Venduto a procure e servizi segreti, è stato usato per spiare centinaia di cittadini italiani. Ma perché nessuno ha controllato chi lo sviluppava? E perché i dati finivano su un server in Oregon?
Tra Sudamerica e Balcani, romanzo criminale del Gruppo America
Alessia Cerantola
Stevan Dojčinović
Pavla Holcová
Passa mesi in carcere a Tolmezzo e raccoglie frutta per un progetto sociale denominato “Un orto per evadere”. È un uomo tranquillo e cordiale, lo ricorda Roberto Cicuto, responsabile della cooperativa che gestiva l’iniziativa. Si chiama Mileta Miljanic, un cittadino statunitense di origini bosniache, in prigione per traffico di droga. In realtà è un criminale di primo piano. Si tratta del capo di quella che il consorzio di giornalismo d’inchiesta OCCRP rivela essere una delle più potenti reti internazionale specializzata nel traffico di cocaina, attiva in almeno quattro continenti e responsabile di numerosi di omicidi. Fino a oggi le loro operazioni erano note per lo più alle forze dell’ordine e per qualche evento di cronaca, e i loro nomi erano soprattutto affiancati a quelli di bande dei Balcani. Ma la portata dell’organizzazione criminale, che muove i primi passi con un gruppo di migranti serbi a New York negli anni ‘70, per poi rafforzarsi negli anni ‘90 grazie all’aiuto dell’intelligence in una Serbia guidata dal presidente Slobodan Miloševic, è di tutt’altro calibro.
I gruppi criminali serbi in Italia
È almeno dal 2007 che le indagini delle polizie italiane incrociano nomi di narcotrafficanti dell’area balcanica. Nel 2020 la Direzione centrale per i servizi antidroga (DCSA) scrive nel suo rapporto annuale che «va segnalata la crescente importanza del corridoio balcanico, divenuto negli ultimi anni l’epicentro di un consistente traffico di cocaina veicolata su rotte marittime dal Sud/Centro America verso i Balcani e l’Europa sud-orientale. Ne sono testimonianza i continui sequestri effettuati a partire dal 2015 nell’area in argomento».
I gruppi criminali più importanti, che hanno allacciato collegamenti direttamente con il Sudamerica, sono proprio i serbo-montenegrini e gli albanesi. Nel 2009 l’operazione Loptice ha svelato quello che sembrava la rete criminale di Darko Šarić, criminale di primo piano nei Balcani.
Nato a Pljevlja (Montenegro) nel 1969, Šarić aveva contatti tali da produrre cocaina in Colombia e distribuirla in tutta Europa. Milano era una delle sue piazze più rifornite. Indagini giudiziarie tra Balcani e Italia hanno smantellato la rete di Šarić nel 2014. A luglio 2020 il trafficante è stato condannato a Belgrado a nove anni di carcere per aver riciclato almeno 20 milioni di euro in istituti di credito serbi. Sembrava che con Šarić cadesse il principe dei clan balcanici. L’inchiesta di OCCRP, al contrario, rivela che l’organizzazione più potente è stata la meno investigata, anche in Italia: il Gruppo America.
di Lorenzo Bagnoli
Miljanic fa i conti con la giustizia italiana nel 2010, quando viene arrestato all’aeroporto di Roma Fiumicino, in arrivo da Belgrado mentre sta per prendere un volo per Salonicco. L’accusa è di aver portato in Italia cocaina dal Sud America attraverso una nave da crociera MSC in arrivo al porto di Venezia nel 2009. Viene processato nella città lagunare e condannato in appello a sei anni di prigione che sconta prima nella casa circondariale di Venezia e poi a Tolmezzo, in provincia di Udine. Ma da qui evade in regime di semilibertà nel 2014 e riesce a fuggire negli Stati Uniti. Dall’Italia non parte alcuna richiesta di estradizione e Miljanic oggi vive libero nel Queens, a New York, dove si fa anche fotografare assieme al ministro degli Esteri serbo in visita nel 2016. Non ha problemi nemmeno a viaggiare, dato che si è scattato un selfie durante un tour in Serbia appena lo scorso agosto.
«Non vi dovrebbe sorprendere che qualcuno che viene condannato in Italia cammini a piede libero negli USA», aveva commentato in un’intervista con OCCRP nel 2016 Marcello Musso, il procuratore cui era stato inizialmente affidato il caso e morto in un incidente stradale nell’estate del 2019. «Gli americani si prendono cura dei loro concittadini, li difendono».
«Qualcuno negli Stati Uniti li protegge (da intendersi lui e la sua organizzazione, ndr)», aveva rivelato anche un ufficiale della polizia in Italia nel 2015. Un altro ex poliziotto a Belgrado ha confermato la stessa teoria: «Credo che dietro di loro ci sia la CIA, per questo li abbiamo chiamati con il nome di Gruppo America».
