Battitore libero, geloso di fonti e del suo metodo d’inchiesta, il giornalista de L’Ora non è mai stato ritrovato. La campagna contro L’Ora e le piste che portano ai suoi nemici
La mafia dei Nebrodi pascola libera tra i fondi Ue
Edoardo Anziano
Simone Olivelli
Paolo Riva
INebrodi sono una catena montuosa che attraversa le province centro-settentrionali della Sicilia, dove c’è un parco naturale di 86 mila ettari. Quella di Enna vive sostanzialmente di agro-pastorizia, praticata sulle pendici di queste montagne. Secondo l’ultimo rapporto semestrale della Direzione investigativa antimafia (Dia), l’agricoltura nell’ennese «richiama le consorterie mafiose interessate all’indebita percezione di contributi comunitari per il sostegno allo sviluppo rurale». Nella provincia di Messina, invece, le organizzazioni criminali hanno dimostrato la capacità di espandersi «nell’illecito accaparramento di finanziamenti pubblici destinati al settore agro-pastorale», afferma la Dia. La provenienza è diversa, la natura delle organizzazioni criminali è diversa ma l’espressione con cui sono state descritte sui giornali è la stessa: mafia dei Nebrodi.
A dispetto dell’espressione, nella mafia dei Nebrodi non ci sono solo gruppi legati alla criminalità organizzata. A dirlo è la storica sentenza – ancora di primo grado – pronunciata il 31 ottobre scorso dai giudici del tribunale di Patti. I condannati, in tutto, sono stati 90.
Secondo quanto si legge nell’ordinanza di custodia cautelare da cui sono scaturiti gli arresti, la minaccia di intimidazioni in stile mafioso, il più delle volte nemmeno necessarie, e la connivenza tra criminali e pubblici ufficiali che dovrebbero gestire le procedure per l’assegnazione dei terreni hanno permesso ai condannati di aggiudicarsi circa 5,3 milioni di euro di contributi europei per l’agricoltura. Il principale anello debole della catena del controllo pubblico sull’erogazione dei fondi, secondo gli investigatori, sono i Centri di assistenza agricola (Caa). In Italia, rappresentano l’anticamera da cui passare per presentarsi all’Unione europea come legittimi pretendenti di quei contributi che, sulla carta, dovrebbero sostenere gli agricoltori e contrastare l’abbandono delle aree rurali.
Dalle indagini è emerso che diversi responsabili dei Caa hanno aiutato i condannati a individuare le particelle di terreno, sia private che demaniali, per le quali chiedere i sussidi previsti dalla Politica agricola comune (Pac) dell’Unione europea. L’aggressione ai fondi europei è passata dallo sfruttamento di terreni intestati a soggetti deceduti, emigrati all’estero o semplicemente ignari della possibilità di finanziamento, oppure, nel caso di aree pubbliche, puntando sulla disattenzione degli enti gestori.
Per quanto il numero delle percezioni illegittime accertato in sede processuale sia stato particolarmente alto, ci sono elementi che portano a ritenere che il perimetro delle frodi sia ancora più largo. Secondo i dati di FarmSubsidy, database che monitora l’assegnazione dei fondi comunitari per l’agricoltura, dal 2010 al 2021 aziende riconducibili a vario titolo ai condannati, ma non coinvolte nell’indagine, avrebbero ricevuto un totale di oltre un milione e mezzo di euro di fondi comunitari.
La cifra, superiore di circa il 25% rispetto a quella finora intercettata, è frutto di erogazioni risalenti il più delle volte a epoche precedenti alle indagini, ma che dimostrano come il monitoraggio della spesa sia stato insufficiente a evitare che a mettere le mani sulle risorse pubbliche fossero soggetti legati a organizzazioni criminali, sia mafiose che non, o comunque dediti alla commissione di frodi. Al contempo, non mancano indizi che portino a pensare che qualcuno tra gli imputati, a processo già in corso, abbia in qualche modo mostrato la volontà di rimanere nel mondo che ruota attorno alle sovvenzioni destinate ad agricoltura e pascoli. Sono assegnazioni che pongono almeno un problema di opportunità e che mettono in discussione anche le stesse regole del gioco: i requisiti richiesti per accedere ai contributi e i sistemi di controllo sono adeguati a gestire la voce di spesa più importante del bilancio Ue?
