposta della commissione è stata negativa: non era possibile inviare tale lista senza una «consultazione con i Paesi membri rilevanti (alla richiesta, ndr)».
Decisi a non lasciar cadere il discorso, il team di Recovery Files ha presentato un ricorso alla Mediatrice europea Emily O’Reilly. L’ufficio del Mediatore europeo (European Ombudsman) è infatti un organo indipendente creato precisamente allo scopo di richiamare le istituzioni e le agenzie dell’Ue a rispondere del loro operato, con il potere di avviare inchieste in risposta a denunce di cattiva amministrazione o abusi.
Più trasparenza per una gestione efficiente dei fondi
Di Federico Anghelè, The Good Lobby Italia
Il PNRR rappresenta una grande opportunità di sviluppo economico e sociale per l’Italia, ma anche un gigantesco banco di prova per capire se saremo in grado di agire nell’interesse pubblico. Non possiamo accettare che la gestione delle risorse avvenga senza garanzie di massima trasparenza, partecipazione e inclusività. Purtroppo quanto successo finora non va in questa direzione. Il Governo non ha previsto meccanismi di consultazione dei cittadini per orientare le scelte politiche formulate nel Piano o per vagliare il gradimento delle proposte. Italia Domani, la piattaforma online richiesta a gran voce dalla società civile, che dovrebbe permettere il monitoraggio diffuso e costante sull’uso delle risorse europee e l’andamento dei progetti, è uno strumento del tutto insufficiente a verificare lo stato di attuazione del PNRR. Abbondano i pdf e mancano i dati disponibili in formato aperto, disaggregato e interoperabile fondamentali per il monitoraggio. Per questo, assieme a molte altre organizzazioni civiche, chiediamo che venga al più presto colmata questa lacuna e che vengano inoltre pubblicate informazioni complete sulle scadenze amministrative e procedurali previste, sui beneficiari dei fondi (inclusi i subappalti), sui soggetti coinvolti, sui luoghi dove verranno realizzati gli interventi. Sono dati importantissimi per integrare l’inchiesta che realizzeremo insieme ad IrpiMedia nel corso del 2022 sui potenziali conflitti di interessi nella distribuzione e gestione del Recovery Fund e sulle attività di lobbying che ruotano intorno al PNRR.
Uno scambio di corrispondenza fra l’ufficio di O’Reilly e quello del commissario Von Der Leyen ha portato, lo scorso 15 ottobre, a una lettera di Ursula von der Leyen che echeggia quasi parola per parola la sua dichiarazione pubblica di luglio: «Le posso assicurare il nostro impegno a garantire la trasparenza del Recovery and Resilience Facility, poichè condividiamo la sua valutazione che la piena partecipazione al progetto da parte della cittadinanza europea sia un prerequisito per il suo successo».
Il ricorso al Mediatore europeo ha smosso le acque, e la commissione ha finalmente rilasciato una lista dei documenti riguardanti il PNRR tedesco. Ma, nonostante tutto, buona parte dei documenti ottenuti sono arrivati in notevole ritardo rispetto ai termini stabiliti dalla legge e, soprattutto, è stato in diversi casi (incluso quello tedesco) negato l’accesso ai documenti antecedenti l’invio ufficiale del piano nazionale alla Commissione, esattamente il periodo in cui le decisioni più importanti sono state prese.
Relazioni a rischio
Le altre istanze di accesso fatte dal resto del team in tutta Europa non sono andate tanto diversamente. Le richieste fatte da IrpiMedia riguardo all’Italia sono ancora tutte in elaborazione, nonostante le prime siano state inviate lo scorso 22 dicembre, e il termine ultimo per ottenere una risposta sia di quindici giorni lavorativi.
Gli unici dipartimenti (DG) che hanno già inviato una risposta sono quelli che hanno dichiarato di non aver nessun documento riguardo «le comunicazioni fra governo italiano e commissione». Questi includono, abbastanza sorprendentemente, il Segretariato Generale della Commissione, il Direttorato Generale per gli Affari Economici e Finanziari e quello del Budget, mentre quello di Energia ha richiesto più tempo per le risposte, che aspettiamo nel corso di questo mese di febbraio.
Il PNRR dell’Italia
La composizione del PNRR per missioni e componenti [Valori in €/mld]
Una risposta simile è arrivata nel caso della Danimarca: anche qui è stato negato accesso ai documenti per evitare che «si vadano a logorare i rapporti di lavoro fra la Commissione europea e le autorità nazionali danesi». Per l’Olanda e la Svezia la Commissione ha risposto con una formulazione meno minacciosa, ma ugualmente negativa: «Danneggerebbe il processo decisionale», ci è stato detto.
