Companies House, il registro col buco: nessuno controlla i titolari delle aziende

17 Gennaio 2022 | di Matteo Civillini, Christian Eriksson

L’ultima traccia lasciata dal superlatitante Giovanni Motisi è una fotografia ritrovata dai carabinieri nel 1999. Lo scatto ritrae Motisi – soprannominato u’ pacchiuni – in una villa di Casteldaccia, alle porte di Palermo, mentre festeggia il compleanno della figlia. Da allora agli inquirenti sono arrivate solo voci, più nulla di concreto. Ricercato per omicidi multipli, associazione mafiosa e strage, Motisi rimane tutt’oggi nella ristretta cerchia dei latitanti di massima pericolosità.

A oltre vent’anni di distanza da quell’immagine, un omonimo del latitante di cosa nostra ha fatto una misteriosa ricomparsa in una serie di società inglesi, come scoperto da IrpiMedia. Durante dieci mesi del 2020 un omonimo, con identico mese e anno di nascita di u’ pacchiuni (il giorno è omissato sul registro inglese) è stato il titolare effettivo di nove aziende registrate a Londra, una delle quali è stata coinvolta in una disputa legale con la catena di fast food americana Subway.

Iper semplificato e senza controlli: perché Companies House continua a crescere

Se il superlatitante sia stato realmente a capo delle società, o se qualcuno abbia sfruttato la sua identità, non è dato sapersi. Al cuore del problema c’è l’impotenza di Companies House, il registro imprese britannico a cui non spetta alcun obbligo di verifica delle informazioni che riceve. Eppure diversi casi – come quelli scoperti da IrpiMedia – hanno evidenziato già in passato come questo laissez-faire abbia spalancato le porte ad abusi da parte di truffatori e riciclatori di denaro sporco. L’assenza di controlli si spiega con un’esigenza di semplificazione estrema che fa lievitare continuamente la presenza di aziende registrate nel Regno Unito e, di conseguenza, gli introiti di Companies House.

Nel giro di cinque anni – da marzo 2016 a marzo 2021 – il numero di società presenti sul registro è aumentato del 28% (da 3,7 milioni circa a oltre 4,7 milioni). Nello stesso periodo le entrate derivate dai servizi di registrazione sono passate da 57,9 milioni di sterline nel 2015-2016 a 68,7 milioni di sterline nell’ultimo anno.

Il registro imprese britannico

Le società registrate nel Regno Unito dal 1939 a oggi

«Questo tipo di abuso non deve sorprendere minimamente – sostiene David Clarke, ex capo del National Fraud Intelligence Bureau, unità di polizia britannica dedicata al crimine finanziario -. Il sistema di registrazione delle società in Regno Unito è un disastro».

Dalla Sicilia a Londra, passando per il Canada

Definito killer di fiducia di Totò Riina e per un lungo periodo reggente del mandamento di Pagliarelli, Giovanni Motisi è considerato un latitante di serie A, alla stregua di Matteo Messina Denaro. Per la giustizia italiana deve ancora scontare la condanna all’ergastolo quale uno dei mandanti degli omicidi di Beppe Montana e Ninni Cassarà, i commissari della Squadra Mobile di Palermo entrambi freddati nell’estate del 1985. Solo due episodi della lunga striscia di sangue che si è lasciato alle spalle u’ pacchiuni.

Dalla fine degli anni ‘90 Motisi è diventato un fantasma tanto che c’è chi lo reputa ormai defunto. Un pentito parlò qualche anno fa di un covo vicino ad Agrigento da dove sarebbe poi fuggito in Francia ma la pista non ha mai trovato riscontri effettivi. Come riportato da Repubblica, la procura di Palermo l’ha cercato anche in Inghilterra, Spagna e Sud America. Un giro del mondo da cui gli inquirenti sono sempre tornati con un pugno di mosche.

“Siciliani nel Mondo”, seguito da un indirizzo nel cuore di Fallsview Boulevard, complesso di casinò e hotel affacciati sulle cascate del Niagara, sponda Canada. È questo il recapito che compare sul registro imprese britannico di fianco al nome di Giovanni Motisi. Il 1 gennaio 2020 la primula rossa diventa contemporaneamente il beneficiario ultimo di nove società con sede a Londra. Si tratta di aziende dormienti – ovvero non operative – costituite una manciata di mesi prima. Tutte condividono la stessa lunga lista di amministratori provenienti da Panama, Filippine, Ucraina e Russia. Alcune prendono il nome da note compagnie di fast food come Subway e Little Ceasar’s, la terza catena di pizzerie più grande degli Stati Uniti.

Nel dicembre 2019 – il mese precedente alla comparsa di Motisi – la “vera” Subway aveva mosso un’azione legale nei confronti di Subway IP Ltd presso il Company Names Tribunal, un tribunale britannico che ha il compito di dirimere controversie legate alle registrazioni societarie. Con il proprio esposto la catena americana esigeva che l’omonima azienda inglese modificasse il proprio nome. Subway sosteneva che la registrazione fosse «parte di una serie di abusi sistematici che consistono nel registrare società il cui nome è identico a quello di aziende di franchising statunitensi». La difesa non ha fornito alcuna risposta al tribunale e così Subway si è aggiudicata il caso, costringendo al cambio di nome.

Un rappresentante di uno dei marchi americani coinvolti ha detto che, dopo aver visto il nome di Motisi, pensava di essere finito in una sofisticata trovata pubblicitaria. «È difficile immaginarsi una farsa più ambigua di questa, a meno di mettere la Regina Elisabetta, o Enrico VIII, come amministratore di una di queste aziende», ha detto.

Il rappresentante ha inoltrato i dettagli del caso a Companies House, sperando in un provvedimento da parte dell’ente regolatore. In una dichiarazione Companies House ha detto: «Non possiamo fornire commenti su società specifiche ma lavoriamo a stretto contatto con le forze dell’ordine nei casi in cui ci sia il sospetto di comportamenti criminali».

Quanto costa aprire un’azienda a Londra

Per creare un’azienda in Regno Unito bastano solo 12 sterline. Si fa tutto online nel giro di una decina di minuti, senza nemmeno il bisogno di mostrare un documento d’identità. Companies House, il registro imprese, funziona oggi come un semplice archivio di informazioni. Non ha nessun potere di verificare le informazioni che riceve né menchemeno di condurre indagini su aziende sospette.

Il governo britannico riconosce che i casi di uso improprio del registro sono strumentali all’esecuzione di reati finanziari. Nella serie #Mafia in UK, IrpiMedia aveva raccontato come Antonio Righi, condannato per maxi-riciclaggio a favore della camorra, fosse comparso in società inglesi in compagnia di prestanome in carne e ossa e soggetti di fantasia. Come Ottavio «Detto Il Ladro di Galline», che nel registro imprese indica la professione di «truffatore». O ancora, la «Banda Bassotti Company Ltd», registrata in «Via Dei 40 Ladroni, Ali Babbà, Italy». In #29Leaks, IrpiMedia ha raccontato come nemmeno gli agenti, ossia i professionisti che aprono aziende in Gran Bretagna per conto terzi, svolgano alcun controllo sui nuovi clienti, come nel caso di Formations House.

Per provare a tappare questa enorme falla nel settembre 2020 il governo guidato da Boris Johnson ha annunciato un’ampia riforma di Companies House. Tra le misure proposte c’è la verifica obbligatoria dell’identità di tutti gli amministratori e beneficiari ultimi delle aziende registrate in Regno Unito. Un anno e mezzo più tardi, però, la riforma deve essere ancora discussa e approvata in Parlamento.

