Petrolio russo, prove di contrabbando tra Baltico e Mar Nero

Petrolio russo, prove di contrabbando tra Baltico e Mar Nero

Lorenzo Bagnoli
Giulio Rubino

L’incerta guerra delle sanzioni passa, inevitabilmente, dal mare. A giugno 2022 l’Unione europea ha introdotto il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, quello che vieterà l’importazione via mare di prodotti petroliferi russi. La misura entrerà pienamente in vigore dopo una fase transitoria: l’import di greggio sarà bloccato completamente da gennaio 2023, quello dei prodotti raffinati da marzo. Intanto, però, lungo le rotte che dai porti russi conducono ai terminal europei si vedono già in atto strategie per nascondere la provenienza del prodotto. Sono le prime mosse del manuale del contrabbando: operazioni che ancora non sono necessarie a coprire un illecito, ma che potrebbero prestarsi allo scopo dal momento in cui le sanzioni diventeranno pienamente effettive.

Nel grande gioco dei traffici marittimi ci sono meccanismi e manovre diversive note agli analisti – che abbiamo per esempio già tracciato tra Libia, Italia e Malta, nella secca di Hurd’s Bank, a limitare delle acque contigue maltesi – che permettono ai commerci di prosperare nonostante il quadro geopolitico incerto. Né la Russia, né i Paesi europei infatti vogliono fare davvero a meno del commercio di greggio e gasolio. È ancora da scrivere la fine della dipendenza europea dalle forniture russe. E gli spedizionieri d’Europa che trasportano i prodotti continuano a trarre benefici dal mercato, a dispetto della scadenza stabilita dal Consiglio europeo, l’organismo presieduto da Charles Michel che decide in materia di sanzioni.

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Dato che un carico su quattro di prodotti petroliferi in partenza dalla Russia via mare arriva in Ue, stimano a Bruxelles, le restrizioni «copriranno quasi il 90% delle importazioni di petrolio russo in Europa entro la fine dell’anno. Ciò consentirà una significativa riduzione dei profitti commerciali della Russia». L’efficacia o meno della misura è legata anche ai tempi: il conflitto in Ucraina vive di successi alterni, le perdite economiche alla Russia andrebbero inflitte il più presto possibile. Invece dopo le delibere europee, servono sempre lunghe fasi di assestamento e di transizione perché, oltre agli interessi nazionali, ci sono commesse pregresse, stipulate dai grossi gruppi energetici del continente prima che la guerra scoppiasse. Mettere in atto la strategia richiede tempo.

La prima mossa

Durante l’attesa, il mercato prende le sue contromisure per fare in modo che perduri il business as usual. Secondo i dati di Refinitiv, agenzia anglo-americana di analisi dei mercati finanziari, rielaborati dal giornale giapponese Asia Nikkei, tra febbraio e agosto 2022 a largo delle coste del Peloponneso ci sono stati 175 trasferimenti di prodotti petroliferi da tanker provenienti dalla Russia – operazioni ship-to-ship (STS) – per un volume di circa 23,86 milioni di barili (un barile equivale a poco più di 119 litri, ndr). Nello stesso periodo di tempo, lo scorso anno, il valore era circa un quinto, 4,34 milioni. Le agenzie di intelligence indicano che hub di questo genere ne sono nati anche a largo di Ceuta, di Malta e di fronte al piccolo porto di Kavkaz, nella Russia meridionale.

I trasferimenti di merci STS sono operazioni piuttosto complesse anche quando vengono effettuate nei porti. Affiancare migliaia di tonnellate di ferro galleggiante sull’instabile superficie del mare per tutto il tempo necessario al trasferimento (spesso diverse ore) è una manovra che in genere si avvale di rimorchiatori d’appoggio – giganteschi parabordo costellati di copertoni – e tantissima attenzione. Anche quando viene effettuata nelle calme acque dei porti o delle rade richiede un preciso protocollo di sicurezza, e in mare aperto i rischi sono moltiplicati dal fattore meteorologico.

È per questo che l’improvviso e grande aumento di operazioni di questo tipo condotte da petroliere e navi cisterna che trasportano prodotti di origine russa preoccupa gli analisti. In altre occasioni infatti, i passaggi da nave a nave sono stati utilizzati per nascondere la provenienza del prodotto, come elemento fondamentale delle operazioni di contrabbando, come accadeva per esempio vicino Malta negli anni del boom del contrabbando di gasolio libico.

L’hub a 860 miglia a ovest del Portogallo

A partire dall’inizio di giugno, Lloyd’s List, il più antico e importante giornale di informazioni e intelligence marittima, ha identificato almeno una dozzina di petroliere, del tipo VLCC e Suezmax (le più grandi che possano passare per il canale di Suez), impegnate in trasferimenti ship-to-ship nel cuore dell’Atlantico, vicino alle isole Azzorre.

Molte delle navi tracciate, in particolare delle vecchie VLCC (acronimo per Very Large Crude Carrier, portagreggio molto grandi) cinesi, erano state comprate la scorsa primavera dallo stesso acquirente, anonimo.

La maggior parte delle petroliere di questo tipo in partenza dalla Russia erano state affittate da Gazprom e da Lukoil. Gli analisti di Lloyd’s sospettano che molte altre petroliere abbiano preso parte a queste operazioni, ma è difficile esserne certi, visto che molto spesso tali navi spengono i loro sistemi di tracciamento satellitare quando devono compiere operazioni illegali.

Operazioni STS nel cuore dell’oceano sono decisamente una novità. Alex Glykas, dell’azienda di consulenza marittima Dynamarine, ha detto a Lloyd’s che «armatori che sono disposti a correre grossi rischi in questo momento possono fare grossi profitti, e ci sono trader pronti ad aiutarli», sottolineando che non ci sono aziende specializzate ad assistere con operazioni STS che operino nella zona delle Azzorre.

Secondo l’analisi di Lloyd’s, queste operazioni ad alto rischio in mare aperto sono principalmente a favore del mercato cinese.

Non è ancora chiara l’importanza di queste operazioni. Ad oggi infatti, e ancora per alcuni mesi, i prodotti petroliferi russi possono entrare in Europa senza nessun bisogno di occultarne l’origine. Eppure le operazioni sospette si moltiplicano. È possibile ricavare il dato analizzando i risultati forniti da un bot di Twitter, un programma che pubblica automaticamente informazioni ogni volta che si verificano delle specifiche condizioni, costruito da Greenpeace UK. Il bot segnala ogni volta che parte una petroliera da uno dei porti russi di esportazione di petrolio, e indica il porto previsto di destinazione, spesso europeo, ma ormai anche cinese, indiano o egiziano, latitudini finora sconosciute per questi prodotti.

Le rotte del petrolio russo verso l’Europa sono sostanzialmente due.