Profili di rischio
La cura e il mantenimento di pascoli e coltivazioni sono sostenuti da finanziamenti europei, erogati secondo le strategie definite dalla Pac. Il criterio di assegnazione principale è semplice: l’ammontare del sostegno è proporzionale all’estensione dell’appezzamento. Il processo Nebrodi ha fatto luce su come i soggetti condannati siano riusciti a ottenere anche ciò che, carte alla mano, non sarebbe spettato loro, garantedosi di conseguenza molti più fondi.
Dal 2011 la Commissione europea articola una strategia antifrode complessiva, che per il settore agricolo è disegnata dalla Direzione generale agricoltura (DG Agri). Ad applicarla sono poi le autorità nazionali, in Italia l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) e le sue diramazioni regionali. Tra gli obiettivi della strategia, ci sono l’individuazione di criteri di rischio per escludere dall’assegnazione le aziende più problematiche e, nel caso in cui ci sia un’elargizione errata, il recupero dei fondi. Umberto Di Maggio, sociologo dell’Università Lumsa di Roma, scrive in un saggio sull’evoluzione della mafia dei Nebrodi, pubblicato nel 2021 dalla Rivista giuridica del Mezzogiorno, che i trasferimenti della Pac «andrebbero valutati ed autorizzati anche rispetto a fattori di rischio di alcuni contesti ove i fenomeni di frode di sviluppano con maggiore rilevanza».
IrpiMedia è gratuito
Ogni donazione è indispensabile per lo sviluppo di IrpiMedia
A conferma di quanto il tema sia caldo, nella Relazione speciale della Corte dei Conti europea, dedicata alle risposte della Commissione alle frodi commesse ai danni della Politica agricola comune, si legge che l’Italia «mira a istituire un modello di profilazione per individuare i Comuni in cui c’è un’elevata probabilità di criminal focus area», utilizzando vari strumenti, tra cui ad esempio il monitoraggio delle foto satellitari. Criminal focus area è l’espressione usata per definire le aree meno sviluppate del Paese considerate a rischio per specifiche attività criminali, dalla creazione di discariche abusive fino all’accaparramento dei terreni. Attraverso un progetto europeo, il ministero dell’Interno ha realizzato il loro primo monitoraggio, a testimonianza di quanto sia delicato il tema della prevenzione.
In tal senso, un episodio descritto dalle indagini rende bene l’idea di quanto le autorità pubbliche dei Nebrodi siano assoggettate alle organizzazioni criminali.
Centuripe, seimila anime in provincia di Enna: è da queste parti che, poco meno di sei anni fa, un uomo conosciuto come Carrittèri, carrettiere in siciliano, riceve una telefonata da un dipendente della Regione. Ufficialmente fa l’imprenditore agricolo, ma per i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Messina è soprattutto un esponente dei Batanesi, pericoloso clan che ha radici nel cuore dei monti Nebrodi. Nel corso della conversazione, il pubblico ufficiale racconta di avere incontrato un allevatore e di avere ricevuto da questi la richiesta di poter pascolare le pecore in una zona demaniale. I terreni formalmente sarebbero di proprietà della Regione, ma chi è del posto sa che nella pratica sono a disposizione della famiglia del Carrittèri. Il dipendente lo chiarisce: «Lo devo sapere, perché i pascoli li avete voi». Dall’altro capo del telefono, chi ascolta è prodigo di rassicurazioni: «Dai, se puoi fare una gentilezza, gliela fai. E diglielo: “Tramite i carusi (i ragazzi, ndr), ti sto facendo questo favore”». Anche per pascolare sui terreni di proprietà pubblica, serve il benestare della famiglia mafiosa.
Come funziona in Italia il sostegno Ue agli agricoltori
La Politica agricola comune, finanziata con le tasse dei contribuenti dell’Unione europea, è stata varata nel 1962. Anche se il suo peso è andato diminuendo nel corso dei decenni, è ancora la voce del bilancio comunitario più rilevante. Nel periodo 2014-2020, la dotazione era di 408 miliardi di euro, mentre in quello attuale, 2021-2027, l’ammontare è sceso a 378 miliardi, che valgono comunque più del 30% del budget complessivo dell’Unione.
In particolare, all’interno del bilancio Ue, la Pac è finanziata tramite due fondi: il Fondo europeo agricolo di garanzia (Feaga) e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr). Il primo sostiene il reddito dei contadini con pagamenti diretti, che vanno principalmente a chi ha più ettari di terreno, e misure di sostegno del mercato. Il secondo, invece, promuove la competitività delle aziende, la tutela dell’ambiente e una migliore qualità della vita nelle zone rurali.
