Il vuoto nel sistema dell’esportazione rifiuti

17 maggio 2021 | di Luca Rinaldi

Le due puntate dell’inchiesta relativa all’esportazione dei rifiuti italiani in Tunisia hanno molti elementi di riflessione sia sulla gestione del rifiuto in sé, sia sulla geopolitica del business e della filiera legata allo scarto. L’eredità ingombrante della stagione dell’emergenza rifiuti della Campania, delle ecoballe e della rotta dei rifiuti che segue legislazioni più favorevoli e minori costi di smaltimento è un tema su cui non solo l’Italia ma l’Europa tutta dovrà fare prima o poi veramente i conti. Nasce e prospera una vera geopolitica del rifiuto.

Ma c’è una questione sistemica che in tutta la vicenda emerge sulle altre, ed è quella relativa alle autorizzazioni per l’esportazione dei rifiuti al di fuori del territorio nazionale per un loro eventuale riciclo. Al di là delle tecnicalità complesse (codici CER, fidejussioni e competenze) il nervo scoperto di tutta la vicenda è come sia stato possibile che la Regione Campania abbia potuto autorizzare l’esportazione di un rifiuto reputato riciclabile verso un Paese, nel caso specifico la Tunisia, e verso uno stabilimento di destinazione, sprovvisto delle infrastrutture per trattare e riciclare quello stesso rifiuto. Non solo: dalle note di cui è in possesso IrpiMedia si evince anche come della procedura fosse stato informato anche il ministero dell’Ambiente e le autorità competenti tunisine.

L’inchiesta/1

Arresti eccellenti e aziende fantasma: il traffico di rifiuti tra Italia e Tunisia

Documenti confidenziali mostrano il retroscena di uno scandalo che, partito dalla Campania, ha provocato le dimissioni di un ministro a Tunisi

Le rotte aperte per l’esportazione (legale) dei rifiuti si sono spesso trasformate grazie a filiere che mischiano legale e illegale in corridoi da traffico illecito dei rifiuti. Da una parte grazie a quelle “centrali affaristico-imprenditorial-criminali”, per usare una definizione particolarmente calzante del sostituto procuratore nazionale Antimafia Roberto Pennisi, dall’altra per demerito di un sistema di autorizzazioni che permette quanto successo nella vicenda che abbiamo denunciato con la nostra inchiesta. Un vuoto informativo dal lato italiano e legislativo dal lato tunisino.

L’inchiesta/2

Salerno, Varna e Sousse il triangolo dietro i container di rifiuti bloccati in Tunisia

Intermediazioni, interessi e bolle portano anche in Calabria e Bulgaria: indaga l’antimafia, ma l’inchiesta è ferma per la mancata collaborazione internazionale

Nessuno, dalla Regione al ministero, sembrava sapere se la Tunisia fosse realmente attrezzata per trattare quel tipo di rifiuto: gli unici accertamenti sono stati quelli sulla carta. Dall’altra, l’assenza di una normativa ambientale strutturata ha fatto sì che a Sousse arrivassero rifiuti per cui nessuno stabilimento presente sul territorio era attrezzato. Ed è proprio in questi vuoti che la filiera criminale del rifiuto prospera, usando a proprio favore imprenditori, aziende, norme, funzionari pubblici e procedure. Se realmente l’Italia e l’Europa tengono alla cosiddetta “economia del riciclo”, oltre ai denari degli ambiziosi “piani Marshall” ambientali, vadano a individuare questi vuoti in grado di generare crimini e corruzioni. Col rischio finale che dopo il profitto per pochi il rifiuto venga smaltito in maniera scorretta al Paese di destinazione o torni in Italia bloccato in un porto. Sulle spalle della collettività, in Italia come all’estero.