OneCoin, la moneta della cryptoregina latitante

Prima di Giovanni Motisi il proprietario di maggioranza delle aziende londinesi è stato Guido Savio, agente immobiliare e turistico di Padova. Motisi è stato poi sostituito da Alda Sileni LC, un’azienda con sede in Wyoming, Stati Uniti, di cui Savio stesso risulta essere firmatario dei bilanci.

Savio sostiene di non aver scelto i nomi delle aziende inglesi, ma di averle comprate a scatola chiusa da uno studio legale. L’acquisto – continua Savio – è avvenuto nell’estate del 2019 attraverso Dealshaker, un canale di e-commerce collegato a Onecoin, una presunta criptovaluta rivelatasi essere un colossale schema Ponzi. Fondato nel 2014 dall’imprenditrice bulgara Ruja Ignatova, il brand Onecoin ha raccolto oltre 4 miliardi di dollari dagli investitori, per poi truffarli: la cryptovaluta non esisteva davvero. Ignatova è svanita nel nulla nel 2017, quando il castello di carte cominciava a perdere pezzi. Nel 2019 il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha formulato accuse di frode e riciclaggio nei confronti di Ignatova e del fratello, protagonisti di quella che gli investigatori americani hanno definito un’attività «fondata solamente su falsità e inganno».

La definizione, lo schema Ponzi

Lo schema è un meccanismo di truffa che si basa sulla promessa di ottenere guadagni in tempi rapidissimi e a fronte di un investimento basso. Il promotore dell’attività, però, invece che investire, incassa. Di solito, maggiore è il numero di clienti, maggiore sarà anche il guadagno del truffatore. Nel tempo gli schemi Ponzi sono diventati più evoluti, ma il principio alla base della truffa resta sempre quello di avere un’ampia base di piccoli investitori da imbrogliare.

Dealshaker è nato nel 2017, mentre Ignatova faceva già perdere le proprie tracce e, in Italia, l’Antitrust disponeva la sospensione cautelare della promozione di Onecoin. Dealshaker era la prima piattaforma di e-commerce ad accettare Onecoin come forma di pagamento. Inserzionisti da tutto il mondo potevano pubblicizzare la vendita di beni e servizi alla comunità dei possessori della criptovaluta. Dealshaker esiste ancora, ma la sua vita è stata particolarmente travagliata: il marketplace è scomparso e risorto dalle proprie ceneri diverse volte. Nella vetrina di Dealshaker fanno oggi bella mostra le offerte di cibo per cani, bevande all’aloe vera o tè dimagranti. Tutte comodamente pagabili in Onecoin.

È qui che Guido Savio avrebbe acquistato i servizi di uno studio legale, che si sarebbe occupato di fondare le aziende londinesi e curare la loro gestione burocratica. Documenti visionati da IrpiMedia indicano che le aziende sarebbero state «capitalizzate mediante conferimento di beni immateriali acquistati in Onecoin», la cryptomoneta inesistente.

Perché lo schema societario è sospetto

Guido Savio ha detto che diverse persone sono state coinvolte nell’amministrazione delle aziende britanniche, compresa sua moglie. Non è però stato chiaro rispetto alla figura di Motisi, se sia un omonimo o il latitante: «Io non conosco questo Giovanni Motisi – ha aggiunto parlando al telefono con IrpiMedia -. Effettivamente sì, c’è questa persona, ma io non conosco il latitante o altro». In un secondo momento Savio ha ipotizzato che qualcuno abbia ottenuto i suoi codici di accesso a Companies House e inserito il nome di Motisi nelle aziende a sua insaputa.

In passato, Savio è stato accusato di cybersquatting, ovvero la registrazione illecita di domini web che ricordano marchi noti. Nel 2007 l’agenzia immobiliare ReteCasa sporse un reclamo nei confronti di Savio per una violazione del proprio copyright, dopo aver scoperto che l’agente immobiliare padovano aveva creato una serie di domini web con nomi affini. L’OMPI, tribunale che tutela la proprietà intellettuale, stabilì che Savio aveva agito «in mala fede» e ordinò il trasferimento dei domini a ReteCasa.

Graham Barrow, un esperto di crimine finanziario, sostiene che le aziende collegate a Motisi e Savio sono «piene di campanelli d’allarme». «Il susseguirsi frenetico di nomine, e successive eliminazioni, di amministratori è rivelatore di un’azienda fasulla, che non ha reale operatività», dice Barrow. «L’utilizzo di persone in diverse giurisdizioni è endemico nelle società utilizzate per scopi di riciclaggio o altre attività criminali, dato che complica terribilmente il lavoro degli investigatori».

Non è possibile sapere con certezza per quali attività siano state utilizzate le aziende. Barrow ipotizza che lo scopo potrebbe essere quello di aprire dei conti correnti intestati alle società stesse: stabilirsi in un Paese dalla buona reputazione finanziaria come il Regno Unito e adottare nomi di compagnie affermate, quindi, sarebbero due strategie per aumentare la propria credibilità come clienti tanto da riuscire a passare i controlli degli istituti di credito. «Aziende di questo tipo potrebbero ottenere servizi bancari in Paesi relativamente piccoli ai margini dell’Unione europea o da nuove realtà del fintech, per esempio,» conclude Barrow.

Ipotesi plausibili che però non possono fare completamente luce sulle numerose ombre del caso: la proprietà delle aziende è passata tra le mani del vero Giovanni Motisi oppure il suo nome è stato inserito dolosamente? Perché utilizzare l’identità di un superlatitante con l’inevitabile conseguenza di attirare attenzione sulle aziende? Quale ruolo hanno queste società nella truffa Onecoin?

Sentito da IrpiMedia, Guido Savio ha fornito risposte parziali. Spetterebbe alle autorità, ed in primis a Companies House, verificare i dettagli di casi come questo e fornire una risposta alle domande. Ma, ad oggi, per volontà politica, non è possibile.

Foto: Uno scorcio del distretto finanziario di Londra – John Keeble/Getty
Infografiche: Lorenzo Bodrero
Editing: Lorenzo Bagnoli

Come la mafia albanese ha conquistato il mercato della cocaina nel Regno Unito

Come la mafia albanese ha conquistato il mercato della cocaina nel Regno Unito

Maurizio Franco
Youssef Hassan Holgado
Filippo Poltronieri

Per quindici anni hanno cercato di imparare dai loro maestri. Da abili contrabbandieri sono diventati indispensabili fornitori di sostanze stupefacenti. Alla violenza hanno preferito tessere una rete di alleanze. È il modus operandi delle organizzazioni criminali albanesi che, secondo la National crime agency (Nca), l’agenzia di sicurezza britannica, gestiscono una grande fetta di mercato della cocaina nel Paese, il cui totale ammonta a circa sei miliardi di sterline secondo il ministero dell’Interno inglese.

Secondo la Nca i gruppi criminali albanesi avrebbero anche favorito la creazione delle cosiddette “county line”, una rete capillare dello spaccio che percorre tutto il Regno Unito portando le sostanze stupefacenti dalle grandi città alle province costiere e dell’entroterra. Linee commerciali battute non soltanto da gang albanesi ma anche da quelle autoctone e di altre nazionalità. Solo nel mese di ottobre 2021 la polizia ha effettuato una serie di retate che hanno portato all’arresto di 1.468 persone in tutto il territorio, a sequestri di droga e contanti per un valore che supera i 2 milioni di sterline, oltre che alla requisizione di un arsenale composto da 49 pistole.

