I misteri di Avcon Jet, la compagnia di jet privati che piace agli oligarchi

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I misteri di Avcon Jet, la compagnia di jet privati che piace agli oligarchi

Lorenzo Bagnoli
Benjamin Weiser

Il 4 marzo 2021, il jet privato Embraer Legacy 600 con targa OE-IRK vola da Tel Aviv a Vienna. A bordo c’è Sebastian Kurz, in quel momento Cancelliere d’Austria. Torna nella capitale austriaca a seguito di una visita di Stato a casa del presidente israeliano Benyamin Netanyahu per lanciare una nuova cooperazione nella ricerca contro il Covid, a cui ha partecipato anche la Danimarca. Nonostante il jet sia privato, è un volo di Stato.

«La prenotazione di voli tramite compagnie come Avcon Jet è una procedura standard assolutamente normale», è la risposta fornita dall’ufficio stampa della Cancelleria austriaca al quotidiano Der Standard. In realtà, il problema non è tanto nella modalità con la quale è stato gestito il rientro dalla trasferta, ma nel proprietario del jet scelto, un nome controverso.

I colleghi austriaci di ZackZack, che firmano con noi questa inchiesta, scoprono che il velivolo è di proprietà di Dmytro Firtash, uomo d’affari ucraino finito agli arresti domiciliari nel 2014 a Vienna a seguito di una condanna per corruzione ricevuta negli Stati Uniti. In quello stesso 2021, Firtash è anche messo sotto sanzione dal governo di Kyiv per le sue relazioni con Mosca.

L’oligarca – che dopo l’invasione dell’Ucraina ha rilasciato al Financial Times una lunga intervista in cui sostiene che l’Ucraina non sarà l’unico Paese a essere invaso da Vladimir Putin e che l’Europa deve fare qualcosa per fermarlo – vive da allora in pianta stabile in Austria, forte di connessioni politiche con la destra dell’allora governo. Due anni prima, nel 2019, il primo governo di Kurz era già caduto per le relazioni di un partito di governo, l’FPO, con la Russia (vedi box nell’articolo Le accuse di finanziamenti russi ai partiti identitari). Le entrature degli oligarchi a Vienna tornano così d’improvviso d’attualità sulle pagine dei giornali.

L'inchiesta in breve
  • Avcon Jet è una compagnia che opera jet privati di base in Austria. Attraverso i documenti che riguardano tre dei suoi vecchi aerei, ora venduti, è possibile tracciare chi sono gli utilizzatori dei velivoli, spesso ceduti attraverso contratti di leasing. Sono oligarchi russi e aziende a rischio sanzione, che pongono problemi per le banche europee che lavorano con Avcon Jet.
  • Il primo aereo è stato acquistato da Dmytro Firtash, oligarca ucraino di cui è stata chiesta l’estradizione negli Usa per un caso di corruzione. L’ha usato anche l’ex Cancelliere austriaco, Sebastian Kurz.
  • Il secondo aereo è stato venduto nel 2016. Proprietaria è una società di leasing di UniCredit che dipende dalla sede austriaca della banca. Secondo uno scambio di email interne, l’ad della banca, Robert Zandzil, ha imposto che partecipasse alla vendita un broker maltese collegato ad Avcon Jet.
  • Il terzo aereo è stato venduto tre volte lo stesso giorno, nel luglio 2022. La proprietà è di Baca Hydra, altra società di leasing di UniCredit, a farne uso è Kamavia, società russa che appartiene a Kamaz, sotto sanzione dal giugno 2022. Il gruppo è parte di ROSTEC, sotto sanzione dal 2014.
  • Avcon Jet ha una succursale all’Isola di Man, con un conto alla banca Cayman National. I manager della compliance esprimono timori per diversi profili di rischio della società e di altri che lavorano con lei, tra cui che non si conoscono i veri beneficiari o proprietari dei jet.

Quando ZackZack pubblica la notizia dei voli di Stato con il jet di Firtash, in Austria scoppia un caso, uno dei tanti che riguardano Kurz nel 2021. La Cancelleria prende le distanze: «Chi possiede il rispettivo aeromobile (Embraer Legacy 600 con targa OE-IRK, ndr) è al di là della nostra conoscenza e non è più rilevante», prosegue il commento dell’ufficio stampa pubblicato da Der Standard. A dicembre di quell’anno Wunderkurz – “Kurz il fantastico”, come lo soprannominavano i giornali – si dimette da ogni incarico per ritirarsi a vita privata. È stata una delle tappe fondamentali che ha segnato la fine politica della promessa dei conservatori d’Austria, a soli 36 anni.

Rispetto alla gestione dell’aereo, resta però un dubbio. L’ufficio stampa dell’oligarca ucraino ha infatti confermato a ZackZack che «l’aereo in questione (OE-IRK) è di proprietà di una società che può essere attribuita al signor Firtash» ma ha precisato poi che «è gestito autonomamente da una società terza». L’entità che «si può attribuire al signor Firtash» è Ukrinvest, che secondo un contratto del 2017 ottenuto da ZackZack ha acquistato attraverso un leasing il jet OE-IRK. La società di Firtash, secondo il contratto, ha poi ceduto l’aereo a una società terza che gestisce i voli a fronte di una commissione del 9% sul totale dei costi di noleggio, che secondo stime di mercato stanno in una forbice tra i duemila e gli 11 mila dollari all’ora.

Quest’azienda si chiama Avcon Jet e ha sede a Vienna, a 15 minuti a piedi dal palazzo nobiliare in pieno centro nella capitale che fa da ufficio a Firtash .

Chi è Dmytro Firtash

Il nome di Dmytro Firtash, in Italia, è collegato al tentativo di vendita di Pravex Bank, la controllata di Banca Intesa che nel 2014 è stata quasi acquistata dall’oligarca a un prezzo stracciato. Considerato uno dei principali sponsor di Viktor Yanukovich, il presidente dell’Ucraina pro Putin che è stato cacciato nel 2014, dall’ultima “operazione speciale” di Mosca si è schierato apertamente contro Putin. L’origine del suo patrimonio, però, è proprio grazie agli scambi di gas tra Ucraina e Russia.

Da nove anni i suoi legali contestano la richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti: avrebbe cercato di corrompere il governo indiano per ottenere del titanio da vendere a Boeing, che non è indagata. A giugno 2019, la Corte suprema austriaca ha autorizzato l’autorizzazione per l’estradizione di Firtash, che però non è mai avvenuta. Tra i soci celebri dell’uomo d’affari, anche Paul Manafort, l’ex capo della campagna elettorale di Donald Trump. È anche accusato di aver passato informazioni contro Joe Biden all’ex avvocato di Trump, Rudolph Giuliani.

I profili di rischio di Avcon Jet AG

«Ad Avcon Jet – declama un video promozionale dell’azienda diffuso nel 2018 – pensiamo che nulla sia impossibile». Per quanto il claim pubblicitario suoni già sentito, la società è tra le leader del mercato europeo per il noleggio di jet privati e dispone di un gruppo di controllate e di fornitrici di servizi con una dotazione complessiva di almeno 80 velivoli. Sono anni che il suo nome viene citato in inchieste giornalistiche e giudiziarie, spesso in relazione a oligarchi russi e ucraini oppure con governi dell’area delle ex repubbliche sovietiche.

Avcon Jet nasce nel 2007, a seguito del fallimento di un’altra società austriaca. Già da quell’anno, il nome della compagnia per 88 volte ricorre tra i beneficiari dei denari inviati da tre società offshore che hanno depositato i propri conti correnti alla Ukio Bankas di Kaunas, in Lituania, controllata della russa Troika Dialog (fallita nel 2013, dopo essere finita al centro delle indagini della Banca centrale lituana). Sia le società offshore, sia la banca sono accusate di aver preso parte alla “lavanderia” attraverso cui la banca Troika avrebbe ripulito denaro sporco proveniente dalla Russia facendolo transitare attraverso società veicolo con operazioni fittizie.

La sede di Avcon Jet in Wohllebengasse a Vienna – Foto: ZackZack

Le relazioni di Avcon Jet con i proprietari dei velivoli – sia Legacy 600 targato OE-IRK, sia gli altri aerei della flotta di Avcon Jet e delle sue sorelle – sono opache e Avcon non ha voluto fornire alcuna spiegazione ai giornalisti. Grazie al lavoro di colleghi come ZackZack in Austria o Hetq in Armenia, in passato è stato possibile legare il nome di Avcon Jet a oligarchi condannati per corruzione, come Firtash, o a personaggi esposti politicamente, due categorie di clienti che per gli istituti di credito sono problematiche da gestire dal punto di vista della compliance e dell’adeguamento a normative internazionali e interne.