La prima comincia dai porti russi a nord della Georgia, in particolare da quello di Novorossiysk, e dal Mar Nero conduce alla Grecia e all’Italia attraverso il Bosforo. Secondo BlackSeaNews e il Black Sea Institute of Strategic Studies, tra aprile e luglio 2022 la Grecia è stata la principale destinazione di prodotti petroliferi russi (nel conteggio è escluso il greggio) provenienti dal Mar Nero (42,8%), seguita dalla Turchia (30,9%) e, a molta distanza, dall’Italia (4,1%).

La seconda rotta invece, più lunga e sconveniente per il mercato italiano, parte dai porti russi sul Baltico – da San Pietroburgo a Ust-Luga – oltrepassa la Danimarca e scende verso le acque tempestose del Golfo di Biscaglia, e da lì prende due possibili vie, o verso l’Atlantico aperto, le Americhe e l’hub di trasferimenti da nave a nave 860 miglia a largo del Portogallo (vedi box), oppure verso Gibilterra e da lì di nuovo dentro il Mediterraneo, diretta a uno qualsiasi dei grandi porti del sud-europa. Per l’Italia i principali porti d’arrivo più rilevanti sono Augusta e Trieste.

Come si alimenta la raffineria Isab di Augusta

Proprio ad Augusta, lo scorso 24 luglio, è arrivata in porto la RN Tuapse, nave cisterna di prodotti petroliferi (e quindi fatta per trasportare prodotti già raffinati) battente bandiera russa. La Tuapse è di proprietà del gruppo SVL Maritime, un gruppo di aziende russe raccolte sotto l’ombrello di una holding cipriota, la Sommet Finance Limited, a sua volta controllata da interessi russi. Il socio di maggioranza, con il 51%, è Leonid Ivanovych Shcherbatyuk, un imprenditore con altri interessi in Europa, visto che è anche direttore del SVL Group GMBH, un’altra holding questa volta dedita alla gestione di capitali, di base a Vienna, in Austria. La SVL group è a sua volta proprietaria di un’azienda di trading di prodotti chimici (la TransChemie GmbH) e di un’azienda immobiliare (la SVL Hausbesitz GmbH).

La Tuapse era partita, il 15 luglio, da Kavkaz, un piccolo porto sullo stretto di Kerč’, che separa il Mare di Azov dal Mar Nero.

L’area è sotto il controllo russo fin dal 2014, quando la Crimea è stata annessa da Putin alla fine della prima invasione dell’Ucraina. Oggi il piccolo porto, che nonostante fosse al centro di piani di sviluppo firmati da Dmitry Medvedev nel 2014, ancora non ha significative strutture industriali, è recentemente apparso in un’inchiesta di Associated Press e del programma Frontline della PBS come punto di “riciclaggio” di cereali sottratti illegalmente all’Ucraina. Diecimila tonnellate di farina di grano e orzo per un valore di almeno 530 milioni di dollari erano infatti state portate via dalla città occupata di Melitopol, e poi trasportate in Libano via nave, con un manifesto di carico apparentemente falsificato che dichiarava Kavkaz come punto d’origine del carico di «orzo e farina russi».

La RN Tuapse, una “giovane” nave di appena 11 anni, lunga 140 metri e con una capacità di carico di oltre settemila tonnellate, non aveva certo caricato a Kavkaz il suo carico di prodotti petroliferi, dato che non ci sono strutture adatte né raffinerie lì, eppure non fa soste intermedie prima di arrivare ad Augusta.

Due giorni dopo però, la notte fra il 16 e il 17 luglio, la Tuapse rallenta di colpo in mare aperto, 120 chilometri a sud-est di Yalta. Si trova in acque contese, i database marittimi le definiscono «acque russe e ucraine del Mar Nero», una zona in cui opera la marina militare russa, che tiene sotto assedio la costa ucraina.

Per tutto il giorno aveva tirato vento forte, ma con la sera il mare si era riappacificato, condizioni perfette per l’incontro che l’aspettava. Dal porto di Novorossiysk infatti, alcuni giorni prima (l’11 luglio, per la precisione) era partita la “gemella” della Tuapse, una nave identica, con la stessa età, e di proprietà dello stesso gruppo: la SVL Pride.

La petroliera SVL Pride - Foto: Viacheslav/MarineTraffic
La petroliera SVL Pride – Foto: Viacheslav/MarineTraffic
Via del Rimessaggio nel comune di Arzachena - Foto: IrpiMedia
La petroliera RN Tuapse – Foto: Yevgeniy B./MarineTraffic

La Pride era stata per alcuni giorni al terminal petrolifero di Sheskharis, nel porto di Novorossiysk, dove secondo le informazioni di database navali aveva caricato le sue stive fino ad aumentare il suo pescaggio (la parte di nave che rimane sott’acqua, ndr) da 3,3 a 4,5 metri. A mezzanotte e mezza del 17 luglio le due navi si affiancano, iniziano subito le operazioni di trasbordo del carico. Tutto avviene molto rapidamente, dopo solo 57 minuti si separano: la Tuapse si riavvia per il Bosforo, e la SVL Pride torna a Novorossiysk, a caricare nuovi prodotti petroliferi.

La RN Tuapse non ha tempo da perdere, passa lo stretto del Bosforo e costeggia la Grecia diretta verso la Sicilia. Alle 15:25 del 24 luglio arriva al porto di Augusta, si ormeggia al molo della Maxcom, dove scarica più o meno, a giudicare dai dati di Marinetraffic, la stessa quantità di prodotto che la Pride aveva caricato a Novorossiysk. Il suo pescaggio infatti passa da 4,6 a 3,4 metri: trattandosi di navi gemelle è facile stimare che le quantità siano le stesse.

La Tuapse poi lascerà Augusta la mattina del 27 luglio, per avviarsi di nuovo verso il Mar Nero. Da allora né lei, né la SVL Pride hanno più visitato il Mediterraneo, continuando a navigare fra i porti russi e quello bulgaro di Burgas.

La Maxcom, che ha ricevuto il carico della Tuapse, è un azienda già nota ai lettori di IrpiMedia. Si trattava infatti del principale acquirente di gasolio di contrabbando proveniente dalla Libia gestito dai trafficanti maltesi Darren Debono e Gordon Debono. L’inchiesta, era uscita in collaborazione con Repubblica nell’ambito del Daphne Project, coordinato da Forbidden Stories.

A ricevere il petrolio russo al porto di Augusta però non c’è solo Maxcom. Nella baia di Augusta si trova infatti anche la raffineria della Isab, di proprietà della russa Lukoil. Dall’inizio dell’estate in Sicilia si vocifera di un rischio chiusura dell’impianto, a causa delle sanzioni che stanno condizionando la presenza sul mercato dell’azienda russa. L’ex parlamentare di Forza Italia Stefania Prestigiacomo, rimasta fuori dalle ultime elezioni, lo scorso luglio ha depositato un emendamento al DL Aiuti, poi approvato in aula, che è stato soprannominato “salva-Isab” con il quale è stato aperto un tavolo di trattative al Ministero dello Sviluppo economico per impedire la chiusura dello stabilimento.

