Nonostante l’impegno e il fiorire di proposte e potenziali soluzioni, mancano azioni decise ed efficaci per proteggere la città
Svizzera, archiviata l’inchiesta sul caso Magnitsky
17 Agosto 2021 | di Lorenzo Bodrero, Federico Franchini
Dieci anni di indagine e un nulla di fatto. Lo scorso 27 luglio, la Procura generale svizzera ha annunciato l’archiviazione del procedimento penale sul “caso Magnitsky” in Svizzera, filone processuale dell’inchiesta internazionale sul riciclaggio di denaro operato dalla Russia. La procura elvetica ha stabilito che «non sono emerse prove che giustifichino accuse da muovere contro nessuno», si legge nel comunicato stampa. L’inchiesta era nata nel 2011 con l’obiettivo di fare luce su un presunto schema di società di comodo che dalla Russia aveva dirottato verso l’Europa almeno 230 milioni di euro, di cui la fetta più importante in Svizzera. Scopo delle movimentazioni di denaro, secondo le ipotesi delle diverse procure che indagano: riciclare denaro sporco e rimetterlo in circolo nell’economia legale.
Alla base dell’indagine internazionale ci sono le denunce portate da William Browder, uomo d’affari britannico a capo di Hermitage Capital Management, allora il fondo straniero più importante su territorio russo. In pratica, Mosca ha accusato il fondo di Browder di evasione fiscale e ha redistribuito almeno una parte di quelle che in realtà erano le tasse pagate da Hermitage a un giro di società offshore vicine ai vertici del Cremlino le quali a loro volta hanno investito questi soldi per spese di ogni genere (da beni di lusso a rette universitarie) in diversi Paesi europei, tra cui l’Italia.
Le società offshore del primo anello del sistema negli anni sono state beneficiarie di moltissimi altri bonifici la cui origine è totalmente ignota.
Il processo sul presunto riciclaggio russo fatica a ottenere risultati sul piano giudiziario in Europa, ma l’archiviazione in Svizzera getta un’ulteriore ombra sul principale organo investigativo elvetico, crocevia di importanti indagini su corruzione e riciclaggio internazionale. Nello specifico, la procura svizzera – già bersaglio da due anni di pesanti critiche interne per l’inconcludenza delle sue inchieste e per gli scandali che hanno travolto l’ex procuratore generale – non è stata in grado di individuare nomi e cognomi di cittadini svizzeri o di altre nazionalità che avrebbero preso parte al presunto sistema di riciclaggio. Ha però «potuto dimostrare un legame tra una parte dei valori patrimoniali sotto sequestro in Svizzera e il reato preliminare commesso in Russia». Tradotto, il riciclaggio ci sarebbe anche stato ma è avvenuto al di fuori dei confini elvetici, ragion per cui i magistrati svizzeri hanno chiuso le indagini.
Dei 18 milioni di franchi svizzeri congelati durante l’inchiesta, la procura ha però deciso la confisca definitiva di 4 milioni come «risarcimento a favore della Confederazione».
Browder, da pupillo ad antagonista del Cremlino
Concludere le indagini senza un rinvio a giudizio «è una macchia indelebile per la Svizzera», ha dichiarato William Browder, che ha fatto della vicenda un affare personale. Il finanziere americano con passaporto britannico era tra gli uomini d’affari stranieri più in vista nella capitale russa nei primi anni Duemila. All’apice del successo, il suo fondo Hermitage Capital Management gestiva un patrimonio di 4,5 miliardi di dollari. Una buona fetta di questi era in mano a investitori russi, molti dei quali avevano accumulato una fortuna nei primi anni ’90 durante la privatizzazione dei colossi ex sovietici dell’energia.
Browder «contribuiva a rendere ancor più ricchi i suoi già ricchi clienti», con un obiettivo in più, però: «Rendere pubbliche le attività illecite delle società in cui i suoi clienti investivano, nella speranza di migliorarne il comportamente nonché il valore delle loro quotazioni», scriveva l’Economist. Nel 2005, però, qualcosa si è guastato ed è stato indicato come una minaccia per la sicurezza del Paese ed espulso dalla Russia. Pochi mesi più tardi gli uomini del Cremlino hanno fatto irruzione negli uffici russi di Hermitage, in quelli delle sue holding e dello studio legale, confiscando documenti e computer. Secondo Browder e i suoi legali, la documentazione confiscata è stata manipolata e poi utilizzata per muovere accuse pre-fabbricate contro le sue società.