Secondo i dati del governo, il crimine organizzato ha un costo per l’economia nazionale di 37 miliardi di sterline ogni anno. Ma parlare di “danno” per l’economia restituisce un’immagine molto parziale del fenomeno, poiché il dato non tiene conto dei soldi ripuliti che vengono poi immessi all’interno dell’economia legale attraverso la compravendita di beni immobili e mobili.

Ma come è riuscita la mafia albanese a ritagliarsi un posto di primo piano nel Regno Unito? La storia del loro insediamento inizia negli anni Novanta e subisce un’accelerazione con la guerra del Kosovo: un conflitto che tra il 1998 e il 1999 ha portato a oltre 1 milione di sfollati. Centinaia di migliaia sono i kosovari che hanno lasciato il Paese e cercato rifugio tra gli stati limitrofi ed europei (una grande maggioranza si è stanziata a Tirana). Ma secondo gli investigatori britannici, molti di quelli che si sono presentati alla frontiera erano cittadini albanesi che si identificavano come kosovari per cercare una via preferenziale di accoglienza.

Un dato univoco sul numero dei cittadini albanesi residenti in Regno Unito non c’è. Nel 2019 l’ufficio nazionale di statistica ha rilasciato una stima approssimativa: sono circa 47 mila gli albanesi residenti nel Paese mentre sarebbero 29 mila i kosovari. Secondo i database del governo britannico soltanto nell’anno della pandemia, 3.071 cittadini di origine albanese avrebbero richiesto l’asilo politico.

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«Quello che hanno fatto è creare una comunità satellite di lingua albanese nel Regno Unito, parallela a quella insediatasi in altri Stati vicini, come nei Paesi scandinavi, dopo la crisi del Kosovo», dice a IrpiMedia Tony Saggers, ex capo della sezione antidroga della National crime agency. Ed è da questa comunità satellite che i gruppi criminali originari o provenienti dal Paese delle aquile hanno cercato nuove reclute facendo gioco sull’emarginazione sociale e la povertà di chi arriva nel Regno Unito e si trova a essere sfruttato come manodopera a basso costo nel settore agricolo, edile o industriale. Cocaina, prostituzione e traffico di esseri umani sono i business illeciti con i quali i boss di Tirana hanno fatto fortuna.

La strategia al ribasso per la cocaina

«I gruppi criminali albanesi si sono arricchiti con pazienza. Un tipico trafficante di droga britannico vuole fare soldi il più velocemente possibile e a ogni costo», spiega Tony Saggers. «Loro hanno invece imparato che i margini di profitto sono abbastanza alti da permettergli di dimezzare i prezzi della sostanza alla vendita, senza diminuire la qualità».

Il mercato della droga del Regno Unito è uno dei più fiorenti in Europa. Prima della pandemia generava profitti per circa 30 miliardi di euro. Una torta enorme su cui tutti vogliono mettere le mani, anche il crimine albanese. Dieci anni fa, un chilo di cocaina veniva venduto intorno ai 40 mila euro, mentre nel periodo precedente al Covid-19 il prezzo era sceso anche sotto i 30 mila euro. Le organizzazioni albanesi hanno costretto i loro competitors ad adattarsi ai nuovi tariffari per non perdere terreno nel mercato. Ma i guadagni per loro sono aumentati nel momento in cui hanno iniziato a guardare verso l’America Latina dove, nonostante lo storico dominio dei broker della ‘ndrangheta, hanno trovato contatti e opportunità.

Gli albanesi al vertice della catena criminale sono riusciti a stanziarsi in Colombia, Ecuador, Perù e Panama. Canali di accesso preferenziali guadagnati sul campo. Chi è in grado di comprare la cocaina a quattromila dollari al chilo in Sudamerica la rivende a 30 mila euro una volta sbarcata nei porti europei. Operazioni garantite da una fitta rete di funzionari e operatori portuali corrotti presenti nei più importanti snodi commerciali marittimi di Europa.

Vista dall’alto della città di Liverpool attraversata dal fiume Mersey che sfocia nel Mare d’Irlanda – Foto: Youssef Hassan Holgado

Rotterdam, Anversa, Algeciras: qui la mafia albanese è stata in grado di inserire i suoi uomini in posizioni chiave dentro i porti, che permettono di aggirare con facilità i controlli di sicurezza. Non sempre, però, va tutto per il verso giusto. Ad aprile la polizia belga è riuscita a intercettare e sequestrare un carico di 27 tonnellate di cocaina proveniente dal Sudamerica che, venduta a una media di 30 mila euro al chilo, avrebbe fruttato un giro di affari di oltre ottocento milioni di euro. Si tratta dell’operazione più importante eseguita nella storia del Paese contro il narcotraffico. Da aprile gli investigatori stanno cercando di arrestare i boss che hanno organizzato questa partita di droga e le indagini si stanno focalizzando anche su alcune famiglie albanesi, come riportano i media locali.

Il trasporto della droga

Tony Saggers ha assistito a varie indagini durante la sua carriera investigativa e ha visto metodi ingegnosi di occultamento della droga. «Di solito gli albanesi trasportano la cocaina nascosta in prodotti come banane, ananas e frutta secca, ma anche in oggetti di metallo o di legno. La sostanza è un prodotto malleabile, facile da estrarre, pulire e stoccare una volta giunta in Europa», spiega.

Kompania Bello, il cartello della droga albanese finito sotto la lente degli inquirenti con l’operazione Los Blancos del settembre 2020, e attivo in diversi Paesi europei, usava due metodi specifici per il trasporto della droga: il “sistema” e “l’asciutta”, li definiscono gli inquirenti.

Nel primo caso era necessario un container frigo e un piano di carico che potesse essere alzato e saldato nuovamente dopo aver nascosto la cocaina. La merce veniva poi raccolta una volta che la ditta destinataria del container scaricava il materiale presente al suo interno (generalmente frutta o pesce). Nel secondo caso, invece, era necessario un container semplice in cui inserire al suo interno le borse con la cocaina, decisamente più veloce. In entrambi i casi, il carico veniva recuperato dopo lo sdoganamento, fuori dal porto, e le ditte coinvolte (sia quella che spediva sia quella che riceveva) dovevano essere in qualche modo controllate dai narcos, o quantomeno questi ultimi devono avere un accesso sicuro ai magazzini dove il container viene caricato e scaricato.

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Ma c’è un altro metodo utilizzato, quello del cosiddetto Rip-off: i panetti di cocaina vengono caricati all’interno di valigie o borsoni e riposti dietro le porte del container. La merce viene poi ritirata o durante il viaggio in mare o durante la sosta nel porto, ma in questo caso è fondamentale avere persone fidate all’interno sia dei porti in uscita che di quelli in entrata che riescano a eludere i controlli. Questo sistema non necessita della complicità delle ditte coinvolte nella spedizione ma presenta maggiori rischi di essere intercettato da scanner o altri sistemi di controllo.

Chi importa cocaina nel Regno Unito di solito invia il carico nei porti olandesi o tedeschi, ma capita che venga spedito direttamente in Gran Bretagna. «Negli anni abbiamo visto l’utilizzo degli yacht che attraccano durante la stagione estiva, soprattutto nei porti della costa sud del Paese. Accade spesso che un gruppo decida di consegnare due tonnellate di cocaina a Rotterdam e cinquecento chili nei porti inglesi dove la sostanza arriva anche nascosta nelle autovetture», spiega Saggers.