Avcon Jet è anche la società che è stata pagata dall’ambasciata kazaka per riportare nella capitale Astana Alma Shalabayeva, moglie del banchiere Mukhtar Ablyazov, ricercato in patria e promotore di movimenti politici di protesta contro il vecchio regime di Nursultan Nazarbayev, vicino a Mosca. In Italia la vicenda sul piano giudiziario si era chiusa in primo grado, nel 2021, con la condanna dei nove imputati per quello che era stato definito un «rapimento di Stato», teorema che in secondo grado, a novembre 2022, è stato del tutto respinto dalla Corte d’Appello che ha assolto i nove imputati. Anche i governi, o le ambasciate, sono clienti difficili per gli istituti bancari sul piano delle verifiche e dei controlli.

A questo si aggiungono altri due elementi: primo, altri proprietari di velivoli sono del tutto occulti e dalla nostra inchiesta risulta che anche per le banche è difficile conoscerne i nomi. Secondo, Avcon Jet è molto esposta in Russia: fino al 2019, ha avuto come socio di maggioranza un uomo d’affari russo con cittadinanza austriaca, che ha investito in Austria con prestiti di Sberbank, la più grande banca di Stato russa, sotto sanzione dall’occupazione della Crimea nel 2014. La maggior parte del suo equipaggio è russo, Paese a rischio sanzione per gli istituti di credito internazionali già da nove anni.

Tra i diversi istituti di credito che, nonostante i rischi, hanno lavorato con Avcon Jet ci sono UniCredit, attraverso due delle sue controllate in Austria che si occupano di leasing, e la banca Cayman National all’Isola di Man. L’Austria è un Paese dove vige una forma di segreto bancario: «In linea di principio – si legge sul sito del governo alla voce “segreto bancario” – le banche non sono autorizzate a fornire alcuna informazione sulle finanze dei clienti», a meno che non ci siano condizioni particolari, come un’inchiesta giudiziaria per evasione fiscale. L’Isola di Man è un importante paradiso offshore che dipende dalla Corona inglese, come le Isole Cayman da cui proviene la banca Cayman National.

Leasing: cos’è e quali sono i suoi profili di rischio

Un contratto di leasing prevede una triangolazione: un soggetto, detto concedente (lessor in inglese), si obbliga ad acquistare da un soggetto terzo (fornitore) un bene richiesto e scelto dal concessionario (lessee in inglese) che paga un canone per poterlo utilizzare. Lo spiegano Anna Masutti e Vincenzo Scaglione dello studio di avvocati e commercialisti Lexjus Sinacta in una ricerca sul leasing degli aerei. Non è l’unica forma possibile di leasing: in alcuni casi, il concessionario può limitarsi al solo “noleggio” e in quel caso si tratta di un leasing operativo, differente dal finanziario, che è la casistica descritta prima e più frequente nel mondo dei jet privati. Una terza possibilità è quella del lease-back, in cui un venditore aliena un bene a una società di leasing e lo utilizza pagando un canone in modo che la proprietà resti formalmente del concedente.

Sul piano dell’antiriciclaggio, alcuni contratti di leasing potrebbero porre rischi simili a quelli degli schemi di riciclaggio loan-back (forme di prestito a “se stessi”), secondo il vice direttore di Transcrime Michele Riccardi, esperto di reati finanziari. «Due società, A e B, potrebbero utilizzare la compravendita di un velivolo per riciclare denaro tramite la triangolazione di una società di leasing C compiacente», spiega.

Questo ipotetico schema potrebbe occultare rapporti diretti tra strutture societarie complesse che rendono difficile individuare il titolare effettivo del bene in questione. Per analizzare i collegamenti tra le società citate nell’articolo, abbiamo utilizzato DATACROS, software sviluppato dal centro Transcrime di Università Cattolica, insieme al suo spin-off Crime&tech.

Domande senza risposte, all’Isola di Man

Nel 2015, Avcon Jet apre una sua società all’isola di Man, un paradiso fiscale dove non esistono tasse sui profitti. Il Paese ha un proprio registro aeronautico che nel 2019 era considerato il principale per i bizjet, il nomignolo dato agli aerei privati degli uomini d’affari, immatricolati offshore. Il conto corrente della società è depositato presso la succursale dell’isola di Man della Cayman National Bank and Trust (CNBT), di cui l’organizzazione di hacker Distributed Denial of Secrets (DDoSecrets) ha ottenuto un leak di due terabyte di documenti nel 2019. Da qua si possono ricostruire i dubbi degli addetti alla compliance della banca su un cliente come Avcon Jet e i suoi fornitori.

Tra i documenti del conto corrente di Avcon Jet Limited all’Isola di Man si trovano estratti conto dal 2015 al 31 dicembre 2018 dove sono ricorrenti i bonifici in uscita verso un’azienda chiamata SOS Limited. Proprietario è ST, di cui non facciamo il nome per conformarci al modo in cui i nostri partner trattano gli incensurati, lo stesso imprenditore che risulta possedere, almeno nominalmente, anche la Avcon Jet Limited. In un report interno sulle società dell’imprenditore, si legge che SOS Limited ha lo scopo di fornire l’equipaggio dei jet. Il personale non è però alle sue dipendenze: «Per l’equipaggio viene stipulato un contratto di servizio con la società che gestisce l’aeromobile», prosegue il documento. Il documento specifica che Avcon Jet Limited è «tra i primi operatori dell’Isola di Man» e «gestisce e opera i jet per conto del proprietario».

Nel report sui profili di rischio del conto corrente di SOS Limited presso la Cayman National Bank si legge che i versamenti a favore degli assistenti di volo e degli altri lavoratori impiegati dalla società sono quasi tutti su conti correnti russi. Inoltre, i proprietari degli aerei operati dalle società clienti di SOS Limited, come Avcon, sono occulti. Entrambe queste circostanze pongono un problema per l’istituto di credito: «Questo conto corrente – si legge nel documento redatto da un compliance manager della banca, datato agosto 2019 – ha bisogno di passare a Rischio Alto a causa delle transazioni verso la Russia e anche perché non sappiamo chi siano i titolari effettivi dei velivoli, dato che ST ha comunicato di non essere in possesso di tali informazioni in quanto non ne ha bisogno».

Nelle note conclusive del documento, alla voce «azioni richieste», il funzionario della banca scrive: «Quando vengono effettuati i pagamenti verso la Russia, riceviamo solo le copie dei CV dell’equipaggio come prova della loro identità, senza che vengano effettuate ulteriori verifiche sulle persone. Siamo tranquilli?». Senza un’adeguata verifica, esiste almeno in teoria, il rischio che i soldi in realtà siano incassati da altri, anche altri cittadini russi eventualmente sotto sanzione.

«C’è stata risposta all’email di [nome di un impiegato della banca] dell’11 luglio 2019 in merito a Igor Makarov, un oligarca russo?», domanda il funzionario più avanti. Makarov è il fondatore di Itera, la prima società di gas privata in Russia, comprata nel 2012 dal colosso privato russo Rosneft per 2,9 milioni di dollari. Turkmeno di origine, Makarov è stato consigliere per l’energia dell’allora presidente Gurbanguly Berdimuhamedow (a cui nel 2022 è succeduto il figlio Sedar), che con la Russia ha stretto importanti accordi di cooperazione economica proprio sulle forniture di gas.

Il jet Embraer Legacy 600 con targa OE-IRK – Foto: Wikimedia
Il jet Embraer Legacy 600 con targa M-ESGR – Foto: Wikimedia
Il jet Embraer Gulfstream G280 con targa OE-HKT – Foto: Wikimedia

Nell’email dell’11 luglio 2019, un dipendente della banca ha scritto che ST, il proprietario di Avcon Jet e SOS Limited, aveva chiesto un finanziamento per gli equipaggi di altri due velivoli di Makarov. Il pagamento sarebbe passato da una società terza, sempre con sede all’isola di Man. Makarov però compare al numero 55 della Lista Putin, un documento del 2018 reso pubblico dal Dipartimento del tesoro americano in cui comparivano i nomi di 210 personaggi legati al Cremlino che rischiavano di finire sotto sanzione. «Presumo che questo fatto da solo ci precluda la possibilità di sostenere ST in questa impresa», si chiudeva l’email.