Editing: Lorenzo Bagnoli | Foto: Containers al porto di Anversa – Paul Teysen/Shutterstock

Polizze false e senza coperture, le garanzie finanziarie fantasma delle discariche italiane

18 Gennaio 2021 | di Luca Rinaldi

Polizze assicurative “fasulle”, cioè emesse da società assicurative esistenti ma senza una reale copertura finanziarie e polizze “false”, cioè costituite da documenti ingannevoli e creati ad arte. Sono due scenari che autorità ambientali e inquirenti si trovano molto spesso davanti nel momento in cui è necessario verificare le garanzie finanziarie nel settore delle discariche. Le garanzie sono necessarie per far fronte agli obblighi previsti dalla legge per le varie fasi della vita di una discarica: dall’autorizzazione, all’apertura e alla gestione del sito. Le polizze sono fondamentali sia nel caso in cui si verifichino incidenti, sia nella fase di apertura, sia nella gestione post-mortem della discarica, un periodo che la normativa fissa in trent’anni dalla chiusura del sito di stoccaggio.

La commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti ha messo nero su bianco nella sua ultima relazione che in molti casi tali garanzie non risultano in regola, tanto che alcune indagini aperte stanno portando a galla un vero e proprio traffico illegale di polizze a garanzia di impianti industriali e appalti pubblici. La filiera è perversa e porta soprattutto nei Paesi dell’est Europa, in particolare Romania e Bulgaria, anche se casi del passato hanno messo sotto i riflettori anche altri Stati, come il Liechtenstein o la Cina.

La scoperta delle mancate coperture dopo gli illeciti

«Caso emblematico – riporta la relazione della Commissione presieduta dal deputato Stefano Vignaroli – che coinvolge i problemi delle polizze false e del danno erariale, è rappresentato dalla situazione della discarica di Cavenago d’Adda dopo l’infruttuoso tentativo di stilare con la società Waste Italia, proprietaria al 76% di Ecoadda e quindi della collina di rifiuti di Soltarico, un piano per la post-gestione, cioè per le attività necessarie per i successivi trent’anni, fino a quando i rifiuti potranno considerarsi mineralizzati e non si dovrebbe più pensare allo smaltimento del percolato, e all’estrazione del biogas».

Nel 2014 la Ecoadda aveva stipulato con una compagnia di assicurazioni romena, la Lig Insurance, le polizze fideiussorie per ottenere l’ampliamento della discarica. Nel 2017 la compagnia romena è insolvente e le autorità di vigilanza assicurative sia italiane sia romene ne impediscono l’operatività, e con lei svaniscono le garanzie prestate a favore della provincia di Lodi (proprietaria del sito al 20%) e del comune di Cavenago. Rimane invece la necessità di chiudere, gestire e bonificare il sito, operazioni i cui costi sarebbero dovuti essere garantiti dalle fideiussioni. Invece le operazioni di gestione e bonifica sono ferme da due anni e la stessa EcoAdda è in liquidazione, con i suoi vertici imputati per smaltimento illecito di rifiuti.

Le garanzie finanziarie a garanzia di impianti industriali e appalti pubblici

Garanzie e polizze sono necessarie per far fronte agli obblighi previsti dall’autorizzazione all’apertura dei luoghi di stoccaggio dei rifiuti, che comprendono anche la procedura di chiusura e la successiva gestione trentennale dell’area. Obiettivo: mettere al riparo l’ente pubblico e la collettività dagli effetti delle inadempienze della gestione. La legge prevede anche un piano di adeguamento alla normativa per le discariche preesistenti, e la chiusura dell’impianto in caso di mancata approvazione dello stesso. La garanzia per l’attivazione e la gestione operativa della discarica (comprese le procedure di chiusura) deve essere prestata per una somma commisurata alla capacità autorizzata della discarica e deve essere trattenuta dall’ente garantito per un periodo di almeno due anni dalla comunicazione di approvazione della chiusura. Per contro, la garanzia per la gestione successiva alla chiusura della discarica deve essere commisurata al costo complessivo del post mortem e deve essere trattenuta dall’ente garantito per un periodo di almeno trent’anni dalla comunicazione di approvazione della chiusura. Quest’ultima, pur riguardando la gestione successiva alla chiusura dell’impianto, deve essere prestata entro la sua messa in esercizio.

