Siena, il calcio come chiave per gli affari immobiliari in città

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Siena, il calcio come chiave per gli affari immobiliari in città
Lorenzo Bagnoli
Sara Lucaroni

Siena, inizio agosto 2020. Da oltre un mese si tratta per il futuro di quella che al momento si chiama ancora Robur Siena, la squadra di calcio cittadina. Da giorni si dice che ad acquistarla sarà Fram group, società italiana che si occupa di servizi turistici; il direttore generale sarà Diego Foresti, dirigente sportivo bergamasco che dagli anni Duemila frequenta club di serie C. All’improvviso la trattativa salta per problemi emersi nel corso della due diligence (la procedura di valutazione che i nuovi investitori portano a termine sulla società in cui intendono investire, ndr).

Per i nuovi investitori le garanzie immobiliari necessarie all’operazione non ci sono: piccole rimesse o qualche ufficio non bastano a coprire il debito che avrebbero anticipato. Stando agli accordi, dei due milioni e mezzo di cui necessitava la presidentessa della Robur Siena Anna Durio, il Fram Group si sarebbe accollato 1,5 milioni mentre un milione sarebbe stato prestato a fronte di garanzie, che però non c’erano. Sarebbe stata prevista anche la presenza di una piccola quota della vecchia maggioranza, la Federico Immobiliare della presidentessa Anna Durio, oltre al sostegno, dicono le fonti che hanno partecipato alla trattativa, del Monte Dei Paschi.

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Secondo fonti vicine alla presidenza della Robur, invece, l’affare sarebbe sfumato perché qualcuno da Siena ha scoraggiato la “cordata del Fram Group”. Atri investitori alternativi si sarebbero dileguati intimoriti dalle possibili cause derivanti da un contratto ereditato dalla presidenza che ha preceduto quella di Anna Durio, ossia la vecchia società guidata dall’imprenditore italo-svizzero Antonio Ponte. Si tratta del piano di progettazione del nuovo stadio con riqualifica dell’area limitrofa, affidato allo studio di uno dei soci di minoranza della stessa Robur e prima ancora della società guidata da Ponte, l’ingegnere Pietro Mele. Gli arbitrati per due volte avevano infatti stabilito la validità dello studio di fattibilità realizzato da Mele nel 2016 il cui costo, 457 mila euro, andrebbe però pagato quando materialmente sarà realizzato il progetto.

Così a trattare sono rimasti solo i consulenti del fondo russo-armeno Berkeley Capital, che si erano interessati alla trattativa all’inizio dell’estate 2020. Li richiama la stessa Durio per una soluzione al novantesimo minuto: «Ci richiamò dicendo che aveva sbagliato partner, che l’avevano fregata e che chiedeva a noi un salvataggio in extremis», ricorda il consulente di Berkeley Capital Andrea Bellandi, che ha risposto per iscritto a una serie di domande di IrpiMedia. Se la Robur non dovesse essere iscritta per la stagione 2020-2021 del campionato di Serie C, il titolo sportivo – il riconoscimento che la Lega calcio assegna a una società sportiva che vuole partecipare a un campionato – tornerà nelle mani del Comune di Siena. Si potrà assegnare solo a una nuova società, che dovrà partire dalla Serie D. Sul piano sportivo, un fallimento.

Finirà così: titolo sportivo ritirato alla Robur Siena, con i russo-armeni di Berkeley Capital a mettere le mani sulla società sportiva locale e la ripartenza dalla serie D. Questa assegnazione della squadra in due fasi (prima il fallimento di Robur per poi avere mano libera sullo stadio) serve ai neoinvestitori per essere pienamente indipendenti nella ristrutturazione e nell’eventuale rifacimento dello stadio. Sembrerebbe poca cosa, ma il calcio è il chiavistello ideale per giocare la partita degli affari immobiliari in città.

La trattativa minuto per minuto

Nei giorni caldi della trattativa sulla società calcistica l’avvocatessa Alessandra Amato consiglia alla cliente Anna Durio «di non coltivare la trattativa romana in quanto presentava molte criticità», sostiene Bellandi. Durio, però, non molla l’idea di poter restare come socio e la legale, seguita dalla commercialista, rassegna così le dimissioni «lasciando al suo destino la signora Durio», commenta Bellandi. I problemi con l’alternativa rappresentata dai russo-armeni, però, sono evidenti: i loro rappresentanti non possono versare l’acconto richiesto per il contratto preliminare – dunque effettuare subito l’acquisto della società – perché non hanno nemmeno un conto corrente in Italia, raccontano fonti vicine alla presidenza Durio. Hanno anche chiesto a tutti i soci di minoranza di vendere le proprie quote – cosa che non è mai avvenuta – perché evidentemente volevano essere soci unici.

Si arriva così al 4 agosto 2020, la vigilia della chiusura per i termini di iscrizione al campionato di serie C. Anna Durio è a Civitavecchia e si deve precipitare a Siena per partecipare a un incontro alla sede del Monte dei Paschi. La sua Federico immobiliare, azionista di maggioranza della Robur Siena, ha bisogno di un prestito per iscrivere la squadra al campionato e versare pagamenti arretrati ai tesserati, pena la non accettazione da parte della Lega dell’iscrizione. Deve trovare 1,25 milioni di euro: alla società manca liquidità.

Oltre alla presidentessa uscente, sono presenti al tavolo alcuni funzionari della banca, due consulenti degli investitori russo-armeni – Andrea Ristori e Andrea Bellandi – e il presidente del collegio sindacale della Robur Luca Turchi. La banca chiede garanzie a tutela del suo prestito, visto l’ammontare dei debiti in cui annega l’azienda di Anna Durio. I rappresentanti della Berkeley presentano la lettera di credito di una banca austriaca: i soldi ci sono, dicono, ma i neoinvestitori non ritengono di doverli versare perché Durio potrebbe non dare quelle garanzie e usare i soldi del prestito per motivi che non riguardano la squadra di calcio. La banca allora ritiene di non esporsi a sua volta e non finanza l’operazione nei confronti della Federico Immobiliare. È stallo.

Alle 14, ormai senza avvocati, Anna Durio continua i negoziati. Firma il “contratto di puntuazione”, l’accordo per la cessione delle quote del Siena dalla sua Immobiliare Federico al fondo russo-armeno nello studio di Luca Turchi. Insieme a lei sono presenti il rappresentante di Berkeley Capital in Italia Vagan Oganyan e tutti e tre gli advisor degli acquirenti russo-armeni, Alessandro Belli, Andrea Ristori e Andrea Bellandi. È un possibile passo in avanti.

LA DEFINIZIONEContratto di puntuazione
Nel linguaggio giuridico la puntuazione indica la precisazione scritta dei punti essenziali sui quali si dovrà basare la stipulazione di un contratto. È un formale “accordo di massima”.

Sono le 22.30, un’ora e mezza prima della scadenza dei termini per l’iscrizione al campionato di C, quando Alessandro Belli riceve alcuni messaggi su Whatsapp. «Forse per evitare il peggio l’unica soluzione credo sia un bonifico immediato e urgente e capiente sul cc [conto corrente] della Robur», scrive uno degli azionisti di minoranza della Robur stessa all’advisor del fondo armeno. L’idea è inviare un bonifico al gruppo in modo da versare subito l’iscrizione alla Lega. L’operazione sarebbe effettuata in qualità di socio della Robur, quindi dal conto della stessa società. Secondo fonti vicine alla trattativa, alla sede della Robur era già tutto pronto per inviare i bonifici: circa 900 mila euro come pagamenti arretrati (e parte del debito che il fondo si sarebbe accollato), 350 mila euro di fideiussione e quota di iscrizione. Sarebbe la svolta per ottenere il prestito da Mps.

A parere di Alessandro Belli, però, servirebbe un nuovo accordo per finalizzare un’operazione del genere. «Purtroppo non ci sono i tempi», è la risposta definitiva dell’avvocato. È la fine della partita di andata per la conquista della squadra di Siena: la Robur è finita, per quanto su carta la società, con i suoi debiti, sia ancora viva. Fonti vicine alla vecchia presidenza dicono che la gestione della società sportiva non fosse gradita a diversi esponenti del potere cittadino e nonostante Durio avesse manifestato l’intenzione di lasciare Siena da mesi, la “manovra” sia stata un raggiro per disfarsi proprio di lei e dei debiti della sua società, evitando di pagare di più per l’iscrizione al campionato. L’altro effetto, secondo le stesse fonti, sarebbe stato lasciare mani libere nella gestione dello stadio: con la Robur fallita o in liquidazione, il contratto di progettazione che esiste dai tempi della precedente gestione Ponte sarebbe caduto con la società.