«A seguito delle sanzioni scattate per l’aggressione all’Ucraina – scrive l’ex parlamentare in una nota riportata da Siracusa Oggi – gli istituti di credito hanno rifiutato l’emissione delle lettere di credito all’Isab del gruppo Lukoil costringendo l’azienda a raffinare solo il petrolio che giunge via mare dalla Russia». La Isab cioè, senza il sostegno delle banche, non può che affidarsi a forniture “interne” al suo stesso gruppo, provenienti quindi dalla Lukoil stessa, infatti quest’anno le navi russe in arrivo alla raffineria sono aumentate moltissimo, più 622% rispetto allo scorso anno.

L’emendamento prevede una garanzia pubblica fino al massimo di 1,2 miliardi di euro con la quale Isab dovrebbe poter fare acquisti da altri fornitori, per continuare a lavorare. Scrive Prestigiacomo che grazie alla garanzia pubblica «potrebbe tornare a operare sul mercato libero del greggio e assicurare la produzione e i livelli occupazionali diretti, dell’indotto e delle imprese a vario titolo collegate alla raffineria».

Le strane morti della Lukoil

La Lukoil è la seconda società petrolifera e primo gruppo privato della Russia. Il suo consiglio di amministrazione, a pochi giorni dall’invasione russa dell’Ucraina, aveva espresso «profonde preoccupazioni per i tragici eventi in Ucraina». In seguito ci sono stati dei misteriosi decessi fra i top manager dell’azienda che alimentano i sospetti di una vendetta del Cremlino nei confronti di Lukoil.

Il primo settembre, il presidente di Lukoil Ravil Maganov è caduto dalla finestra di un ospedale, secondo quanto ricostruito da diversi media (il sito della compagnia riporta il decesso «a causa di una grave malattia»). Il 9 maggio un altro ex manager, Aleksandr Subbotin, è stato trovato morto nella sua casa di Mytishchi, nei sobborghi di Mosca. Il fratello Valery è a tutt’oggi un manager di primo piano dell’azienda. Diversi giornali italiani hanno indicato Valery Subbotin come uno dei possibili successori di Vagit Alekperov, per trent’anni capo di Lukoil, poi costretto alle dimissioni in aprile a seguito delle sanzioni imposte a suo carico dal Regno Unito, dove Lukoil è quotata in Borsa.

Gli affari dell’oligarca e l’armatore nemico per l’Ucraina

A largo dell’area di ancoraggio di Skagen, nella parte settentrionale della penisola dello Jutland (Danimarca), il 19 agosto alle 14:36 la petroliera Rina inizia a scaricare greggio sulla Minerva Baltica. L’operazione terminerà dopo oltre tre ore. Minerva Baltica prosegue poi il viaggio fino al terminal del porto di Trieste acquistato nel dicembre 2020 dalla Seastock, società del gruppo Walter Tosto Spa. Il conglomerato con sede a Chieti si occupa di tutta la filiera dell’oil&gas oltre che di componentistica per impianti del nucleare. Da azienda familiare, si è trasformata in sessant’anni in una multinazionale a cui anche la politica, specialmente in Abruzzo, dà una certa attenzione.

Nel luglio 2014, quattro mesi dopo l’invasione russa della Crimea, la Walter Tosto ha fondato una sua controllata a San Pietroburgo e nel 2017 ha lavorato per completare alcuni componenti di un impianto della Gazprom. Nel 2021 l’azienda si è aggiudicata due commesse per un totale di 61 milioni di euro per realizzare dieci apparecchi per il trattamento del gas naturale e un impianto chimico nella zona di Ust-Luga, regione di Leningrado, nel golfo di Finlandia. Quattro giorni dopo l’inizio della guerra l’amministratore delegato dell’azienda Luca Tosto aveva spiegato al quotidiano abruzzese il Centro che le commesse in Russia «vanno avanti» ma «la situazione che viviamo è complessa» a causa del rischio sanzioni.

Uno yacht al largo della Costa Smeralda - Foto: IrpiMedia
La petroliera Rina – Foto: Stuart Fenty/MarineTraffic
Via del Rimessaggio nel comune di Arzachena - Foto: IrpiMedia
La petroliera Minerva Baltica – Foto: Krisztian Balla/MarineTraffic

Almeno nel caso dell’operazione tra la Rina e la Minerva Baltica, il prodotto arrivato a Trieste è stato fornito da un’azienda navale nota in Estonia per lavorare con Nikolay Vorobey (traslitterato a volte Mikalai Varabei), un oligarca bielorusso dal dicembre 2020 sotto sanzione nell’Unione europea e in altri Paesi per i suoi legami con Aleksandr Lukashenko, il dittatore bilorusso alleato di Vladimir Putin. Il Dipartimento del Tesoro americano ha soprannominato Vorobey «il portafoglio dell’energia di Lukashenko»: in Bielorussia ha infatti ottenuto il monopolio sul trasporto del carbone, è a capo del più grosso gruppo petrolifero del Paese, detiene l’unica concessione privata per esportare prodotti petroliferi provenienti dalle raffinerie pubbliche ed è il gestore, per decreto presidenziale di una zona economica speciale.

Secondo un’inchiesta di Re:Baltica, centro di giornalismo che appartiene al network di Occrp, l’anno dopo le sanzioni dell’Ue l’Estonia ha triplicato le importazioni di petrolio dalla Bielorussia. È accaduto grazie a un trucco per catalogare con un codice di esportazione diverso alcuni prodotti, rendendoli immuni al bando europeo. Per gestire l’operazione, l’oligarca bielorusso si è appoggiato a due imprenditori dei Paesi baltici che gestivano la catena dell’import. Uno di questi, Aleksei Tšulets, è anche l’armatore di Baltic Sea Bunkering, gruppo di società al quale appartengono sia l’azienda proprietaria, sia l’azienda operatrice della nave Rina.

Minerva Baltica, invece, appartiene alla Minerva Marine Inc dell’armatore greco Andreas Martinos. Come hanno analizzato i colleghi di Reporters United, la famiglia Martinos è fra le più importanti coinvolte nelle operazioni per portare in Europa prodotti petroliferi russi. Tutti i membri della famiglia sono armatori, e sono tre gli imprenditori della famiglia che lavorano molto con il prodotto russo.

L’Agenzia nazionale per la prevenzione della corruzione in Ucraina ha incluso la Minerva Marine Inc nella lista dei «sostenitori internazionali della guerra», una lista di enti compilata dall’agenzia per tenere traccia chi continua a importare risorse provenienti dalla Russia.

