Segretezza e scatole vuote: Londra prova a ripulire l’immagine del suo registro imprese
Vuoi muoverli, immettendoli nei circuiti della finanza globale, ma sai che aprire un conto a tuo nome potrebbe essere un grave errore. Se sei scaltro, ti affidi a un professionista, il quale ti spiega l’importanza di mettere uno schermo (idealmente più di uno) tra il tuo nome e il tesoretto e ti illustra diverse strade.
Puoi chiedere a un prestanome di aprirti una società alle Isole Vergini Britanniche, per esempio, dove la famosa segretezza dovrebbe garantirti l’anonimato. Oppure, se preferisci rimanere vicino a casa e risparmiare qualche soldo, puoi semplicemente fare un salto Oltremanica: con una dozzina di sterline crei la tua società nel Regno Unito in pochi minuti senza che nessuno faccia domande. Il sistema si basa interamente sull’autocertificazione, e per mascherare la propria identità basta inserire dati falsi o parziali.
Dopo anni di pressioni da parte di società civile e giornalisti, oggi il governo riconosce che i casi di uso improprio del registro sono in costante aumento e sono strumentali all’esecuzione di reati finanziari.
Un gioco da ragazzi che, in un futuro non troppo prossimo, potrebbe però complicarsi. Almeno stando alle promesse fatte nell’ultimo mese da quei governi che, per oltre mezzo secolo, hanno chiuso un occhio su questi meccanismi arcinoti, ma redditizi.
Il primo annuncio è arrivato a metà settembre da Downing Street: una riforma senza precedenti di Companies House, il registro imprese britannico. Dopo anni di pressioni da parte di società civile e giornalisti, oggi il governo riconosce che i casi di uso improprio del registro sono in costante aumento e sono strumentali all’esecuzione di reati finanziari.
Nella serie Mafia in UK, IrpiMedia aveva raccontato come Antonio Righi, condannato per maxi-riciclaggio a favore della camorra, fosse comparso in società inglesi in compagnia di prestanome in carne e ossa e soggetti di fantasia. Come Ottavio «Detto Il Ladro di Galline», che nel registro imprese indica la professione di «truffatore». O ancora, la «Banda Bassotti Company Ltd», registrata in «Via Dei 40 Ladroni, Ali Babbà, Italy».
Non si tratta di un caso isolato. Uno studio di Transparency International dice che «scatole vuote» di diritto britannico sono stati utilizzate in almeno 89 casi di corruzione e riciclaggio, contribuendo a danni economici per circa 137 miliardi di sterline.
Mettiamolo subito in chiaro, l’iter di discussione e approvazione di una tale legge potrebbe essere lungo e travagliato, soprattutto durante un’emergenza sanitaria. Ma, se effettivamente attuata, la proposta di riforma andrebbe a toppare molte delle falle sfruttate dai criminali.
Un impianto che si basa sulla presunta buona fede degli utenti verrebbe rimpiazzato da un sistema di verifiche obbligatorie dell’identità di tutti gli amministratori e beneficiari ultimi delle società registrate nel Regno Unito. Una modifica basilare in teoria, ma che dovrebbe finalmente mettere fine ad assurdità clamorose. L’utilizzo di generalità fantasiose, come abbiamo visto, ma non solo. Una ricerca di Global Witness, per esempio, ha scovato 4mila beneficiari ultimi di aziende britanniche che dichiarano un età inferiore ai due anni.
Per approfondire
Altro punto chiave della riforma proposta è la regolamentazione più stringente degli agenti di formazione, ovvero quei soggetti che aprono aziende per conto terzi. Un mercato opaco dove spesso si annidano le illegalità più sofisticate. Nell’inchiesta 29Leaks, Irpimedia aveva raccontato gli affari sospetti di Formations House, una delle agenzie più note. Oltre 400mila aziende iscritte nel registro imprese di Sua Maestà per conto di clienti tra cui eredi della famiglia Riina, colletti bianchi al servizio di uomini della camorra, imprenditori iraniani sotto sanzione e motociclisti svedesi della gang Hell’s Angels. Nel nuovo regime di Companies House solo gli agenti di formazione «adeguatamente supervisionati» potrebbero depositare informazioni, e solo se in grado di fornire prove tangibili delle verifiche svolte sui clienti.
