Petrolio russo, prove di contrabbando tra Baltico e Mar Nero
Lorenzo Bagnoli
Giulio Rubino
L’incerta guerra delle sanzioni passa, inevitabilmente, dal mare. A giugno 2022 l’Unione europea ha introdotto il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, quello che vieterà l’importazione via mare di prodotti petroliferi russi. La misura entrerà pienamente in vigore dopo una fase transitoria: l’import di greggio sarà bloccato completamente da gennaio 2023, quello dei prodotti raffinati da marzo. Intanto, però, lungo le rotte che dai porti russi conducono ai terminal europei si vedono già in atto strategie per nascondere la provenienza del prodotto. Sono le prime mosse del manuale del contrabbando: operazioni che ancora non sono necessarie a coprire un illecito, ma che potrebbero prestarsi allo scopo dal momento in cui le sanzioni diventeranno pienamente effettive.
Nel grande gioco dei traffici marittimi ci sono meccanismi e manovre diversive note agli analisti – che abbiamo per esempio già tracciato tra Libia, Italia e Malta, nella secca di Hurd’s Bank, a limitare delle acque contigue maltesi – che permettono ai commerci di prosperare nonostante il quadro geopolitico incerto. Né la Russia, né i Paesi europei infatti vogliono fare davvero a meno del commercio di greggio e gasolio. È ancora da scrivere la fine della dipendenza europea dalle forniture russe. E gli spedizionieri d’Europa che trasportano i prodotti continuano a trarre benefici dal mercato, a dispetto della scadenza stabilita dal Consiglio europeo, l’organismo presieduto da Charles Michel che decide in materia di sanzioni.
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Dato che un carico su quattro di prodotti petroliferi in partenza dalla Russia via mare arriva in Ue, stimano a Bruxelles, le restrizioni «copriranno quasi il 90% delle importazioni di petrolio russo in Europa entro la fine dell’anno. Ciò consentirà una significativa riduzione dei profitti commerciali della Russia». L’efficacia o meno della misura è legata anche ai tempi: il conflitto in Ucraina vive di successi alterni, le perdite economiche alla Russia andrebbero inflitte il più presto possibile. Invece dopo le delibere europee, servono sempre lunghe fasi di assestamento e di transizione perché, oltre agli interessi nazionali, ci sono commesse pregresse, stipulate dai grossi gruppi energetici del continente prima che la guerra scoppiasse. Mettere in atto la strategia richiede tempo.
La prima mossa
Durante l’attesa, il mercato prende le sue contromisure per fare in modo che perduri il business as usual. Secondo i dati di Refinitiv, agenzia anglo-americana di analisi dei mercati finanziari, rielaborati dal giornale giapponese Asia Nikkei, tra febbraio e agosto 2022 a largo delle coste del Peloponneso ci sono stati 175 trasferimenti di prodotti petroliferi da tanker provenienti dalla Russia – operazioni ship-to-ship (STS) – per un volume di circa 23,86 milioni di barili (un barile equivale a poco più di 119 litri, ndr). Nello stesso periodo di tempo, lo scorso anno, il valore era circa un quinto, 4,34 milioni. Le agenzie di intelligence indicano che hub di questo genere ne sono nati anche a largo di Ceuta, di Malta e di fronte al piccolo porto di Kavkaz, nella Russia meridionale.
I trasferimenti di merci STS sono operazioni piuttosto complesse anche quando vengono effettuate nei porti. Affiancare migliaia di tonnellate di ferro galleggiante sull’instabile superficie del mare per tutto il tempo necessario al trasferimento (spesso diverse ore) è una manovra che in genere si avvale di rimorchiatori d’appoggio – giganteschi parabordo costellati di copertoni – e tantissima attenzione. Anche quando viene effettuata nelle calme acque dei porti o delle rade richiede un preciso protocollo di sicurezza, e in mare aperto i rischi sono moltiplicati dal fattore meteorologico.
È per questo che l’improvviso e grande aumento di operazioni di questo tipo condotte da petroliere e navi cisterna che trasportano prodotti di origine russa preoccupa gli analisti. In altre occasioni infatti, i passaggi da nave a nave sono stati utilizzati per nascondere la provenienza del prodotto, come elemento fondamentale delle operazioni di contrabbando, come accadeva per esempio vicino Malta negli anni del boom del contrabbando di gasolio libico.
L’hub a 860 miglia a ovest del Portogallo
A partire dall’inizio di giugno, Lloyd’s List, il più antico e importante giornale di informazioni e intelligence marittima, ha identificato almeno una dozzina di petroliere, del tipo VLCC e Suezmax (le più grandi che possano passare per il canale di Suez), impegnate in trasferimenti ship-to-ship nel cuore dell’Atlantico, vicino alle isole Azzorre.