Della famiglia Martinos ha parlato anche il deputato ucraino Dmytro Natalukha in una thread su Twitter. Riporta Natalukha che il fratello di Andreas, Thanasis Martinos, che al summit economico di Delfi si è apertamente schierato contro le sanzioni alla Russia, oltre che armatore (terzo nella classifica familiare per importazioni di prodotti dalla Russia) dal 2019 è anche governatore della Regione del Monte Athos, zona sacra per la chiesa Ortodossa. Martinos avrebbe ospitato al Monte Athos diversi alti ufficiali russi, incluso il patriarca (sotto sanzione) Kirill e la fidanzata di Putin Alina Kabaeka (con un visto falso, secondo media russi). «Questi pellegrinaggi religiosi sarebbero una copertura per mantenere le comunicazioni tra ufficiali corrotti russi, ucraini ed europei che sostengono la guerra o ne traggono profitto», scrive Natalukha.

Il costo delle sanzioni

Petrolio, gas e carbone acquistati dall’Unione europea hanno portato alla Russia introiti per circa 400 miliardi di euro nel 2021. Dopo i Paesi Bassi, che hanno importato 20,71 milioni di tonnellate di prodotti, l’Italia è stata il maggiore contributore. Italia, Grecia e Danimarca – riporta l’inchiesta collaborativa dei colleghi di Investigate Europe e Reporters United – sono gli unici tre Paesi europei che hanno aumentato gli ingressi di prodotti petroliferi dall’inizio del 2022, anche dopo l’invasione.

I dati che si leggono in merito alla fotografia degli acquisti di prodotti petroliferi dalla Russia sono però contraddittori. Un esempio è la fotografia scattata da Unione Energie per la Mobilità (Unem), l’associazione di Confindustria a cui appartengono i principali attori del mercato dell’energia. La tipologia di greggio che è arrivata maggiormente in Italia nel primo semestre del 2022 è stata l’Urals, una variante esportata dalla Russia: 3,89 milioni di tonnellate, con un aumento del 142,9% rispetto all’anno precedente. Unem specifica che il motivo è la condizione dell’Isab di Augusta, raffineria che si è trovata a dover importare solo greggio di sua proprietà. Però al decimo e al ventiquattresimo posto, per un totale di 1,47 milioni di tonnellate, ci sono altre due varianti russe, Variendej e Siberian Light. Entrambe, secondo i dati Unem sono in aumento, la prima del 142,8% sull’anno precedente, la seconda addirittura del 198,5%.

Eppure, commenta l’associazione appartenente a Confindustria, «il greggio russo arrivato in Italia sarebbe in forte calo rispetto allo stesso periodo 2021». Paradossi dei numeri, oppure del quadro internazionale, dove i prodotti possono diventare tossici all’improvviso.

CREDITI

Autori

Lorenzo Bagnoli
Giulio Rubino

Editing

Lorenzo Bodrero

Mappe

Lorenzo Bodrero

Foto di copertina

L’incendio e il naufragio della petroliera Haven davanti a Genova l’11 aprile 1991 che ha causato un disastro ambientale e la morte di cinque membri dell’equipaggio
(Romano Cagnoni/Getty)

Oblast’ Smeralda

#RussianAssetTracker

Oblast’ Smeralda

Cecilia Anesi
Raffaele Angius

ARomazzino, promontorio vista mare nel cuore della Costa Smeralda, lungo le siepi delle ville sventolano nastri blu e gialli, i colori della bandiera dell’Ucraina. Chi li abbia messi non è noto, ma certamente è una denuncia chiara: questa lingua di terra parla russo. È infatti tra le rocce della Gallura che si abbattono gli effetti più immediati e visibili delle sanzioni internazionali, con le quali l’Unione europea sta congelando i beni degli oligarchi per indebolire eventuali fonti di reddito della Russia di Vladimir Putin. L’obiettivo è di colpire la rete di ricchissimi imprenditori e uomini della finanza che controlla i punti chiave del sistema economico russo: risorse di ogni tipo – dal gas all’acciaio – sulle cui esportazioni il Cremlino ha potuto contare finora per finanziarsi. E oggi queste risorse sono ancora più indispensabili dati gli alti costi dell’invasione dell’Ucraina.

Tuttavia, l’implementazione delle sanzioni deve superare l’opacità che regna sovrana sulle proprietà degli oligarchi: in Costa Smeralda è stato infatti possibile tracciarne solo una parte. Basta un fondo alle Bahamas o una società cipriota, controllata a sua volta da una fiduciaria in Vaduz, per confondere le acque e salvare il patrimonio. Schiere di avvocati e asset manager sono già al lavoro da settimane per cambiare le holding societarie e permettere agli oligarchi di mantenere (o di vendere e muovere) i propri asset.

Spostando le società proprietarie sotto giurisdizioni come quella di Dubai, ad esempio, territorio finora neutrale che ha aperto le sue porte ai ricchissimi profughi russi. Peccato che il congelamento di queste proprietà alla fine non sia altro che un atto politico, sulla cui utilità più di un analista nutre dubbi.

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Il progetto Russian Asset Tracker

I 22 anni di governo di Vladimir Putin hanno prodotto enormi fortune per oligarchi, politici, funzionari della sicurezza e altri beneficiari del suo regime corrotto e clientelare. All’inizio del suo governo, Putin venne lodato per aver messo alle strette i magnati che avevano saccheggiato l’economia russa negli anni Novanta. Alcuni gli hanno giurato lealtà, assicurandosi così un posto nel nuovo ordine. Durante il suo governo è poi sorta una nuova generazione di ricchi magnati: sono i suoi alleati, amici, finanziatori.

Sulla scia del brutale assalto della Russia all’Ucraina, i governi di tutto il mondo hanno imposto sanzioni a molti sostenitori di Putin. Come gli altri oligarchi del mondo, però, questi ultimi hanno imparato a tenere nascosta la loro ricchezza in conti bancari segreti e strutture societarie offshore. Capire chi possiede cosa è difficile anche per gli investigatori più esperti.

Insieme a OCCRP e agli altri partner del progetto, IrpiMedia ha partecipato alla creazione di un database delle loro proprietà tracciabili: terreni, ville, aziende, barche, aerei. Il valore complessivo del patrimonio degli uomini di Putin scoperto finora da #RussianAssetTracker è di 17,5 miliardi di dollari.

Pit stop Punta Capaccia

È proprio qui, sulla punta più estrema di Capo Capaccia, tra gli scorci più famosi della Costa Smeralda, che i nastri gialli e blu segnano l’ingresso alla villa Rocky Ram, villa Muflone: una proprietà di 820 metri quadrati e 25 vani con piscine e giardini che si estende fino agli scogli. Il proprietario storico della villa, una delle più famose e discusse del jet set, era Carlo De Benedetti, imprenditore e in quegli anni editore di La Repubblica, che nel 2012 ha venduto il prezioso gioiello per la somma monstre di 110 milioni di euro. Ripercorrendo le cronache dell’epoca si riscopre la curiosità che aleggiava intorno all’operazione, con i giornali di gossip che tentavano di indovinare chi fosse l’acquirente. Una prima ipotesi era stata Alexei Mordashov, il re dell’acciaio degli Urali, allora proprietario delle acciaierie di Piombino, che lascerà quello stesso anno in un mare di debiti. Ma la stessa Repubblica aveva smentito questa notizia: l’acquirente era sì un russo, ma un altro.