Terzo cardine della riforma è l’investitura a Companies House del potere di fare indagini proattive sulle informazioni inserite sul registro imprese, invece di accettare passivamente la loro validità. Un cambio di passo epocale, visto che ad oggi solo il 4% delle domande di inserimento nel registro vengono rigettate ogni anno, ed esclusivamente per errori formali di formattazione.
La proposta del governo di Johnson è stata salutata con soddisfazione da chi per anni si è battuto sull’argomento. Steve Goodrich, research manager di Transparency International UK, crede che «queste modifiche rappresentano un passo avanti significativo nel combattere il ruolo del Regno Unito come centro nevralgico del riciclaggio di denaro sporco».
Più cauta, seppur sempre favorevole alla riforma, è Helena Wood, membro del Royal United Services Institute. «Le riforme proposte sono significative, ma non hanno la portata e ambizione necessaria per ripulire l’immagine del registro delle imprese», scrive Wood in un editoriale. Il grande punto di domanda sollevato dalla ricercatrice riguarda il finanziamento dei costi aggiuntivi che tutte queste nuove prerogative comportano. La sua proposta è quella di aumentare la tariffa pagata dai clienti per aprire una nuova società, ora fissata a sole 12 sterline.
Le misure proposte dal governo devono ora affrontare il percorso parlamentare ed essere discusse nella Camera dei Comuni prima, e quella dei Lord poi, prima di essere approvate.
Nel frattempo, una settimana dopo l’annuncio del governo di Londra, un’altra apertura potenzialmente storica è stata fatta da un paese crocevia della finanza offshore e che dalla Corona inglese dipende: le Isole Vergini Britanniche (BVI).
Il governo del territorio caraibico si è impegnato a introdurre entro il 2023 un registro pubblico dei beneficiari ultimi di tutte le società costituite nel noto paradiso fiscale. Ovvero, i nomi e cognomi di chi possiede una società sulle Isole diventerebbero accessibili. Anche qui il condizionale è d’obbligo, ma una nuova stagione votata alla trasparenza squarcerebbe quella cortina di fumo che oggi protegge, tra gli altri, mafiosi, dittatori, truffatori ed evasori fiscali.
Inchieste giornalistiche internazionali come Panama Papers o i recenti FinCen Files hanno dimostrato innumerevoli volte come le Isole Vergini Britanniche siano una delle destinazioni preferite di chi cerca di mascherare i movimenti di denaro illecito. Per Ava Lee di Global Witness si tratta di «un grande passo avanti nella lotta contro l’utilizzo dei paradisi fiscali legati al Regno Unito per fini di riciclaggio di denaro».
La decisione di aprirsi alla trasparenza non è il frutto di uno spassionato sforzo altruistico delle Isole Vergini Britanniche, che sull’industria delle segretezza hanno costruito una fortuna economica. A giocare un ruolo determinante è stata Londra, dove nel 2018 il Parlamento ha approvato una nuova legge antiriciclaggio che obbliga i Territori d’Oltremare a istituire un registro pubblico dei beneficiari. Prima delle BVI, anche altri paradisi fiscali della Corona come le isole di Jersey, Guernsey e Man avevano sottoscritto il proprio impegno a rendere pubblici i dati societari. Tuttavia, per vedere qualcosa di concreto ci vorrà tempo: bisogna aspettare fino al 2023 perché i governi presentino nei rispettivi Parlamenti misure atte a istituire registri pubblici.
C’è da notare anche che nell’annunciare la volontà’ del governo, il premier delle Isole Vergini Britanniche Andrew Fahie ha mantenuto delle riserve. «Ci deve essere prudenza ed equilibrio nel sistema, ha detto Fahie, misure sproporzionate rischiano di violare i diritti dei soggetti rispettosi della legge che sono molto più numerosi dei trasgressori».
Un tentativo, probabilmente, di addolcire la pillola per gli elettori locali, sottolineando la propria rassegnazione alle direttive della madre patria. É all’ombra del Big Ben, infatti, che bisogna cercare la determinazione politica di chiudere alcune di quelle porte lasciate aperte a riciclatori di ogni specie.
Editing: Luca Rinaldi | Foto: Deniz Fuchidzhiev/Unsplash