«Abbiamo scelto il piano industriale di Siena Noah perché ci è apparso strutturato, serio, articolato su più livelli, con tante prospettive di sviluppo».

Luigi De Mossi, sindaco di Siena

La partita per il titolo sportivo

Fino al momento in cui il titolo sportivo era della Robur, il Comune di Siena è stato solo un osservatore interessato della vicenda, spiega a IrpiMedia l’assessore ai Servizi all’Infanzia, Istruzione, Università, Formazione e Sport del Comune di Siena Paolo Benini: «In quella fase è un rapporto tra privati». Poi, dal momento in cui è tornato proprietario del titolo sportivo «si è azzerato tutto: il sindaco ha fatto richiesta alla Federcalcio, visto il blasone e i trascorsi della squadra, per avere l’ammissione di una squadra di calcio di Siena, ancora non identificata, al campionato di serie D, a patto di alcune condizioni». Nella partita di ritorno per l’assegnazione del Siena Calcio, l’arbitro è il sindaco Luigi De Mossi: «È sua prerogativa decidere quale offerta sia la migliore», precisa l’assessore Benini. La competizione a quattro è vinta dai russo-armeni di Berkeley Capital, a seguito di un incontro in cui il sindaco aveva fatto alcune richieste in particolare in merito alla ristrutturazione dello stadio entro il 2023 e altre aspettative di investimento da parte del Comune.

«Abbiamo scelto il piano industriale di Siena Noah perché ci è apparso strutturato, serio, articolato su più livelli, con tante prospettive di sviluppo», aveva detto Luigi De Mossi in un’intervista a La Nazione il 27 agosto appena l’assegnazione si è conclusa. Così è nato l’ACN Siena – dove “N” sta per Noah – squadra di calcio armena già di proprietà del fondo Berkeley Capital. L’ACN Siena attualmente è in serie D ma sogna di tornare nella massima serie dove manca ormai da nove anni. Risolta la questione calcistica, per quanto i risultati in termini sportivi siano ancora molto lontani da quanto sperato, resta il nodo dello stadio e dello sviluppo immobiliare dell’area circostante. L’area Fortezza-Rastrello ospita sia lo stadio Artemio Franchi, casa della squadra di calcio cittadina dagli anni Trenta, ma anche un pezzo dell’infinito patrimonio artistico e culturale cittadino, prima fra tutti la Fortezza medicea costruita tra il 1561 e il 1563. Nel Piano strutturale comunale di gennaio 2020, reperibile sul sito del Comune, si legge tra i progetti futuri «un parco nell’area Rastrello-Fortezza, come polmone verde al centro della città»

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In un’intervista a La Nazione del 25 febbraio, però, il vicepresidente dell’ACN Siena Vagan Oganyan dice: «A noi interessa il settore del benessere e della medicina innovativa. Lo stadio deve diventare un centro di wellness per tutta la città. Quell’area potrebbe essere il parco della salute di cittadini e turisti, potrebbe ospitare un supermercato biologico un centro di cultura e salute della Fortezza». Sono sempre stati chiari gli investitori stranieri in merito all’interesse per lo stadio e le sue più indefinite vicinanze. Tanto è vero che il piano d’investimenti tra squadra e stadio presentato al Comune è quinquennale, stando alle dichiarazioni a mezzo stampa dell’assessore Benini. Progetti su carta, però, non esistono: «Non erano tenuti a presentarli», spiega a IrpiMedia. È intorno a queste vicende che si gioca l’intero campionato che mette in palio il futuro di Siena. È dall’inizio delle inchieste giudiziarie sul Monte dei Paschi di Siena, nel 2013, che quest’area è in stallo. Riuscire a sbloccarla significa riuscire a mettere le mani sulla città, appropriarsi di uno spazio ambito, che nessuno ha finora ha avuto la forza per trasformare.

Strategia in due fasi

«Ora dobbiamo fare un bando che riguarda lo stadio. Per il progetto successivo poi si vedrà». L’assessore Benini ricorda che la ristrutturazione dello stadio Artemio Franchi non è “cosa privata”. Deve passare da un bando competitivo, per il quale non può essere escluso che la società trovi un soggetto migliore dell’ACN Siena. È comunque prevista in ogni caso la possibilità per la società calcistica di usufruire del campo, anche nel caso in cui concessione e ristrutturazione andassero ad altri.

Il progetto dello stadio è diventato chiave da quando, nella Legge di stabilità del 2013, è stata adottata una norma per favorire l’ammodernamento degli stadi. In pratica prevede che una «clausola di compensazione» per la quale chi si occuperà della ristrutturazione potrà fare investimenti immobiliari nell’area anche non direttamente riconducibili a impianti sportivi. Il motivo è rendere l’investimento «funzionale al raggiungimento del complessivo equilibrio economico-finanziario dell’intervento e concorrente alla valorizzazione in termini sociali, occupazionali ed economici del territorio di riferimento».

È dall’inizio delle inchieste giudiziarie sul Monte dei Paschi di Siena, nel 2013, che quest’area è in stallo. Riuscire a sbloccarla significa riuscire a mettere le mani sulla città

Per questo motivo, quindi, riuscire ad aggiudicarsi la concessione per lo stadio, inclusa la sua ristrutturazione, offre un vantaggio anche nel piano di sviluppo immobiliare che va oltre l’impianto sportivo. In più esistono i finanziamenti erogati dall’Istituto per il credito sportivo, la banca pubblica che finanzia i progetti di rifacimento degli stadi e che dal 2005 ha ampliato il proprio raggio di azione al finanziamento delle attività culturali. Bellandi specifica che dall’inizio «la finalità degli investitori (di Berkeley Capital, ndr) era quella di realizzare il nuovo stadio nello stesso luogo del vecchio, valorizzando tutta l’area circostante anche per il tramite dei fondi messi a disposizione del Credito Sportivo» e anche su questo il gruppo aveva trovato scarso interesse da parte della vecchia presidenza Durio.

Ne è consapevole anche Alessandro Belli, secondo cui la strategia di Berkley Capital si muove in due fasi: la prima passa per l’ottenimento della concessione, la seconda dalla fase di sviluppo del progetto nuovo, che include lo stadio e l’area Rastrello-Fortezza. Per i dettagli, però, si dovrà aspettare che tutta la partita si sblocchi.

Bellandi, uno che «mai e poi mai nella sua vita si è occupato di calcio, ma di altro»

Berkeley Capital ha intavolato le trattative prima con Anna Durio e poi con il Comune grazie alla consulenza di Andrea Bellandi, attuale direttore generale della squadra. «Bellandi è la persona di Siena che ho interpellato per capire come muoverci in città», riferisce Belli, il primo tra gli advisor degli armeni. «Conoscevo da una vita l’avvocato Belli – scrive Andrea Bellandi in una nota di risposta alle domande di IrpiMedia – e condividevo con lui un giudizio positivo sul gruppo armeno che anni prima chiese assistenza giungendo all’acquisto di una ex chiesa armena in Puglia al fine di consentire ad associazioni onlus di svolgervi attività culturali».

Dalle colonne del Corriere di Siena, l’ex dirigente sportivo della Juventus Luciano Moggi a gennaio, in piena striscia negativa per la squadra locale, ha dichiarato: «Nulla è mai per caso nella vita, e lo stesso discorso vale nel calcio. Tutto ciò (i cattivi risultati in campionato, ndr) è frutto di scelte sbagliate avvenute durante l’ultima estate, quando il sindaco di Siena Luigi De Mossi decise di affidare la Robur ad un gruppo armeno, popolo più portato per gli scacchi che per il pallone, con la supervisione di Andrea Bellandi, attuale vice presidente, che mai e poi mai nella sua vita si è occupato di calcio, ma di altro…». Moggi era candidato a diventare direttore generale per la gestione dell’imprenditore Franco Fedeli, uno dei tre competitor a cui Berkeley Capital ha soffiato la squadra.