Molte delle navi tracciate, in particolare delle vecchie VLCC (acronimo per Very Large Crude Carrier, portagreggio molto grandi) cinesi, erano state comprate la scorsa primavera dallo stesso acquirente, anonimo.
La maggior parte delle petroliere di questo tipo in partenza dalla Russia erano state affittate da Gazprom e da Lukoil. Gli analisti di Lloyd’s sospettano che molte altre petroliere abbiano preso parte a queste operazioni, ma è difficile esserne certi, visto che molto spesso tali navi spengono i loro sistemi di tracciamento satellitare quando devono compiere operazioni illegali.
Operazioni STS nel cuore dell’oceano sono decisamente una novità. Alex Glykas, dell’azienda di consulenza marittima Dynamarine, ha detto a Lloyd’s che «armatori che sono disposti a correre grossi rischi in questo momento possono fare grossi profitti, e ci sono trader pronti ad aiutarli», sottolineando che non ci sono aziende specializzate ad assistere con operazioni STS che operino nella zona delle Azzorre.
Secondo l’analisi di Lloyd’s, queste operazioni ad alto rischio in mare aperto sono principalmente a favore del mercato cinese.
Non è ancora chiara l’importanza di queste operazioni. Ad oggi infatti, e ancora per alcuni mesi, i prodotti petroliferi russi possono entrare in Europa senza nessun bisogno di occultarne l’origine. Eppure le operazioni sospette si moltiplicano. È possibile ricavare il dato analizzando i risultati forniti da un bot di Twitter, un programma che pubblica automaticamente informazioni ogni volta che si verificano delle specifiche condizioni, costruito da Greenpeace UK. Il bot segnala ogni volta che parte una petroliera da uno dei porti russi di esportazione di petrolio, e indica il porto previsto di destinazione, spesso europeo, ma ormai anche cinese, indiano o egiziano, latitudini finora sconosciute per questi prodotti.
Le rotte del petrolio russo verso l’Europa sono sostanzialmente due.
La prima comincia dai porti russi a nord della Georgia, in particolare da quello di Novorossiysk, e dal Mar Nero conduce alla Grecia e all’Italia attraverso il Bosforo. Secondo BlackSeaNews e il Black Sea Institute of Strategic Studies, tra aprile e luglio 2022 la Grecia è stata la principale destinazione di prodotti petroliferi russi (nel conteggio è escluso il greggio) provenienti dal Mar Nero (42,8%), seguita dalla Turchia (30,9%) e, a molta distanza, dall’Italia (4,1%).
La seconda rotta invece, più lunga e sconveniente per il mercato italiano, parte dai porti russi sul Baltico – da San Pietroburgo a Ust-Luga – oltrepassa la Danimarca e scende verso le acque tempestose del Golfo di Biscaglia, e da lì prende due possibili vie, o verso l’Atlantico aperto, le Americhe e l’hub di trasferimenti da nave a nave 860 miglia a largo del Portogallo (vedi box), oppure verso Gibilterra e da lì di nuovo dentro il Mediterraneo, diretta a uno qualsiasi dei grandi porti del sud-europa. Per l’Italia i principali porti d’arrivo più rilevanti sono Augusta e Trieste.
Come si alimenta la raffineria Isab di Augusta
Proprio ad Augusta, lo scorso 24 luglio, è arrivata in porto la RN Tuapse, nave cisterna di prodotti petroliferi (e quindi fatta per trasportare prodotti già raffinati) battente bandiera russa. La Tuapse è di proprietà del gruppo SVL Maritime, un gruppo di aziende russe raccolte sotto l’ombrello di una holding cipriota, la Sommet Finance Limited, a sua volta controllata da interessi russi. Il socio di maggioranza, con il 51%, è Leonid Ivanovych Shcherbatyuk, un imprenditore con altri interessi in Europa, visto che è anche direttore del SVL Group GMBH, un’altra holding questa volta dedita alla gestione di capitali, di base a Vienna, in Austria. La SVL group è a sua volta proprietaria di un’azienda di trading di prodotti chimici (la TransChemie GmbH) e di un’azienda immobiliare (la SVL Hausbesitz GmbH).
La Tuapse era partita, il 15 luglio, da Kavkaz, un piccolo porto sullo stretto di Kerč’, che separa il Mare di Azov dal Mar Nero.