Una metodologia usata non solo dagli albanesi ma anche dai gruppi autoctoni. Il 27 agosto del 2019 due cittadini britannici di Liverpool, Gary Swift (53 anni) e Scott Kilgour (41 anni), sono stati intercettati a mezzo miglio dalla costa del Galles dalla polizia di frontiera con un carico di cocaina che avrebbe fruttato 60 milioni di sterline. Nel 2020 sono stati condannati rispettivamente a 19 anni e mezzo e a 13 anni e mezzo dal tribunale di Swansea, con l’accusa di aver importato circa 750 chili di cocaina di prima qualità dal Sudamerica verso il Regno Unito. La droga era a bordo del Sy Atrevido, uno yacht comprato a Maiorca, in Spagna, nel 2018, per 50 mila sterline. L’operazione ha toccato anche altre quattro persone tra Liverpool e Loughborough.

Scontro generazionale

«Ho monitorato il traffico di stupefacenti nel Regno Unito per oltre venti anni e mi sarei aspettato un conflitto, una guerra tra le varie organizzazioni criminali con l’arrivo degli albanesi. Ma non c’è stata. Loro sono arrivati con carisma e un messaggio chiaro: vogliamo essere i vostri fornitori di cocaina ma voi non dovete scherzare con noi. C’è sempre un tono amichevole e un sottotono minaccioso nei loro discorsi», dice Saggers.

A gestire il business in Gran Bretagna, di solito, sono i luogotenenti dei boss presenti nell’Europa continentale. Negli ultimi anni però c’è una nuova generazione di gang albanesi che sta cercando di imporre il suo dominio nella capitale inglese. Si fanno chiamare Hellbanianz, e il loro potere economico è evidente nei loro profili social dove esibiscono, nascosti dai passamontagna, auto sportive, rolex, bottiglie costose di spumante e mazzette di banconote.

Il loro centro operativo è a Barking, nell’est di Londra. Nel 2016 tre di loro sono stati condannati a 42 anni di carcere. Uno dei capi della gang, Tristen Asslani, ha ricevuto una condanna a 25 anni per diversi reati, tra cui traffico di sostanze stupefacenti e possesso d’arma da fuoco.

«Le vecchie generazioni del crimine albanese hanno un profilo basso, non amano attirare quel livello di attenzione nel Regno Unito», dice Saggers. Secondo gli inquirenti britannici questi cambiamenti potrebbero creare attriti e conflitti tra la vecchia generazione che agisce in silenzio e le nuove leve a cui piace apparire sui social network, ostentando il loro potere. «Probabilmente vedremo una nuova generazione criminale di albanesi capace anche di usare armi da fuoco lungo le nostre strade», è la triste conclusione di Saggers.

I Docks del porto di Liverpool, luogo artistico e altamente frequentato anche dai più giovani – Foto: Youssef Hassan Holgado

La Liverpool mancata

Per circa trent’anni le gang di Liverpool hanno dominato il mercato illegale della droga nella contea del Merseyside, situata nella regione inglese del North West, rifornendo anche alcune piazze europee. Non a caso i clan albanesi sono riusciti a penetrare nell’entroterra inglese e in grandi città come Manchester e Londra, ma non a Liverpool. Secondo Tony Saggers c’è una ragione specifica: «Gli albanesi sono molto selettivi nel scegliere i luoghi dove possono competere e a Liverpool hanno trovato gang autoctone che si sono stabilite in città da tempo. Un’eventuale entrata degli albanesi in quel mercato avrebbe dato vita a violenza e rischiato di spargere sangue per le strade». Insomma, si è deciso di non prendere le armi perché alla fine il mercato è abbastanza grande per tutti ed è meglio non fare la guerra contro personaggi come i fratelli Fitzgibbon (Jason e Ian) soprannominati i “sopranos di Merseyside”. Hanno gettato le basi del loro potere criminali attraverso i furti, la violenza e il racket, prima di cominciare a importare grossi quantitativi di eroina dalla Turchia, cocaina dal Sudamerica e ecstasy dall’Olanda.

I due fratelli avevano il loro quartier generale in una casa inglese di un piccolo sobborgo di Liverpool. Per tre anni sono stati intercettati dalla Serious Organized Crime Agency britannica, diventando uno dei loro obiettivi principali. Nel 2013 sono stati condannati a 32 anni di carcere. I Fitzgibbon erano riusciti tramite un’altra donna interna alla famiglia a riciclare i loro proventi acquistando anche una villa in Spagna.

Non erano gli unici: l’operazione Blenheim ha intercettato una catena di rifornimento di droga tra Liverpool e Glasgow dal valore di 100 milioni di sterline. In totale sono stati inflitti 293 anni di prigione per 31 arrestati. Christopher Welsh Jnr era considerato uno dei capi dell’organizzazione e si serviva di una batteria di esperti corrieri per il trasporto della droga che dalla città portuale arrivava anche nelle città più a nord. La caratura della criminalità autoctona di Liverpool è stata evidenziata anche dalla più grande operazione contro il crimine organizzato condotta a Londra. L’hanno chiamata Operation Venetic, una delle azioni della polizia inglese che rimarranno nella storia per aver portato all’arresto di 746 persone, facenti parte di diverse organizzazioni criminali accomunate dallo stesso sistema di comunicazione: usavano cellulari criptati Encrochat. Le notizie di cronaca sono ancora in aggiornamento, ma riguardano anche diversi personaggi criminali di Liverpool e della contea di Merseyside.

Secondo Fatjona Mejdini, coordinatrice della sezione albanese della Global Initiative Against Transnational Organized Crime, «gli albanesi sono presenti nel mercato della coca nel Regno Unito, ma è esagerato dire che lo stanno dominando. Ci sono anche organizzazioni italiane, olandesi, nigeriane e tante altre. Sicuramente c’è anche della verità nella crescita delle gang albanesi, ma alcuni tabloid hanno creato un clima di stigmatizzazione verso l’intera comunità. La popolazione carceraria albanese nel Regno Unito non supera il 10%». Unacifra confermata anche dai dati del ministero della giustizia: sono circa 1.500 i carcerati di nazionalità albanese nelle prigioni inglesi e gallesi, la popolazione straniera maggiormente rappresentata. Proprio per questo il governo ha firmato a fine luglio 2021 un accordo con l’omologo albanese per trasferire alcuni prigionieri nel Paese delle aquile e concludere lì la loro pena.

Il riciclo di denaro

Il portafoglio criminale della mafia albanese è vario e presuppone anche diversi metodi di riciclo di denaro. Risalire ai loro beni è molto complicato. «Li tengono ben nascosti ai nostri occhi», dice Saggers. Secondo gli inquirenti inglesi il metodo classico utilizzato è l’esportazione di contanti all’estero, soprattutto in patria. Per farlo, si servono di servizi di trasferimento di denaro comuni come Moneygram o Western Union grazie ai quali è facile inviare denaro senza rilasciare informazioni sensibili.

«Spesso vengono corrotti i lavoratori che gestiscono il servizio di trasferimento di denaro e si possono convertire centinaia di migliaia di sterline in piccoli volumi di euro che poi vengono contrabbandati fuori dal Regno Unito», spiega Saggers. Ma per investire i soldi in Sudamerica in beni immobiliari o altre attività, il crimine organizzato si serve di diversi professionisti in grado di occultare le loro tracce.