Andrea Bellandi è indagato nella recente indagine Hidden Partner in qualità di “amministratore di fatto”, secondo la Guardia di finanza, del gruppo Sielna, società utilizzata dal magnate kazako Igor Bidilo per riciclare denaro con bar, ristoranti e alberghi a Siena e non solo. L’avvocato difensore di Bellandi è il figlio Michele, il quale lavora per lo studio legale di Luigi De Mossi, il sindaco di Siena. «Non vedo alcun conflitto di interessi nella scelta di farmi difendere da mio figlio che aveva l’incarico congiunto con l’avvocato De Mossi che non era incompatibile almeno fino al coinvolgimento nell’indagine di un dipendente comunale», spiega. Aggiunge che «presto e bene la magistratura senese farà assoluta chiarezza sulla vicenda» della sua presunta amministrazione di fatto di Sielna.

Per approfondire

Le mani su Siena

Il potere senese per quanto locale ha sempre avuto riflessi anche in chiave nazionale. Il dissesto del Monte dei Paschi nel 2013 e le sue conseguenze ne sono uno specchio fedele: chi sono e chi vorrebbero essere i nuovi padroni di Siena

La lista civica d’opposizione Per Siena ha ipotizzato in un’interrogazione comunale che la consulenza di Bellandi aveva anche lo scopo di rappresentare il sindaco. Quest’ultimo ha sempre negato seccamente. «La lista civica di Per Siena, cioè Pierluigi Piccini, è all’opposizione e quindi trovo normale faccia l’oppositore, generando suggestioni – commenta Andrea Bellandi -. Il sindaco ha già risposto e del resto è dal 1992 che non rivesto incarichi pubblici». In merito alle sue frequentazioni politiche, Bellandi precisa che dagli anni Novanta, quando ha contributo a un accordo che ha favorito l’attuale consigliere d’opposizione e allora sindaco del Partito comunista Pierluigi Piccini, fino agli anni di Bruno Valentini del Pd, il predecessore di Luigi De Mossi, è sempre stato un sostenitore dei primi cittadini espressi dal centrosinistra.

Aggiudicarsi la concessione per lo stadio, inclusa la sua ristrutturazione, offre un vantaggio anche nel piano di sviluppo immobiliare che va oltre l’impianto sportivo

Nel progetto economico del gruppo Berkeley c’era anche l’acquisizione di Sielna: prima dell’arrivo della Guardia di finanza era in corso una due diligence sui conti del gruppo. «Non avendo avuto alcun ruolo in questa trattativa, non ritengo che vi sia alcuna censura che possa essermi sollevata», precisa Andrea Bellandi, mentre Alessandro Belli ricorda che a Berkeley interessava «l’indotto occupazionale» di bar, ristoranti e alberghi di Sielna. Le indagini in corso rendono più difficile capire cosa succederà. Anche da questo oggi dipende il destino degli investimenti su Siena.
Bellandi e il gruppo della Birreria

Durante le indagini sulla vicenda del Monte dei Paschi di Siena del 2013, la Guardia di finanza aveva identificato un “gruppo della Birreria”, una sorta di circolo informale che prendeva decisioni che riguardavano la banca e il resto della città. All’epoca la Birreria era un locale di proprietà di Andrea Bellandi, che poi l’ha ceduto al gruppo Sielna. In merito alla vicenda che riguarda il gruppo, Bellandi precisa che «non è mai esistito il gruppo della Birreria, come per altro rilevato dalla Procura della Repubblica di Siena che svolse accuratissime indagini concludendo, a suo tempo, che “non si ravvisano reati” e che non esisteva un sodalizio con tale denominazione». «Da quella vicenda – aggiunge – ho subito un danno enorme che sicuramente mi è costato il dover cedere l’attività».

L’epoca Mezzaroma e il progetto sullo stadio

Luciano Moggi nel suo editoriale ha fatto quelle esternazioni sul profilo di Bellandi nonostante quest’ultimo abbia già ricoperto l’incarico di direttore generale del Siena calcio all’epoca della Robur di Massimo Mezzaroma, presidente del club tra il 2010 e il 2012. Bellandi è stato nel consiglio di amministrazione della società fino al maggio del 2012 quando si è dimesso perché «non esistono più quelle condizioni di magistrale equilibrio che ha garantito in questi due anni una meravigliosa cavalcata in serie B e una non scontata salvezza in serie A per altro ottenuta con larghissimo anticipo a cui va aggiunta la storica semifinale di Coppa Italia», scriveva nel comunicato. Non era chiaro quale sarebbe stato l’impegno economico di Mezzaroma, il quale per altro era stato indagato dalla giustizia sportiva nell’inchiesta sul Calcioscommesse per aver truccato la partita Siena-Varese del 21 maggio 2011 (è stato poi assolto in via definitiva dalla giustizia sportiva nel 2016). È stato solo l’inizio di una serie di vicende che l’hanno portato al crac della società sportiva di allora.

Nel 2012, infatti, l’Ac Siena Spa di Mezzaroma ha venduto per 22 milioni di euro il marchio del club a una società di comunicazione, allo scopo di mantenere in vita, secondo la procura in maniera artificiosa, il club. Il valore così alto del marchio era funzionale all’ottenimento di un prestito da parte della banca Monte dei Paschi di 25 milioni di euro. «Il primo contatto fu tra un dirigente Mps e il commercialista storico della nostra azienda, fu chiamato per sondare se c’era interesse per il Siena che personalmente conoscevo solo per una trasferta fatta come tifoso romanista», ha spiegato l’ex presidente in un interrogatorio del 21 febbraio. Ha ammesso che l’interesse era legarsi ancora di più alla banca di cui i Mezzaroma erano clienti da tempo, riporta La Nazione. Il sistema per mantenere a galla il club ha retto fino al 2014, ossia un anno dopo l’inizio delle indagini sulla gestione della banca. Il 18 febbraio 2021 Massimo Mezzaroma e l’ex amministrazione delegato del Monte dei Paschi Giuseppe Mussari sono stati rinviati a giudizio a Siena per il crac della società.

anche Mezzaroma a Siena sperava di investire nel mattone, sempre grazie alla nuova normativa sugli impianti sportivi

Figlio di una famiglia di immobiliaristi, anche Mezzaroma a Siena sperava di investire nel mattone, sempre grazie alla nuova normativa sugli impianti sportivi. Il suo è il primo progetto di riqualificazione dello stadio e dell’area del Rastrello «ai fini della valorizzazione in termini occupazionali ed economici del territorio di Siena». Il gruppo tedesco Hellmich, una società di costruzione già occupata in Germania nella realizzazione di stadi, firmava una lettera di intenti in cui si diceva disponibile alla costruzione dello stadio. Saltato Mezzaroma, l’interesse dell’azienda di costruzioni tedesca è rimasto anche con il successore, Antonio Ponte, oggi presidente del Palermo.

Nel 2015 l’allora presidente cercava investitori per la realizzazione dell’impianto, con il Gruppo Hellmich interessato a entrare nelle quote societarie. Non se n’è fatto nulla e alla fine nel 2016 Ponte ha lasciato. È allora che è arrivata Anna Durio, imprenditrice di Recco con già all’attivo due fallimenti. Il figlio Federico, ex giocatore del D’Appolonia Genova e grande tifoso juventino, dal 2014 fino al fallimento nel 2015 è stato proprietario del 20% del Barletta Calcio e nel 2017 è stato condannato dal Tribunale federale della Lega Calcio «a due anni di inibizione e ammenda di € 10.000,00» per «cattiva gestione». Ha guidato il Rapallo Bogliasco dal 2014 fino al trasferimento del titolo sportivo allo Sporting Recco, squadra di cui è stato fondatore nel 2016 e per la quale ha realizzato un mega centro sportivo. Anche questa società ha cessato l’attività dopo un anno.

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«Era la Banca che decideva chi diventava presidente dell’Ac Siena», ha raccontato ai magistrati che indagano sul crac del Siena di Mezzaroma Vincenzo Loi, fino al 2013 direttore generale del club senese. Fino a che c’è stato il Monte dei Paschi a iniettare liquidità a Siena, la città ha avuto i suoi benefattori. Ora che è in crisi, tutto il sistema è andato in tilt. «A noi interessa che la squadra giochi, che i conti siano a posto», dice a IrpiMedia l’assessore Paolo Benini. Sempre mantenendo una certa disillusione: in fondo senza l’appoggio del Banco, ogni potere a Siena è effimero.