L’area è sotto il controllo russo fin dal 2014, quando la Crimea è stata annessa da Putin alla fine della prima invasione dell’Ucraina. Oggi il piccolo porto, che nonostante fosse al centro di piani di sviluppo firmati da Dmitry Medvedev nel 2014, ancora non ha significative strutture industriali, è recentemente apparso in un’inchiesta di Associated Press e del programma Frontline della PBS come punto di “riciclaggio” di cereali sottratti illegalmente all’Ucraina. Diecimila tonnellate di farina di grano e orzo per un valore di almeno 530 milioni di dollari erano infatti state portate via dalla città occupata di Melitopol, e poi trasportate in Libano via nave, con un manifesto di carico apparentemente falsificato che dichiarava Kavkaz come punto d’origine del carico di «orzo e farina russi».
La RN Tuapse, una “giovane” nave di appena 11 anni, lunga 140 metri e con una capacità di carico di oltre settemila tonnellate, non aveva certo caricato a Kavkaz il suo carico di prodotti petroliferi, dato che non ci sono strutture adatte né raffinerie lì, eppure non fa soste intermedie prima di arrivare ad Augusta.
Due giorni dopo però, la notte fra il 16 e il 17 luglio, la Tuapse rallenta di colpo in mare aperto, 120 chilometri a sud-est di Yalta. Si trova in acque contese, i database marittimi le definiscono «acque russe e ucraine del Mar Nero», una zona in cui opera la marina militare russa, che tiene sotto assedio la costa ucraina.
Per tutto il giorno aveva tirato vento forte, ma con la sera il mare si era riappacificato, condizioni perfette per l’incontro che l’aspettava. Dal porto di Novorossiysk infatti, alcuni giorni prima (l’11 luglio, per la precisione) era partita la “gemella” della Tuapse, una nave identica, con la stessa età, e di proprietà dello stesso gruppo: la SVL Pride.
La Pride era stata per alcuni giorni al terminal petrolifero di Sheskharis, nel porto di Novorossiysk, dove secondo le informazioni di database navali aveva caricato le sue stive fino ad aumentare il suo pescaggio (la parte di nave che rimane sott’acqua, ndr) da 3,3 a 4,5 metri. A mezzanotte e mezza del 17 luglio le due navi si affiancano, iniziano subito le operazioni di trasbordo del carico. Tutto avviene molto rapidamente, dopo solo 57 minuti si separano: la Tuapse si riavvia per il Bosforo, e la SVL Pride torna a Novorossiysk, a caricare nuovi prodotti petroliferi.
La RN Tuapse non ha tempo da perdere, passa lo stretto del Bosforo e costeggia la Grecia diretta verso la Sicilia. Alle 15:25 del 24 luglio arriva al porto di Augusta, si ormeggia al molo della Maxcom, dove scarica più o meno, a giudicare dai dati di Marinetraffic, la stessa quantità di prodotto che la Pride aveva caricato a Novorossiysk. Il suo pescaggio infatti passa da 4,6 a 3,4 metri: trattandosi di navi gemelle è facile stimare che le quantità siano le stesse.
La Tuapse poi lascerà Augusta la mattina del 27 luglio, per avviarsi di nuovo verso il Mar Nero. Da allora né lei, né la SVL Pride hanno più visitato il Mediterraneo, continuando a navigare fra i porti russi e quello bulgaro di Burgas.
La Maxcom, che ha ricevuto il carico della Tuapse, è un azienda già nota ai lettori di IrpiMedia. Si trattava infatti del principale acquirente di gasolio di contrabbando proveniente dalla Libia gestito dai trafficanti maltesi Darren Debono e Gordon Debono. L’inchiesta, era uscita in collaborazione con Repubblica nell’ambito del Daphne Project, coordinato da Forbidden Stories.
A ricevere il petrolio russo al porto di Augusta però non c’è solo Maxcom. Nella baia di Augusta si trova infatti anche la raffineria della Isab, di proprietà della russa Lukoil. Dall’inizio dell’estate in Sicilia si vocifera di un rischio chiusura dell’impianto, a causa delle sanzioni che stanno condizionando la presenza sul mercato dell’azienda russa. L’ex parlamentare di Forza Italia Stefania Prestigiacomo, rimasta fuori dalle ultime elezioni, lo scorso luglio ha depositato un emendamento al DL Aiuti, poi approvato in aula, che è stato soprannominato “salva-Isab” con il quale è stato aperto un tavolo di trattative al Ministero dello Sviluppo economico per impedire la chiusura dello stabilimento.