In un’altra corrispondenza, ST invia alla banca un accordo di noleggio tra SOS Limited e una società di Hong Kong per la quale Avcon Jet fornirà il velivolo. Dall’ufficio compliance della banca chiedono più volte a ST di sapere i titolari effettivi della società anonima di Hong Kong, ma non ottengono risposta. La banca Cayman National non ha risposto alle domande dei giornalisti in merito alle conseguenze che hanno avuto i rilievi fatti dal compliance manager della banca.

Nel leak si trova però dell’altro: nel giugno dell’anno precedente, ST aveva fornito qualche risposta a dei dubbi simili in merito alle connessioni con la Russia di SOS Limited e di Avcon Jet Limited. Aveva specificato che la maggioranza degli aerei che utilizzano sono registrati in Germania, Austria e Gran Bretagna. «Non abbiamo un coinvolgimento diretto nella gestione quotidiana degli aerei», aveva specificato, a meno che non si tratti dei jet con una targa dell’Isola di Man per i quali è coinvolta un’altra entità, IOM Executive Aviation Limited, sempre controllata da ST, «che ha connessioni con i russi». Anche quest’ultima compare tra i pochi destinatari dei bonifici di Avcon Jet Limited. In altri termini, sono tutte scatole cinesi del sistema Avcon Jet.

Pyxis Aviation, l’intermediario voluto da UniCredit Bank Austria

Tra gli aerei gestiti da Avcon Jet, c’è un altro Embraer Legacy 600, questa volta registrato all’Isola di Man, con targa M-ESGR. Questo jet nel 2016 è stato venduto dal proprietario, UniCredit Global Leasing Export Gmbh, perché i clienti che hanno sottoscritto il contratto non hanno pagato il canone. Vendere il bene è l’unico modo che ha la società per rientrare dai mancati introiti. Solo che questa cessione ha qualche elemento anomalo, in particolare per quanto riguarda l’intermediario che ha trovato i clienti.

Tutti gli oligarchi del jet targato M-ESGR

Fin dal 2007, i miliardari che usano il jet Embraer Legacy 600 con targa M-ESGR, la cui identità è sempre schermata da società nei paradisi fiscali, non pagano il nolo. Forse è colpa delle guerre carsiche che attraversano l’oligarchia russa e ucraina fin da quando Vladimir Putin è salito al potere, nel 1999. Prima, tra il 2007 e il 2009, non fu in grado di pagare il fondatore del fondo d’investimento russo Industrial Investor Group, Sergey Generalov, poi, dal 2010, il magnate Konstantin Grigorishin, imprenditore dell’acciaio e dell’industria petrolifera.

Generalov fu un ministro dell’Energia e magnate di diverse imprese un tempo di Stato ai tempi di Boris Eltsin, una generazione di oligarchi mai sostenuta da Putin. Grigorishin, invece, in diverse interviste ha dato prova di essere un acceso sostenitore delle sanzioni contro la Russia di Vladimir Putin, ma dallo scorso novembre le quote delle sue società sono state confiscate, insieme a quelle di altri cinque controversi oligarchi d’Ucraina, dal governo di Kyiv in quanto le loro aziende «hanno un valore strategico».

Per Grigorishin, socio in affari di diversi ex politici ucraini, i guai cominciarono già nel 2016: a maggio, il Tribunale moscovita di Basmanny ne ordinò l’arresto per un’evasione fiscale da circa 9,2 milioni di euro. Sia Generalov, sia Grigorishin non sono stati infatti in grado di pagare il canone previsto dal contratto con la società di leasing di UniCredit per poter utilizzare l’aereo. Chiudere il contratto e vendere il mezzo, quindi, per la società di leasing significa cercare di rientrare dal passivo provocato dai mancati pagamenti.

Dalla perizia di prevendita del velivolo, datata agosto 2016, risultano tre broker che avrebbero dovuto occuparsi di trovare sul mercato un nuovo proprietario per il jet. Invece, a settembre 2016, ne subentra un quarto, Pyxis Aviation Group, una società con sede a Malta. Avcon Jet ha anche lei una sede sull’isola, a Sliema, il cui legale rappresentante è lo stesso di Pyxis. Quest’ultima è titolare di un contratto esclusivo di marketing per la cessione del Legacy 600 a fronte di una commissione del 2,5%. Dai documenti non è possibile stabilire se poi sia stata corrisposta all’intermediario.

Uno dei dipendenti della società di leasing di UniCredit, a settembre 2016 aveva già trovato un potenziale acquirente, con un uno dei tre broker iniziali. Lo dimostra uno scambio di email interne, ottenuto da ZackZack. Lo stesso dipendente, di cui non riveliamo il nome per potenziali ripercussioni nei suoi confronti, è però stato in seguito allontanato perché non ha rispettato le indicazioni giunte dal quartier generale: «Bank Austria (Zadrazil) ci ha ora chiesto di cedere il contratto a Pyxis Aviation». La mail ammette che ci sono stati «problemi» in passato, ma precisa che il rapporto commerciale è duraturo e consolidato. Il nome tra parentesi si riferisce a Robert Zadrazil, il numero uno della banca austriaca di UniCredit. Amministratore delegato di Bank Austria dal 2016, dal 2018 è anche presidente del Comitato di vigilanza della Oesterreichische Kontrollbank, il fornitore di servizi finanziari centrale dell’Austria, controllato a sua volta dalle banche commerciali austriache e azionista in varie società d’investimento. In altri termini, è uno dei più importanti banchieri dell’Austria.

I jet al centro dell’inchiesta

Già nel 2017, ZackZack aveva scritto che Zadrazil volava con un jet operato da Avcon Jet. Proprietario del velivolo sarebbe stato un lobbista che ha lavorato parecchio con Bank Austria. L’aeromobile in questione avrebbe un contratto di leasing dal 2015 con Baca Hydra, una società di leasing controllata da UniCredit Austria. Alla fine il jet è stato venduto da un quinto broker a un prezzo finale inferiore di 1,5 milioni di dollari rispetto a una prima offerta ottenuta per il mezzo.

Tre vendite lo stesso giorno

Nuovo aereo, nuovo caso sospetto. Il jet Gulfstream G280 targato OE-HKT fino al 12 luglio 2022 è stato operato da Avcon Jet. Quel giorno è stato ceduto tre volte di seguito. Gli atti di vendita hanno la carta intestata del Dipartimento dell’aviazione del ministero dei Trasporti degli Stati Uniti. Il primo documento alla voce «venditore» dice solo «venditore straniero».

L’acquirente è Pyxis Aviation, il broker maltese collegato ad Avcon. Il documento riporta come orario di «cessione registrata» le 11:06. Allo stesso identico orario, è registrato anche un seconda vendita: a cedere sono il solito «venditore straniero» insieme a Pyxis Aviation, a comprare è una società inglese, di cui, alle 11:07, è registrato un altro atto di vendita (venditori: la società inglese e il solito anonimo, che permane) e acquirente finale una società statunitense. È un accordo back-to-back, una forma contrattuale per cui c’è una terza parte – in questo caso duplice: sia Pyxis Aviation, sia la società inglese – che si interpone tra acquirente e cedente per accollarsi una serie di responsabilità e soprattutto incassare una percentuale.

Il leasing dei velivoli: come funziona

Per trovare il «venditore straniero» si deve cercare nel documento con il quale l’aereo viene depennato dal registro aeronautico austriaco, sempre il 12 luglio 2022. La cancellazione avviene tutte le volte che un velivolo viene ceduto e registrato da un’altra autorità aeronautica. Alla voce «ultimo operatore» si legge «Avcon Jet», alla voce «ultimo proprietario», si legge «Baca Hydra Leasing». Una lettera di intenti per la vendita dell’aereo testimonia però che già il 19 maggio 2022, due mesi prima della tripla cessione, era già stato trovato lo stesso acquirente finale.

UniCredit smentisce ogni ricostruzione: «In linea di principio non facciamo commenti su potenziali clienti o su singoli casi aziendali, ma vorremmo richiamare la vostra attenzione sul fatto che la maggior parte delle affermazioni da voi fatte sono di fatto errate. Inoltre, vi preghiamo di notare che UniCredit e le sue controllate rispettano sempre scrupolosamente tutte le normative legali nazionali e internazionali, in particolare per quanto riguarda il riciclaggio di denaro e le sanzioni finanziarie, e le applicano nella misura più ampia e rigorosa. Pertanto, respingiamo fermamente l’affermazione che UniCredit abbia intrattenuto rapporti d’affari con persone sottoposte a sanzioni», è la risposta dell’ufficio stampa della banca.