«Per la legge romena, in caso di fallimento della compagnia – scrive la commissione – ciascun assicurato avrebbe potuto chiedere un rimborso fino a centomila euro, risarcimento che pare non essere stato richiesto, con conseguenti ripercussioni in punto danno erariale». Tanto che la stessa Corte dei Conti in un caso analogo in provincia di Treviso ha contestato i danni alle casse pubbliche da parte dei funzionari addetti alla valutazione del procedimento e delle polizze.

Sempre nella zona del bresciano, particolarmente sotto pressione dal punto di vista ambientale, si riscontrano società del gruppo Waste Italia implicate in meccanismi simili già a cavallo tra il 2017 e il 2018. Durante quella stagione si sono stati applicati roghi all’interno di discariche e capannoni molto di frequente. Nella sola Lombardia in quel periodo si verificò una media di un incendio al mese.

A Bedizzole, dodicimila abitanti alle porte di Brescia, vi furono addirittura tre roghi nei primi cinque mesi del 2017 all’interno dello stesso sito in cui insistono più discariche, sia operative, sia in fase di chiusura e altre chiuse e in post-gestione. La gestione del sito è affidata a società possedute sempre dal gruppo Waste Italia.

La fideiussione, si legge agli atti della commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti della scorsa legislatura, era affidata a una società con sede in Liechtenstein, la Gable Insurance, insolvente proprio dall’inizio del 2017 e fallita qualche tempo dopo. Circostanza che aveva costretto la proprietà a sospendere per cinque mesi le attività in attesa della concessione delle nuove polizze. A leggere la relazione della commissione, casi come quello della Waste Italia non sono né isolati, né sporadici.

«La commissione ha chiesto alle Regioni informazioni su ogni discarica attiva e la situazione delle relative garanzie finanziarie, ma in molti casi le risposte non sono state esaustive»

Stefano Vignaroli, presidente commissione ciclo rifiuti

Non solo discariche

Secondo quanto ha potuto verificare IrpiMedia le società poi risultate insolventi non hanno coinvolto solo il settore dei rifiuti, ma anche quello della sanità. È ancora il caso della Lig Insurance, a cui si erano rivolti enti come l’Azienda tutela salute di della Sardegna e le Unità locali socio-sanitarie del Veneto.

Lo confermano le stesse aziende locali per la tutela della salute che hanno regolarmente pagato i premi assicurativi, ma nel momento del bisogno, cioè dovendo soddisfare richieste di risarcimento danni o comunque dovendo garantire una copertura nel caso di condanne riportate in giudizio, la Lig non è più solvibile. Le aziende pubbliche hanno però fatto partire le procedure necessarie per tutelarsi, dal momento che le attività della Lig, dopo l’interdizione sia dell’Istituto di vigilanza sulle assicurazione (IVASS) italiano sia di quello romeno, sono di competenza del Fondo romeno di garanzia degli assicurati.

Le difficoltà del settore e le raccomandazioni della commissione

L’incertezza è forse il fattore che in questi anni ha causato i problemi più rilevanti. La determinazione delle garanzie infatti, ha scritto la Corte costituzionale in una sentenza del 2013, è di competenza statale. Tuttavia ad oggi, sottolinea la commissione, «tali criteri non sono stati fissati, con una conseguente situazione di grave incertezza applicativa, mentre i provvedimenti regionali sono suscettibili di essere dichiarati incostituzionali o illegittimi».

Inoltre la copertura delle polizze richieste dovrebbe essere trentennale e coprire sia la fase operativa e post-operativa. Tuttavia la commissione constata che le polizze stipulate hanno «con una certa frequenza» una copertura molto più breve di quanto previsto dalla legge italiana: la normativa prescrive trent’anni, le polizze ne durano cinque, con possibilità di rinnovo. Le stesse imprese del settore dei rifiuti lamentano la difficoltà nell’adempimento di questa prescrizione: da una parte emergono i costi troppo alti delle operazioni di post gestione delle discariche, dall’altra sono frequenti i dinieghi delle compagnie assicurative e delle banche a stipulare polizze di durata minima trentennale.