La stessa domanda, a dieci anni di distanza, se la pongono le forze dell’ordine, che devono eseguire i congelamenti disposti in seguito alle sanzioni internazionali, che già si sono abbattuti su diverse altre ville a Romazzino, nome dell’area che comprende capo Capaccia. IrpiMedia è in grado di rivelare il reale proprietario: Dmitry Arkadievich Mazepin, amministratore delegato della Uralchem, una delle più grandi industrie russe, specializzata nella produzione di un’ampia gamma di prodotti chimici, tra cui concimi inorganici, ammoniaca e nitrato di potassio, e fidatissimo di Putin.

Insieme ad altri 36 imprenditori e diversi dirigenti del governo russo, il 24 febbraio, Mazepin partecipa a una riunione convocata con Putin poche ore dopo l’invasione dell’Ucraina. Scopo del meeting è di discutere delle attese sanzioni che l’Occidente potrebbe imporre sugli oligarchi russi, come prevedibile risposta all’azione militare.

La base è un regolamento approvato dal Consiglio europeo del 2014, all’indomani dell’invasione russa della Crimea, che dispone il «congelamento di tutti i fondi e le risorse economiche ap­partenenti a, posseduti, detenuti o controllati, direttamente o indirettamente, da qualsiasi persona fisica o qualsiasi delle per­sone fisiche o giuridiche, delle entità o degli organismi» di volta in volta decisi dai Paesi dell’Unione.

«Maggiore produttore di nitrato di ammonio nonché il secondo produttore di ammoniaca e fertilizzanti azotati in Russia, Dmitry Arkadievich Mazepin opera pertanto in settori economici che costituiscono una notevole fonte di reddito per il governo della Federazione russa, responsabile dell’annessione della Crimea e della destabilizzazione dell’Ucraina», si legge nelle sanzioni decise dall’Unione europea, dove a ogni individuo soggetto a sanzioni viene associata una descrizione del suo ruolo nella tenuta del Cremlino.

Inserito nella lista dei sanzionati il nove marzo, a tredici giorni dall’inizio ufficiale dell’invasione, Mazepin è comunemente considerato un patriota. Non a caso nel 2021 porta i colori della bandiera russa – rosso, blu e bianco – sulle piste della Formula 1. Mazepin è proprietario della Uralkali, azienda russa produttrice ed esportatrice di potassio, con la quale diventa sponsor della scuderia statunitense Haas, nella quale otterrà di far correre suo figlio Nikita, come pilota di Formula 1.

La Villa “Rocky Ram” sulla punta di Capo Capaccia, Romazzino, comune di Arzachena, Sassari.
La Villa “Rocky Ram” sulla punta di Capo Capaccia, Romazzino, comune di Arzachena (Sassari)

Ma torniamo in Costa Smeralda: Rocky Ram risulta di proprietà della Ferimod Investments Limited, società di diritto cipriota fondata nel 2009 che però dagli elenchi telefonici risulterebbe domiciliata in un’improbabile campagna dell’entroterra gallurese. In realtà si tratta di una società i cui capitali sono costituiti da prestiti milionari ricevuti sia da Dmitry Mazepin in forma privata (88 milioni di euro nel 2018), sia da alcune aziende a lui riconducibili: la CI Chemical Invest, di cui è direttore (53 milioni) e la Quinlan Management Limited, per 3,8 milioni di euro nello stesso anno. Nei documenti, Dmitry Mazepin è identificato come «titolare effettivo» della Ferimod stessa, la quale risulta avere un unico azionista: la Bergton Management Limited. Questa stessa società controlla il pacchetto azionario di Mazepin nella Hitech Grand Prix, scuderia britannica della Formula 2 e Formula 3. Queste azioni sono state recentemente cedute da Mazepin a Oliver Oakes, presidente della società, riporta la stampa sportiva specializzata: era il 15 febbraio 2022, nove giorni prima dell’inizio dell’invasione. A oggi, secondo quanto appreso da IrpiMedia, Rocky Ram non risulta congelata.

Dmitry Mazepin e la villa a Romazzino

Affari di famiglia

A zoomare indietro dalla villa Rocky Ram su via Capaccia, si trovano quattro complessi immobiliari uno vicino all’altro: villa Capaccia, villa L’Aldiola, villa Mimosa, Li Nibani. I nomi sono incisi su dei massi accanto ai cancelli di legno lavorato, i quali seguono la forma di un’onda. A fianco, muretti a secco. Come fossero delle fortezze, a proteggerle ci sono telecamere ovunque: sono installate su pali coperti da corteccia per farli sembrare alberi. Poi, per metri e metri, corre la siepe a dividerle dalla strada, nascondendole alla vista.

A rivelare la grandezza di questi possedimenti – un totale di quasi tremila metri quadri – sono le visure catastali. Valgono almeno 41 milioni di euro stando al valore commerciale di 14.500 euro a metro quadro stimato dall’Agenzia delle entrate per questa zona della Sardegna.

Queste ville si appoggiano su una lingua di terra di una bellezza unica, con il mare ai due lati, e l’accesso privato alle spiagge, con piscine di varie forme e dimensioni, giardini tenuti come gioielli (non c’è la forma di un cespuglio fuori posto), e architetti che hanno progettato su misura seguendo i gusti dei proprietari: in questo caso una parte di villa stile piccolo castello, le altre simili a tutte le altre ville della Costa Smeralda: muri bianchi, tetti rossi, comignoli bianchi stondati. Si parla quindi di ville che potrebbero valere fino a cento milioni l’una, e che sono tutte riconducibili all’oligarca russo Alisher Usmanov.

La differenza tra valore commerciale e catastale

Il valore catastale delle proprietà di Romazzino si aggira attorno ai quattromila euro a metro quadro, esclusa Rocky Ram – l’ultima villa del promontorio – che sale a quasi novemila euro a metro quadro. I valori catastali però, non danno il vero senso del valore dell’immobile. Infatti, la rendita catastale che si trova sulle visure catastali, è un valore necessario a effettuare i calcoli ai fini fiscali di beni immobili. Per i tecnici che invece devono calcolare il reale valore commerciale di un immobile (ai fini di una compravendita o di una ristrutturazione, per esempio) l’Agenzia delle entrate ha previsto delle quotazioni immobiliari che, di solito, sono almeno il doppio rispetto ai valori di rendita catastale. Questo è il numero che più rappresenta il valore sul mercato di un immobile.