«A seguito delle sanzioni scattate per l’aggressione all’Ucraina – scrive l’ex parlamentare in una nota riportata da Siracusa Oggi – gli istituti di credito hanno rifiutato l’emissione delle lettere di credito all’Isab del gruppo Lukoil costringendo l’azienda a raffinare solo il petrolio che giunge via mare dalla Russia». La Isab cioè, senza il sostegno delle banche, non può che affidarsi a forniture “interne” al suo stesso gruppo, provenienti quindi dalla Lukoil stessa, infatti quest’anno le navi russe in arrivo alla raffineria sono aumentate moltissimo, più 622% rispetto allo scorso anno.
L’emendamento prevede una garanzia pubblica fino al massimo di 1,2 miliardi di euro con la quale Isab dovrebbe poter fare acquisti da altri fornitori, per continuare a lavorare. Scrive Prestigiacomo che grazie alla garanzia pubblica «potrebbe tornare a operare sul mercato libero del greggio e assicurare la produzione e i livelli occupazionali diretti, dell’indotto e delle imprese a vario titolo collegate alla raffineria».
Le strane morti della Lukoil
La Lukoil è la seconda società petrolifera e primo gruppo privato della Russia. Il suo consiglio di amministrazione, a pochi giorni dall’invasione russa dell’Ucraina, aveva espresso «profonde preoccupazioni per i tragici eventi in Ucraina». In seguito ci sono stati dei misteriosi decessi fra i top manager dell’azienda che alimentano i sospetti di una vendetta del Cremlino nei confronti di Lukoil.
Il primo settembre, il presidente di Lukoil Ravil Maganov è caduto dalla finestra di un ospedale, secondo quanto ricostruito da diversi media (il sito della compagnia riporta il decesso «a causa di una grave malattia»). Il 9 maggio un altro ex manager, Aleksandr Subbotin, è stato trovato morto nella sua casa di Mytishchi, nei sobborghi di Mosca. Il fratello Valery è a tutt’oggi un manager di primo piano dell’azienda. Diversi giornali italiani hanno indicato Valery Subbotin come uno dei possibili successori di Vagit Alekperov, per trent’anni capo di Lukoil, poi costretto alle dimissioni in aprile a seguito delle sanzioni imposte a suo carico dal Regno Unito, dove Lukoil è quotata in Borsa.
Gli affari dell’oligarca e l’armatore nemico per l’Ucraina
A largo dell’area di ancoraggio di Skagen, nella parte settentrionale della penisola dello Jutland (Danimarca), il 19 agosto alle 14:36 la petroliera Rina inizia a scaricare greggio sulla Minerva Baltica. L’operazione terminerà dopo oltre tre ore. Minerva Baltica prosegue poi il viaggio fino al terminal del porto di Trieste acquistato nel dicembre 2020 dalla Seastock, società del gruppo Walter Tosto Spa. Il conglomerato con sede a Chieti si occupa di tutta la filiera dell’oil&gas oltre che di componentistica per impianti del nucleare. Da azienda familiare, si è trasformata in sessant’anni in una multinazionale a cui anche la politica, specialmente in Abruzzo, dà una certa attenzione.
Nel luglio 2014, quattro mesi dopo l’invasione russa della Crimea, la Walter Tosto ha fondato una sua controllata a San Pietroburgo e nel 2017 ha lavorato per completare alcuni componenti di un impianto della Gazprom. Nel 2021 l’azienda si è aggiudicata due commesse per un totale di 61 milioni di euro per realizzare dieci apparecchi per il trattamento del gas naturale e un impianto chimico nella zona di Ust-Luga, regione di Leningrado, nel golfo di Finlandia. Quattro giorni dopo l’inizio della guerra l’amministratore delegato dell’azienda Luca Tosto aveva spiegato al quotidiano abruzzese il Centro che le commesse in Russia «vanno avanti» ma «la situazione che viviamo è complessa» a causa del rischio sanzioni.
Almeno nel caso dell’operazione tra la Rina e la Minerva Baltica, il prodotto arrivato a Trieste è stato fornito da un’azienda navale nota in Estonia per lavorare con Nikolay Vorobey (traslitterato a volte Mikalai Varabei), un oligarca bielorusso dal dicembre 2020 sotto sanzione nell’Unione europea e in altri Paesi per i suoi legami con Aleksandr Lukashenko, il dittatore bilorusso alleato di Vladimir Putin. Il Dipartimento del Tesoro americano ha soprannominato Vorobey «il portafoglio dell’energia di Lukashenko»: in Bielorussia ha infatti ottenuto il monopolio sul trasporto del carbone, è a capo del più grosso gruppo petrolifero del Paese, detiene l’unica concessione privata per esportare prodotti petroliferi provenienti dalle raffinerie pubbliche ed è il gestore, per decreto presidenziale di una zona economica speciale.