«La commissione – dice a IrpiMedia il presidente della commissione Stefano Vignaroli – ha chiesto alle Regioni informazioni su ogni discarica attiva e la situazione delle relative garanzie finanziarie, ma in molti casi le risposte non sono state esaustive. Un segno a mio avviso di una non sufficiente attenzione verso un tema tanto delicato: attenzione – conclude Vignaroli – che deve aumentare, insieme agli strumenti a disposizione delle amministrazioni regionali per svolgere un controllo preventivo più approfondito delle garanzie finanziarie che vengono loro prestate dai gestori». La commissione entro fine legislatura tornerà sul tema con un approfondimento statistico puntuale sul settore.

Editing: Lorenzo Bagnoli | Foto: Huguette Roe/Shutterstock

Il mistero delle balle di plastica sui fondali della Toscana

3 Luglio 2020 | di Luca Rinaldi

Lo scorso 4 maggio, nella giornata in cui si è chiuso il lockdown a causa della pandemia da Covid-19, l’Istituto superiore per la protezione dell’ambiente (Ispra) ha decretato lo stato di crisi ambientale all’interno delle acque protette del Santuario dei Cetacei nel Golfo di Follonica, in Toscana. Giacciono lì dal 2015 65 tonnellate di plastica perse da una motonave salpata da Piombino e diretta a Varna, in Bulgaria, con un carico di 1.888 balle da incenerire. Cinque anni dopo sono 45 le tonnellate di rifiuti in plastica che si trovano ancora in mare. Del capitano della motonave si sono perse del tutto le tracce. Il procedimento a suo carico è stato archiviato proprio perché irreperibile e la fideiussione da quasi tre milioni di euro a chi ha garantito il carico è stata svincolata per intero dalla Regione Toscana. Tradotto: quando si darà il via al recupero delle 45 tonnellate di rifiuti, l’operazione sarà pagata con denaro pubblico, con buona pace di quel principio sancito dalla legge che «chi inquina paga».

Piombino-Varna solo andata

Piombino, 23 luglio 2015. La motonave Ivy battente bandiera delle Isole Cook e con armatore beneficiario l’inglese Wakes & Company abbandona la banchina del porto, destinazione Varna. A bordo 1.888 balle di CSS (combustibile solido secondario) e CDR (combustibile da rifiuto) per un totale di circa 2.215 tonnellate di rifiuti destinate all’incenerimento in Bulgaria. Al comando della motonave si trova il comandante turco Sinan Ozkaya insieme al suo equipaggio di otto persone, composto da connazionali e ucraini. I rifiuti, utilizzati soprattutto in cementifici o inceneritori per il recupero di energia termica o elettrica, arrivano dall’impianto di produzione di combustibile solido secondario Futura Spa di Grosseto e fanno parte di un carico più consistente di plastica che la società bresciana Eco Valsabbia porta a smaltire all’estero. Eco Valsabbia si occupa della spedizione, mentre della transazione commerciale tra l’impianto produttore dello scarto e le sedi bulgare di recupero se ne occupa la Ecoexport. Al vertice delle due società siede Sergio Gozza, imprenditore attivo e conosciuto sull’asse con l’Est Europa dove è uno dei principali broker per l’esportazione dei rifiuti.

Il Santuario dei cetacei

Il Santuario dei cetacei viene istituito nel 1999 tramite un accordo tra Italia, Francia e Principato di Monaco al fine di proteggere i mammiferi marini e il loro habitat dagli impatti negativi diretti o indiretti delle attività umane. Si estende per circa 87mila chilometri quadrati nella parte settentrionale del Mar Tirreno, nel tratto di mare compreso tra Liguria, Provenza e Sardegna settentrionale. Interessa 2.022 km di litorale e comprende interamente la Corsica, l’Arcipelago Toscano, le Bocche di Bonifacio e numerosi isolotti minori. L’idea della creazione di un Santuario dei cetacei nel Mediterraneo, così definito proprio per la funzione di protezione delle specie, nacque in seguito a numerosi studi sulla ricca vita pelagica di questa porzione di mare.