Anche in questo caso, l’organizzazione di Dritan Rexhepi ha fatto scuola. Per trasferire il denaro in Sudamerica si serviva, tra le altre, di associazioni criminali cinesi (una prassi già osservata dallo stesso Saggers) lo stesso metodo usato anche dai più importanti narcos della nuova generazione della ‘ndrangheta, fra cui lo stesso Giuseppe “Maluferru” Romeo. I soldi in contanti per pagare la cocaina venivano consegnati in Europa, principalmente in Inghilterra e Olanda, a un referente di queste organizzazioni cinesi, e poi la stessa somma veniva consegnata in Sudamerica ai trafficanti dai referenti sul posto della stessa organizzazione, dietro uno specifico compenso. Il pagamento, quindi, avviene senza un trasferimento né fisico né elettronico del denaro tra i due continenti e risalire agli scambi è quasi impossibile. Non c’è traccia finanziaria. La somma non parte da nessun conto corrente. è un sistema basato interamente sulla fiducia, su una rete di contatti che si estende in tutto il mondo.

Camden Town, punto turistico e di ritrovo della movida londinese ricco di locali – Foto: Youssef Hassan Holgado

Recenti inchieste condotte negli Stati Uniti hanno individuato un sistema simile utilizzato però dai narcos messicani che avevano intenzione di riciclare i soldi guadagnati con la vendita della cocaina in America del Nord.

Il funzionamento è semplice ed è spiegato in un articolo di Reuters: il cartello individua il broker finanziario cinese residente in Messico. Quest’ultimo consegna ai narcotrafficanti una parola in codice, un numero di telefono da chiamare e il numero di serie unico di una banconota da 1 dollaro autentica. Il cartello poi consegna i dati al suo emissario negli Stati Uniti che contatta il numero di telefono e gli riferisce la parola segreta. I due si incontrano. Il corriere riceve i soldi e l’uomo del cartello la banconota da un dollaro come “scontrino”. I soldi ora sono in mano al corriere cinese che li consegna a un commerciante della stessa nazionalità con sede negli Stati Uniti ma che ha un conto in Cina. Quest’ultimo si tiene i soldi ma invia un bonifico equivalente a un numero bancario fornito dal corriere stesso.

Ora si ci sono due opzioni per portare i soldi in Messico. La prima prevede il pagamento a un uomo d’affari che risiede nel Paese sudamericano che poi li cambierà in pesos e li consegnerà all’intermediario del cartello. La seconda, invece, prevede l’acquisto di prodotti da consumo che poi vengono esportati e venduti in Messico. Il ricavato finale, va a finire nelle tasche del cartello.

La copertura perfetta

Per le strade londinesi e nell’entroterra britannico è facile imbattersi in autolavaggi semi vuoti. Secondo gli ultimi dati che Saggers aveva a disposizione prima di lasciare la guida dell’antidroga alla Nca, le organizzazioni criminali albanesi ne possiedono a centinaia. «Spesso abbiamo trovato sei, sette persone che lavoravano in stazioni di servizio semi abbandonate. Si tratta di una copertura per riciclare denaro ma anche di un punto di reclutamento per accogliere nuovi adepti», spiega l’ex investigatore. «Se ogni giorno paghi qualcuno al di sotto del salario minimo per lavorare in un autolavaggio e poi gli offri 500 sterline per fare il corriere di un carico di cocaina, rischi di farlo cadere in tentazione».

Uomini fedeli, grandi risorse economiche, violenza e spietatezza quando serve, contatti diretti con i produttori sudamericani: le organizzazioni criminali albanesi hanno le giuste capacità per imporsi nella geopolitica del crimine organizzato alla pari di gruppi storici. Ma fino a dove possono spingersi? Secondo Tony Saggers dipenderà anche dagli effetti dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. «Se la Brexit costringe a un cambio delle rotte commerciali e i gruppi criminali albanesi importano direttamente nel Regno Unito senza passare per gli altri snodi europei, potremmo vedere corruzione e violenza nei nostri porti marittimi come accaduto in quelli di Belgio e Olanda, dove ci sono stati negli ultimi anni omicidi e sparatorie per le vie di Amsterdam, Rotterdam e Anversa».

CREDITI

Autori

Maurizio Franco
Youssef Hassan Holgado
Filippo Poltronieri

In collaborazione con

Centro di Giornalismo Permanente

Editing

Giulio Rubino

Foto di copertina

Camden Town, punto turistico e di ritrovo della movida londinese ricco di locali.
Youssef Hassan Holgado

Segretezza e scatole vuote: Londra prova a ripulire l’immagine del suo registro imprese

30 Ottobre 2020 | di Matteo Civillini
Immagina di essere un grande evasore fiscale, un truffatore o, meglio ancora, il boss di un’organizzazione criminale. Hai accumulato decine (o centinaia) di milioni di euro grazie a narcotraffico, estorsioni, corruzione. Soldi sporchi che devono essere necessariamente ripuliti, senza però lasciare una traccia indelebile che possa ricondurre alla loro origine.

Vuoi muoverli, immettendoli nei circuiti della finanza globale, ma sai che aprire un conto a tuo nome potrebbe essere un grave errore. Se sei scaltro, ti affidi a un professionista, il quale ti spiega l’importanza di mettere uno schermo (idealmente più di uno) tra il tuo nome e il tesoretto e ti illustra diverse strade.

Puoi chiedere a un prestanome di aprirti una società alle Isole Vergini Britanniche, per esempio, dove la famosa segretezza dovrebbe garantirti l’anonimato. Oppure, se preferisci rimanere vicino a casa e risparmiare qualche soldo, puoi semplicemente fare un salto Oltremanica: con una dozzina di sterline crei la tua società nel Regno Unito in pochi minuti senza che nessuno faccia domande. Il sistema si basa interamente sull’autocertificazione, e per mascherare la propria identità basta inserire dati falsi o parziali.

Dopo anni di pressioni da parte di società civile e giornalisti, oggi il governo riconosce che i casi di uso improprio del registro sono in costante aumento e sono strumentali all’esecuzione di reati finanziari.

Un gioco da ragazzi che, in un futuro non troppo prossimo, potrebbe però complicarsi. Almeno stando alle promesse fatte nell’ultimo mese da quei governi che, per oltre mezzo secolo, hanno chiuso un occhio su questi meccanismi arcinoti, ma redditizi.

Il primo annuncio è arrivato a metà settembre da Downing Street: una riforma senza precedenti di Companies House, il registro imprese britannico. Dopo anni di pressioni da parte di società civile e giornalisti, oggi il governo riconosce che i casi di uso improprio del registro sono in costante aumento e sono strumentali all’esecuzione di reati finanziari.

Nella serie Mafia in UK, IrpiMedia aveva raccontato come Antonio Righi, condannato per maxi-riciclaggio a favore della camorra, fosse comparso in società inglesi in compagnia di prestanome in carne e ossa e soggetti di fantasia. Come Ottavio «Detto Il Ladro di Galline», che nel registro imprese indica la professione di «truffatore». O ancora, la «Banda Bassotti Company Ltd», registrata in «Via Dei 40 Ladroni, Ali Babbà, Italy».

Non si tratta di un caso isolato. Uno studio di Transparency International dice che «scatole vuote» di diritto britannico sono stati utilizzate in almeno 89 casi di corruzione e riciclaggio, contribuendo a danni economici per circa 137 miliardi di sterline.

Mettiamolo subito in chiaro, l’iter di discussione e approvazione di una tale legge potrebbe essere lungo e travagliato, soprattutto durante un’emergenza sanitaria. Ma, se effettivamente attuata, la proposta di riforma andrebbe a toppare molte delle falle sfruttate dai criminali.