Per fare un esempio, la villa Rocky Ram che ha rendita catastale di 8.800 a metro quadro, vale almeno 14.500 euro a metro quadro perché questo è il valore commerciale standard per la zona di Romazzino. Qui il valore commerciale a metro quadro per «ville e villini» è uno dei più alti della Costa Smeralda. In altre zone si aggira tra i 3.800 e i 6.500 euro a metro quadro. In generale, la Costa Smeralda ha le case con il valore commerciale più alto d’Italia, sopra Cortina d’Ampezzo, che si tiene appena più bassa. Ma il valore può subire variazioni al ribasso o al rialzo a seconda della posizione e delle condizioni (se è fatiscente, se è appena ristrutturato, ecc.): in questo caso essendo Rocky Ram l’ultima villa del promontorio, e quindi gode di una vista unica rispetto alle altre case della zona Romazzino, la rendita catastale quasi del doppio ci suggerisce come anche il valore commerciale possa salire in proporzione. E difatti, il valore commerciale calcolato in base alla metratura e alle quotazioni viene 12 milioni di euro, ma dalla stampa si apprende che la villa potrebbe essere stata pagata anche 100 milioni di euro.

I valori degli immobili stimati in questo articolo sono quindi al ribasso, perché si basano solo sulle quotazioni ufficiali dell’Agenzia delle entrate: una villa può essere stata pagata molto meno, oppure molto di più. Nel caso degli oligarchi russi, ciò che si acquista è chiaramente non solo un immobile, ma un posto al centro del jet set della Costa Smeralda, circondati da ogni comfort e dalla massima privacy.

Le ville di Usmanov a Romazzino, comune di Arzachena (Sassari)
Le ville di Usmanov a Romazzino, comune di Arzachena (Sassari)

Usmanov è un imprenditore di origine uzbeka naturalizzato russo che ha acquistato queste ville dall’industriale Antonio Merloni di Fabriano, fondatore della Antonio Merloni Spa, azienda che nel corso degli anni Novanta divenne il più grande contoterzista d’Europa nel comparto degli elettrodomestici. Da quando Usmanov ha acquistato le dimore di Punta Capaccia sono stati in visita, tra gli altri, le figlie di Vladimir Putin e Silvio Berlusconi.

Usmanov è il fondatore di USM Holdings, gruppo che controlla diverse aziende di rilievo, tra cui Metalloinvest, produttore di acciaio; Baikal Mining, che si occupa di estrazione di rame, e Mail.ru, il principale operatore russo di servizi internet. Usmanov è inoltre proprietario di Kommersant, il più noto giornale economico-finanziario russo. Secondo l’Unione europea – che ha sanzionato l’oligarca lo scorso febbraio – «da quando Usmanov ha assunto il controllo del quotidiano la libertà della redazione è stata limitata e il giornale ha assunto una posizione manifestamente favorevole al Cremlino».

Usmanov ha un rapporto molto stretto con l’Italia. Oltre ad aver passato in Costa Smeralda gran parte della pandemia, l’imprenditore ha accumulato in Italia un piccolo impero immobiliare. Facendo anche incetta di onorificenze grazie alle sue opere di filantropia e mecenatismo. Il comune di Arzachena gli ha conferito la cittadinanza onoraria nel 2018, titolo che il sindaco non vuole ritirare nonostante le sanzioni. Nell’ottobre 2016, invece, la Presidenza della Repubblica (su proposta dell’allora governo Renzi) l’aveva insignito del titolo di Commendatore. Il motivo era il contributo di Usmanov per progetti di restauro di edifici dal valore storico.

Le ville di Alisher Usmanov e Dmitri Mazepin a Capo Capaccia, Romazzino, comune di Arzachena, Sassari, per particelle catastali
Le ville di Alisher Usmanov e Dmitri Mazepin a Capo Capaccia, Romazzino, comune di Arzachena (Sassari) per particelle catastali

A Romazzino, due dei quattro complessi congelati dalla Guardia di finanza di Sassari in risposta alle sanzioni europee, sono intestate a società italiane, la Delemar srl e la Punta Capaccia srl. Sono entrambe amministrate dal cipriota Serghides Demetrios, un avvocato conosciuto come l’uomo dell’oligarca sull’isola greca e che lì ha amministrato una delle società dell’energia di Usmanov, e Ruggero Tusacciu, il factotum di Usmanov in Costa Smeralda.

Tusacciu offre servizi di gestione di beni immobili turistici nonché servizi a tutto tondo come guardiania, bodyguard, affitto di veicoli e altro, con la società Sardegna Servizi per magnati come Usmanov. Appartiene sempre a Usmanov il trust delle Bermuda (Pauillac Property Ltd) che controlla il capitale delle tre società amministrate da Tusacciu. Lo stesso trust delle Bermuda, controlla una delle ville di Punta Capaccia – Le Mimose – attraverso una società omonima registrata nell’Isola di Man. Mentre il resto delle ville Usmanov a Romazzino sono intestate alla sorella Gulbakhor Ismailova, che l’oligarca ha usato come prestanome in più di un caso. Contattata da IrpiMedia, Sardegna Servizi non ha risposto a una richiesta di commento.

Un’altra sorella – Saodat Narzieva – dal 2013 è stata in diverse occasioni in vacanza in Costa Smeralda. Narzieva è una ginecologa con più di 30 anni di esperienza e secondo i dati di #SuisseSecrets, ha depositato negli anni circa 1,8 miliardi di franchi svizzeri in dieci conti correnti, di cui sette sono ancora attivi. Sui suoi profili social ha pubblicato diverse foto che la ritraggono in un giardino che si affaccia sul mare sardo, insieme alla sua famiglia. In alcune di queste si scorge all’orizzonte lo yacht Dilbar, l’enorme imbarcazione posseduta dal fratello Alisher.

Ricostruendo la posizione da cui sono state scattate le immagini, IrpiMedia è stata in grado di localizzare la villa. Si tratta di “Sa Pedra”, tra le più pregiate del golfo: il giardino dalle suggestioni giapponesi – con alberelli piegati dal vento e decorati come bonsai – arriva fino agli scogli tuffati nell’acqua color smeraldo.

Alisher Usmanov e le proprietà in Costa Smeralda

La villa è intestata a una fondazione del Liechtenstein, Villa Cento Anstalt. Due civici più in là, un’altra villa della galassia Usmanov: la villa Cormorano, intestata alla Klaret Properties Ltd, società cipriota di Usmanov. Sa Pedra e Cormorano guardano direttamente villa Sa Piantesa, dall’altra parte del golfo. Quest’ultima è una villa in ristrutturazione acquistata il 17 giugno 2020 proprio da Usmanov a suo nome, al prezzo dichiarato di 17 milioni di euro. Lo si evince dalla nota ipotecaria iscritta sul registro catastale dell’Agenzia delle Entrate l’8 marzo scorso, e che mette nero su bianco il congelamento avvenuto quattro giorni prima e notificato dalla Guardia di finanza in risposta alle sanzioni europee. Venerdì scorso, la GdF ha notificato anche il congelamento di Villa Cormorano e delle ville a Romazzino.