«Era la Banca che decideva chi diventava presidente dell’Ac Siena»

Vincenzo Loi, ex direttore generale Siena Calcio

Il fiume di denaro, ormai da tempo, è alimentato da investitori stranieri innamorati della Toscana e delle sue potenzialità. In città, oltre a valutare le azioni di nomi già noti nel panorama politico ed economico cittadino, sono in molti ad esprimere preoccupazione più per le ricadute occupazionali ed economiche di tali azioni (e delle inchieste) che non per l’origine di nuovi investitori e la provenienza e la destinazione dei loro fondi. In un motto, il pensiero comune si può riassumere così: «Non importa da dove vengano i soldi, è importante che i soldi ci siano».

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Le Mani su Siena

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LÈ dal 1125 che Siena è una repubblica. Da allora, ha sempre avuto una sua alterità dall’odiata Firenze e dal resto d’Italia, che fosse per le guarentigie di qualche imperatore venuto da lontano oppure, in tempi più recenti, per la potenza economica della banca locale. Dal 1339 l’Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo – ciclo di affreschi del maestro senese Ambrogio Lorenzetti che si trova nella Sala del Consiglio dei Nove al Palazzo Pubblico, sede del Municipio – predice i possibili governi della città.

Maneggiare il potere, a Siena, è stato spesso affare degli appartenenti all’Arte della Mercanzia, la corporazione che rappresentava il ceto produttivo.

Ci sono stati i Bonsignori, i “Rothschild del Duecento”, come li ha soprannominati qualche storico; i Piccolomini, nobili del Sacro Romano Impero che, al contempo, hanno infarcito le schiere degli alti prelati della Chiesa; i Tolomei, di cui la dolce ereditiera Pia – forse nominata da Dante nella Commedia – ha avuto in sorte di morire per mano del marito, il podestà di Volterra, che l’ha scaraventata dal balcone di un suo castello in Maremma per punirla di un presunto atto d’infedeltà oppure per liberarsi di una sposa non voluta.

Intrighi, soldi, misteri: la storia di allora si rispecchia nelle più recenti vicende del Monte dei Paschi di Siena, la banca crocevia dei destini della città, che naviga a vista dal dissesto del 2013. Senza i suoi denari, la città è diventata oggetto di scorribande di investitori rapaci, che hanno cercato – senza fortuna – di aggiudicarsi le sue ricchezze.

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Siena, dietro il mistero degli investitori armeni della squadra di calcio

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Siena, dietro il mistero degli investitori armeni della squadra di calcio

Lorenzo Bagnoli
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Il 3 febbraio 2021 allo stadio Artemio Franchi l’ACN Siena ha pareggiato 0-0 con il Foligno. La squadra veniva da tre sconfitte di fila, la più clamorosa con il Lornano Badesse, compagine di una frazione di Siena dove hanno sede la maggior parte delle aziende della logistica nazionale e internazionale. Uno smacco: 2-0. Nonostante le grandi promesse di tornare nella massima serie, il Siena Calcio galleggia a metà classifica del girone E di serie D. I tifosi, esasperati, avevano appeso prima della partita uno striscione fuori dall’ingresso della curva: «Stai fallendo miseramente, stai attento presidente». Destinatario era Roman Gevorkyan, giovane imprenditore di origine armena con passaporto russo che all’epoca sedeva al vertice della squadra. Nell’arco di due settimane, il Siena ha mischiato le carte della dirigenza, lasciando come punto fermo il vicepresidente Vagan Oganyan, affiancato ora dal pari ruolo Alessandro Belli, mentre alla presidenza è stato nominato Armen Gazaryan, altro armeno nato a Baku (fino al 1991 Unione sovietica, oggi Azerbaijan) con passaporto russo, appartenente a una famiglia che dagli anni Duemila è socia dei Gevorkyan.

La gestione della società sportiva è diventata più italiana, grazie allo spostamento dalla vicepresidenza alla direzione generale di Andrea Bellandi – l’uomo d’affari di lungo corso coinvolto nell’inchiesta Hidden Partner – e la permanenza del direttore sportivo Andrea Grammatica.

«L’integrazione dal lato sportivo non è riuscita», diceva Bellandi in una conferenza stampa pre-rimescolamento delle cariche societarie e del ritorno di Alberto Gilardino in panchina. L’allenatore era stata la prima scelta della neo dirigenza, poi allontanato a gennaio e successivamente richiamato un mese dopo. Il simbolo del fallimento sportivo si è visto in campo proprio con il Foligno, quando a bordo campo gli allenatori erano in due (ora entrambi esonerati), nessuno dei quali in grado di comunicare con i giocatori. Vladimir Gazzaev, figlio di un allenatore molto noto in Russia, e Marian Pahars, famoso attaccante del calcio lettone per sette anni alla guida del Southampton (Premier League inglese). I due si dovevano necessariamente affidare al preparatore dei portieri per farsi comprendere. Quando il preparatore si è dovuto allontanare dal campo, la squadra non sapeva più a chi rispondere.

La dirigenza russo-armena che ha acquisito la società ad agosto 2020, però, fin dall’inizio ha messo in chiaro che il calcio era solo una parte di un progetto più ampio. «L’interesse da parte nostra è sempre stato per il Siena Calcio e per lo stadio, non ne abbiamo mai fatto mistero», spiega Alessandro Belli, inizialmente consulente per l’acquisizione della società della cordata russo-armena insieme ad Andrea Ristori, oggi vicepresidente del Siena calcio. C’è un piano industriale preciso per lo sviluppo della città, che ha avuto il pieno avallo anche dell’amministrazione comunale. Il calcio è un viatico per altri investimenti. E Siena, in fondo, sarebbe solo uno dei diversi casi in Italia: secondo uno studio di Deloitte, il rinnovamento degli impianti nei prossimi dieci anni potrebbe attirare investimenti per 4,5 miliardi di euro.

La vicenda che riguarda Siena e la sua squadra si rivela quindi come una piccola operazione matrioska, dove ogni protagonista è portatore di interessi che vanno oltre le apparenze della sua prima veste. Vale per gli investitori, che si presentano come armeni ma hanno una storia industriale che si lega indissolubilmente a una guerra di potere interna al Cremlino e un orizzonte che va molto al di là dello sport. Vale per Andrea Bellandi, la cui ultima sembianza è quella del direttore generale della squadra, ma secondo gli inquirenti che lo indagano nell’operazione Hidden partner è stato al contempo “amministratore di fatto” di Sielna, ovvero il grosso gruppo con capitali stranieri in città che gli investitori russo-armeni avevano intenzione di acquistare.

Dati i legami con il sindaco Luigi De Mossi, di area centrodestra, secondo la lista civica d’opposizione Per Siena Bellandi avrebbe anche inizialmente curato gli interessi dell’amministrazione comunale nei negoziati che hanno portato il Siena tra le braccia del gruppo russo-armeno. «A me interessa aggregare, proporre piani di sviluppo e creare posti di lavoro, trovare investitori in una realtà che ha di fatto perso il Monte dei Paschi»- ha detto Bellandi definendo il suo un ruolo di «advisor per gli armeni sulla Robur», mentre a proposito del suo addio a Sielna ha parlato di «contributo nella fase di crescita del marchio e dell’attività industriale, ora è cambiato il contesto», diceva Bellandi a La Nazione il 22 ottobre 2020.

La strategia della matrioska

#OperazioneMatrioska è il nome di una serie di IrpiMedia (qui le puntate uno, due e tre della “prima stagione”) attraverso cui seguiamo il modo in cui oligarchi di correnti più o meno favorevoli al Cremlino hanno condotto operazioni politiche, finanziarie e culturali in Italia. I protagonisti sono matrioske perché sono portatori di più interessi, uno dentro l’altro. Non c’è una strategia unitaria che guida le loro azioni, anche perché le correnti a cui appartengono spesso sono in contrapposizione l’una all’altra; c’è però una sorta di canovaccio ideale, i cui tratti spesso si ripetono. L’Italia rappresenta un approdo sia in termini di possibilità di investire (e in alcuni casi gli investigatori ipotizzano anche riciclare, vedi l’indagine Hidden Partner), sia in termini di terreno dove spingere per campagne di lobbying, che siano a favore della Russia di Putin, dell’Azerbaijan o, all’opposto, dell’Armenia.

Il caso senese, viste le appartenenze geografiche e la centralità del ministero delle Ferrovie russo (una delle aziende degli armeni si occupava di cartellonistica ferroviaria con la committenza del ministero), ricorda il caso di Ruben Vardanyan, il filantropo e banchiere armeno al centro del caso della Ukio Bankas, compagno di studi del fondatore del gruppo industriale attraverso cui i proprietari del Siena hanno costruito il loro impero economico.