Alla fine le tre vendite sembrano aver avuto quindi un doppio scopo: da un lato tenere coperto il nome di Baca Hydra; dall’altro inserire a forza un broker, Pyxis Aviation, che sei anni prima aveva partecipato a un trattativa di vendita (con conseguente guadagno) per l’esplicita volontà dell’amministratore delegato di UniCredit Bank Austria, Robert Zadrazil. Per due volte, in uno schema ricorrente, un intermediario inizialmente escluso dalla partita, rientra in una vendita che passa da una società di leasing di UniCredit. Resta però un interrogativo: qual è stato il vantaggio economico ottenuto da UniCredit impiegando Pyxis come broker per la vendita degli aerei?

Aggiornamento del 7 aprile: il sommario dell’articolo è stato modificato per riflettere più puntualmente il contenuto dell’inchiesta

CREDITI

Autori

Lorenzo Bagnoli
Benjamin Weiser

In partnership con

ZackZack

Editing

Giulio Rubino

Illustrazioni

Lorenzo Bodrero

Foto di copertina

milanvirijevic/Getty

Gli effetti delle sanzioni sugli oligarchi

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Gli effetti delle sanzioni sugli oligarchi

Giulio Rubino

In una conversazione con Ezra Klein nel suo podcast del New York Times “The Ezra Klein Show”, il giornalista russo-americano Masha Gessen, noto critico del governo Putin e attivista del movimento LGBT russo (lui stesso si definisce nonbinario e transgender) dice che «la narrativa che si propone riguardo le sanzioni ricorda la definizione della follia: è una strategia che non funziona, ma che l’Occidente si ostina a fare e rifare aspettandosi risultati diversi». Di sanzioni e delle loro conseguenze si parla moltissimo in questi giorni. L’obiettivo dichiarato, che non è affatto chiaro se si stia raggiungendo o meno, sarebbe quello di creare su Vladimir Putin pressioni tali da portarlo a riconsiderare i suoi piani in Ucraina, idealmente forzandolo a porre fine all’invasione.

La logica dietro questa strategia è abbastanza chiara e la scala delle sanzioni applicate questa volta è senza precedenti. Anche Gessen, nonostante il suo scetticismo, ammette che «forse la differenza quantitativa questa volta diventerà qualitativa, quando nel giro di alcuni mesi la vita in Russia cambierà del tutto». Ma ci sono almeno due limiti a questo approccio e ai risultati che può produrre: il primo ha a che vedere con la visione del mondo dei Paesi che stanno applicando sanzioni, e il secondo ha a che vedere con la reale efficacia della misura.

La guerra di Putin contro l’Ucraina, secondo le sue stesse dichiarazioni, non è tanto motivata dalla pressione a est della NATO, né da ragioni geopolitiche in senso classico. «L’Ucraina non è solamente un Paese confinante, ma una parte inalienabile della nostra storia, cultura e spazio spirituale», aveva dichiarato il presidente russo il 21 febbraio scorso.

La storia vista dal Cremlino

In una reinterpretazione personale della storia della “Grande Madre Russia”, dove colloca se stesso nella diretta discendenza di una serie di leader da Ivan il Terribile a Stalin, Putin sembra piuttosto considerare l’esistenza stessa dell’Ucraina come stato indipendente poco più di un “errore di percorso” commesso da Lenin, e ha invece predicato la sua visione di una Russia di stampo imperiale con tutta la forza della sua macchina propagandistica; fino al punto che la maggior parte degli analisti non riesce più a tracciare il confine fra quanto questa retorica sia uno strumento di manipolazione dell’opinione pubblica e quanto sia diventata, nel progressivo isolamento di un capo sempre più onnipotente e sempre più solo, una sua stessa radicata convinzione.

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È altrettanto difficile comprendere quanto efficace sia stata questa propaganda nel portare sostegno popolare a favore della guerra, che in Russia non è neppure permesso chiamare tale ma solo «operazione militare speciale». Gessen, che era a Mosca nei primi giorni dopo l’invasione, nota come già da subito si era creata una distanza incolmabile fra il tono del dibattito pubblico e le preoccupazioni espresse nel privato delle proprie case dai cittadini russi.

È comunque molto probabile, a giudicare dalla narrativa dominante sui media russi, che per l’opinione pubblica russa, le sanzioni siano lette semplicemente come una forma di ingiustificato attacco occidentale contro il loro Paese, e che abbiano l’effetto opposto di facilitare la propaganda di regime e stringere ancor di più il popolo russo attorno al suo leader. D’altra parte non è la prima volta che i russi sono costretti ad affrontare privazioni e difficoltà a causa delle sanzioni e se da un lato sono pronti ad affrontare un periodo difficile con molto più stoicismo di quanto non si veda in Europa, dall’altro per il momento si aspettano che questa “crisi” abbia una durata limitata e che la loro vita torni presto a quanto si sono abituati a pensare come “normalità”.

L’ondata di sanzioni che erano state emesse contro la Russia nel 2014 dopo l’invasione della Crimea, ad esempio, aveva lo scopo di contrastare l’avanzamento russo in quella regione, eppure oggi nessuno scenario di fine guerra sembra poter prevedere la restituzione di quella regione all’Ucraina.

Nelle ultime quattro settimane, da quando è cominciata l’invasione dell’Ucraina, si sono susseguiti quattro diversi pacchetti di sanzioni solo dall’Unione europea, oltre a quelle emesse da Stati Uniti e Gran Bretagna e un quinto pacchetto è allo studio mentre si scrive questo articolo. Anche diversi Paesi asiatici si sono uniti alle misure emesse dall’Occidente, incluso Giappone, Corea del Sud, Singapore.

Putin, dal canto suo, aveva risposto fin dal primo momento che la Russia era preparata a queste misure, e che non avrebbero avuto alcun effetto sul suo Paese. Il dato di fatto, almeno a oggi, è che l’invasione non si è fermata, che la pressione interna su Putin non sembra metterlo in difficoltà in alcun modo e che gli oligarchi stessi sembrano affrontare queste misure senza eccessive difficoltà.

Poliziotti russi arrestano un manifestante con un cartello che recita "No alla guerra" durante una manifestazione pacifista in Piazza Manezhnaya, di fronte al Cremlino, il 13 marzo 2022 a Mosca - Foto: Getty Images

Poliziotti russi arrestano un manifestante con un cartello che recita “No alla guerra” durante una manifestazione pacifista in Piazza Manezhnaya, di fronte al Cremlino, il 13 marzo 2022 a Mosca – Foto: Getty Images

Vediamo quindi di cercare di analizzare la reale efficacia della “guerra economica” con cui si sta cercando di isolare la Russia, provando soprattutto a chiarire chi davvero soffrirà maggiormente di questi provvedimenti

Grazie anche al lavoro #RussianAssetTracker, che IrpiMedia ha svolto insieme a OCCRP, The Guardian e altri 24 media partner, abbiamo visto un’infinita galleria di yacht multimilionari, ville di lusso, beni e proprietà degne di monarchi d’altri tempi, tutti sanzionati, congelati, bloccati.

La strategia dell’Occidente: guerra economica

Ma in primo luogo bisogna chiarire che cosa sia di base un provvedimento di sanzione. Ne abbiamo parlato con Floris Alexander, avvocato esperto di reati finanziari che per il suo lavoro ha spesso dovuto confrontarsi con i meccanismi delle sanzioni internazionali.

«Le sanzioni – spiega – in generale servono a mandare un segnale a tutti quelli con cui si interagisce (dalla donna delle pulizie al provider di internet, fino alla banca) che non è permesso avere transazioni con il soggetto in questione. Quindi in un mondo perfetto un soggetto sanzionato non potrebbe effettuare neppure la più semplice operazione bancaria».

La sanzione non ha nulla a che vedere con un sequestro o una confisca. La proprietà del bene sanzionato infatti non è messa in discussione, ma è congelata in una situazione per cui, ad esempio, le aziende non possono pagare i dipendenti in Paesi che applichino la sanzione, il bene non può essere venduto, gli yacht non possono comprare carburante e le ville resteranno presto senza luce e gas perché il loro proprietario non può pagare le bollette.