Secondo un’inchiesta di Re:Baltica, centro di giornalismo che appartiene al network di Occrp, l’anno dopo le sanzioni dell’Ue l’Estonia ha triplicato le importazioni di petrolio dalla Bielorussia. È accaduto grazie a un trucco per catalogare con un codice di esportazione diverso alcuni prodotti, rendendoli immuni al bando europeo. Per gestire l’operazione, l’oligarca bielorusso si è appoggiato a due imprenditori dei Paesi baltici che gestivano la catena dell’import. Uno di questi, Aleksei Tšulets, è anche l’armatore di Baltic Sea Bunkering, gruppo di società al quale appartengono sia l’azienda proprietaria, sia l’azienda operatrice della nave Rina.
Minerva Baltica, invece, appartiene alla Minerva Marine Inc dell’armatore greco Andreas Martinos. Come hanno analizzato i colleghi di Reporters United, la famiglia Martinos è fra le più importanti coinvolte nelle operazioni per portare in Europa prodotti petroliferi russi. Tutti i membri della famiglia sono armatori, e sono tre gli imprenditori della famiglia che lavorano molto con il prodotto russo.
L’Agenzia nazionale per la prevenzione della corruzione in Ucraina ha incluso la Minerva Marine Inc nella lista dei «sostenitori internazionali della guerra», una lista di enti compilata dall’agenzia per tenere traccia chi continua a importare risorse provenienti dalla Russia.
Della famiglia Martinos ha parlato anche il deputato ucraino Dmytro Natalukha in una thread su Twitter. Riporta Natalukha che il fratello di Andreas, Thanasis Martinos, che al summit economico di Delfi si è apertamente schierato contro le sanzioni alla Russia, oltre che armatore (terzo nella classifica familiare per importazioni di prodotti dalla Russia) dal 2019 è anche governatore della Regione del Monte Athos, zona sacra per la chiesa Ortodossa. Martinos avrebbe ospitato al Monte Athos diversi alti ufficiali russi, incluso il patriarca (sotto sanzione) Kirill e la fidanzata di Putin Alina Kabaeka (con un visto falso, secondo media russi). «Questi pellegrinaggi religiosi sarebbero una copertura per mantenere le comunicazioni tra ufficiali corrotti russi, ucraini ed europei che sostengono la guerra o ne traggono profitto», scrive Natalukha.
Il costo delle sanzioni
Petrolio, gas e carbone acquistati dall’Unione europea hanno portato alla Russia introiti per circa 400 miliardi di euro nel 2021. Dopo i Paesi Bassi, che hanno importato 20,71 milioni di tonnellate di prodotti, l’Italia è stata il maggiore contributore. Italia, Grecia e Danimarca – riporta l’inchiesta collaborativa dei colleghi di Investigate Europe e Reporters United – sono gli unici tre Paesi europei che hanno aumentato gli ingressi di prodotti petroliferi dall’inizio del 2022, anche dopo l’invasione.
I dati che si leggono in merito alla fotografia degli acquisti di prodotti petroliferi dalla Russia sono però contraddittori. Un esempio è la fotografia scattata da Unione Energie per la Mobilità (Unem), l’associazione di Confindustria a cui appartengono i principali attori del mercato dell’energia. La tipologia di greggio che è arrivata maggiormente in Italia nel primo semestre del 2022 è stata l’Urals, una variante esportata dalla Russia: 3,89 milioni di tonnellate, con un aumento del 142,9% rispetto all’anno precedente. Unem specifica che il motivo è la condizione dell’Isab di Augusta, raffineria che si è trovata a dover importare solo greggio di sua proprietà. Però al decimo e al ventiquattresimo posto, per un totale di 1,47 milioni di tonnellate, ci sono altre due varianti russe, Variendej e Siberian Light. Entrambe, secondo i dati Unem sono in aumento, la prima del 142,8% sull’anno precedente, la seconda addirittura del 198,5%.
Eppure, commenta l’associazione appartenente a Confindustria, «il greggio russo arrivato in Italia sarebbe in forte calo rispetto allo stesso periodo 2021». Paradossi dei numeri, oppure del quadro internazionale, dove i prodotti possono diventare tossici all’improvviso.
CREDITI
Autori
Lorenzo Bagnoli
Giulio Rubino
Editing
Lorenzo Bodrero
Mappe
Lorenzo Bodrero
Foto di copertina
(Romano Cagnoni/Getty)