Chi sono i proprietari

Quando a fine agosto 2020 il Siena Calcio è passato di proprietà, i giornali hanno scritto che il nome del nuovo proprietario era un fondo di Yerevan, la capitale dell’Armenia: Berkeley Capital CJSC. Il fondo ha un sito ancora in costruzione e non sembra particolarmente noto. Esiste dal 2018 e il suo direttore è Sargis Gevorkyan (a volte traslitterato Gevorgyan). «Ma quanti nomi hanno gli armeni?», titolava La Nazione il 20 agosto, dopo che erano apparsi sulla scena anche Roman Gevorkyan, insieme a «un altro nome», ossia l’attuale vicepresidente Vagan Oganyan, sulla carta a tutt’oggi il proprietario reale dei 10 mila euro del capitale sociale. Di fatto, degli azionisti di Berkeley Capital, soprattutto in quella fase, non si conosceva molto. «Non ho capito bene in questi mesi chi ci fosse dietro alla holding», ha detto in un’intervista persino l’allenatore Alberto Gilardino dopo l’esonero in gennaio.

Ora, invece, si sa che dietro Berkeley Capital o Noah, che dir si voglia, ci sono due famiglie: i Gevorkyan, tra i quali Roman è stato il primo presidente, e i Gazaryan, tra i quali Armen è l’attuale presidente. Sul piano sportivo, chiarisce il vicepresidente Alessandro Belli, le due famiglie «avevano progetti leggermente diversi». Dalla metà di febbraio, ha prevalso a Siena il progetto Gazaryan, che prevede un maggiore coinvolgimento degli italiani. Questo però è il lato calcistico, su quello industriale le famiglie non sembrano avere avuto divergenze.

Dietro il fondo Barkeley Capital ci sono due famiglie: i Gevorkyan e i Gazaryan. Sul piano sportivo hanno progetti divergenti mentre su quello industriale, per i progetti nella città di Siena, sono più allineati

Il fondo d’investimento armeno in patria controlla la squadra della capitale, il Noah, un’etichetta discografica, un’agenzia di organizzazione eventi, Noah Entertainment, e un centro congressi, Noah Space. Da dicembre ha in fase di sviluppo una serie di progetti anche agricoli e sociali, oltre a un golf club e un’accademia per golfisti nella regione dell’Ararat al costo di 117 milioni di dollari. In Italia hanno investimenti in strutture ricettive in Sardegna e a Cortina e hanno acquisito una chiesa armena sconsacrata in Puglia, con l’idea di investire in una fondazione culturale. Noah, nome con cui si presentano al pubblico gli azionisti, «significa Noè, il patriarca che la Bibbia ricorda essere un uomo retto, che cammina accanto a Dio» commenta Alessandro Belli, l’attuale vicepresidente del Siena calcio, in un’intervista dello scorso 28 agosto. «I valori di correttezza e rettitudine» sono evocati spesso quando gli investitori si presentano alla città. La N di Noah è stata aggiunta al nome, diventato ACN Siena, proprio per sottolineare questo aspetto, per quanto i tifosi non abbiano gradito molto. È accaduto lo stesso anche con il Jurmala, squadra lettone sempre di proprietà del Noah che a marzo è stata estromessa del campionato Super League a causa dei debiti accumulati, e accadrà probabilmente al KFC Uerdingen, compagine tedesca di seconda divisione, l’ultima squadra acquisita dal gruppo a febbraio 2021.

«Siena e l’Armenia sono unite da un legame storico e culturale profondo: la comunità armena è citata anche nel nostro Costituto (lo Statuto cittadino di Siena, ndr)», ha dichiarato il sindaco Luigi De Mossi durante la visita ufficiale dell’ambasciatrice dell’Armenia in Italia Tsovinar Hambardzumyan a ottobre 2020, lasciando diversi osservatori in città un po’ scettici sul merito della ricostruzione storica. È stata una delle prime uscite pubbliche della società di calcio.

È stata anche l’occasione per parlare del brutale conflitto nel Nagorno Karabakh, enclave autonoma a maggioranza armena che tra settembre e novembre 2020 è stata invasa dall’Azerbaijan del dittatore Ilham Aliyev (con il supporto tecnologico della Turchia), il quale è riuscito a ottenere pezzi di territorio oltre al dispiegamento dell’esercito russo a garanzia della tregua. Berkeley Capital e il Noah, comprensibilmente, si sono schierati a sostegno del proprio esercito, anche attraverso una sottoscrizione di 1,5 milioni di dram armeni (2.500 euro) al fondo pensionistico dell’esercito.

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La strana storia dell’ex ad del Siena che lavorava per l’oligarca del Russiagate

All’inizio della nuova gestione del Siena, amministratore delegato della società era Leonardo Petrocelli, lucano di nascita e domiciliato a Mosca. Non ha esperienze nel calcio, invece ha una carriera nel golf e il suo lavoro precedente è stato maestro e organizzatore di eventi alla Agalarov Estate, golf club di Aras Agalarov. Noto come il “Trump di Russia”, Agalarov è un uomo di affari e immobiliarista russo-azero. Sarebbe il collegamento tra l’ex presidente americano e Putin: gli Agalarov, padre e figlio, nel 2016 avrebbero facilitato l’incontro tra Trump Jr e Natalia Veselnitskaya, avvocatessa con presunti legami col governo di Mosca e al centro dell’inchiesta Russiagate. Il figlio Ermin, una pop star in patria, è anche stato marito della prima figlia del dittatore azero Ilham Aliyev. Secondo il rapporto della commissione del Senato americano sull’influenza russa nelle elezioni del 2016 gli Agalarov avrebbero forti connessioni con Putin, oligarchi oggetto di sanzioni dagli Stati Uniti, servizi segreti e criminalità organizzata. Nel maggio 2009 in Italia è stata conferita ad Aras Agalarov l’onorificenza dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, con cerimonia presso la residenza dell’ambasciatore d’Italia in Russia Vittorio Surdo. Motivo: il suo contributo nella storia dei rapporti economici tra l’Italia e la Russia. È a partire dagli anni ’90 che Agalarov esporta in Russia i marchi di prestigio della moda italiana nei suoi centri commerciali.

Per trovare i capostipiti imprenditoriali delle due famiglie dietro al Siena calcio, bisogna cercare a Guildford, nelle campagne a sud-ovest di Londra, dove a dicembre 2020 è stata registrata la Noah Football Group Limited. È la società che diversi blog calcistici indicano come plausibile holding a controllo del settore calcistico di tutto il gruppo industriale. I nomi dei due azionisti sono Ruben Gevorkyan, affiorato in qualche cronaca locale di Siena, e Bagrat Gazaryan, sconosciuto invece alla stampa italiana. Il primo ha un passaporto armeno e ungherese, mentre il secondo ha passaporto cipriota. Le famiglie dei due imprenditori sono socie almeno dagli inizi degli anni Duemila e hanno gestito diverse società tra Cipro, Russia, Lettonia e Isole Vergini Britanniche, dove la Rnb Capital Limited è stata chiusa nel 2015.

Il gruppo industriale più importante per il quale entrambi hanno lavorato è il russo Summa Group, che oggi non esiste più. In particolare, Gevorkyan è stato direttore di Yakutsk Fuel-Energy Co PJSC, società di produzione di gas e petrolio che opera nella regione russa della Jacuzia, fino al 2019, mentre Gazaryan ha guidato Transengineering, la controllata del gruppo che gestiva i servizi di ingegneria. «So che vengono dal mondo dell’oil & gas ma se fosse il Summa Group o altro non glielo so dire», afferma Alessandro Belli, un tempo consigliere finanziario degli investitori armeni e oggi vicepresidente del club.

Sempre nel 2018, riporta un lancio dell’agenzia Reuters, a Bagrat Gazaryan è stata affidata la direzione di O1 Properties, ramo immobiliare del gruppo finanziario O1. Gazaryan prendeva il posto di Dmitry Mints, figlio dell’oligarca (poi decaduto) Boris, creatore del gruppo O1 e all’epoca nella lista degli imprenditori più ricchi di Russia. La società attraverso cui Gazaryan prendeva il controllo di O1 Properties si chiamava Laysa, dal 2006 affidataria della cartellonistica per la società ferroviaria nazionale russa, nel cui board compariva anche il nome di Ruben Gevorkyan.