Un impianto che si basa sulla presunta buona fede degli utenti verrebbe rimpiazzato da un sistema di verifiche obbligatorie dell’identità di tutti gli amministratori e beneficiari ultimi delle società registrate nel Regno Unito. Una modifica basilare in teoria, ma che dovrebbe finalmente mettere fine ad assurdità clamorose. L’utilizzo di generalità fantasiose, come abbiamo visto, ma non solo. Una ricerca di Global Witness, per esempio, ha scovato 4mila beneficiari ultimi di aziende britanniche che dichiarano un età inferiore ai due anni.

Per approfondire

Mafie e Regno unito

Londra è diventata un’enorme zona grigia dove convergono i capitali sporchi di tutto il mondo. Una seconda casa per evasori fiscali e mafie. La nostra serie di inchieste esplora la vastità del problema

Altro punto chiave della riforma proposta è la regolamentazione più stringente degli agenti di formazione, ovvero quei soggetti che aprono aziende per conto terzi. Un mercato opaco dove spesso si annidano le illegalità più sofisticate. Nell’inchiesta 29Leaks, Irpimedia aveva raccontato gli affari sospetti di Formations House, una delle agenzie più note. Oltre 400mila aziende iscritte nel registro imprese di Sua Maestà per conto di clienti tra cui eredi della famiglia Riina, colletti bianchi al servizio di uomini della camorra, imprenditori iraniani sotto sanzione e motociclisti svedesi della gang Hell’s Angels. Nel nuovo regime di Companies House solo gli agenti di formazione «adeguatamente supervisionati» potrebbero depositare informazioni, e solo se in grado di fornire prove tangibili delle verifiche svolte sui clienti.

Terzo cardine della riforma è l’investitura a Companies House del potere di fare indagini proattive sulle informazioni inserite sul registro imprese, invece di accettare passivamente la loro validità. Un cambio di passo epocale, visto che ad oggi solo il 4% delle domande di inserimento nel registro vengono rigettate ogni anno, ed esclusivamente per errori formali di formattazione.

La proposta del governo di Johnson è stata salutata con soddisfazione da chi per anni si è battuto sull’argomento. Steve Goodrich, research manager di Transparency International UK, crede che «queste modifiche rappresentano un passo avanti significativo nel combattere il ruolo del Regno Unito come centro nevralgico del riciclaggio di denaro sporco».

Più cauta, seppur sempre favorevole alla riforma, è Helena Wood, membro del Royal United Services Institute. «Le riforme proposte sono significative, ma non hanno la portata e ambizione necessaria per ripulire l’immagine del registro delle imprese», scrive Wood in un editoriale. Il grande punto di domanda sollevato dalla ricercatrice riguarda il finanziamento dei costi aggiuntivi che tutte queste nuove prerogative comportano. La sua proposta è quella di aumentare la tariffa pagata dai clienti per aprire una nuova società, ora fissata a sole 12 sterline.

Le misure proposte dal governo devono ora affrontare il percorso parlamentare ed essere discusse nella Camera dei Comuni prima, e quella dei Lord poi, prima di essere approvate.

Nel frattempo, una settimana dopo l’annuncio del governo di Londra, un’altra apertura potenzialmente storica è stata fatta da un paese crocevia della finanza offshore e che dalla Corona inglese dipende: le Isole Vergini Britanniche (BVI).

«Le riforme proposte sono significative, ma non hanno la portata e ambizione necessaria per ripulire l’immagine del registro delle imprese»
Helena Wood, Royal United Services Institute

Il governo del territorio caraibico si è impegnato a introdurre entro il 2023 un registro pubblico dei beneficiari ultimi di tutte le società costituite nel noto paradiso fiscale. Ovvero, i nomi e cognomi di chi possiede una società sulle Isole diventerebbero accessibili. Anche qui il condizionale è d’obbligo, ma una nuova stagione votata alla trasparenza squarcerebbe quella cortina di fumo che oggi protegge, tra gli altri, mafiosi, dittatori, truffatori ed evasori fiscali.

Inchieste giornalistiche internazionali come Panama Papers o i recenti FinCen Files hanno dimostrato innumerevoli volte come le Isole Vergini Britanniche siano una delle destinazioni preferite di chi cerca di mascherare i movimenti di denaro illecito. Per Ava Lee di Global Witness si tratta di «un grande passo avanti nella lotta contro l’utilizzo dei paradisi fiscali legati al Regno Unito per fini di riciclaggio di denaro».

La decisione di aprirsi alla trasparenza non è il frutto di uno spassionato sforzo altruistico delle Isole Vergini Britanniche, che sull’industria delle segretezza hanno costruito una fortuna economica. A giocare un ruolo determinante è stata Londra, dove nel 2018 il Parlamento ha approvato una nuova legge antiriciclaggio che obbliga i Territori d’Oltremare a istituire un registro pubblico dei beneficiari. Prima delle BVI, anche altri paradisi fiscali della Corona come le isole di Jersey, Guernsey e Man avevano sottoscritto il proprio impegno a rendere pubblici i dati societari. Tuttavia, per vedere qualcosa di concreto ci vorrà tempo: bisogna aspettare fino al 2023 perché i governi presentino nei rispettivi Parlamenti misure atte a istituire registri pubblici.

C’è da notare anche che nell’annunciare la volontà’ del governo, il premier delle Isole Vergini Britanniche Andrew Fahie ha mantenuto delle riserve. «Ci deve essere prudenza ed equilibrio nel sistema, ha detto Fahie, misure sproporzionate rischiano di violare i diritti dei soggetti rispettosi della legge che sono molto più numerosi dei trasgressori».

Un tentativo, probabilmente, di addolcire la pillola per gli elettori locali, sottolineando la propria rassegnazione alle direttive della madre patria. É all’ombra del Big Ben, infatti, che bisogna cercare la determinazione politica di chiudere alcune di quelle porte lasciate aperte a riciclatori di ogni specie.

Editing: Luca Rinaldi | Foto: Deniz Fuchidzhiev/Unsplash

Riciclaggio e criminalità finanziaria: il caso del Regno Unito

5 Giugno 2020 | A cura di IrpiMedia e Transcrime – Università Cattolica

In che modo un’azienda può essere utilizzata per riciclare denaro? E quali anomalie possono aiutare ad identificare casi a rischio o vulnerabilità sistemiche? Per capirlo possiamo prendere in considerazione, oltre ai dati già esistenti, i primi risultati emersi dal progetto europeo DATACROS sul Regno Unito.

DATACROS è un progetto coordinato da Transcrime e ha l’obiettivo di identificare anomalie nelle strutture societarie di imprese regolarmente registrate per individuare casi a rischio di criminalità finanziaria e riciclaggio di denaro. Il progetto è condotto in collaborazione con i giornalisti investigativi di IRPI, la Polizia spagnola (CNP), e l’Agenzia anticorruzione francese (AFA).

Il caso del Regno Unito

Il Tesoro britannico stima che ogni anno nel Regno Unito venga riciclato denaro sporco per un valore di decine di miliardi di sterline; nella stessa nota, ammette anche che è ragionevole supporre che le cifre reali si aggirino nell’ordine delle centinaia di miliardi di sterline all’anno. Se così fosse, parliamo di volumi che superano il 5% del Pil del paese. Questi numeri trovano conferma nel ruolo centrale giocato dal sistema britannico in molti dei maggiori schemi di riciclaggio scoperti negli ultimi anni, come i casi Danske Bank, Panama Papers e Troika Laundromat. Anche per le mafie italiane, il Regno Unito è una delle mete preferite per il riciclaggio, come evidenziato nell’ultima relazione della Direzione Investigativa Antimafia e da una serie di inchieste apparse su questo giornale.