Secondo i suoi legali, tra il 2008 e 2010 ignoti avrebbero «perpetrato una frode a danno delle autorità fiscali russe, la quale avrebbe condotto a un rimborso illecito di imposte per un importo equivalente a 230 milioni di dollari», scrive la procura elvetica. L’aveva scoperta Sergei Magnitsky, allora avvocato dell’hedge fund, che da Browder era stato incaricato di venire a capo del meccanismo di riciclaggio. Per le sue indagini, che indicavano diversi funzionari russi come i responsabili del colossale raggiro, Magnitsky fu arrestato e morì di incuria nel 2009 in un carcere moscovita. La Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) nel 2019 ha stabilito che «privando Magnitsky di cure mediche adeguate» durante la detenzione «le autorità locali (russe, ndr) hanno messo a repentaglio la sua vita irragionevolmente».
Quella truffa, conosciuta oggi alle cronache come il Laundromat, e la conseguente campagna di sensibilizzazione portata avanti da William Browder a livello internazionale, hanno portato l’amministrazione Obama a emanare nel 2012 il Magnitsky Act, la prima serie di sanzioni economiche contro società e persone «che sono state responsabili o hanno beneficiato finanziariamente della detenzione, abuso o morte di Sergei Magnitsky; sono state coinvolte nell’attività criminale scoperta da Sergei Magnitsky; sono stati responsabili di esecuzioni extragiudiziali, tortura o altre gravi violazioni dei diritti umani commessi contro individui che cercavano di denunciare attività illegali svolte da funzionari del governo della Federazione Russa o di ottenere, esercitare, difendere o promuovere i diritti umani e le libertà internazionalmente riconosciuti in qualsiasi parte nel mondo».
Dalla Russia al Fifagate passando per la Trump Tower
Circa la metà dei fondi sequestrati dalla procura elvetica, depositati presso la banca Credit Suisse di Zurigo, appartengono a Vladen Stepanov, fino al 2010 marito di Olga Stepanova. Quest’ultima ha guidato l’ufficio 28 dell’Agenzia delle Entrate di Mosca ed è colei che avrebbe approvato i rimborsi fiscali attraverso cui l’erario russo ha camuffato la presunta redistribuzione dei soldi di Browder tra le società del “primo anello” del sistema Magnitsky. Il Tesoro americano ha inserito Stepanova nella lista dei bersagli di sanzioni dall’aprile 2013.
Altri nove milioni sono legati a Denis Katsyv e Dmitry Klyuev. Quest’ultimo, ex proprietario della banca Universal, è considerato una delle menti della presunta frode ed è uno dei personaggi più vicini ai coniugi Stepanov, con i quali ha trascorso del tempo in prossimità di alcuni importanti “rimborsi fiscali” sia a Ginevra sia a Dubai. Denis Katsyv, figlio dell’ex vicepresidente del governo regionale di Mosca, è invece il patron della cipriota Prevezon Holdings, una delle società ritenute destinatarie dei proventi della frode.
Nel 2017 la società ha pagato una transazione per riciclaggio e confisca di denaro civile al Dipartimento della Giustizia americana – un patteggiamento – dal valore di circa 6 milioni di dollari. Era stata accusata di aver riciclato nel mercato immobiliare di Manhattan il denaro proveniente dalla truffa svelata da Magnitsky. Come ha rivelato Occrp nell’ambito dell’inchiesta Fincen Files, tra le società che hanno pagato Prevezon Holdings ce n’è anche una segnalata per attività sospette dall’unità antiriciclaggio americana. Prevezon in Svizzera aveva due conti, presso le banche Edmond de Rothschild e UBS.
A difendere le sorti giuridiche della Prevezon Holdings a New York c’era Natalya Veselnitskaya, avvocata dalla carriera lampo balzata alle cronache nel giugno 2016. Erano gli ultimi frenetici mesi prima del voto che avrebbe portato gli americani a scegliere tra Donald Trump e Hillary Clinton quale inquilino della Casa Bianca. Una mail inviata a Donald Trump Jr, figlio dell’ex presidente, da un vecchio socio d’affari del padre prometteva documenti che «incriminerebbero Hillary (Clinton, ndr) e i suoi rapporti con la Russia e sarebbero molto utili per tuo padre». Pochi giorni dopo lo stesso collaboratore ha proposto un incontro con un misterioso «avvocato del governo russo».