Dalle origini agli anni ‘90
La storia di questo gruppo parte dalla comunità di migranti serbo-americana della città di New York ed è legata all’ambiente politico della Serbia. Ma la polizia non sapeva quasi nulla delle sue operazioni finché nel 2001 Srećko, ovvero il “fortunato” in serbo, un membro della banda che viene arrestato, decide di rivelare tutto quello che sa alla polizia. Per ore gli ufficiali ascoltano attoniti la storia di questi jugoslavi che diventavano criminali per le strade di New York, fino a occuparsi di traffici internazionali di droga.
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Le origini risalgono al 1970, quando un giovane serbo, Boško “lo slavo” Radonjić, emigra negli Stati Uniti dall’ex Yugoslavia. È un criminale e oppositore del regime comunista del suo Paese e sostiene la famiglia reale in esilio. Viene arrestato per una serie di attentati contro le missioni diplomatiche jugoslave.
Negli anni ‘80 incontra Jimmy Coonan, capo della gang degli Westies, organizzazione dedita a omicidi, estorsioni e traffico di droga che domina lo storico quartiere Hell’s Kitchen di New York. Dopo che Coonan viene mandato in prigione, Radonjić diventa il nuovo capo della banda e si avvicina alla famiglia dei Gambino, mafiosi italo-americani. Quando il capo, John Gotti, si trova ad affrontare accuse di estorsione nel 1986, Radonjić lo aiuta a mitigare la giuria. Il gruppo di serbi che lavora per Radonjić contribuisce a fare del Gruppo America quello che è oggi.
Mileta Miljanić nasce nel 1960 a Gacko, nel sud est della Bosnia. Non è chiaro quando lasci i Balcani ma ottiene un numero di previdenza sociale a New York – la prova che ha ottenuto almeno la residenza – tra il 1982 e il 1984.
Negli anni ‘80 viene arrestato per truffe legate alle carte di credito assieme al suo migliore amico, Zoran Jakšić, nato in una piccola città vicino a Belgrado e anche lui emigrato negli Stati Uniti, per lavorare come guardia del corpo di Radonjić a New York.

Zoran Jakšić viene arrestato in Perù | Foto: Polizia peruviana
Usciti da prigione negli anni ‘90, i due ritornano nella Serbia guidata dal presidente Slobodan Milošević. Radonjić ottiene il sostegno dei servizi di sicurezza serbi che procurano armi alla banda e li proteggono da scomode indagini locali e internazionali, in cambio del loro appoggio contro avversari politici.
All’epoca, un giovane collega di Radonjic, Vojislav “Voya l’americano” Raičević lo raggiunge a Belgrado e gli viene dato il controllo della banda, iniziando a concentrarsi sul traffico di cocaina dal Sudamerica all’Europa.
Nel 1997 un’intercettazione registrata dai servizi segreti croati conferma il forte legame della banda con l’intelligence serba e rivela una discussione in cui il leader Raičević lavora per una spia molto vicina a Milošević. Quell’anno Raičević sparisce.
Prende il suo posto il fratello Veselin Vesko “Piccolo Orso” Raičević, che promette vendetta contro i traditori, come prevede il codice di condotta del Gruppo America. Ne seguono scontri sanguinosi da cui emerge infine la figura di un nuovo leader, Mileta Miljanić, noto per essere estremamente leale e crudele. Miljanić porta la banda a un livello superiore in cui gli affari criminali diventano molto più redditizi.
La fine della Yugoslavia: gli anni della transizione
Dopo una serie di proteste a Belgrado, con decine di migliaia di persone assembrate fuori dal Parlamento serbo, nell’ottobre del 2000 cade il regime di Slobodan Milošević e si insedia il governo riformista del primo ministro Zoran Đinđić. Segue una serie di riforme democratiche e azioni contro il crimine organizzato.
Il Gruppo America risponde a questo cambiamento con atti di terrorismo nel Paese. Viene accusato di orchestrare l’assassinio di un generale della polizia e di ufficiali del governo, tra cui anche il primo ministro, per «creare paura tra i cittadini e un’atmosfera di potere inviolabile». Riesce, di fatto, a operare impunito grazie alla costante minaccia di uccidere chiunque si metta contro l’organizzazione.
Nel 1998 cominciano i primi sequestri della droga del Gruppo America. La polizia peruviana ferma Jakšić, il braccio destro di Miljanić che si è nel frattempo trasferito in America Latina, e confisca 1,22 chili di cocaina nascosti in contenitori spray pronti a partire per Miami. Nel 2000 la polizia bosniaca ferma un’altra consegna di 164 chili della banda. E le operazioni e gli arresti si susseguono in tutto il mondo.
Nel registro per procedimenti pendenti del tribunale federale di un distretto di New York si legge che nell’ottobre 2003 Miljanić e Jakšić sono stati incriminati assieme a un altro complice con l’accusa di tentativo di spaccio di cocaina. Non si riporta tuttavia se qualcuno sia stato arrestato, sia comparso di fronte a un tribunale o abbia assunto un avvocato difensore o meno.