Le sanzioni sono inoltre studiate per impedire le forme più semplici di “aggiramento” della misura. Spiega Floris Alexander: «Quando le sanzioni vengono evase, le stesse sanzioni vengono in teoria applicate anche al soggetto che ha aiutato a evaderle. Per esempio, se Visa offre servizi a un individuo sanzionato, allora Visa potrebbe finire sotto sanzione a sua volta». Purtroppo l’efficacia di questo aspetto, cruciale in teoria per garantire l’impatto delle sanzioni, resta estremamente difficile da applicare. Infatti le capacità “investigative” dei singoli Stati, su cui ricade la responsabilità di applicare le sanzioni, hanno dei limiti oggettivi, e ci sono fin troppe giurisdizioni e intermediari per cui pecunia non olet che possono offrire potenziali alternative.

«Ci sono sempre scappatoie [alle sanzioni] e questi soggetti hanno a disposizione eserciti di avvocati, gestori patrimoniali, consulenti fiscali, tutti molto ben pagati, che riusciranno di sicuro a trovarle»
- Floris Alexander, avvocato esperto di reati finanziari

Ma nonostante l’enorme valore economico del patrimonio sanzionato, quello che vediamo non è neppure la punta dell’iceberg della ricchezza, e di conseguenza dell’influenza, degli oligarchi russi nel mondo. Ne vediamo un sottoinsieme, all’incrocio di “quello che è stato possibile trovare” con “quello che gli oligarchi hanno ritenuto sacrificabile”.

Infatti l’applicazione delle sanzioni non è stata né immediata, né perfettamente coordinata a livello globale. «Ci sono sempre scappatoie – spiega Alexander – e questi soggetti hanno a disposizione eserciti di avvocati, gestori patrimoniali, consulenti fiscali, tutti molto ben pagati, che riusciranno di sicuro a trovarle».

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In breve, nei cinque sei giorni che sono passati dall’annuncio di probabili sanzioni all’applicazione delle medesime, c’è stato un febbrile lavoro da parte di questo esercito di asset managers a libro paga degli oligarchi, che hanno fatto il possibile per portare “fuori dal raggio” delle sanzioni gli asset più preziosi dei loro clienti.

Ne è un chiaro esempio il caso di Abramovich, riportato da Reuters, che il giorno dell’invasione dell’Ucraina ha trasferito il controllo di un’importante società di diritto cipriota, la Ervington Investments Limited, che a sua volta contiene investimenti in altre società per decine di milioni di sterline, a uno dei dirigenti del Chelsea, Eugene Tenenbaum, descritto sul sito del Chelsea stesso come uno dei più stretti collaboratori di Abramovich.

«Mentre si decideva se escludere o meno la Russia dal sistema Swift – prosegue Floris Alexander – i russi non sono rimasti in paziente attesa di essere puniti, hanno agito subito e trasferito le loro proprietà altrove». Chi aveva asset da proteggere si è mosso insomma molto più tempestivamente di Europa e Stati Uniti.

Cos’è il sistema Swift

Swift sta per Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication, ed è un’azienda cooperativa belga che offre servizi per transazioni finanziarie e pagamenti tra banche in tutto il mondo. I fondi trasferiti tramite Swift non “passano” per l’azienda in questione, che non gestisce i conti ma semplicemente trasferisce “i messaggi contenenti le istruzioni per i trasferimenti” tra i soggetti coinvolti nel pagamento.

In quanto cooperativa di diritto belga, è di base a La Hulpe, vicino a Bruxelles, ma è di proprietà di circa 3.500 aziende sparse in tutto il mondo. Gli azionisti eleggono un board di 25 direttori indipendenti, che rappresentano banche di tutto il mondo, che a loro volta controllano l’operato del management dell’azienda.

Swift è anche sotto il controllo delle banche centrali del G-10 (Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Olanda, Regno Unito, Svizzera e Svezia), oltre che della Banca centrale europea.

Swift, per quanto aderisca a tutte le sanzioni emesse nei confronti della Russia, non controlla le singole transazioni che si appoggiano al suo sistema, la cui responsabilità resta a carico delle istituzioni finanziarie che le gestiscono.

Essendo usato per la maggior parte delle transazioni globali, essere tagliati fuori dal sistema Swift può avere conseguenze molto serie, anche perchè la maggior parte delle carte di credito mondiali, inclusa Visa e Mastercard, operano tutte tramite Swift.

A seguito delle sanzioni applicate dagli Stati Uniti alla Russia dopo l’invasione della Crimea nel 2014, la Russia aveva già però sviluppato un suo sistema alternativo, lo SPFS (Sistema peredachi finansovykh soobscheniy, o Sistema di trasferimento di messaggi finanziari), al momento usato solo nei trasferimenti finanziari interni al Paese.

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Dalle stalle alle stelle, il miliardario prestanome di Putin

Eduard Khudaynatov ha iniziato la sua carriera allevando maiali per poi entrare nel settore energetico. Ha una reggia a Mosca e Villa Altachiara a Portofino, tre yacht da capogiro, incluso la Scheherazade fermo a Massa Carrara

Ma anche a sanzioni già emesse, restano ancora discreti margini di movimento. «Il sistema Swift copre l’80% delle transazioni mondiali – continua Floris – ma resta comunque aperto quel 20% rimanente, le transazioni con l’Asia, e altre vie ancora».

Quindi, possiamo immaginare, gli asset che l’Occidente sta mettendo sotto sanzione in queste settimane sono quelli che gli oligarchi non sono riusciti a proteggere. Alcune proprietà, ovviamente, sono più difficili da nascondere, più evidenti, ma forse anche più “sacrificabili” di altre, soprattutto nella misura in cui ulteriori provvedimenti, come un divieto di espatrio o di viaggio, renderebbe comunque quei beni un po’ difficili da godere.

Ecco perché, forse, la Costa Smeralda ha visto un’enorme quantità di ville e yacht messi sotto sanzione. Molti dei loro beni nel nord della Sardegna infatti, sono noti a giornalisti e autorità locali già da molti anni. Per quanto il congelamento di questi beni possa rappresentare decisamente un fastidio a soggetti abituati a certi livelli di lusso, certamente non si tratta di un danno sostanziale. È, per gli oligarchi, una specie di piccola esperienza di lockdown, del tipo di quella che abbiamo vissuto tutti negli anni passati: non possono andare nelle loro case vacanza, non possono viaggiare in Europa con la stessa comodità di un tempo.

Pacchetti azionari e matrioske

Più complessa e rischiosa è la questione del congelamento di pacchetti azionari o quote di società. Gli oligarchi russi hanno da sempre cercato di esercitare la loro influenza tramite il controllo di quote significative di società, anche quotate in borsa. «La cosa più furba da fare, per un oligarca, è comprare pacchetti di maggioranza (anche tramite prestanome e fondi di investimento, nda) in aziende del loro stesso settore di interesse. Per esempio, comprare abbastanza azioni di un’azienda come FIAT per far sì che resti legata all’uso del gas russo», precisa Alexander. Ma il congelamento di pacchetti azionari così importanti può portare rapidamente al collasso completo di quell’azienda. Infatti, una volta che una quota significativa del capitale di un’azienda è sanzionato, il valore delle azioni rimaste comincia a crollare, e gli altri azionisti cercherebbero di vendere il prima possibile, innescando una svendita che porta alla bancarotta tutto il gruppo.

Negli anni passati, uno degli strumenti più efficaci per evitare sanzioni e confische è stato certamente quello dei cosiddetti “golden passports” o “golden visa”. Grazie a programmi che offrivano la residenza, o addirittura la cittadinanza, europea in cambio di investimenti, molti oligarchi si sono infatti assicurati la stessa protezione legale di cui godono i cittadini europei. Ma stavolta i Paesi sembrano agire in modo molto più coordinato. Sia il Portogallo che Cipro, due dei Paesi dove i sistemi di “vendita di passaporti” sono più sviluppati, hanno dichiarato che applicheranno comunque le stesse sanzioni ai loro “cittadini”, se questi sono sulle liste delle sanzioni europee.

Negli anni passati, i sistemi di vendita della residenza e della cittadinza in vigore in numerosi Paesi europei hanno garantito agli oligarchi la stessa protezione legale di cui godono i cittadini europei

Certo, delle scappatoie ci sono sempre, e nascondere la proprietà di beni e aziende non è poi così difficile. «Le strutture societarie usate nei paradisi fiscali sono come matrioske con moltissimi livelli- afferma Alexander – il beneficiario reale di una società potrebbe essere nascosto alla fine di decine di “scatole” societarie una dentro l’altra. Come i Panama Papers e molte inchieste del genere hanno rivelato, moltissimi ultra-ricchi, oligarchi inclusi, hanno a disposizione strutture di questo tipo, e quindi le loro operazioni offshore quotidiane non sono colpite più di tanto. A lungo termine, certo, perdono accesso a qualche centinaio di milioni, che sono comunque cifre considerevoli per loro».