Alle 18:30 di quel 23 luglio di cinque anni fa tutto è pronto e il comandante sottoscrive la “dichiarazione di buon stivaggio e di navigabilità”, documento in cui certifica che la nave è integra e pronta a lasciare Piombino. Ciò che avviene dall’ora successiva ai giorni nostri è ricostruito in un report dell’unità investigativa di Greenpeace che grazie a documenti, bolle marittime e carte giudiziarie mette in fila i fatti che hanno poi portato il governo a nominare nel giugno del 2019 un commissario straordinario per la bonifica e l’Ispra a dichiarare lo stato di crisi ambientale all’interno del Santuario dei cetacei.

È passata infatti solo un’ora dall’uscita dal porto quando la Ivy a sette miglia dalla costa nel Golfo di Follonica comincia a perdere assetto. La nave si inclina pericolosamente e il comandante per ritrovare l’equilibrio scarica in mare 56 balle tra quelle collocate sul ponte. In questo modo la Ivy recupera parzialmente la stabilità e può riprendere la navigazione verso Varna dove arriverà il 2 agosto successivo. È così che 65 tonnellate di plastica finiscono nelle acque protette del Santuario dei cetacei.

Silenzio e burocrazia

Nessuno tra le autorità marittime sa nulla di quello sversamento fino al 31 luglio successivo quando una balla finisce per caso nella rete di un peschereccio nel Golfo di Follonica. Grazie al marchio sul rifiuto la Guardia Costiera riesce a risalire alle società coinvolte e alla Ivy, che il 2 agosto attracca a Varna. Delle 1.888 balle stivate ne vengono sbarcate 1.832: il giorno successivo viene sentito dalle autorità bulgare Ozkaya, il comandante della Ivy, che fornisce la sua versione sull’avaria, ma il ministero dell’Ambiente di Sofia notificherà solo un mese dopo la Provincia di Grosseto sull’ammanco del carico. Il 3 agosto è l’ultima volta in cui le autorità bulgare vedono Ozkaya. Dopo lo sbarco il comandante verrà sostituito dal comando della Ivy, e di lui si perderà ogni traccia. Vano anche il tentativo di rintracciarlo da parte della Capitaneria di porto di Piombino in tandem con il Consolato italiano in Turchia, suo Paese d’origine. Nemmeno l’Interpol, attivata dalla procura di Grosseto, sarà in grado trovarlo.

In rosso, l’area che delimita il Santuario dei cetacei/IrpiMedia

La versione che ha lasciato alle autorità portuali mostra più di una incongruenza, sia sui percorsi sia sulla condizione dell’imbarcazione nei vari momenti del viaggio. Di fatto Ozkaya va incontro ad almeno due illeciti, nota il documento dell’unità investigativa di Greenpeace: inquinamento ambientale e omessa comunicazione all’Autorità marittima.

Nel corso di quei trenta giorni però sono almeno due le comunicazioni “informali” rimaste incagliate nella burocrazia in attesa di quelle “formali”, ovvero quelle in grado di smuovere la situazione. La prima arriva dalla stessa Ecovalsabbia che, contattata dalla Capitaneria in seguito al ritrovamento della prima balla il 31 luglio 2015, «trasmetteva – spiega a IrpiMedia il legale della società Vittorio Canepa – all’Autorità Marittima una dichiarazione in cui veniva dettagliatamente denunciato l’accaduto». Tuttavia la stessa Capitaneria di porto di Piombino, sottolinea Greenpeace «non agisce». Il 10 settembre 2015 viene avviato il procedimento giudiziario a carico del comandante Ozkaya con le accuse di inquinamento ambientale e mancata comunicazione all’Autorità marittima di un sinistro in acque territoriali. Procedimento che verrà poi definitivamente archiviato nel novembre del 2019 e ripreso recentemente in un nuovo fascicolo dalla procura di Livorno.