Per approfondire

Operazione Matrioska

Una serie di inchieste su come Putin sia diventato una figura di riferimento per le destre di tutto il mondo. Un’operazione in tre fasi: economica (il Laundromat), culturale (l’ascesa degli identitari) e politica (il Russiagate)

Alla fine di quel marzo, però, il Gruppo Summa e la stessa Laysa iniziano la loro decadenza: oggi il sito di Summa porta a un giornale online specializzato in edilizia, mentre Laysa è stata assorbita da una nuova società, RusOutdoor. Il proprietario e fondatore del Gruppo Summa, l’imprenditore Ziyavudin Magomedov, oligarca, politico della regione russa del Daghestan, è stato arrestato in Russia insieme al fratello Magomed con l’accusa di appropriazione indebita per 35 milioni di dollari (il fratello anche con un capo d’imputazione per detenzione illegale di armi). È stata l’ennesima caduta di un uomo d’affari che fino a partire dal 2011 aveva conquistato sempre più mercato e che alla fine ha avuto un forte contrasto di natura politica con il Cremlino che gli è costato l’impero economico.

La mazzetta e i contrasti con l’uomo di Rosneft

La mazzetta, secondo la ricostruzione di Navalny, mai corroborata da prove in un’aula giudiziaria, sarebbe servita al cugino impegnato come vicepresidente del comitato per i giochi olimpici invernali di Sochi 2014 a cui erano in seguito state revocate alcune commesse. La politica industriale spregiudicata del Summa Group è costata ai Magomedov diversi nemici. Igor Sechin, il numero uno dell’azienda petrolifera di Stato Rosneft, nel 2012 avrebbe voluto accaparrarsi il 25% del porto commerciale di Novorossiysk, importante avamposto affacciato sul Mar Nero. Il governo, però, ha impedito la manovra.

Secondo fonti vicine all’imprenditore sentite dal Financial Times all’epoca, Magomedov era comunque preoccupato di essere entrato nella lista dei nemici di Sechin. Nel caso, l’esito, per lui, sarebbe stato il carcere e lo smembramento del suo impero, come accaduto già in precedenza. Alcuni analisti avevano persino letto la situazione dell’epoca come una possibile ascesa a primo ministro di Sechin, eventualità che alla fine non si è verificata. Dopo l’arresto, nel 2018, il gruppo Summa è stato costretto a vendere le sue quote a Transneft, azienda a controllo statale amministrata da un’ex agente del KGB come Sechin, Nikolai Tokarev, altro personaggio con cui i Magomedov hanno avuto contrasti dopo la scalata fallita da Rosneft.

Alla fine Medvedev è rimasto al suo posto, almeno fino all’ultima crisi di governo che lo ha costretto a dimettersi nel 2020. Secondo le ultime cronache giudiziarie dalla Russia, i fratelli Magomedov si trovano ancora in carcere, in attesa della prossima udienza fissata all’inizio di aprile.

Quando Ziyavudin Magomedov e suo fratello Magomed sono finiti in carcere, i media internazionali hanno immediatamente scritto che l’arresto era una ritorsione politica. Un colpo «al portafoglio di Medvedev», scriveva il Financial Times il primo aprile 2018. La vicinanza di Magomedov – sempre smentita a mezzo stampa – era soprattutto al vice di Medvedev, Arkady Dvorkovich, ex compagno di università dei fratelli insieme al filantropo e banchiere armeno Ruben Vardanyan.

Il Summa Group ha iniziato a portare a casa i principali appalti pubblici dopo che Dmitry Medvedev ha ottenuto la presidenza della Russia nel 2008, per cederla poi nuovamente a Vladimir Putin nel 2012 e tornare a occupare il posto di primo ministro. Il successo, come sempre accade con il “capitalismo di Stato” post sovietico, è arrivato con le commesse pubbliche.

Nell’estate del 2015 l’attivista anticorruzione Alexey Navalny aveva anche accusato Magomedov di aver pagato la luna di miele del portavoce di Putin Dmitry Peskov in Sardegna, a bordo dello yacht Maltese Falcon, allo stellare prezzo di 385 mila euro a settimana. L’accusa è stata seccamente rispedita al mittente dal portavoce del Cremlino. Negli stessi anni sono arrivate altre accuse per appropriazioni indebita delle commesse per le olimpiadi invernali di Sochi e di aggressioni ai danni dei propri dipendenti. La famiglia di Magomedov è storicamente impegnata in politica in Daghestan, repubblica russa che confina, a sud, con l’Azerbaijan, e il fratello Magomed è stato anche senatore per sette anni.

CREDITI

Autori

Lorenzo Bagnoli
Sara Lucaroni

Editing

Luca Rinaldi

Dal Monte Paschi al calcio: Siena è un girone dantesco

#LeManiSuSiena

Dal Monte Paschi al calcio: Siena è un girone dantesco

Lorenzo Bagnoli
Sara Lucaroni

Da tempo a Siena si vociferava di un’imminente operazione della Guardia di finanza. Il 15 marzo scorso, alla fine, la profezia s’è avverata: i giudici per le indagini preliminari Buccino Grimaldi e Ilaria Cornetti su richiesta del pm Siro De Flammineis hanno autorizzato cinque misure restrittive, perquisizioni e sequestri di cui: 14 milioni di euro in beni immobili e disponibilità liquide sono stati sequestrati in ragione dei presunti reati di tipo finanziario, altri 370mila euro sono stati sequestrati in quanto presunte mazzette. Se i giudici fossero Dante, l’ordinanza sarebbe un piccolo Inferno senese, un viaggio nelle presunte corruzioni cittadine.

L’operazione Hidden Partner ipotizza un sistema di riciclaggio internazionale che approda a Siena, Roma, Firenze e Milano dopo passaggi di denaro in società e conti bancari in Svizzera, Cipro, Estonia, Lettonia, Francia, Isole Vergini Britanniche, Russia e Austria. Ai dodici indagati sono contestati a vario titolo reati contro il patrimonio, tributari, societari, corruzione e autoriciclaggio. Il “partner nascosto”, da traduzione del nome dato all’inchiesta, nell’ipotesi investigativa sarebbe Igor Bidilo, l’uomo d’affari kazako che dal 2015 ha investito in città i proventi della filiera del petrolio, business dal quale proviene.

Aveva in dote milioni di euro da riciclare, secondo l’accusa; merce apprezzabile a Siena, dove dagli anni della crisi del banco Monte dei Paschi non si vedono investitori all’orizzonte e in città s’è creato una sorta di vuoto di potere, sia economico, sia politico. Così intorno al businessman kazako e alla sua famiglia si è costruito un circolo di sodali che stava cercando di prendersi la città. Il chiacchiericcio tra circoli politici, blog locali e altri ambienti della società civile senese intorno a Bidilo e i suoi partner in Italia suonava a metà tra presagio e speranza malcelata: in città il gruppo si era fatto notare e diversi antagonisti speravano che la magistratura ne fermasse l’ascesa.

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Il nuovo misterioso padrone di Siena

L’indagine della Guardia di Finanza è partita da controlli sugli investimenti della Sielna srl – divenuta in seguito spa – cioè il principale veicolo dei denari di Igor Bidilo in Italia. La pioggia di soldi verso l’Italia, e Siena in particolare, è stata copiosa e concentrata soprattutto nel biennio tra il 2018 e il 2020.

La pioggia di soldi verso l’Italia, e Siena in particolare, è stata copiosa e concentrata soprattutto nel biennio tra il 2018 e il 2020

Il nome della società nasce dall’acronimo delle iniziali di Simona, Elena e Nadia, le mogli dei tre soci: Igor Bidilo, Constantin Catalin Maxim e Cataldo Staffieri. Il primo è proprietario all’80%, il secondo al 20% mentre il terzo è direttore commerciale e procuratore. Il magnate kazako all’inizio, quindi nel 2015, aveva il 51 per cento di Sielna spa, mentre Maxim Constantin Catalin possedeva il 49% delle azioni. A ottobre 2018 Bidilo ha sborsato 2,9 milioni di euro per aumentare la sua partecipazione fino all’80%. Attività principale: «affitto aziende», successivamente modificata in «somministrazione di cibo e bevande».

Sull’origine delle ricchezze di Bidilo, però, c’erano sospetti fin dall’inizio. Ha cominciato intorno alla fine degli anni Novanta a fare il petroliere nella Repubblica dei Baschiri, regione della Federazione russa che sorge ai piedi degli Urali meridionali. Grazie alla collaborazione di Eurojust, la superprocura di coordinamento dei magistrati europei, la procura senese ha potuto accertare «plurime condotte evasive» in particolare tra il 2014 e il 2015 in Estonia, Paese dal quale Bidilo ha ottenuto la residenza attraverso un programma di investimento.