I pagamenti sono gestiti a livello nazionale da ciascun paese dell’Ue. Per l’Italia se ne occupa l’Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura), istituita nel 1999 per lo svolgimento delle funzioni di organismo di coordinamento e di organismo pagatore. I pagamenti diretti sono di gran lunga la componente più consistente dell’intera Pac. Per ottenerli, gli agricoltori italiani devono presentare una domanda all’organismo pagatore attraverso i sistemi informatici o recandosi in un Centro di assistenza agricola
Il maxi-processo Nebrodi
A quasi tre anni dagli arresti scaturiti dall’indagine Nebrodi, coordinata dal procuratore aggiunto della Dda di Messina, il tribunale di Patti ha inflitto condanne per un totale di sei secoli per reati inerenti soprattutto alla sottrazione di risorse pubbliche. Alla sbarra c’erano soprattutto soggetti ritenuti a vario titolo legati a due gruppi criminali attivi da decenni a Tortorici, una cittadina in provincia di Messina immersa tra i boschi di noccioleti. Qui, tra 2015 e 2021, sono stati assegnati oltre 22 milioni di euro di fondi Ue per l’agricoltura, distribuiti a 610 beneficiari. Sono numeri notevoli, considerato che il paese ha circa seimila abitanti e 70 chilometri quadrati di superficie.
Per fare un paragone, Cerignola, uno dei centri agrari più estesi d’Italia, ha circa 56 mila abitanti e una superficie di oltre 595 chilometri quadrati: nello stesso periodo, ha ottenuto 78 milioni di euro di contributi europei. Oppure, per restare in Sicilia, Noto, con i suoi 24 mila abitanti e 554 chilometri quadrati di superficie, ha preso 23 milioni di euro, soltanto uno in più del Comune dei Nebrodi.

In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza, previste per giugno, l’ordinanza firmata a dicembre del 2019 dal gip Salvatore Mastroeni rappresenta la bussola con cui orientarsi in una delle più grandi frodi ai fondi agricoli Ue mai avvenute. Gli inquirenti sono convinti di avere avuto a che fare con organizzazioni strutturate e facenti riferimento direttamente alle cosche Bontempo Scavo e Batanesi. In passato i due gruppi a Tortorici si sono fatti la guerra e invece da tempo vivrebbero nel pieno di una pax mafiosa utile ad accumulare ricchezza non più soltanto con droga ed estorsioni, ma anche e soprattutto tramite le sovvenzioni pubbliche europee.
Per quanto la sentenza abbia riconosciuto soltanto nel caso dei Batanesi l’esistenza dell’aggravante mafiosa, ciò che appare accertato è l’esistenza di un sistema che, a tavolino, avrebbe deciso come spartire i terreni su cui lucrare.
«Il centro del procedimento è questo: non agricoltura e pastorizia e qualche leggero aiuto per avere finanziamenti, ma criminalità che, magari con origini in quel campo, non costruisce ricchezza per il territorio, ma fa ditte di “carta”, ingurgita profitti milionari che come tutti i profitti di mafia spariscono e niente lasciano alla gente, al territorio», si legge nell’ordinanza.
Per ottenere i contributi europei, le due associazioni criminali hanno dichiarato la «titolarità fittizia» di terreni, sia privati che demaniali. Hanno utilizzato allo scopo società create ad arte, presenti sui registri ufficiali ma sprovviste di beni aziendali, e una serie di relazioni con gli impiegati dei Centri di assistenza agricola, chiamati materialmente a presentare le richieste all’Agea (sono circa una decina i dipendenti dei Caa condannati). Gli inquirenti hanno parlato di spartizione virtuale dei terreni.
I responsabili dei Caa, mediante l’accesso a un portale informatico impiegato da Agea, «sono in grado di rilevare la presenza di particelle mai valorizzate dai legittimi proprietari ai fini della richiesta di una sovvenzione – hanno scritto i magistrati -. Tale informazione è di primaria importanza per i sodalizi mafiosi, in grado in tal modo di effettuare un’appropriazione indebita “virtuale” di tali terreni […] ad insaputa dei reali proprietari e con un rischio minimo di “duplicazione”». La necessità di evitare che la stessa particella finisse oggetto di più domande di finanziamento sarebbe stata fondamentale per evitare che i sistemi automatici in uso all’agenzia dipendente dal ministero dell’Agricoltura facessero scattare alert per possibili operazioni sospette.