Per approfondire
Natalya Veselnitskaya, l’avvocatessa russa contro il Magnitsky Act
Tra Svizzera e Stati Uniti, le vicende della legale che vuole l’abolizione delle sanzioni contro la Russia. Il suo nome compare nei principali procedimenti dei due Paesi: dal Russiagate fino allo scandalo Fifa all’inchiesta sul Laundromat
L’incontro ha avuto luogo il 9 giugno presso la Trump Tower e l’oscuro avvocato si scopre essere proprio la Veselnitskaya. La legale, però, era lì per tutt’altro motivo, le accuse contro la candidata Democratica sono state infatti deboli e la sua attenzione si concentra invece sul fare pressioni verso lo staff di Trump per alleggerire le sanzioni del Magnitsky Act. Un anno più tardi, le vere intenzioni di Veselnitskaya sono emerse grazie a uno scoop di Foreign Policy e per sua stessa ammissione: il suo intento era screditare William Browder per conto del Cremlino.
Quella riunione è poi finita al centro delle attenzioni dell’allora procuratore speciale Robert Muller incaricato negli Stati Uniti sui rapporti tra lo staff di Trump ed emissari del Cremlino, rapporti che avrebbero condizionato l’esito delle elezioni del 2016. Nel 2019 il Distretto meridionale di Manhattan, la stessa Corte presso la quale Prevezon Holdings ha patteggiato la sua transazione, ha imputato l’avvocato per ostruzione alla giustizia.
Le pressioni dell’avvocata contro il sistema di sanzioni alla Russia non si limitavano, però, ai soli Stati Uniti. È emerso infatti che insieme all’allora vice procuratore generale russo, Saak Karapetyan (deceduto in un incidente in elicottero nell’ottobre 2018), i due avevano messo in piedi una strategia per reclutare Vinzenz Schnell, un poliziotto svizzero di primo piano coinvolto nelle indagini di riciclaggio, le stesse archiviate lo scorso 27 luglio. L’investigatore elvetico, poi licenziato per comportamento «non autorizzato», era tra i più esperti investigatori nelle indagini legate alla Russia e ai Paesi dell’Est. Il duo Karapetyan-Veselnitskaya era riuscito a incontrarlo in Svizzera in almeno due occasioni e in Russia nel dicembre 2016 dove aveva partecipato a una battuta di caccia all’orso, una gita che gli era poi costata una condanna penale. Era uno dei più stretti collaboratori di Michael Lauber, allora alla guida della Procura generale elvetica e anche lui travolto da inchieste e scandali.
Come il suo collaboratore, Lauber aveva causato una crisi diplomatica a seguito della pubblicazione di una fotografia che lo immortalava – in ginocchio – insieme a Saak Karapetyan durante un’escursione sul lago Baikal, in Siberia. Dopo un anno di pressioni e un procedimento di impeachment, Lauber ha presentato le proprie dimissioni da Procuratore generale un anno fa a causa di due incontri segreti tra lui e l’attuale presidente della Fifa, Gianni Infantino, durante le indagini sulla corruzione nella stessa Fifa che Lauber coordinava.
Da sinistra: con la maglia numero 87, Patrick Lamon, ex procuratore svizzero andato da poco in pensione. Si è occupato dell’inchiesta Magnitsky ma non è stato lui ad archiviarla. Accanto, con il viso oscurato, il poliziotto Vinzenz Schnell, in seguito allontanato dalle forze dell’ordine elvetiche per comportamento scorretto. In giacca scura, alla destra di Schnell, c’è Saak Karapateyan, ex vicedirettore della procura generale russa, morto in un incidente con l’elicottero nel 2018. Secondo le autorità svizzere, avrebbe incontrato gli inquirenti elvetici più volte a Ginevra e Zurigo ed era in stretto contatto con Schnell. Il suo scopo sarebbe stato bloccare l’indagine sul riciclaggio russo in Svizzera. A terra, in ginocchio, Michael Lauber, ex procuratore generale della Svizzera, costretto nel luglio del 2020 a dimettersi a causa di altri incontri segreti, questa volta riconducibili all’inchiesta che stava conducendo sulla corruzione nella Fifa.
A un anno dall’allontanamento di Lauber, la sua posizione è ancora vacante e le critiche verso quello che in Svizzera è l’organo di indagine più importante del Paese non si placano, al punto che la Commissione giustizia del parlamento elvetico ha commissionato due report per una riforma sostanziale del sistema giudiziario.