Chiaramente, questo sistema “segreto” che protegge le loro operazioni più importanti non può essere usato per riconquistare le proprietà più visibili che già sono state sanzionate. Pagare, ad esempio, il capitano del loro yacht tramite una società offshore invece che direttamente rischierebbe di esporre tutta la loro struttura societaria.

Un effetto, quindi, le sanzioni certamente lo stanno avendo. Spiega Alexander: «L’effetto delle sanzioni può essere assimilato a quello di una crisi, e nelle crisi i primi a pagare sono sempre quelli che devono lavorare giorno per giorno per mettere il cibo sulla tavola». A soffrire delle sanzioni, per davvero, sarà in primo luogo quindi la classe media e medio-bassa russa, la stessa che, contemporaneamente, è priva anche di informazioni obiettive su quello che sta succedendo, priva della possibilità di protestare, priva, soprattutto, della possibilità di esercitare un’influenza efficace sul potere.

Perché le sanzioni comincino a fare effetto veramente sugli oligarchi quindi, sono necessarie o misure più severe e dirette, come confische vere e proprie, oppure tempi molto più lunghi, che la popolazione comune difficilmente potrà affrontare. Al contrario, la classe media russa presto si troverà a subire il pieno impatto delle sanzioni, che tutti gli analisti concordano sarà ben più terribile di quanto si possa immaginare in Europa.

Il presidente russo, Vladimir Putin, durante il comizio del 18 marzo 2022 allo stadio Luznkiki di Mosca per le celebrazioni dell'anniversario dell'annessione della Crimea - Foto: Getty Images

Il presidente russo, Vladimir Putin, durante il comizio del 18 marzo 2022 allo stadio Luznkiki di Mosca per le celebrazioni dell’anniversario dell’annessione della Crimea – Foto: Getty Images

Il prezzo del grano, l’accesso a pezzi di ricambio per auto, treni, aerei, tutte le commodities in Russia diventeranno sempre più care e razionate. «Quando quello che prima costava 10 euro arriva a costarne 20 chi ne soffrirà per primo? Chiaramente coloro che hanno solamente 10 euro in tasca – sottolinea Alexander -. Le sanzioni sono un sistema che colpisce prima alla base e poi via via sempre più in alto. Alla fine è normale che i più ricchi ne siano colpiti meno, ma è anche vero che questi hanno più influenza sul potere, almeno nelle strutture democratiche. Quindi a lungo termine sono questi che eserciteranno le pressioni maggiori sui soggetti che davvero vorremmo colpire, e la gente comune ne pagherà il prezzo. Purtroppo è sempre così».

Un braccio di ferro mondiale

Nelle prime settimane dell’invasione, racconta Masha Gessen al New York Times, era difficile per i cittadini russi anche rendersi conto della gravità della situazione che si andava delineando. Mentre il rublo già crollava, non si vedevano le scene di panico di fronte alle banche che ci si aspetterebbe in Occidente. Ma, in modo meno evidente, alcuni già cominciavano a muoversi. Gessen racconta che era diventato impossibile trovare schede di memoria o hard disk nei negozi di elettronica. I cittadini più informati, infatti, avevano chiaro che avrebbero presto perso l’accesso a grosse parti della rete, e si preparavano a fare backup di tutti i loro dati.

In conclusione, la strategia delle sanzioni resta come «una prova di forza tra Europa, Russia e Stati Uniti», commenta Floris Alexander, prova di forza che però forse nessuno vuole portare alle conseguenze più estreme. Infatti anche solo far ricadere le stesse sanzioni su qualsiasi soggetto che tratti ancora con i sanzionati rischia di spingere tutti i Paesi che già sono sotto sanzione ad agire come un conglomerato, un nuovo “blocco economico” che, fra l’altro, contiene una buona parte dei maggiori produttori di petrolio e gas.

Ma le potenziali conseguenze possono essere ancora più gravi: «Se il mondo continua ad attaccare il rublo – commenta Floris Alexander – la Russia prima o poi finirà in default. Ora, ovviamente ci sono riserve auree russe e altri asset fuori dalla Russia. Ipoteticamente l’Occidente si potrebbe rifare dei debiti russi su quelle riserve, ma allora ci sono buone possibilità di “svegliare l’orso dal suo letargo”. «La mentalità russa – conclude – è difficile da capire per l’Occidente. La Russia non ha paura del costo da pagare, anche in vite umane, per questa guerra. L’orgoglio nazionalista prevale e il prezzo della vittoria appare irrilevante».

CREDITI

Autori

Giulio Rubino

Editing

Lorenzo Bagnoli

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Oligarchi d’Italia

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Oligarchi d’Italia

Cecilia Anesi
Matteo Civillini

Dalle lussuose mega ville nei luoghi più esclusivi del turismo italiano agli yacht ormeggiati nei porti pronti a navigare attraverso il Mediterraneo. Per arrivare poi agli investimenti strategici, alle relazioni politiche e diplomatiche di primissimo livello, fino alle più alte onorificenze di Stato. È capillare il modo in cui gli uomini di Vladimir Putin si sono infiltrati nel tessuto del Belpaese da un decennio a questa parte. Oligarchi miliardari, parlamentari della Duma e megafoni della propaganda del Cremlino hanno trovato in Italia uno dei tanti approdi sicuri per le proprie smanie di espansione. Spesso con l’avallo, quantomeno implicito, dei potenti locali.

Oggi l’Unione europea cerca di colpire questo sistema con le sanzioni emanate all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina. La mano dura promessa dai governanti europei ha scatenato la caccia in Italia, come nel resto del mondo Occidentale, ai preziosi beni di chi ha dato manforte alla campagna di Putin. Nelle ultime settimane diverse ville e imbarcazioni sono finite sotto sequestro. Ad altri asset potrebbe toccare la stessa sorte di qui a breve, mentre gli inquirenti ricostruiscono le spesso complicate catene di controllo.

In questa guida ricapitoliamo i legami noti con l’Italia di alcuni degli uomini vicini a Putin finiti sulla lista nera di Bruxelles.

Gennady Timchenko

Gennady Timchenko (1952) è riconosciuto come uno tra i più stretti confidenti di Putin. Un rapporto sbocciato nei primi anni Novanta, quando Putin – all’epoca dirigente del governatorato di San Pietroburgo – concesse a Timchenko una licenza per l’esportazione di petrolio.

Gennady Timchenko

Gennady Timchenko

Oggi Timchenko controlla il Volga Group, una holding con un portafogli di investimenti nei settori dell’energia, dei trasporti e delle infrastrutture. Le posizioni più consistenti sono quelli in Novatek, produttore di gas, e Sibur, colosso petrolchimico con interessi anche in Italia.

Bloomberg stima l’attuale patrimonio di Timchenko in poco più di 10 miliardi di dollari, ammontare che si sarebbe piú che dimezzato con il crollo del valore dei propri investimenti per effetto delle sanzioni.

Già sanzionato dagli Stati Uniti fin dal 2014, Timchenko è stato inserito nella black list dell’Ue il 28 febbraio scorso in quanto ritenuto «responsabile di fornire sostegno finanziario e materiale ai decisori russi responsabili dell’annessione della Crimea e della destabilizzazione dell’Ucraina». Cinque giorni più tardi la Guardia di finanza ha sequestrato a Sanremo il suo yacht “Lena”, un’imbarcazione da 52 metri con un valore stimato in 50 milioni di euro.

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Petr Aven

Petr Aven

Petr Aven

Petr Aven (1955) è uno dei principali azionisti di Alfa Bank, la più grande banca d’affari privata in Russia. Insieme all’oligarca Mikhail Fridman, Aven ha inoltre fondato LetterOne, un fondo d’investimento lussemburghese. Aven ha lasciato i propri incarichi da amministratore in entrambe le aziende dopo essere stato inserito nella lista delle sanzioni europee il 28 febbraio scorso.

Il motivo del provvedimento nei confronti di Aven è la sua vicinanza con Vladimir Putin, la quale avrebbe portato benefici economici alle sue società. «[Aven] non opera indipendentemente dalle richieste del presidente», riporta il documento dell’Ue. Aven fu inoltre Ministro degli Affari Economici Esteri nel ‘91-’92, quando alla presidenza c’era Boris Eltsin.