Gli schemi di riciclaggio su larga scala (ma non solo) si basano sull’utilizzo di valuta virtuale. Spostare grandi quantità di denaro in contante presenta troppi rischi e problemi logistici: le banconote occupano spazio, possono attirare altri criminali o domande scomode alle frontiere. Ma la globalizzazione ha favorito i processi di integrazione dei sistemi finanziari e la dematerializzazione dei flussi, creando nuove opportunità anche per la criminalità. I capitali riciclati transitano nei grandi centri finanziari, dove milioni di transazioni avvengono in frazioni di secondo, e i volumi rendono difficile per le autorità isolare i flussi illeciti. Il Regno Unito ha un peso specifico importante come hub finanziario globale, con la City di Londra al centro del sistema. Il settore dei servizi finanziari contribuisce ad oltre il 10% del Pil britannico, e impiega oltre due milioni di persone.

Ma non è certo sufficiente l’effetto gravitazionale dei mercati finanziari ad attirare i capitali sporchi. Quali sono le vulnerabilità che rendono il Regno Unito così attraente per il riciclaggio e la criminalità finanziaria? Ne abbiamo individuati almeno tre.

1. Registro delle imprese

Riciclare denaro virtuale presenta un problema: la tracciabilità. E qui entrano in gioco le aziende: il riciclaggio su larga scala avviene prevalentemente su conti intestati ad aziende regolarmente registrate, ma per cui è particolarmente difficile risalire all’identità di chi in ultima istanza le controlla – il cosiddetto titolare effettivo, o beneficial owner.

A livello europeo, si sta cercando di facilitare l’identificazione dei beneficial owner con la costituzione dei registri dei titolari effettivi, introdotti dalla quarta (e poi quinta) Direttiva antiriciclaggio. Nel Regno Unito un simile registro – Companies House – esiste ed è attivo da tempo, ma presenta una combinazione paradossale di trasparenza e completezza.

Da un lato, la buona notizia è che il registro del Regno Unito è trasparente e pubblico, e riporta per ogni azienda le cosiddette PSC (People with Significant Control), ossia le persone che esercitano un controllo azionario significativo. Trovare informazioni sulla struttura proprietaria delle aziende è più semplice che in altri paesi dell’Unione europea. Nell’ambito del progetto DATACROS, tramite l’uso delle banche dati di Bureau van Dijk, Transcrime ha analizzato i dati sull’azionariato di oltre 50 milioni di imprese registrate in 28 paesi europei (UK+EU27). Degli oltre 4 milioni di società di capitali registrate nel Regno Unito, il 94,4% riporta dati di azionariato, un valore molto alto se rapportato alla media europea (circa 67%): molto bene.

La cattiva notizia, però, riguarda l’attendibilità delle informazioni riportate nel registro di Companies House. Le verifiche sulla correttezza dei dati inseriti sono largamente insufficienti, perché Companies House non ha poteri di controllo in questo senso. Dunque, quali anomalie nelle caratteristiche nelle imprese britanniche si possono identificare e misurare con i dati a disposizione?

Anomalie nelle caratteristiche delle imprese britanniche
Da uno studio condotto da Global Witness (2019), risulta che nel registro delle imprese britannico:

  • 6.711 imprese sono controllate da un titolare effettivo che controlla oltre 100 altre imprese, suggerendo la possibile presenza di prestanome;
  • Circa 4.000 titolari effettivi riportano meno di 2 anni di età, e due devono ancora nascere – un livello di imprenditorialità anomalo anche per i padri fondatori del capitalismo moderno.

Partendo dai dati contenuti nei registri camerali, identificare anomalie nelle anagrafiche dei titolari, come nello studio di Global Witness, è una prima strada. Altri tipi di anomalie invece possono emergere analizzando l’opacità delle strutture di ownership, cioè delle proprietà delle aziende. Per nascondere la reale identità dei titolari effettivi, le strutture di controllo delle aziende possono presentare complesse catene di società interposte, legami azionari con giurisdizioni offshore, forme societarie poco trasparenti come trust o fiduciarie, o schemi di azionariato circolare.

La complessità degli schemi societari

Dai primi risultati del progetto DATACROS, Transcrime ha calcolato (fonte: Bureau van Dijk) che nel Regno Unito:

  • Oltre 30.000 società di capitali sono controllate da trust, fiduciarie o fondi d’investimento che non permettono di identificare un titolare effettivo. È un numero cinque volte superiore a quello che si osserva in media negli altri paesi europei, al secondo posto dopo l’Olanda (oltre 60.000);
  • L’1,5% delle società di capitali ha legami azionari con giurisdizioni presenti in una blacklist o grey list di giurisdizioni non-cooperative nella lotta al riciclaggio o nella lotta all’evasione fiscale, come riportate dalla Financial-Action-Task Force (FATF) e dalla Commissione europea. Il Regno Unito si classifica al sesto posto di questa speciale classifica europea. Isolando l’area di Londra però, questo valore più che raddoppia, raggiungendo il 3,6%.

Il caso Formations House

Caso significativo è quello relativo alla vicenda Formations House, società che fino al 2017 apriva società per conto terzi dal civico 29 di Harley Street, a Londra. Oggi ha cambiato sede, ma non ragione sociale. Sono oltre 400 mila le aziende aperte da Formations House nell’arco di dieci anni e iscritte al registro del commercio di Sua Maestà. Un leak ottenuto dagli attivisti di Distributed Denial of Secrets (Ddos) e condivisi con un consorzio di giornalisti coordinato da OCCRP, tra cui quelli di IrpiMedia, e Finance Uncovered, ha svelato come tra i numerosi clienti di Formations House si trovassero società non in grado di passare un banale controllo dell’antiriciclaggio inglese.

Negli oltre 400 gigabyte del leak si trovano mail, contratti, documenti riservati e telefonate che svelano come chiunque, compresi criminali più o meno organici alla malavita organizzata, abbiano usato Londra come fosse un’isola caraibica per costruire il proprio scrigno all’interno dei confini della vecchia Europa.

Del resto, come ha dichiarato ai giornalisti David Clarke, presidente del Fraud Advisory Panel, sono state solo 23 le denunce recapitate per profili sospetti alle autorità inglesi da agenzie analoghe a Formations House. Tutto ciò nonostante non mancassero le anomalie nei profili analizzati. La stessa Formations House era stata avvisata dalle autorità antiriciclaggio del Regno Unito nel 2016 dell’alto rischio di infrangere le norme internazionali sulla provenienza illecita del denaro. Ma quell’avviso è rimasto lettera morta.

Così dei servizi forniti dalla società hanno potuto beneficiare, tra gli altri, alcuni noti riciclatori italiani legati alla criminalità organizzata, gli eredi del boss di cosa nostra Totò Riina, già coinvolti nelle indagini dell’antimafia in Italia e l’ex presidente degli Hell’s Angels svedesi, banda criminale ritenuta dall’Europol particolarmente pericolosa in 17 Paesi dell’Unione europea. La lista prosegue con alcuni magnati russi che hanno costruito nel tempo sistemi di società offshore per ricevere pagamenti nei paradisi fiscali, e in Africa dove addirittura sono stati generati istituti bancari fantasma pronti a operare con tanto di codice SWIFT.

Non è quindi un caso che le aziende registrate nel Regno Unito abbiano giocato un ruolo importante in molti dei maggiori schemi di riciclaggio identificati negli ultimi anni in Europa. Nel caso Danske Bank – uno dei più grandi schemi di riciclaggio della storia – fondi sospetti per oltre 200 miliardi di euro sono transitati tra il 2007 e il 2015 nella filiale estone della banca danese; i titolari dei conti bancari coinvolti nascondevano la propria identità dietro strutture societarie registrate presso la Companies House britannica.