Nel frattempo la fideiussione a garanzia del trasporto che la società Eco Valsabbia ha stipulato a favore del Ministero dell’ambiente è stata interamente svincolata dal presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, nonostante la perdita del carico. Uno svincolo «decisamente molto opinabile» ha dichiarato a Greenpeace la giurista ambientale Paola Ficco, del tutto legittimo invece per il legale di Eco Valsabbia «avendo dimostrato di aver consegnato la merce (ossia tutte le 1.888 ecoballe) al vettore marittimo che, dal momento della presa in consegna, ne diventa unico ed esclusivo assuntore dei rischi del trasporto».

Nel frattempo la Ivy solca ancora i mari europei e in Italia è stata vista soprattutto tra Genova, Livorno, Porto Nogaro (Friuli), Ravenna, Termini Imerese e Ortona (Abruzzo) da dove è salpata lo scorso 27 maggio diretta al porto turco di Nemrut. La Futura Spa è stata invece coinvolta in uno dei roghi che tra il 2017 e il 2018 hanno mandato in fumo tonnellate di rifiuti nei centri di raccolta rifiuti in tutta Italia. L’incendio ha incenerito 60 tonnellate di scarti delle 9mila ospitate nello stabilimento e non ha avuto ulteriori conseguenze.

Cinque anni dopo, rifiuti ancora sul fondale

A cinque anni di distanza i rifiuti si trovano ancora sul fondale dell’area protetta. Nel giugno del 2019 il governo ha nominato un Commissario straordinario per il recupero delle balle, il contrammiraglio Aurelio Caligiore. Caligiore mappa per l’ennesima volta i fondali del Golfo di Follonica con le capitanerie e comincia una serie di azioni per cercare di ottenere la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale da parte della Protezione Civile. Per le emergenze nazionali, infatti, ci sono fondi dedicati e, inoltre, è consentito nominare direttamente le ditte d’appalto senza sottostare a tempi e modi dei bandi ordinari. Sono quattro le richieste di attivazione dello stato di emergenza sul tavolo della Protezione Civile guidata da Angelo Borrelli, arrivate dal commissario straordinario, dalla Regione Toscana, dall’Ispra e da una interrogazione parlamentare firmata dai deputati Gregorio De Falco, Emma Bonino e Nicola Fratoianni.

L’avvio delle operazioni di recupero rimane però un miraggio: lo stesso Borrelli, riporta Greenpeace ha spiegato a De Falco il limite burocratico per constatare lo stato di emergenza: «la difficoltà che abbiamo come dipartimento è ritrovare nel caso in questione i presupposti per la dichiarazione dello stato di emergenza, non essendo necessari provvedimenti per l’assistenza alla popolazione e per il ripristino dei servizi essenziali, che legittimano l’intervento emergenziale». Un limbo dunque, che potrebbe risolversi grazie a una convenzione del 2015 tra Ispra e Marina Militare, ma lo strumento non è mai stato attivato.

Lo scorso primo luglio Greenpeace ha presentato un esposto alla Corte dei Conti per danno erariale nei confronti di Regione Toscana. Obiettivo recuperare i tre milioni di euro svincolati dalla fideiussione per procedere al recupero dei rifiuti e alla bonifica dei fondali del Santuario dei cetacei.

Aggiornamento del 5 agosto 2020 – Al via le operazioni di recupero delle ecoballe al largo della costa toscana

Il Gruppo Operativo Subacquei della Marina Militare, tre unità navali specializzate e gli assetti della Guardia Costiera sono pronti ad iniziare le operazioni di recupero delle ecoballe disperse in mare nel golfo di Follonica.

Il 5 agosto è arrivata nel porto di Piombino una task force della Marina militare che, coordinata dal Dipartimento della Protezione civile, inizierà le operazioni tese alla ricerca e recupero delle balle di combustibile solido secondario, che 5 anni fa erano cadute in mare dalla motonave Ivy nelle acque di fronte alla costa toscana.

Le operazioni di recupero saranno portate avanti in due fasi da un team di palombari del Gruppo operativo speciale (Gos) e dal Comando subacquei e incursori (Comsubin). Si è così dunque infine attivato il protocollo di collaborazione tra il Ministero della Difesa e il Dipartimento della Protezione Civile.

Mappe: Lorenzo Bodrero | Foto: Il porto di Varna – Pres Panayotov/Shutterstock

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