Il 16 marzo il Nucleo special polizia valutaria ha sequestrato un complesso immobiliare in località Punta Sardegna, vicino a Porto Cervo, riconducibile ad Aven. Si tratta di Villa Maureena, residenza costruita negli anni ‘60 che si affaccia sull’arcipelago della Maddalena. Aven possiede un terzo della proprietà per un valore di 4 milioni di euro.

Alisher Usmanov

Alisher Usmanov (1953) è un imprenditore di origine uzbeka naturalizzato russo. È il fondatore di USM Holdings, gruppo che controlla diverse aziende di rilievo, tra cui Metalloinvest, produttore di acciaio, Baikal Mining, che si occupa di estrazione di rame, e Mail.ru, il principale operatore russo di servizi internet. Usmanov è inoltre proprietario di Kommersant, il più noto giornale economico-finanziario russo. Secondo l’Unione europea – che ha sanzionato l’oligarca lo scorso febbraio – «da quando Usmanov ha assunto il controllo del quotidiano la libertà della redazione è stata limitata e il giornale ha assunto una posizione manifestamente favorevole al Cremlino».

Alisher Usmanov

Alisher Usmanov

Usmanov ha un rapporto molto stretto con l’Italia, dove ha accumulato un piccolo impero immobiliare. Secondo il Dossier Center di Mikhail Khodorkovsky, Usmanov avrebbe comprato negli anni almeno otto ville nel Belpaese per un valore totale di qualche centinaio di milioni di euro. Nel 2012 comprò a Romazzino, in Costa Smeralda, la villa dell’industriale Antonio Merloni. Sempre in Sardegna Usmanov è proprietario di una villa da 17 milioni di euro che si affaccia sul golfo del Pevero. Quest’ultima finita sotto sequestro a inizio marzo dopo l’inserimento dell’imprenditore nella black list. Nelle Cinque Terre, invece, Usmanov ha acquistato Villa Maramozza, 1.200 metri quadrati più ampio bosco con piscina e campi da tennis.

In Italia, Usmanov ha anche fatto incetta di onorificenze grazie alle sue opere di filantropia e mecenatismo: il comune di Arzachena gli ha conferito la cittadinanza onoraria nel 2018, titolo che il sindaco non vuole ritirare nonostante le sanzioni; nell’ottobre 2016, invece, la Presidenza della Repubblica (su proposta dell’allora governo Renzi) l’aveva insignito del titolo di Commendatore. Il motivo era il contributo di Usmanov per progetti di restauro di edifici dal valore storico.

Alexey Mordashov

Alexey Mordashov

Alexey Mordashov

Considerato l’oligarca russo più facoltoso di tutti, Alexey Mordashov (1965) è il principale azionista e presidente di Severstal, colosso siderurgico che dall’inizio di marzo ha smesso di vendere acciaio in Europa. Mordashov è stato sanzionato dall’Unione europea a causa del suo istituto di credito, Rossiya Bank, «considerata la banca personale degli alti funzionari della Federazione russa». Mordashov viene inoltre accusato di essere «responsabile del sostegno ad azioni e politiche che compromettono l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina».

Il magnate è stato tra i primi oligarchi a sperimentare le conseguenze delle sanzioni sui propri beni: il suo yacht da 65 metri, “Lady M”, con valore stimato in 65 milioni di euro è stato “congelato” nel porto di Imperia lo scorso 4 marzo. Una decina di giorni più tardi, invece, la notifica di congelamento è stata fatta a un complesso immobiliare da 105 milioni di euro in località Portisco, in Costa Smeralda.

Andrey Melnichenko

Andrey Melnichenko (1973) è il fondatore di EuroChem, uno dei principali produttori di fertilizzanti al mondo, e di Suek, un’azienda carbonifera. Dopo essere finito sotto sanzioni da parte dell’Unione europea, il 9 marzo Melnichenko ha rassegnato le dimissioni dal CdA delle due società e non ne è più il titolare effettivo.

Andrey Melnichenko

Andrey Melnichenko

Bruxelles reputa Melnichenko parte della «cerchia più influente di imprenditori russi con stretti legami con il governo russo». Tanto che il 24 febbraio, all’indomani dell’invasione dell’Ucraina, Melnichenko è stato invitato, insieme a 36 imprenditori, a incontrare il presidente Putin per discutere dell’impatto dell’offensiva militare e delle conseguenti sanzioni.

Con Melnichenko le autorità italiane hanno centrato il bersaglio più grosso nella loro caccia ai beni riconducibili ai russi sotto sanzioni. L’11 marzo, infatti, la Guardia di finanza ha congelato il “Sy A”, considerato lo yacht da navigazione più grande al mondo. Un trialbero lungo quasi 143 metri e con otto punti, l’imbarcazione di Melnichenko è un vero e proprio colosso del mare. Lo yacht era ormeggiato per motivi di manutenzione all’arsenale di Fincantieri, nei pressi di Trieste, quando è stato sottoposto al provvedimento di «congelamento amministrativo».

Oligarchi, le proprietà congelate

I beni riconducibili a oligarchi russi posti sotto fermo amministrativo dalle autorità italiane alla luce delle sanzioni Ue, e il loro valore stimato

L’oligarca russo ha fatto sapere al The Guardian, tramite un portavoce, di essere pronto a far partire una battaglia legale contro il provvedimento. Il portavoce dice che Melnichenko «non ha alcun collegamento con i tragici eventi in Ucraina. Non ha alcuna affiliazione politica. Non c’è alcuna giustificazione per inserirlo nella lista delle sanzioni europee».

Igor Sechin

Re indiscusso del petrolio russo, Igor Sechin (1960) è l’amministratore delegato di Rosneft, uno dei principali produttori mondiali di greggio. È considerato uno dei più stretti confidenti di Vladimir Putin con il quale intrattiene rapporti dai primi anni Novanta, quando entrambi lavoravano nell’amministrazione cittadina di San Pietroburgo. Nel 2014 ha siglato il contratto per l’ingresso di Rosneft nel pacchetto azionario di Pirelli.

Igor Sechin

Igor Sechin

Sanzionato dall’Ue il 28 febbraio «per aver sostenuto materialmente la destabilizzazione dell’Ucraina», Sechin non ha subito provvedimenti in Italia. Il suo yacht “Vero Amore” è stato invece sequestrato nei cantieri navali francesi in cui si trovava per opere di manutenzione. La barca – prima chiamata “Princess Olga” in onore dell’ex compagna – è stata spesso avvistata nei punti nevralgici del turismo VIP italiano, tra la Sardegna, Capri e Venezia.

Il legame di Sechin con il nostro Paese è anche, e soprattutto, formato da relazioni di alto livello. Il magnate del petrolio è presenza fissa del Forum Italia-Russia, convegno organizzato dall’Associazione Conoscere Eurasia che ogni anno riunisce a Verona imprenditori, politici e diplomatici russi e italiani.

Igor Sechin si può fregiare, inoltre, del titolo di Commendatore al Merito della Repubblica Italiana, onorificenza conferitagli nel 2017 su iniziativa del Presidente della Repubblica.

Viktor Vekselberg

Viktor Vekselberg

Viktor Vekselberg

Viktor Vekselberg (1957) è proprietario di Renova Group, conglomerato russo con interessi in numerosi settori tra cui alluminio, energia, telecomunicazioni e immobiliare. Il suo investimento più notevole è in Rusal, il principale produttore di alluminio in Russia. Vekselberg siede inoltre nel board della Fondazione Skolkovo, centro d’innovazione creato dal Cremlino con l’intenzione di sviluppare un parco tecnologico alle porte di Mosca. In Italia, Skolkovo ha stretto partnership con Enel e le Università di Genova e Torino.

Proprio nel settore energetico Vekselberg ha tessuto una fitta rete di relazioni nel Belpaese. A partire dal 2007 l’oligarca promette di investire, attraverso la controllata Avelar Energy, un miliardo di euro nel settore fotovoltaico. Gli affari nel solare italiano vengono gestiti da un suo uomo di fiducia, Igor Akhmerov, che attraverso una serie di filiali controlla impianti energetici in Puglia e Basilicata. Un business che ha anche fatto finire Akhmerov nei guai con la giustizia italiana: secondo i magistrati milanesi, le società avrebbero indebitamente beneficiato, tra fine 2010 e aprile 2013, di ingenti contributi in conto energia erogati dal Gse. Condannato in primo grado a 4 anni e 6 mesi, Akhmerov è stato poi assolto in appello nel 2021.