L’insenatura sulla quale si affacciano Sa Piantesa, Cormorano e Sa Pedra, ormeggio del Dilbar per buona parte dell’estate, si chiama Golfo Pevero ed è composta da due rade: Grande e Piccolo Pevero. Anche in questo golfo il valore commerciale a metro quadro per «ville e villini» è 14.500 euro, uno dei più alti della Costa Smeralda, ma ciò che Usmanov e altri oligarchi sono disposti a pagare per accaparrarsi ville qui è ben più alto dei prezzi di mercato. Infatti, quello che acquistano non sono solo mura e giardini in uno dei luoghi più esclusivi d’Italia, ma piuttosto la possibilità di costruirsi, villa dopo villa, un cortile privato dove “parcheggiare” yacht e incontrarsi con amici e familiari lontano da occhi indiscreti. «ll Pevero, si sa, è di Usmanov», riferiscono sottovoce le persone che hanno lavorato a vario titolo in queste ville.

Le ville di Alisher Usmanov a Piccolo Pevero, comune di Arzachena, Sassari, per particelle catastali
Le ville di Alisher Usmanov a Piccolo Pevero, comune di Arzachena, Sassari, per particelle catastali

Deripaska, l’oligarca senza sanzioni (europee)

Pochi chilometri più a nord, nella famosissima Porto Cervo, c’è la più prestigiosa delle tenute russe che IrpiMedia e OCCRP sono riusciti a tracciare. È Villa Walkirie, nota come «la villa di Putin» in zona: 600 metri quadri di villa, circondati da un terreno che occupa 40 mila metri quadri del promontorio. Per le quotazioni immobiliari ufficiali vale almeno 76 milioni di euro tra edifici e terreni. In questa zona di solito la rendita catastale non supera i settemila euro a metro quadro. In questo caso, Villa Walkirie vale 14.500 euro a metro quadro solo di rendita catastale. Quindi, si può immaginare un valore dell’intera proprietà di almeno il doppio rispetto alle quotazioni per il valore commerciale, ovvero anche 200 milioni di euro. D’altronde accanto alla villa c’è un eliporto, intestato a una anonima società di Vaduz (Liechtenstein) che possiede molti terreni a Porto Cervo.

A dispetto delle voci di paese, Villa Walkirie non è di Putin ma bensì di Oleg Deripaska. Uomo d’affari con interessi che vanno dalla finanza all’agricoltura, dall’estrazione mineraria alla metallurgia pesante, Deripaska è noto soprattutto come azionista di maggioranza del fondo En+, che controlla a sua volta il più grande produttore al mondo di alluminio: la Rusal.

L’ingresso di Villa Walkirie, Porto Cervo, comune di Arzachena, Sassari
L’ingresso di Villa Walkirie, Porto Cervo, comune di Arzachena, Sassari

Deripaska è considerato tra gli oligarchi più vicini a Vladimir Putin e tra gli uomini più ricchi della Russia. Nell’aprile 2018 è stato accusato dagli Stati Uniti di minacciare la vita di rivali in affari, intercettare illegalmente un funzionario governativo e prendere parte a estorsioni e racket e per questo è stato messo sotto sanzione, insieme alle sue aziende. Le sanzioni contro le aziende sono poi state sollevate, complice il timore per una potenziale crescita del prezzo dell’acciaio, ma sono rimaste quelle contro l’oligarca. A oggi l’Unione europea non ha sanzionato Deripaska, al contrario di Usa, Regno Unito, Canada e Australia.

L’8 febbraio 2021, Vladimir Ashurkov, direttore della Fondazione Anti-Corruzione guidata dall’oppositore politico russo Aleksey Navalny, ha raccomandato anche all’Ue di sanzionare i 35 individui considerati responsabili dell’avvelenamento e incarcerazione del nemico di Putin. Tra questi vi è Deripaska, considerato dalla Fondazione Navalny uno dei principali sostenitori della cleptocrazia di Putin e pericoloso proprio per la sua presenza in attività industriali chiave anche in Europa e Usa.

Le ville di Oleg Deripaska a Porto Cervo, comune di Arzachena, Sassari, per particelle catastali
Le ville di Oleg Deripaska a Porto Cervo, comune di Arzachena, Sassari, per particelle catastali
La definizione: Cleptocrazia

Cleptocrazia è un termine con cui si definiscono i Paesi governati da un’élite di uomini d’affari e politici che si è indebitamente appropriata di beni pubblici, lasciando il resto della popolazione in condizioni di maggiore povertà. Tra i rappresentanti di questa élite ci sono rapporti di reciproca dipendenza, che possono diventare anche molto conflittuali, come nel caso della Russia di Putin. Il termine è molto più comune in inglese, dove è correntemente utilizzato nella letteratura scientifica, piuttosto che in italiano.

Villa Walkirie è intestata a una società delle Isole Vergini Britanniche, la Starmark Holdings Ltd riconducibile a Oleg Deripaska poiché controllata da un’altra azienda cipriota, la Advante Management Corp. A sua volta questa società possiede le aziende proprietarie degli yacht dell’oligarca (tra cui lo Sputnik da 60 metri e il Clio da 72, entrambi registrati alle isole Cayman), dell’hotel cinque stelle Aurelio Lech in Austria, delle ville in Montenegro e del suo elicottero privato. Secondo le ricerche del consorzio #RussianAssetTracker, Deripaska ha anche una magione a Washington del valore di oltre 15 milioni di dollari, due proprietà a Manhattan per un totale di 54 milioni di dollari e altre due ville milionarie in Francia e tre in Inghilterra, nonché alcuni grossi progetti immobiliari in Lussemburgo.

Oleg Deripaska e le ville a Porto Cervo

Villa Walkirie guarda il golfo di Porto Cervo, dove la Starmark possiede novemila metri quadri di terreno con campo da tennis assieme ad un’altra società delle Isole Vergini: la Adinlor Enterprises Ltd. A quest’ultima sono intestate altre tre ville: una circondata da un grande parco con campo da calcio e percorso salute a cui se ne aggiungono altre due più piccole poco distanti. Tutte con una posizione strategica: la vista su Porto Cervo e la collina di Villa Walkirie. La villa, al civico quattro, non ha un nome scritto all’ingresso: solo due grandi sassi lavorati dalle intemperie nei secoli, a fare da cornice ad un cancello di legno dello stesso stile di quello delle ville di Usmanov a Romazzino. E, sulla rampa d’ingresso, una rosa dei venti fatta a mosaico in pietra. Sul retro invece, un ingresso pedonale con porticina in legno e codice elettronico.