Questa evenienza, nonostante la mole di domande esaminate nel corso delle indagini, non si sarebbe mai verificata, consentendo così ai gruppi criminali di mettere le mani su un fiume di soldi.
Gli affari rimasti fuori dai radar
A fronte delle circa 150 imprese agricole finite sotto la lente degli investigatori, il tribunale di Patti, in concomitanza con le condanne per gli imputati, ha disposto alla fine la confisca di poco meno di una ventina di società. La riduzione non cambia la portata della frode e, più in generale, delle dinamiche illecite che condizionano la distribuzione dei fondi comunitari. I dati di FarmSubsidy analizzati da IrpiMedia consentono inoltre di stabilire che, a partire dal 2010, i novanta condannati – sia imprenditori sia soggetti finiti alla sbarra nelle vesti di operatori dei centri di assistenza agricola – hanno percepito altri fondi pubblici per circa 1,5 milioni di euro, tramite aziende a loro collegate e rimaste fuori dall’inchiesta Nebrodi.
I dati che non tornano
In effetti, dalla visura camerale, emerge che la ditta individuale è stata cancellata dal registro delle imprese a fine 2017. È però difficile pensare a un caso di omonimia tra aziende: dai registri delle Camere di commercio, risultano altre due ditte individuali omonime, ma solo quella riferibile al condannato del processo Nebrodi ha avuto sede legale a Tortorici.
Un esempio è il caso di Sebastiano Armeli, 55enne originario di Tortorici, condannato a sette anni e quattro mesi per il ruolo avuto nell’aggirare l’Agea in due circostanze. Da FarmSubsidy risulta che Armeli, tra 2015 e 2016, ha beneficiato di oltre 111 mila euro, tramite La Gemma Srl, società agricola non interessata dalle indagini. Nel caso del 51enne Sebastiano Bontempo Scavo – condannato a sei anni e mezzo per una serie di frodi commesse anche nell’interesse del clan Batanesi – emerge che ha ricevuto quasi 82 mila euro tramite un’omonima ditta individuale di cui l’uomo è stato titolare fino al 2018, ovvero uno dei due anni – l’altro è il 2017 – in cui il database FarmSubsidy ha registrato il contributo.
Cifre quasi quattro volte superiori sono andate invece a Salvatore Calà Lesina. Con una pena a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa, Calà Lesina ha ricevuto più di 300 mila euro sui conti di una società agricola che ha sede a Belpasso, alle pendici dell’Etna. Ammonta a poco più della metà – quasi 155 mila euro – la cifra erogata a Maria Chiara Calabrese, titolare a partire dal 2017 di una ditta individuale non finita nel processo in cui la donna è stata condannata a quattro anni per il riciclaggio dei proventi di una truffa in cui è stata coinvolta la madre. Tra gli operatori infedeli dei Caa che sono stati condannati, c’è anche Antonio Caputo: l’uomo, a cui è stata comminata una pena a quattro anni, ha un passato da sindaco nel centro nebroideo di Cesarò. Caputo risulta beneficiario di sovvenzioni per quasi 50 mila euro tramite una ditta individuale.
Tortorici (ME) e la pioggia di fondi
I condannati del processo Nebrodi hanno ricevuto 5,3 milioni di fondi europei. Per dare un termine di paragone, si tratta di un quarto di tutti i fondi PAC ricevuti nel comune di Tortorici fra il 2014 e il 2020. L’analisi di IrpiMedia mostra, inoltre, come ulteriori 1,5 milioni di euro siano finiti ad aziende legate ai condannati stessi.