Lo stesso anno Jakšić è arrestato in Germania per aver importato cocaina e resta in prigione per 42 settimane. Nel 2004 una partita di cocaina nascosta nella colla per mattonelle d’asfalto proveniente dal Venezuela e diretta in Montenegro viene individuata in Italia. Le autorità seguono il carico fino al Montenegro, dove viene arrestato un altro membro del Gruppo America, Veselin “Paro” Pavličić. Viene condannato a sette anni e mezzo di prigione.
Dopo l’arresto di Miljanić
Nonostante le manette scattate per il capo nel 2010, le attività del Gruppo America continuano e si intrecciano con l’economia dei Balcani, mentre dal Perù intercettazioni della polizia nel 2016 provano che Zoran Jakšić, braccio destro i Miljanic già fermato otto anni prima, continua a chiedere cocaina per lo spaccio internazionale della banda.

Mileta Miljanić (sx) insieme a Boško Radonjić (dx) | Foto: Facebook
«Ho bisogno di due, tre tonnellate da comprare», si sente chiedere a Jakšić. «Ho un’altra quota. Tra un mese ne avrò un’altra da due, tre tonnellate». Questi numeri hanno reso l’idea di quanto il Gruppo potesse guadagnare in un breve arco di tempo. In quegli anni i suoi esponenti comprano una tonnellata di cocaina in Perù per 1,7 milioni di dollari e la rivendono in Europa per 40 milioni.
Si è reso conto delle dimensioni del gruppo il Gico della Guardia di Finanza di Milano, che per mesi tra il 2008 e il 2009 intercetta le conversazioni di Miljanic e del Gruppo America, mentre i suoi membri organizzano il contrabbando dello stupefacente da portare nel capoluogo lombardo dal Sudamerica.
Dalle intercettazioni e dalle loro operazioni si capiscono alcune delle caratteristiche dell’organizzazione. Il Gruppo America non ha più di 15 membri che lavorano con l’organizzazione in modo permanente e circa un centinaio di associati sparsi per i vari continenti, che si spostano in tutto il mondo, al bisogno. E che stringono alleanze con gruppi e mafie di altri Paesi, tra cui anche quelle italiane. A questi si affiancano collaboratori ad hoc, come i marinai dei Balcani ingaggiati per contrabbandare la cocaina a bordo di imbarcazioni commerciali o navi da crociera sulle quali lavorano che viaggiano dal Sudamerica all’Europa. E generalmente trasportano piccole quantità di cocaina.
L’ammontare dei loro traffici ha portato la polizia tributaria italiana a definire «inquietante» e «impressionante» la potenzialità ed efficienza di questi gruppi, molto coesi tra loro, in grado di creare joint venture criminali e di «monopolizzare» quasi il mercato europeo della droga.
Oltre allo spaccio, dalle intercettazioni emergono dettagli sul volto omicida del Gruppo. Quando Miljanić e Jakšić vengono informati dall’intelligence serba di una spia nel gruppo, Milenko Lasković, anche noto come Laki, Miljanic ha la soluzione pronta: «Bisogna eliminarlo». E Jakšić ribatte: «Le spie meritano la morte». Un anno dopo, nel gennaio del 2010, Lasković viene assassinato con tre colpi di pistola alla testa mentre sta parcheggiando la sua Mercedes a Belgrado. L’omicidio rimane ancora irrisolto.
Pochi mesi dopo l’operazione veneziana andata male nel 2009 Jakšić viene arrestato all’aeroporto di Barcellona su segnalazione della polizia italiana. Aveva con sé passaporti di cinque Paesi e sette cellulari. Viene lasciato andare per ragioni non note e viene arrestato di nuovo nel 2016 in Perù, a seguito di un sequestro di 854 chili di cocaina. Anche durante il processo a Lima, Jakšić continua a gestire il traffico del Gruppo America dalla cella del carcere Miguel Castro Castro. A una giornalista di OCCRP che riesce a entrare facendosi passare per una prostituta, Jakšić racconta con qualche battuta di tenersi informato sulla situazione anche in carcere. Nel 2019 tenta la fuga e viene trasferito al carcere di massima sicurezza di Ancon 1 dove deve scontare 25 anni.
Intanto in Italia nel 2013 è stato processato in contumacia assieme ad altri due membri della banda, Mladen Miljanic, fratello di Mileta e Braim Sinani e condannato a dieci anni di prigione. Di recente, il 2 luglio 2020, c’è stata una nuova udienza in cui in cui gli imputati non erano presenti. Il processo però deve ripartire da capo: le indagini preliminari non sono state svolte in maniera corretta, cioè informando gli imputati, fa sapere l’avvocato difensore Matteo Scusat. La nuova udienza preliminare non sarà fissata prima del 2021, anche a causa dei ritardi giudiziari dovuti alla pandemia.