Secondo i risultati dell’indagine, in quegli anni il gruppo ha evaso oltre 50 milioni di euro attraverso la costituzione di una società di trading petrolifero nelle Isole Vergini Britanniche, la Somitekno Ltd, con uffici a Tallinn in Estonia. La società controllante, con sede presso lo stesso indirizzo «fittizio», si chiama Portland Consult Services Ltd. Tra il 2015 e il 2016 la Somitekno secondo gli inquirenti ha omesso di dichiarare i redditi prodotti in Estonia e distribuito i dividendi alla Portland Consult Services realizzando così una frode fiscale ai danni dell’Erario estone. Un’evasione totale che ammonta a poco meno di 200 milioni di euro. Da Portland Consult Services i soldi passavano poi alla Sotko Trading Ltd, società cipriota gestita da fiduciari anonimi. Quest’ultima a sua volta ha girato i soldi a varie attività tra cui la Sielna, la finanziaria con cui ha condotto gli investimenti in Italia.

Gli allarmi delle unità finanziarie internazionali

I primi ad accorgersi della gigantesca mole di movimentazioni di Bidilo sono stati gli analisti delle unità d’informazione finanziaria sparse tra Italia, Svizzera e Stati Uniti. È agosto 2020 quando i giornalisti svizzeri di Gotham City riescono a ricostruire la collaborazione tra il Tribunale federale di Ginevra e la procuratora senese. I conti di Bidilo, infatti, si appoggiano a istituti di credito svizzeri. A settembre 2020, con l’uscita dell’inchiesta FinCEN Files del consorzio Icij, si scopre che il Financial Crimes Enforcement Network (FinCEN), l’ufficio che monitora le operazioni sospette in dollari per conto del Dipartimento di Stato americano, ha già tracciato i pagamenti sospetti tra le controllanti nelle Isole Vergini Britanniche del gruppo Bidilo. Anche l’Unità informazioni finanziarie della Banca d’Italia, scrivono gli inquirenti italiani, aveva già identificato decine di operazioni sospette vagliate poi dalle indagini.

Nonostante dalle visure camerali non compaia nemmeno il suo nome, l’amministratore di fatto di Sielna secondo gli inquirenti è Andrea Bellandi, imprenditore, ex consigliere Psi negli anni Ottanta, anche lui indagato. A Siena è famoso soprattutto per essere stato il proprietario de La Birreria, club frequentato dalla «lobby politico-imprenditoriale» che manovrava il banco Monte dei Paschi, come annotava la procura di Siena nelle indagini sull’istituto di credito nel 2013. Oggi La Birreria è in liquidazione e ultima proprietaria è stata Sielna.

Secondo la lista civica Per Siena, Bellandi è tanto vicino al sindaco Luigi De Mossi (della lista civica avversaria, di area centro-destra) da aver rappresentato l’amministrazione comunale nelle trattative per la cessione della squadra di calcio locale. Bellandi aveva smentito ogni coinvolgimento a mezzo stampa, anche se oggi è vicepresidente del Siena Calcio. All’indomani dell’indagine, il sindaco De Mossi, in qualità di avvocato, era stato nominato difensore di Bellandi, salvo poi rimettere il mandato pochi giorni dopo. I collegamenti tra i due, però, sembrano essere stati solidi, almeno nel passato. Nella Commedia giudiziaria, Bellandi, potrebbe essere un cattivo consigliere, che Dante trasforma in lingue di fuoco: per un guadagno personale, secondo le indagini, avrebbe contribuito a spalancare le porte di Siena a Bidilo.

L’ex consigliere del Psi, secondo i riscontri dell’accusa, avrebbe contribuito a falsificare i bilanci della Sielna insieme ad altri soggetti non ancora identificati. Il gruppo avrebbe trasformato dei versamenti da 10 e 1,5 milioni fatti dalla società Sotko Trading – di proprietà di Bidilo, ma esterna a Sielna – in finanziamenti infruttiferi di soci allo scopo di evadere l’imposta sul reddito delle società negli esercizi del 2015 e 2016. Per Bellandi, i giudici per le indagini preliminari hanno predisposto gli arresti domiciliari

Un impero familiare

Il gruppo a cui fa capo Igor Bidilo, per quanto internazionale, è a conduzione familiare. Tutto è cominciato con il brevetto ideato dall’ingegnere di un sistema per chiudere i pozzi di petrolio in esaurimento. La multinazionale Atek di cui è a capo si occupa di informatica e meccanica e anche affitti di imprese, ha una filiale nel ramo immobiliare (a Vienna ha costruito una imponente lottizzazione di lusso) gestita dal fratello, la Kesko Llc con sede a Mosca, entrambe legate alla galassia di società e partecipate impegnate nel commercio di prodotti petroliferi, informatica. In Italia invece investe in ristorazione e prodotti tipici. Come nel resto del mondo, anche in Italia il gruppo ha diversificato gli investimenti: Siena è la città scelta soprattutto per i prodotti tipici e la ristorazione, Roma è il luogo di residenza, mentre a Milano il business principale è la locazione immobiliare di beni propri o in leasing. A controllo di tutto c’è sempre lo stesso intreccio di holding, con sede a Cipro o nelle Isole Vergini Britanniche. La più vecchia tra le società europee dei Bidilo è un’immobiliare con sede in Repubblica Ceca, la Bizeni spol sro, esistente dal 1995, che nell’ottobre 2020 è stata messa in liquidazione per ordine di un giudice.

Le attività e gli esercizi riconducibili a Igor Bilido in Italia

Le attività e gli esercizi riconducibili a Igor Bilido in Piazza del Campo a Siena

Le operazioni tra Caiata e Staffieri

«Abbiamo investito 30 milioni e ce ne sono altri 40 sul piatto», diceva al Sole 24 Ore Cataldo Staffieri, manager tra i dodici indagati per attività di autoriciclaggio, in occasione dell’acquisto dello storico marchio del caffè senese Nannini nel 2018. Il 2018 è l’anno chiave dell’operazione degli investitori, nonostante già dal 2015 alcuni rami d’azienda fossero già confluiti in Sielna.

Il piano industriale presentato nell’ottobre 2018 per il rilancio dello storico marchio cittadino aveva progetti ambiziosi: nuove aperture di ristoranti, accordi con marchi storici, la produzione di pasta, caffè e dolci in 50 punti vendita in Europa, da sommare ai dodici caffè e ristoranti storici del gruppo tra Siena, Roma e Milano, a cui aggiungere un pacchetto da duecento assunzioni in due anni. Così i locali di altri due negozi storici di Piazza del Campo, uno di scarpe e uno di ottica, Mazzuoli e Colombini, erano stati acquistati per realizzare il nuovo bar e il nuovo ristorante della nuova era Nannini. Il capitale sociale, quell’anno, diventa significativo: 4,9 milioni di euro.

Il bilancio del 2019

Nel bilancio 2019 di Sielna si leggono numeri confortanti: con un utile netto di 270.000 euro (85.000 nel 2018) e un patrimonio di 15 milioni e 3 milioni di euro di ricavi, si possono pensare politiche di espansione aziendale, dopo che ormai la “riorganizzazione delle società” si è conclusa a dicembre. Caffetterie Nannini srl gestisce la quasi totalità dei bar e dei ristoranti in piazza del Campo ed è la principale delle controllate, con un fatturato di 7 milioni di euro. Le altre, per un valore a bilancio di oltre 19 milioni sono: Dolci Nannini srl, Toskan srl (specializzata in pulizie), Caffetterie Nannini Italia srl, Barton srl,(affitto aziende), Scudieri International srl (bar e ristorazione, 90% delle quote), più altre società coinvolte nel settore turistico, alcune in liquidazione dopo essere state protagoniste di alcune operazioni individuate dalla Guardia di finanza di Siena con Staffieri e Caiata.

L’operazione Caffè Nannini fornisce alcuni indizi riguardo le operazioni che portano avanti insieme Bellandi, Staffieri, accusato di aver introdotto Bidilo nei salotti senesi anche con l’aiuto di qualche mazzetta, per poi aiutarlo in operazioni di autoriciclaggio, e l’onorevole Salvatore Caiata.