A differenza delle altre ville, non si vedono telecamere puntate. C’è solo una piastrella che recita: «I signori cani sono pregati di far cacare i loro padroni da un’altra parte. Grazie».

A destra la tenuta della Adinlor Enterprises a Porto Cervo
A destra la tenuta della Adinlor Enterprises a Porto Cervo
Gli effetti delle sanzioni sui lavoratori di Portovesme

Anche nel Sulcis, tra le province più povere d’Italia secondo gli indicatori nazionali, si temono i riflessi del conflitto tra Russia e Ucraina. È nel profondo sud-est della Sardegna, a 220 chilometri dal ricchissimo nord-ovest della Costa Smeralda, che dal 2009 si consuma il dramma di Eurallumina, azienda di Portovesme acquistata nel 2006 dalla Rusal di Oleg Deripaska, che chiuderà i battenti solo pochi anni dopo. Oggi le sanzioni internazionali gettano un’ombra sulla delicatissima situazione dei 220 lavoratori che ancora curano la manutenzione dell’impianto fermo, le cui sorti sono appese a un progetto da 300 mila euro che ne garantirebbe la ripartenza e per il quale la Rusal è in attesa delle dovute autorizzazioni da parte della Regione.

Il “villaggio” di Mordashov

È vari chilometri più a sud, in una zona meno “ricca” della Costa Smeralda, che Alexey Mordashov ha costruito la più sorprendente di tutte le tenute russe in Sardegna, alla fine di un labirinto di stradine di un villaggio turistico degli anni Settanta. Si è preso un’intera punta di terra: il “piccolo” promontorio di Portisco, che guarda l’omonimo isolotto. Sono quasi 2.400 metri quadri di proprietà, per un valore di almeno 35 milioni di euro, costruiti a “basso impatto visivo”: il “villaggio” di Mordashov è quasi invisibile. Un mega villaggio turistico che si staglia alle spalle, al contrario, impatta malamente nel quadro naturalistico di Portisco.

Le case del “villaggio” di Mordashov hanno i tetti coperti d’erba. Sono costruite seguendo le curve delle colline, sfruttando al massimo la copertura naturale degli elementi. Tutt’attorno, un giardino decorato da sculture di acciaio corten (un materiale che sembra arrugginito ma che in realtà è molto di pregio), lo stesso delle cancellate d’ingresso alla tenuta. Le stesse a cui hanno bussato i finanzieri il 18 marzo, per comunicare che anche tutta questa proprietà era, da quel momento, congelata. D’altronde Mordashov, a differenza di Usmanov, Mazepin e Deripaska aveva registrato tutta la proprietà a suo nome.

La tenuta di Mordashov a Portisco, Olbia
La tenuta di Mordashov a Portisco (Olbia)

Considerato l’oligarca russo più facoltoso, Mordashov è il principale azionista e presidente di Severstal, un colosso siderurgico. Detiene inoltre partecipazioni importanti in Tui, tour operator con sede in Germania, in diverse società di estrazione mineraria e in Rossiya Bank, «la banca personale degli alti funzionari della Federazione russa», secondo le sanzioni Ue.

Costa troppo, paga poco

Se ci saranno nuove sanzioni contro la Russia le conseguenze per l’Italia «potrebbero essere irreversibili», ha tuonato negli scorsi giorni il direttore del primo dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo, Alexey Paramonov, ricordando gli accordi e la vicinanza che negli anni hanno caratterizzato i rapporti tra Mosca e Roma. Un tema sentito anche in Italia, dove il governo fatica a tenere in equilibrio il costo di carburanti ed energia, senza tuttavia potersi tirare indietro dalle sanzioni internazionali volute da Unione europea, Regno Unito e Stati Uniti. Così sembra quasi una soluzione perfetta quella di aggredire principalmente i beni di lusso degli oligarchi, tra cui quelli in Costa Smeralda.

Ma tra giardinieri, imprese edili e custodi, le sanzioni rischiano di indebolire più il modello economico della Costa Smeralda che quello degli oligarchi. «Per loro queste case sono poco più di un vezzo», spiega a IrpiMedia Mirko Idili, segretario generale della Cisl Gallura: «Il timore iniziale era che a pagare sarebbe stata solo una parte dei lavoratori che lavorano direttamente nelle ville – spiega Idili – ma man mano che passa il tempo la dimensione assume un perimetro molto più preoccupante». Un pessimo modo per festeggiare i sessant’anni della Costa Smeralda, che proprio a marzo del 1962 prendeva vita dall’intuizione imprenditoriale dell’allora venticinquenne imam degli ismailiti nizariti, Aga Khan.

Oggi, secondo i dati di Federalberghi, le perdite derivanti dall’assenza delle 220 mila presenze di russi previste per il 2022 in Sardegna ammonteranno a 40 milioni di euro, con ulteriori 40 milioni sui servizi strettamente connessi richiesti dai clienti come escursioni, auto, ristoranti e shopping, per citarne alcuni. Tuttavia, il comune di Arzachena assicura che il flusso di russi «è minore per numero assoluto di arrivi, intorno al 2% del totale, mentre il mercato principale in termini di presenze è quello tedesco, svizzero, francese e del nord Europa in generale», spiega a IrpiMedia l’ufficio stampa del comune gallurese.

Tra i problemi attualmente sul tavolo di crisi aperto dal sindaco di Arzachena, Roberto Ragnedda, che ha convocato i sindacati, Confartigianato e Federalberghi, c’è quello dello status dei lavoratori a fronte dei congelamenti. Le sanzioni disposte non sono come i sequestri, infatti gli oligarchi sono solo temporaneamente impossibilitati di fruire delle ville e dei loro conti. Questo implica che «molti dei lavoratori non sono stati licenziati, semplicemente gli è stato detto che dal mese prossimo non avrebbero saputo come pagarli», spiega ancora Idili. «Un oligarca come Usmanov, giusto per fare un esempio, lascia sul territorio non meno di 250 buste paga dirette», spiega Idili: «Di queste, 96 sono solo quelle del Dilbar, yacht di Usmanov».

«Ma che le ville siano degli oligarchi rischia di essere una semplificazione – aggiunge Idili -, dal momento che le ville sono gestite da società, e molti dipendenti non sanno nemmeno realmente chi ci sia dietro. Il loro compito è di tenere le case efficienti, per i loro molteplici ospiti, in modo estremamente riservato». Con tanto di clausola di riservatezza. Che siano stati proprio i dipendenti a mettere i nastri dei colori dell’Ucraina non è dato saperlo. Di certo ora non sono pagati per rimuoverli.

CREDITI

Autori

Cecilia Anesi
Raffaele Angius

In partnership con

The Guardian
OCCRP

Infografiche/Illustrazioni/Mappe

OCCRP
Lorenzo Bodrero
Lorenzo Dessì

Editing

Lorenzo Bagnoli

Foto di copertina

IrpiMedia