Un altro caso di azienda riconducibile agli imputati ma non direttamente coinvolta nell’indagine riguarda la Rando Zootecnica, società che ha ricevuto dalla Ue più di 132 mila euro. Ad amministrarla e a possederne circa un terzo, sin dalla sua costituzione nel 2017, è Valentina Foti, che lo scorso autunno ha preso una condanna a due anni perché ritenuta responsabile di ricettazione nell’ambito di una frode a cui ha preso parte anche la madre. «Foti non ha affatto percepito alcuna somma oggetto di interesse nel procedimento penale a suo carico, tantomeno – dichiara a IrpiMedia l’avvocata Maria Cinzia Panebianco – quella pari a 132.609,99 di euro da voi indicata, relativa ai fondi Pac in qualità di socia amministratrice dell’azienda Rando Zootecnica Società Semplice Agricola. Nella sentenza – prosegue la legale – non vi è la benché minima traccia di una condanna in capo a Foti per aver percepito indebitamente fondi Pac e quindi per il reato a tale fattispecie ricollegabile». In merito alle erogazioni in favore della Rando Zootecnica, la legale specifica che la società «né nel processo (Nebrodi, ndr) né tantomeno in altri è stata mai protagonista di illecite percezioni da parte di Agea».
Tra i condannati nel maxi-processo c’è chi, in una fase successiva al blitz, ha deciso comunque di aprire nuove ditte. Come per esempio Katia Crascì, condannata a quattro anni e quattro mesi di reclusione per due frodi compiute attraverso altrettante società. Dal registro imprese, risulta avere aperto, a novembre 2021 (meno di un anno prima della sentenza) ditta individuale con sede a Capri Leone, nel messinese, e oggetto sociale l’allevamento di bovini e bufalini. «La mia assistita unitamente al marito Faranda Gaetano (anche lui condannato, ndr) svolgono l’attività di allevatori», dichiara a IrpiMedia l’avvocato Alessandro Pruiti Ciarello. «L’attività – aggiunge il legale – quantunque gli stessi siano indagati, viene esercitata per il sostentamento della famiglia». Il difensore di Crascì, poi, esclude che la nuova ditta sia servita a chiedere nuovi contributi all’Ue: «La mia assistita non ha presentato, né può farlo, domande per contributi pubblici nazionali o comunitari, perché imputata nel procedimento penale e fintantoché resterà tale».
Chi si è opposto alla mafia dei Nebrodi
Nel 2018, c’è stata una seconda operazione contro i medesimi sistemi predatori della mafia dei Nebrodi: Nebros II. L’inchiesta, che conta 14 indagati, riguarda una gara per l’affidamento di terreni demaniali indetta, nel 2015, dall’Azienda silvo-pastorale di Troina, Comune dei monti Nebrodi in provincia di Enna il cui sindaco, dal 2013, è Fabio Venezia, da qualche mese anche deputato regionale in quota Pd. È stato tra i primi ad avere preso posizione contro lo sfruttamento illecito dei terreni, insieme all’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, fautore del protocollo di legalità – poi diventato legge dello Stato – che ha stretto i controlli sulle istanze di finanziamento.
«Il fenomeno della mafia dei pascoli è stato scoperto a Troina nel 2014 – racconta Venezia -. Fino ad allora i reati venivano interpretati quasi sempre sotto il profilo esclusivo delle frodi pubbliche. Noi ci siamo accorti dell’esistenza di consorterie mafiose che gestivano i terreni demaniali e pressavano i privati affinché cedessero i terreni di proprietà». Pur essendo un piccolo centro, Troina gestisce – tramite una partecipata – un’ampia fetta di terreni demaniali ricadenti nel Parco dei Nebrodi. «Subito dopo essere diventato sindaco ho deciso di fare chiarezza su chi avesse in locazione i terreni e il risultato è stato allarmante: nel 2015, la prefettura ha emesso alcune interdittive antimafia che hanno interessato 14 dei 15 terreni assegnati dalla nostra Azienda silvo-pastorale».
A quella svolta, poco dopo, sono seguite le indagini della procura e l’ulteriore conferma che qualcosa da tempo non andasse. «Abbiamo licenziato il direttore dell’Azienda dopo avere scoperto che anziché fare gli interessi della collettività faceva quelli di chi voleva lucrare illecitamente», prosegue Venezia. Per questo impegno, il primo cittadino è andato incontro a intimidazioni che hanno portato il ministero degli Interni ad assegnargli la scorta. «Arrivarono un giorno in ufficio, chiedendomi di sistemare i contratti, altrimenti non sarebbe finita bene».