Nel caso Troika Laundromat, oltre mille imprese registrate nel Regno Unito hanno contribuito a spostare 9,9 miliardi di sterline facendo transitare fondi dalla Russia all’Europa tramite una banca lituana. Nel 2018, con l’operazione “Piano B”, la Direzione Investigativa Antimafia ha scoperto che il clan dei Casalesi aveva investito 12 milioni di euro utilizzando società con sede in Gran Bretagna.

Fino a quando il livello di controlli sulle iscrizioni al registro delle imprese rimarrà tale, gli incentivi per riciclare utilizzando società britanniche rimarranno intatti.

2. Dipendenze della Corona e Territori d’oltremare

L’accessibilità del registro delle imprese britannico permette se non altro l’identificazione di possibili anomalie nelle catene societarie delle aziende registrate. Ma cosa si può dire sul livello complessivo di opacità finanziaria del sistema britannico? Possiamo identificare vulnerabilità ed anomalie in questo senso?

Non è facile rispondere a questa domanda. Una possibilità è guardare il Financial Secrecy Score, un indicatore composito prodotto dalla Tax Justice Network, gruppo di organizzazioni che dal 2003 chiedono la creazione di sistemi fiscali più equi in tutto il mondo. Lo Score combina 20 misure qualitative di opacità finanziaria ottenute analizzando le legislazioni e le caratteristiche del sistema finanziario e bancario di 130 paesi. In questo senso, il caso del Regno Unito è molto interessante. Il suo Financial Secrecy Score relativo al 2020 indica un rischio tra i più bassi a livello globale (126° nel ranking complessivo). Nonostante ciò, Tax Justice Network stima che il Regno Unito ospiti oltre il 16% del volume globale di servizi finanziari offshore. Questo è possibile perché il Regno Unito si trova di fatto al centro di un network di giurisdizioni particolarmente opache che la Corona supporta e controlla. Tra queste, spiccano le tre dipendenze della Corona (Jersey, Guernsey e l’Isola di Man), e i 14 territori d’oltremare, tutti Paesi con livelli di opacità finanziaria ben oltre la media, sette dei quali sono ufficialmente riconosciuti come paradisi fiscali: Anguilla, Bermuda, Isole Vergini Britanniche, Cayman, Gibilterra, Montserrat e Turks & Caicos.

Il Financial Secrecy Score è una misura di segretezza finanziaria pubblicata ogni due anni da Tax Justice Network per più di 100 paesi. La scala va da 0 (segretezza minima) a 100 (segretezza massima)

Quali anomalie possiamo osservare nelle aziende registrate in queste giurisdizioni? Per DATACROS, Transcrime ha analizzato i dati di Bureau van Dijk sulle aziende registrate nelle Dipendenze della Corona: dai primi risultati emerge che a Guernsey le società di capitali che non presentano alcuna informazione sull’azionariato sono il 79,1% del totale (rispetto al 5,6% del Regno Unito). Si trovano valori ancora maggiori guardando a Jersey (90,3%), e sull’Isola di Man (96,7%). Guardando alle aziende che riportano una struttura proprietaria, poi, si identificano ulteriori anomalie: tra Jersey e Guernsey, il 10,4% di queste hanno legami azionari con giurisdizioni presenti in blacklist internazionali, un numero sette volte superiore a quello riscontrato nel resto del Regno Unito.

3. Mercato immobiliare

L’utilizzo delle società offshore per scopi illeciti, nel Regno Unito, è spesso legato a filo doppio con il mercato immobiliare. Per stessa ammissione del governo, gli alti prezzi degli immobili, in particolare a Londra, forniscono un’ottima opportunità per riciclare grosse somme di denaro in un’unica transazione. A questo si unisce un sistema particolarmente frammentato di controlli antiriciclaggio.

Infatti, i soggetti coinvolti in una transazione immobiliare, in materia di antiriciclaggio devono sottostare a regolamentazioni ed autorità diverse. Le banche riportano alla Financial Conduct Authority (FCA), i servizi legali alla Solicitors Regulation Authority (SRA), e gli agenti immobiliari alla HMRC (l’equivalente della nostra Agenzia delle Entrate). Proprio questi ultimi sembrano rappresentare l’anello debole del sistema di controlli. Nel 2019 gli agenti immobiliari hanno segnalato solo 710 operazioni sospette – meno dello 0,15% del totale delle segnalazioni effettuate in UK.

Se il mercato immobiliare è così vulnerabile, quali anomalie si possono identificare? Private Eye ha mappato tutte le proprietà immobiliari in Inghilterra e Galles acquisite da società offshore fra il 2005 e il 2014. Lo studio stima che il valore totale di queste proprietà superi i 200 miliardi di sterline. I territori di provenienza di queste aziende? Gli stessi che abbiamo incontrato nel paragrafo precedente: Isole Vergini Britanniche, Jersey, Isola di Man e Guernsey.

Per approfondire

#29Leaks

I “formation agents” sono società che aprono aziende per conto terzi. Formations House, al 29 di Harley Street, a Londra, è tra questi: ha aperto oltre 400 mila aziende iscritte al registro del commercio di Sua Maestà. Tra i numerosi clienti, però, qualcuno non avrebbe avuto i documenti in regola per passare un banale controllo dell’antiriciclaggio inglese.

Conclusioni

Le vulnerabilità strutturali del sistema del Regno Unito contribuiscono a creare opportunità per riciclare denaro, in particolare dove i controlli sono meno stringenti, come nel caso del registro Companies House, delle giurisdizioni offshore o del mercato immobiliare.

La frammentazione del sistema di controlli antiriciclaggio è un problema che coinvolge l’intera economia, come emerge da un rapporto parlamentare del 2019. Nel paese operano 25 diverse autorità competenti in materia antiriciclaggio, un assetto che non sembra garantire un filtro di controlli efficace. Alla frammentazione interna si uniscono i problemi legati alla cooperazione con gli altri paesi europei: mentre l’UE cerca di muoversi verso un’integrazione della regolamentazione e dei presidi antiriciclaggio (4° e 5° Direttiva AML), il processo della Brexit sembra trascinare il Regno Unito nella direzione opposta, rendendo più difficile affrontare un problema di natura internazionale. Fuori dall’Unione europea, il Regno Unito potrebbe anche non avere più accesso a Europol e al suo sistema di informazione (EIS), fondamentale per le attività di intelligence transnazionali.

Il Regno Unito si appresta ad affrontare un periodo cruciale nel breve-medio termine, in cui i policy maker dovranno pianificare la ripresa economica dopo la pandemia da Covid-19 e le difficili tappe del processo della Brexit. In questo contesto rimane da capire se la lotta al riciclaggio e alla criminalità finanziaria avranno una posizione prioritaria nell’agenda di Downing Street. Se così sarà, il Governo dovrà fare uno sforzo per definire con maggior precisione la dimensione del problema riciclaggio – al momento sono disponibili solo stime per difetto – e portare ordine all’interno del frammentato sistema di regolamentazione e supervisione. Sarà necessario prestare particolare attenzione alle vulnerabilità costituite dal registro Companies House, dalle giurisdizioni off-shore legate alla Corona e dal mercato immobiliare.

E un utile punto di partenza possono essere proprio le anomalie nelle strutture societarie che Transcrime sta identificando tramite il progetto DATACROS che si concluderà l’anno prossimo.

Foto: una vista di Londra – David Algás Oroquieta/Unsplash

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