Nel 2007 Vekselberg ha inoltre acquistato il Grand Hotel Villa Feltrinelli, un tempo dimora di Benito Mussolini durante la Repubblica sociale. Il resort di lusso avrebbe anche ospitato Vladimir Putin in occasione dei suoi viaggi in Italia. Oggi la villa sul Lago di Garda fa capo a una holding di Cipro.

Arkady e Boris Rotenberg

Arkadi Rotenberg[/caption]Arkady Rotenberg (1951) è legato a Vladimir Putin da uno stretto rapporto d’amicizia che risale a quando, in gioventù, frequentavano lo stesso club di judo a San Pietroburgo. Insieme al fratello minore Boris (1957), Rotenberg ha fatto fortuna mettendo le mani su appalti con cifre da capogiro per la costruzione di infrastrutture chiave in Russia. I due hanno fondato Stroygazmontazh (Gruppo SGM), costruttore leader nella posa di gasdotti e oleodotti. Inoltre, in occasione delle Olimpiadi invernali di Sochi le aziende dei Rotenberg si sarebbero assicurate appalti per circa 7 miliardi di dollari.

Arkadi Rotenberg e Boris Rotenberg

Arkadi Rotenberg e Boris Rotenberg

I fratelli Rotenberg vantano una lunga serie di investimenti in Italia, come è emerso anche nell’inchiesta internazionale FinCEN Files, sulle segnalazioni di operazioni sospette emesse dall’autorità antiriciclaggio del Tesoro statunitense. Oggi risultano proprietari di Tenuta Olmo, dimora pittoresca nel cuore dell’Argentario, e di una villa immersa nella pineta di Castiglione della Pescaia sulle rive del Mar Tirreno. In passato, però, il loro portafoglio immobiliare era molto più vasto: immobili di pregio a Tarquinia, Villasimius e Cagliari, e due lussuose ville a Porto Cervo.

Attraverso delle società cipriote, i Rotenberg gestivano inoltre il Berg Luxury Hotel, quattro stelle nel centro di Roma a due passi da Via Veneto. Queste ultime proprietà, tuttavia, sono state congelate dalla Guardia di finanza nel luglio 2014, dopo che il nome di Arkady Rotenberg era comparso in un pacchetto di sanzioni varato dal Consiglio europeo. Il fratello Boris, invece, era già stato sanzionato dal Tesoro americano. I provvedimenti furono presi all’indomani dell’annessione della Crimea da parte di Mosca.

Vladimir Soloviev

Vladimir Soloviev

Vladimir Soloviev

Vladimir Soloviev (1963) è giornalista e presentatore del canale televisivo Russia 1, noto principalmente per il talk show politico “Domenica Sera con Vladimir Soloviev”. Considerato uno dei più influenti propagandisti del Cremlino, Soloviev da voce alle ambizioni militari di Putin sostenendo l’invasione dell’Ucraina. «Oggi è il giorno in cui è stata fatta partire una legittima operazione per de-nazificare l’Ucraina», ha dichiarato Soloviev allo scoccare dell’offensiva russa.

Inserito nella lista nera dell’Ue per il suo «atteggiamento estremamente ostile nei confronti dell’Ucraina», Soloviev ne ha subito risentito finanziariamente. I finanzieri hanno congelato due ville di sua proprietà sulle sponde del Lago di Como. I due immobili, situati rispettivamente a Menaggio e Pianello del Lario, hanno un valore stimato in otto milioni di euro. Il collegamento tra le due ville e il conduttore russo ero stato rivelato per la prima volta dall’oppositore politico Alexey Navalny nel 2019.

Dopo aver appreso delle misure prese nei propri confronti, Soloviev se ne è lamentato in diretta TV: «Mi era stato detto che l’Europa è una cittadella dei diritti, che tutto è permesso…Conosco per esperienza personale i cosiddetti “sacri diritti di proprietà”. Ad ogni transazione portavo documenti che dimostravano il mio reddito. Le ho comprate [le ville], ho pagato una quantità pazzesca di tasse, ho fatto tutto. E all’improvviso qualcuno decide che questo giornalista è nell’elenco delle sanzioni. E subito colpisce il tuo immobile. Aspetta un minuto. Ma ci avevate detto che in Europa il diritto di proprietà è sacro».

Oleg Savchenko

Oleg Savchenko

Oleg Savchenko

Politico di lungo corso di Russia Unita, il partito di Vladimir Putin, Oleg Savchenko siede tra i banchi della Duma, il Parlamento russo. L’Unione europea l’ha inserito nel primo round di sanzioni, risalenti al 23 febbraio scorso, per aver votato a favore della risoluzione volta a riconoscere le repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk, i due territori a sud-est dell’Ucraina contestati tra Kiev e Mosca.

In Italia, Savchenko è stato colpito dal primo provvedimento emesso dal Comitato di sicurezza finanziaria, l’organo del Tesoro deputato a coordinare l’attività di repressione nei confronti dei sanzionati. A finire sotto sequestro è stata la villa Lazzareschi, dimora storica del XVII secolo nelle colline di Capannori, alle porte di Lucca. Circondata da un parco di 10 mila metri quadrati, la villa ha un valore stimato in circa 3 milioni di euro.

Igor Shuvalov

Igor Shuvalov (1967) è il presidente della VEB, la principale banca pubblica russa, sotto sanzione dal 23 febbraio. Quella carica è di natura politica e la decide direttamente il presidente Vladimir Putin. In precedenza, tra il 2008 e il 2018, Shuvalov è stato il vice primo ministro, sia nelle amministrazioni guidate da Putin, sia durante la parentesi di Dmitry Medvedev (2008-2012), il quale è oggi vice presidente del Consiglio di sicurezza in Russia. In quella veste Shuvalov affermò che la Federazione russa avrebbe modificato le norme di bilancio per tenere conto degli abitanti aggiuntivi derivanti dall’annessione della Crimea.

Igor Shuvalov

Igor Shuvalov

In Italia, alla famiglia di Shuvalov è riconducibile una residenza in Toscana. Realizzata in stile liberty verso la fino dell’Ottocento, Villa Bengodi si trova a Orbetello (Grosseto), immersa nel verde e a due passi dalla spiaggia. È stata acquistata nel dicembre 2019 da una società austriaca, la Weitried Gmbh, controllata da un trust del Liechtenstein il cui beneficiario ultimo, fino al 2017, risultava essere uno dei figli di Shuvalov. Al momento la proprietà del trust è sconosciuta.

A febbraio 2020, una società italiana aperta a Bolzano pochi mesi prima, la Società Agricola Villa Bengodi srl, acquista i terreni agricoli attorno a Villa Bengodi a Fonteblanda. Secondo le visure catastali, sono circa 36 ettari. Ad amministrare la Società Agricola un commercialista di Torino che non ha voluto rispondere alle domande del consorzio, e un agronomo di Orbetello, Claudio Capitani.

Capitani spiega di lavorare come consulente agrario, gestendo aziende agricole e aiutando gli imprenditori nelle scelte aziendali. «Negli ultimi anni la struttura delle aziende agricole è molto cambiata, sempre meno sono le imprese individuali e sempre di più le società facenti capo a gruppi finanziari, fondi di investimento, l’agricoltura rappresenta un settore con poca redditività ma con alta garanzia patrimoniale». Spiega di sapere che la società è di proprietà austriaca, ma «non mi risultano corrette le informazioni» riferite da IrpiMedia, ovvero che il beneficiario finale sia l’oligarca Shuvalov.

Attualmente, spiega Capitani, la Società Agricola Villa Bengodi «produce cereali, olio di oliva ed è in procinto di implementare un’attività vitivinicola» biologica. L’intera tenuta, comprensiva di terreni e ville, secondo le quotazioni immobiliari e dei terreni agricoli ufficiali, dovrebbe essere di minimo 2,8 milioni di euro. La Weitried ha però dichiarato un patrimonio immobiliare di 13 milioni di euro, quindi la tenuta Villa Bengodi potrebbe valere tanto. Un jet privato posseduto da un’azienda riconducibile a Shuvalov l’estata scorsa è atterrato al vicino aeroporto di Grosseto, evento che suggerisce come la famiglia Shuvalov stia ancora utilizzando la villa.

CREDITI

Autori

Cecilia Anesi
Matteo Civillini

In partnership con

OCCRP

Infografiche

Lorenzo Bodrero

Editing

Lorenzo Bagnoli

Foto di copertina

IrpiMedia