L’assoggettamento delle autorità pubbliche all’interesse privato della mafia dei Nebrodi è un tema che appare anche nell’ordinanza del processo Nebrodi scritta dal gip Salvatore Mastroeni: «I finanziamenti non chiesti, non saputi chiedere o non avuti dagli aventi diritto sono l’espressione di un fallimento grave. Quando infatti la mafia si incunea, altera il mercato, depreda risorse», si legge. Mentre Venezia ha saputo opporsi, altri non controllano a sufficienza: «Fa ovviamente impressione che Agea, Comunità europea, organi di controllo – ha sottolineato il giudice – si “bevano” (termine adeguato per i truffati) istanze con fascicoli solo virtuali, con terreni collocati in zone distanti e improbabili rispetto alla residenza dell’istante, con evidenti falsi sui titoli, giro disinvolto di titoli, conti bancari all’estero». «Oltre le determinanti e gravi complicità interne, quel che dimostra l’indagine – conclude Mastroeni – è che l’intero meccanismo dei contributi dovrebbe essere rivisitato».
Un grido d’allarme, certamente parziale, ma che dal tribunale di Patti si rivolge sia a Roma sia a Bruxelles.
Tra feudi brulli e montagne ingrate, la mafia veste colletti bianchi
«Lassù dove feudi brulli e montagne ingrate segnano il confine tra le province di Messina e Palermo», i monti Nebrodi «delimitano una sorta di zona franca in cui la mafia ha potuto continuare a prosperare indisturbata». Siamo nel 1968 e L’Unità descriveva così la mafia dei Nebrodi. Una mafia violenta, che in questo territorio montuoso ha sempre mirato al controllo dei pascoli tanto quanto, nelle aree interne della Sicilia, ha mirato al controllo dei latifondi per la coltivazione del grano. Come ha scritto Mario Ovizza nel saggio Il caso Battaglia, è intorno ai pascoli che «si svolge il complesso delle più clamorose e insidiose interrelazioni mafiose». I pascoli, con l’andare dei decenni, restano una fonte di reddito anche per famiglie mafiose storicamente arroccate a Tortorici, i Galati Giordano e i Bontempo Scavo, che intanto fiutano l’affare del racket ai danni dei commercianti della costiera Capo d’Orlando.
Negli anni Novanta, a Tortorici, vengono dichiarate 40 mila pecore. Un numero enorme, che, in realtà, non supera i 7.000 ovini. Gonfiare il numero serve a percepire maggiori fondi comunitari. La Comunità economica europea, antesignana dell’Ue, prevedeva già all’epoca un contributo di 30 mila lire a pecora. I rari controlli, racconta un reportage di Saverio Lodato su L’Unità, vengono aggirati spostando le greggi per far quadrare i conti. Quando nel 1992 il boss latitante Antonino Bontempo Scavo viene arrestato, sta pascolando le sue pecore a bordo di una Mercedes. Era stato condannato dal Tribunale di Patti per le estorsioni a Capo D’Orlando.
Ancora oggi, fra gli uomini di fiducia arrestati insieme al boss, c’è chi percepisce i fondi agricoli dell’Unione europea. Col passare degli anni cambiano le modalità, ma le truffe sui fondi comunitari rimangono una costante della mafia dei Nebrodi. Nel 2002, con l’operazione Vitello d’oro, i carabinieri di Sant’Agata di Militello, mezz’ora di macchina da Tortorici, denunciano 200 persone per una truffa all’Unione europea da 800 mila euro. Questa volta vengono utilizzati finti certificati di nascita e macellazione delle mucche per presentare domanda di rimborso all’ente pagatore italiano.
L’operazione Nebrodi, andata a sentenza nel 2022, conferma la specializzazione della criminalità organizzata messinese nel campo delle frodi sui fondi comunitari.
Proprio grazie ai guadagni illeciti derivanti dai contributi per agricoltura e allevamento, la criminalità mafiosa a Tortorici si è radicata. Nell’ordinanza di custodia cautelare, il giudice per le indagini preliminari Salvatore Mastroeni parla di una «evidente inestirpabilità» della mafia tortoriciana. Nonostante le molte indagini, a Tortorici la mafia opera «quasi pacificamente, sottotraccia, dismettendo la veste violenta e mafiosa apparente, indossando guanti ma anche vestiti e colletti “bianchi”».
Bruxelles, abbiamo un problema
A Bruxelles, le istituzioni Ue sanno che le frodi con i fondi della Politica agricola comune sono un problema. Basta un dato a farlo capire. Da quando nel giugno 2021 la Procura europea è operativa, ha aperto 1.117 indagini. Ben 231 riguardano la Pac e, di queste, 83 riguardano l’Italia, primo paese in Ue per questo genere di frodi, seguito a debita distanza da Romania, Francia e Spagna (24, 18, 11).