Originario di Potenza e presidente della società dilettantistica del Potenza Calcio dal 2017, Salvatore Caiata ha cominciato il suo rapporto con Siena ai tempi dell’università, quando studiava scienze economiche nell’ateneo locale. Da imprenditore, si è guadagnato il soprannome di “padrone di Piazza del Campo” grazie alle diverse attività che ha acquisito.

A Siena è cominciato anche il suo percorso in politica, nel 2009, con l’allora Popolo delle Libertà. Nel 2018 è stato eletto nonostante il partito con cui si era candidato, il Movimento Cinque Stelle, lo avesse espulso a due settimane dal voto per aver omesso di di dichiarare un’indagine a suo carico per riciclaggio. Archiviata nel 2018, la stessa inchiesta tre anni dopo ha dato origine all’operazione Hidden Partner.

L’operazione Caffè Nannini fornisce alcuni indizi riguardo le operazioni che portano avanti insieme Bellandi, Staffieri e l’onorevole Salvatore Caiata

Nonostante gli intoppi giudiziari, Caiata è entrato in Parlamento nel Gruppo Misto, poi nel gruppo Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all’Estero-Sogno Italia e infine, dal 2019, è approdato a Fratelli d’Italia, suo attuale partito. A seguito della notizia dei sequestri e arresti di Hidden Partner, Caiata ha annunciato le dimissioni da coordinatore per la regione Basilicata del partito guidato da Giorgia Meloni, per quanto abbia dichiarato di non essere «mai stato incriminato» e che l’indagine è già stata archiviata.

Dai riscontri della prima inchiesta era già emerso il suo stretto rapporto con Staffieri, presente in alcune società coinvolte nelle compravendite senesi e manager rappresentante per Umbria e Toscana del Gruppo “La Cascina”, la cooperativa romana che gestisce mense e servizi di ristorazione legata alla Compagnia delle Opere e poi coinvolta nell’inchiesta Mafia Capitale (l’interdittiva antimafia a carico del gruppo è stata revocata dal Tribunale di Roma nel 2016). A La Cascina è legato anche il terzo socio di Sielna, Constantin Catalin Maxim: nel 2013 risulta aver presentato per la Vivenda (Gruppo La Cascina) i documenti per un appalto riguardante le mense comunali in Toscana.

Per quanto pubblicamente negassero di muoversi insieme, Caiata e Staffieri avevano già fatto parte della cordata per salvare il Siena calcio nel 2014 e iscriverlo al campionato di Serie D: la società di salvataggio, Siena srl 2019, era stata registrata da Caiata e il suo liquidatore ad oggi risulta essere Cataldo Staffieri.

Il rapporto di Caiata con Bidilo, invece, è cominciato nel 2017 con la cessione della villa di Monteriggioni per quattro milioni di euro. Nel luglio di quell’anno l’imprenditore aveva convocato una conferenza per annunciare che avrebbe lasciato Siena, definendosi «deluso» dalla città. Poche settimane dopo, a Potenza, si era presentato come patron della squadra cittadina, a testimonianza della nuova casa ritrovata. Poi però in un video messaggio del 23 aprile 2020, Caiata tuonava contro il governo e il lockdown: «Il mio ristorante in piazza del Campo non riaprirà prima di marzo del prossimo anno ma ad ora non abbiamo possibilità di rimanere aperti». Siena, alla fine, non l’ha mai lasciata davvero.

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Insieme a Staffieri, Caiata dal 2017 avrebbe messo a disposizione alcune società per appropriarsi in modo fraudolento di capitale che in realtà apparteneva a Sielna, secondo gli inquirenti. Una parte del provento di queste operazioni, sotto forma di prestito, viene impiegato da Caiata per l’acquisto di immobili.

La bolgia dei barattieri

Nella discesa agli inferi che raccontano i giudici nell’ordinanza, Vincenzo Del Regno sarebbe collocato nella bolgia dei “barattieri”, coloro che «avendo un ufficio, si fanno corrompere per denaro o altra ricompensa», da definizione dell’Enciclopedia dantesca. Nel 2019 è stato eletto giudice della Corte dei Conti per la Toscana, a compimento di una più che decennale carriera nella pubblica amministrazione in qualità di segretario generale di dodici Comuni (tra cui Lecco, Siena, Genova e Firenze) oltre che, fino al dicembre 2019, membro della Deputazione generale della Fondazione Monte dei Paschi, ente benefico della banca che finanzia progetti culturali e sociali sul territorio.

«Un uomo nostro», lo ha definito Cataldo Staffieri in una conversazione intercettata con Andrea Bellandi, il quale replicava che Del Regno «va onorificato», frase interpretata dai giudici come una promessa di mazzette. Conversazioni intercettate poco dopo la nomina alla Corte dei Conti, lasciano intendere secondo gli inquirenti un interessamento del gruppo per migliorare le loro posizione in appalti di vario genere per Estra o Toscana Energia, gruppo Eni. «Si può parla’ con tutti e due», è stata la risposta di Dal Regno alla richiesta dei sodali.

L’ultimo dei soci

A dicembre 2020, Sielna ha accolto l’ultimo membro del consiglio di amministrazione. Denis Milovidov è kazako come Bidilo e ha preso il posto di Constantin Maxim come presidente. Residente da tempo in Svizzera con il resto della famiglia, risulta domiciliato a Roma, come Bidilo. Da quando ha vent’anni lavora nel settore bancario e tra i ruoli più prestigiosi che ha ricoperto, tra il 2010 e il 2012, c’è stata la vicepresidenza della banca Petrokommerz Bank, del gruppo fondato nel 2003 dalla compagnia petrolifera Lukoil che nel 2015 si è fuso con la banca Oktritie, nazionalizzata nel 2017 (link a Rosneft o Lazareva). Lukoil, insieme a Bashneft, è tra i principali fornitori delle società di trading petrolifero di Igor Bidilo. L’abitazione moscovita di Milovidov, scrive Kommersant nel 2017, è stata perquisita a seguito dell’indagine su un prestito da 40 milioni di dollari concesso nel 2012 a favore dell’imprenditore ed ex politico Vadim Varshavsky. Quest’ultimo è accusato di appropriazione indebita per aver usato la banca come una carta di credito, senza restituire quanto preso in prestito, accusa sempre smentita dal diretto interessato. Sempre nel 2017 una corte arbitrale russa ha dichiarato il fallimento di Denis Milovidov a seguito dei debiti con un’altra banca a cui è stata sospesa la licenza nel 2015, Metrobank . Milovidov sembra essere ancora agganciato al mondo della Otkritie pre-nazionalizzazione: risulta proprietario di una società russa, Petrovka Capital Llc, di cui esiste anche una versione monegasca. Aperta nel Principato nel 2017, è stata chiusa l’anno successivo. Come liquidatore e, in precedenza, amministratore, nei documenti commerciali di Monaco risulta Dimitry Romaev, ex dirigente della Otkritie.

Secondo la ricostruzione della procura, Del Regno avrebbe ottenuto da Bidilo e la sua schiera l’usufrutto di una casa, una plusvalenza di 70mila euro dalla compravendita di un immobile, una fornitura per una società di cui è definito «socio occulto» e un pc. Regalie dovute all’impegno a ottenere dei documenti per l’inizio dei lavori nella casa di proprietà della moglie di Bidilo a Roma, gli appalti per le pulizie delle farmacie gestite da una società controllata dal Comune di Firenze, per aver raccolto informazioni utili all’acquisizione degli storici bar Giubbe Rosse e Scudieri a Firenze.

Non è l’unico pubblico ufficiale coinvolto nelle indagini. Il presidente della Camera di commercio di Siena e Arezzo nonché consigliere di amministrazione della finanziaria a partecipazione pubblica Cooperazione finanza impresa (Cfi) Massimo Guasconi avrebbe permesso al gruppo di Bidilo, secondo gli inquirenti, di accedere a diverse linee di credito a fondo perduto e condiviso informazioni riservate. In cambio avrebbe ottenuto 300 mila euro per la compravendita di un’azienda di sua proprietà sommersa dai debiti.

 

In una versione precedente abbiamo indicato Massimo Guasconi come Luciano Guasconi. Correggendo l’errore ci scusiamo con i lettori.

Ultimo aggiornamento: 24 marzo 2021

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Lorenzo Bagnoli
Sara Lucaroni

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Lorenzo Bodrero

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Luca Rinaldi

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Cristina Gottardi/Unsplash