La cocaina non si ferma: 500 chili sotto terra a Gioia Tauro
31 marzo 2020 | di Cecilia Anesi
I controlli sul territorio delle forze dell’ordine dovuti al contenimento del contagio del coronavirus Covid19 stanno creando ben più di un grattacapo alle cosche calabresi. Lo scorso mercoledì la squadra mobile di Reggio Calabria ha rintracciato un grande carico di cocaina nelle campagne di Gioia Tauro. La scoperta è avvenuta nel corso della perquisizione di un capannone di Rocco Molè, 25 anni, figlio del boss ergastolano Girolamo Molè capo dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta di Gioia Tauro.
La cosca Molè e i grandi traffici internazionali
I Molè sono una delle cosche di ‘ndrangheta più potenti, con migliaia di affiliati, in grado di organizzare grandi traffici di cocaina dall’America Latina da fare arrivare sia presso il porto di Gioia Tauro sia in porti del nord Europa, come Rotterdam. Alleati con la cosca Piromalli, i Molè di fatto controllano il porto di Gioia Tauro e anche in tempi difficili riescono a garantire un ingresso.
Per una parte del carico si può rischiare, ma la maggior parte meglio metterla sotto terra aspettando tempi migliori. Ecco quello che sembra essere successo nelle campagne di Sovereto, una località di Gioia Tauro.
Quando la polizia è entrata nel capannone, ha trovato delle ceste di plastica che nascondevano 150 panetti di cocaina sistemati, due per ogni busta di cellophane termosaldata, in 75 pacchi. Centosessantacinque chili pronti per una consegna, e che probabilmente i Molè sarebbero riusciti a trasportare nonostante le restrizioni da Covid19 nascosti in tir e furgoni di beni di prima necessità, come la frutta. Mezzi che sono autorizzati a muoversi lo stesso.
La strada verso Nord
I carichi che arrivano a Gioia Tauro prendono sempre la strada del nord, verso le piazze di spaccio delle grandi città italiane ed europee. Per questo anello della catena di distribuzione della droga, i grandi mercati dell’ortofrutta – da Fondi in provincia di Roma all’Ortomercato di Milano – diventano centri di smistamento fondamentali per i carichi di cocaina. In questo periodo però anche gli ortomercati soffrono la stretta anti-contagio.
Si può quindi presumere che alle cosche di ‘ndrangheta convenga muovere carichi piccoli, probabilmente da appoggiare in magazzini privati, grazie ad aziende ortofrutticole conniventi o addirittura controllate direttamente dai clan. È anche possibile che questo carico non si fermasse ai confini nazionali, ma andasse oltre. I Molè e i Piromalli hanno infatti una forte presenza in Germania, e una rete di trasporti che – seppure colpita dall’epidemia – non è ancora del tutto affondata.
Un carico che avrebbe potutto fruttare 15 milioni alle cosche
Rocco Molè è stato arrestato in flagrante, e ha confessato che la cocaina fosse di sua proprietà. Ci sono accertamenti in corso per determinare la provenienza del carico, da quanto tempo stesse sotto terra, e a chi e dove fosse destinata. Raramente un carico così grande è di una sola persona, ma fa capo a un consorzio di compratori.
Stando ai prezzi riscontrati in precedenti operazioni antidroga internazionali, la ‘ndrangheta riesce ad acquistare direttamente in Colombia un carico come questo, da 500 chili, pagando fra i tremila e i cinquemila euro al chilo. Se Molè fosse però davvero l’unico proprietario di questa cocaina, significherebbe un investimento di una cifra vicina ai due milioni di euro. Nel venderla ad altri clan, stando ai “prezziari” più recenti, avrebbe potuto metterla a 30mila euro al chilo, incassando 15 milioni di euro.
Rocco Molè non è stato l’unico a fare le spese dell’isolamento forzato: lo scorso 13 marzo è stato Cesare Antonio Cordì, 42enne personaggio di spicco dell’omonima cosca di Locri. Sfuggito alla giustizia nell’agosto scorso nell’ambito dell’operazione “Riscatto” è stato rintracciato dai carabinieri in una zona isolata di Bruzzano Zeffirio quasi del tutto disabitata. La necessità di farsi recapitare beni di prima necessità e una sigaretta accesa alla finestra hanno messo i militari sulle tracce di Cordì che hanno messo fine alla sua fuga.
Foto: Vista del porto di Gioia Tauro – Vincenzo Fondacaro/Shutterstock