Non solo. A finire sotto la lente degli enti di controllo dell’Unione europea sono stati proprio i pascoli siciliani. Nella relazione speciale della Corte dei conti Ue dedicata alla risposta della Commissione alle frodi nella politica agricola comune e pubblicata nel 2022, viene citata proprio l’operazione che ha portato al maxi-processo Nebrodi. Il caso è preso come esempio delle frodi relative a «pagamenti diretti e “accaparramento dei terreni” (land grabbing, nel documento originale in inglese, ndr)», anche se è la stessa corte a definire l’espressione «controversa».
La relazione spiega che «dalle indagini condotte dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf) e dalle autorità nazionali è emerso che le superfici agricole maggiormente esposte a questo tipo di attività fraudolenta sono i terreni demaniali o i terreni privati con assetto proprietario poco chiaro» e che i «frodatori che dichiarano terreni in modo illegittimo per beneficiare del sostegno tramite pagamenti diretti potrebbero presentare documenti falsi e utilizzare pratiche criminali, come l’estorsione o la collusione con dipendenti pubblici». «La conclusione generale della Corte – prosegue la relazione – è che la Commissione ha risposto ai casi di frode nella spesa della Pac, ma non è stata sufficientemente proattiva nell’affrontare l’impatto del rischio dell’accaparramento illegale dei terreni sui pagamenti della Pac, nel monitorare le misure antifrode degli Stati membri e nello sfruttare il potenziale delle nuove tecnologie».
Un’accusa netta, che però l’esecutivo Ue ha cercato di schivare: «Il land grabbing (accaparramento della terra, ndr) non rappresenta un problema inerente all’abuso di specifiche debolezze della legislazione sulla Pac», ha scritto la DG Agri della Commissione europea nella sua risposta alla Corte dei conti. «Questi fenomeni sono piuttosto legati a possibili carenze dei sistemi giuridici, della supervisione e della tutela dei diritti individuali negli Stati membri e devono quindi essere affrontati da questi ultimi nell’ambito di un approccio generale allo stato di diritto, a seconda dei casi», ha aggiunto la direzione generale, addossando sostanzialmente la responsabilità ai singoli paesi Ue e, quindi, nel caso italiano, all’Agea e al ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, di cui l’agenzia è un ente collegato. Interpellata da IrpiMedia, però, Agea non ha risposto alle nostre domande.
«La prevenzione dovrebbe spettare agli organi amministrativi che purtroppo sono spesso inefficienti. E quando non lo sono, si avvalgono di controlli che non consentono una reale attività preventiva». A parlare a IrpiMedia è una fonte vicina agli investigatori che si occupano di reati commessi in danno all’Unione europea. «Ogni anno soltanto in Italia – continua – vengono prodotte centinaia di migliaia di domande per contributi agricoli. Obiettivamente di fronte a questi numeri diventa complesso il controllo a monte, non si può pensare che l’argine alle frodi si basi sull’attività del singolo impiegato».
La portata del fenomeno delle frodi è ampia non solo per gli importi percepiti da chi non avrebbe i requisiti. L’ordinanza Nebrodi contiene, per esempio, intercettazioni in cui alcuni indagati fanno riferimenti a possibili affari da chiudere nell’Est Europa. Nonostante si tratti di fatti rimasti fuori dal processo, sono emblematici di come il problema sia esteso anche geograficamente. Stando a quanto appreso da IrpiMedia, negli ultimi mesi l’attenzione di più procure sarebbe rivolta al Centro Italia. «La scelta del luogo dove compiere la truffa non dipende tanto da contatti criminali ma – conclude la fonte vicina agli investigatori – dalla presenza di un aggancio, di un impiegato compiacente nel centro di assistenza agricola. Sono loro a sapere quali sono i terreni scoperti da richieste di contributo e da sfruttare per compiere le frodi».
CREDITI
Autori
Edoardo Anziano
Simone Olivelli
Paolo Riva
Editing
Lorenzo Bagnoli
In partnership con
FarmSubsidy
FragDenStaat
Infografiche
Edoardo Anziano
Lorenzo Bodrero
Foto di copertina
Un campo agricolo ai piedi del Monte Zimmara, sui Nebrodi
(DeAgostini/Getty)