Il meccanismo dei Laundromat
Il piacere proibito di Tizio è entrare nella proprietà privata di Caio per correre spensierato sul suo prato. Un giorno Tizio scivola malamente sui pantaloni. Una strisciata di verde evidente. Il prato, per altro, mostra i segni dell’incidente. Tizio lascia in fretta e furia la proprietà di Caio e cerca una lavanderia dove pulire i vestiti.
Viste le tracce sul prato, Caio si è messo in cerca del colpevole. Va alla lavanderia del paese per sapere chi ha portato dei pantaloni chiari e sporchi di erba. Sempronio, il gestore, collabora, ma la lista dei clienti di quel genere è lunga. Caio chiede per ognuno di loro di vedere il vestito sporco. Ma Tizio – e altri come lui – ha chiesto a Sempronio di portare il proprio vestito in un’altra lavanderia, con prodotti più forti per togliere le macchie. Tutto giustificato, quindi, anche se Sempronio, in cuor suo, sa che alcuni di quei vestiti in realtà erano già puliti. L’operazione, alla fine, serve solo a sviare le ricerche di Caio: il numero di lavanderie da visitare per trovare quei pantaloni diventa ingestibile. A ogni candeggio, per altro, diventa più difficile scovare segni della scivolata sul prato. Il sistema si compie quando i pantaloni tornano a Tizio, il proprietario, che può ricominciare a usarli come se niente fosse.
Sostituite i vestiti bianchi con i soldi, la macchia d’erba con un reato qualunque e la lavanderia con un fornitore di servizi bancari. Pensate che Tizio sia un criminale, Caio le forze dell’ordine e Sempronio un qualunque professionista. I Sempronio che si prestano a questi servizi sono consapevoli di come l’operazione sia finalizzata all’occultamento di soldi “macchiati”. I passaggi dei vestiti tra lavanderie sono le transazioni: legittime sulle carta, nelle ipotesi degli inquirenti servono solo a riutilizzare per l’acquisto di altro i soldi sporchi iniziali.
I paradossi della Procura svizzera
Per quanto archiviata, l’indagine sul presunto riciclaggio russo in Svizzera ha prodotto qualche risultato. Sui 18 milioni di franchi svizzeri inizialmente congelati, la procura generale ha annunciato la confisca di quattro come «risarcimento a favore della Confederazione». È ragionevole pensare che i rimanenti 14 milioni, che secondo diverse fonti apparterrebbero nella quasi totalità a Vladem Stepanov, saranno restituiti ai protagonisti della vicenda. Un dettaglio che la Procura elvetica si è guardata bene dal comunicare e che pone la questione su quali criteri la Svizzera abbia utilizzato per decidere quanti soldi erano da confiscare e quanti invece da liberare.
La spiegazione della parte da non sequestrare è legata a un problema di giurisdizione: prima di entrare in Svizzera, infatti, i soldi della presunta frode sono passati attraverso vari conti esteri, dove sono stati mescolati ad altri fondi, la cui origine non è chiara. Le modalità di confisca di questo tipo di denaro parzialmente contaminato non sono ancora state chiarite dalla giurisprudenza.
Per stimare le somme attribuibili alla presunta frode e quindi da confiscare, invece, la Procura federale ha applicato il cosiddetto metodo del calcolo proporzionale, una modalità controversa. Diversi esperti ritengono che tenda a favorire i riciclatori che dispongono di strutture capaci di diluire decine di volte il provento illecito. Tanto più che, in questo caso, i beni derivanti dalla frode sono transitati attraverso una moltitudine di società offshore non coinvolte in nessuna attività commerciale concreta. Inoltre, la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, entrata in vigore in Svizzera nel novembre 2006, stabilisce che «se i proventi del crimine sono stati mescolati con beni acquisiti da una fonte legittima, tali beni possono, senza pregiudizio dei poteri di congelamento o di sequestro, essere confiscati fino al valore stimato dei proventi del crimine».
Insomma, la Svizzera ha utilizzato l’opzione più morbida e meno severa. Una scelta contro la quale Browder tenterà di opporsi. Anche se non si sa ancora se sarà possibile: i procuratori elvetici hanno infatti deciso di togliere a Hermitage lo statuto di «accusatore privato», cioè lo status di chi in Svizzera può rivalersi su un altro privato autore di una presunta infrazione nei suoi confronti. Una scelta che, se confermata dai giudici (un ricorso è già stato inoltrato), gli vieterebbe di ricorrere contro questa archiviazione.