Si tratta di una delle eccezioni usata più spesso per rifiutare le richieste di accesso agli atti fatte dal progetto Recovery Files. La pubblicazione di alcuni documenti rischierebbe di inficiare «il processo decisionale di un istituzione».
Abbiamo ricevuto tale risposta in diversi casi. Per Ungheria e Polonia, l’eccezione è anche giustificata, questi Paesi infatti ancora non hanno un PNRR ufficialmente approvato dalla Commissione. Ma nel caso della Slovenia la stessa eccezione è stata usata lo scorso dicembre, quasi sei mesi dopo che il PNRR sloveno aveva ricevuto l’approvazione ufficiale della Commissione.
Päivi Leino-Sandberg, professoressa di diritto internazionale europeo all’università di Helsinki, ritiene che la distinzione sia di primaria importanza «Laddove la decisione è già stata presa» spiega «la documentazione che può rimanere confidenziale è molto limitata». Solo i documenti che includono “opinioni per uso interno” possono essere negati. Ma le risposte della Commissione sembrerebbero indicare che un’ampia varietà di documenti dovrebbero restare segreti fino a che tutte le fasi del PNRR sono state attuate, fino cioè al 2026. «È un arco temporale molto lungo», commenta Leino-Sandberg «e che fa riferimento a processi decisionali del tutto separati».
Secondo la professoressa Leino-Sandberg l’uso che la Commissione sta facendo delle limitazioni all’accesso agli atti potrebbe essere politicamente controproducente: «Considerando le quantità di denaro di cui si parla, è normale che la Commissione sia sotto pressione da parte degli Stati membri. Credo – conclude Leino Sandberg – che la trasparenza sarebbe invece d’aiuto alla Commissione per mantenere una posizione imparziale e oggettiva e mostrare che non cede alle pressioni politiche».
Dello stesso parere è anche Helen Darbishire, direttore esecutivo di Access Info Europe, una ONG spagnola parte della Open Spending EU coalition. Raggiunta dal team nel suo ufficio di Madrid ci spiega il suo punto di vista: «Ci è stato detto che gli obiettivi [del PNRR] comprendono una giusta transizione energetica, supporto alla digitalizzazione e la ripresa del sistema economico dalla crisi portata dalla pandemia. Come potranno però gli scienziati del clima valutare se le azioni intraprese contribuiscono a combattere i cambiamenti climatici se non sappiamo dove vanno i soldi?». E aggiunge: «Abbiamo visto durante la pandemia come le procedure di acquisto di emergenza siano state usate per favorire soggetti vicini ai governi. Questa non è soltanto corruzione, è anche uno spreco di denaro pubblico».
Ma Darbishire inquadra il problema anche da una prospettiva politica, andando al centro del dibattito attuale: «Senza trasparenza e responsabilità, ci saranno sicuramente scandali legati all’uso che si farà dei fondi. Scandali che andranno a inficiare la fiducia del pubblico nelle istituzioni europee. Se questi fondi devono salvare le democrazie europee la trasparenza è chiave per il successo di questo piano», conclude.
Il problema centrale è che nonostante tutto la trasparenza è un concetto che fa ancora paura: secondo Helen Darbishire è un «riflesso condizionato» che risale a quando l’Europa era ancora più un circolo diplomatico che non un’istituzione legislativa. «L’idea che la trasparenza possa danneggiare le relazioni internazionali è ridicola, non si può usare il concetto di relazioni internazionali all’interno dell’Unione europea».
Eppure un simile approccio resta molto diffuso non solo a Bruxelles, ma anche fra i governi degli Stati membri. I colleghi che hanno inviato richieste di accesso agli atti anche ai propri governi nazionali hanno infatti ottenuto risultati non sempre soddisfacenti. Finlandia, Danimarca e Svezia hanno da un lato inviato migliaia di documenti alle nostre caselle di posta, ma la quantità di dati nasconde significative omissioni.
Ad esempio, apparentemente il governo finlandese non ha tenuto alcun verbale delle riunioni effettuate, e gli ordini del giorno per tali incontri sono estremamente vaghi. Il neo cancelliere tedesco Scholz ha negato l’accesso a tutti i documenti riguardo la preparazione del PNRR, citando ancora «relazioni internazionali» da proteggere. In Slovenia il ministero dello Sviluppo e delle politiche Europee (SVRK), che era incaricato di redigere il PNRR, ha risposto di non avere documenti sul processo decisionale, suggerendo di contattare gli altri ministeri. Questi, prevedibilmente, hanno risposto che bisogna rivolgersi al SVRK.
CREDITI
Autori
Giulio Rubino
In partnership con
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Foto
(Thierry Monasse/Getty)