Il mistero della cocaina scomparsa dalla petroliera Nehir
02 Aprile 2023 | di Giovanni Soini
Èil 15 febbraio 2023 quando un gruppo di sommozzatori della Guardia Civil spagnola ispeziona una petroliera ancorata da due anni nel porto di El Musel, a Gijon, nella Spagna settentrionale. Con l’aiuto della vigilanza doganale della regione delle Asturie e della polizia di Stato, gli agenti cercano circa 1,6 tonnellate di cocaina, che dovrebbero trovarsi all’interno del relitto da quasi due anni. La droga, però, non c’è. Era stato il comandante della nave, la petroliera Nehir, a rivelarne l’esistenza, dopo essere finito a processo.
Il 31 marzo, il Tribunale nazionale – Audiencia Nacional in spagnolo, la corte con sede a Madrid che si esprime sui reati più importanti – ha condannato ognuno dei nove membri dell’equipaggio – turchi e georgiani – a nove anni e due mesi di carcere. La Corte ritiene che tutti fossero consapevoli di trasportare droga. La condanna prevede l’espulsione dal Paese con divieto di rientro per dieci anni, purché abbiano scontato i due terzi della pena. È stata poi aggiunta una multa da 150 milioni di euro per il carico, il cui valore stimato è di quasi 76 milioni di euro: la pubblica accusa considera gli imputati autori di un delitto contro la salute pubblica e appartenenti a un gruppo criminale.
La condanna non ha riguardato l’armatore della Nehir, nonostante fosse tra gli imputati. Non è chiara la sua attuale posizione processuale. Si conosce però qualche controversa operazione nella quale è stato coinvolto anche prima dell’ultimo viaggio della Nehir.
I misteri della Nehir/El Hiblu
Operazione Bocanegra
L’operazione denominata Bocanegra scatta all’alba del 22 febbraio 2021: il Nehir, lungo 52 metri e battente bandiera della Repubblica di Palau, si trova al largo delle coste galiziane ormai da quattro giorni in preda al maltempo quando viene avvicinato dalla Guardia Civil a 90 miglia nautiche da Lugo. La Brigata Centrale Narcotici (Udyco) della polizia spagnola è stata allertata dai colleghi colombiani a proposito di una nave che, dopo essere partita due mesi prima dal porto di Tuzla, in Turchia, e aver raggiunto il porto mauritano di Nouadhibou, già noto alle cronache per sequestri di cocaina, ha staccato ogni localizzatore, raggiungendo quindi le coste colombiane e surinamesi per poi tornare in Europa, risalire la parte occidentale della penisola iberica e fermarsi all’ingresso del Golfo di Biscaglia.
Anche i colleghi galiziani di Pontevedra hanno captato qualcosa: un’organizzazione di narcos galiziani, il clan di Vilagarcía – che prende il nome dalla città portuale galiziana dove ha sede, Vilagarcía de Arousa – è in attesa di un carico dalla Colombia. Le indagini portano a pensare che si tratti proprio del carico contenuto all’interno del Nehir. Il gruppo dovrebbe occuparsi della fase di trasbordo, durante la quale si trasferisce il carico dalla nave “madre” a barche più piccole, per poi distribuire la merce sulla terraferma. Quei giorni, però, il mare è in tempesta. Forse è per questo motivo che i galiziani non si fanno vedere, lasciando la nave in balia delle onde al largo di Ribadeo. Così, vista la situazione di stallo, la Serviola, una corazzata della marina militare, irrompe insieme ad un elicottero e quattro motovedette, su autorizzazione del Tribunale nazionale.
Al momento dell’abbordaggio, il Nehir naviga a luci spente e tutti i membri dell’equipaggio sono sul ponte. Mentre gli agenti scelti del Grupo Especial de Operaciones (Geo) della polizia, si avvicinano alla petroliera, si accorgono che la nave si sta inabissando: qualcuno dell’equipaggio ha scelto di farla affondare, attivando un meccanismo che in poco tempo riempie le camere stagne d’acqua. I nove membri dell’equipaggio non oppongono resistenza quando gli uomini del Geo salgono sulla petroliera portandoli in salvo e recuperando 92 balle di cocaina, contenenti in tutto 1.837 chili di polvere bianca.
Giunto a terra, è il comandante della nave a informare gli agenti che l’altra parte del carico è rimasta a bordo. La nave è semi-affondata al largo e rimane parzialmente a galla per qualche giorno, sorvegliata affinché non disperda in mare il carburante rimasto. Verrà in seguito trainata fino al porto di Gijon per i rischi che comportava la sua presenza per la navigazione nell’area.
La cocaina fantasma
È qui che, due anni più tardi, i sub della Guardia Civil perforano senza risultato la prua della nave alla ricerca della cocaina mancante. Per accertare definitivamente la presenza del carico e assicurare che il carburante non si disperda in mare, il relitto viene sollevato, svuotato del combustibile e capovolto sotto gli occhi della ministra della Giustizia, la socialista Pilar Llop, che pochi giorni prima ha richiesto la dichiarazione d’urgenza sull’operazione al Consiglio dei ministri spagnolo ottenendo lo stanziamento di 776.069,80 euro per l’intervento e la successiva demolizione. Anche questa volta però, della cocaina non c’è traccia.
Il clan di Vilagarcía
Secondo quanto ha scritto il giornale Diario de Pontevedra nell’agosto 2022, il gruppo di narcotrafficanti noto come clan di Vilagarcía è in grado di portare in Europa circa 10 tonnellate di cocaina all’anno. Nato nella zona costiera Rías Baixas in Galizia, ne farebbero parte trafficanti di diverse provenienza, tra cui anche italiani. Il clan in questi anni avrebbe stretto rapporti con la ‘ndrangheta e con la mocromafia, l’organizzazione criminale particolarmente radicata nei Paesi fiamminghi con la quale lavorava anche il narcos Raffaele Imperiale. Eppure l’organizzazione mostra qualche cedimento da quando, nel 2021, è stato arrestato uno dei suoi boss, Carlos Silla Otero, mentre veleggiava su un’imbarcazione carica di droga di fronte alle coste del Portogallo. Figlio di un avvocato, un passato da sommelier, Silla Otero è stato al vertice dell’organizzazione, che era in grado di importare cocaina proveniente da Colombia e Venezuela attraverso yacht, barche a vela e alianti, riporta El Espanol.
Le spiegazioni possibili a questo punto sono o che la quantità di droga a bordo fosse inferiore, oppure che qualcuno sia riuscito a recuperarla. Nel caso della seconda ipotesi, non è chiaro quando possa essere successo e chi possa essere stato, tenendo conto che il relitto è rimasto sotto sorveglianza 24 ore al giorno per due anni nel porto di El Musel, circondato da una barriera per evitare la fuoriuscita del carburante. Ad avvalorare l’ipotesi del furto è un’indagine svolta dall’Unità operativa centrale (UCO) della Guardia Civil, a quasi un anno dal sequestro. Gli agenti avrebbero seguito una banda di baschi capeggiata da Ibon A.M., alias Cristalero (così i media spagnoli riportano le sue generalità, ndr), arrestato nel 2011 dalle autorità rumene e dalla Drug Enforcement Agency (Dea) degli Stati Uniti per una partita di 150 chili di cocaina spedita dalla Bolivia in un carico di legname. I narcos stavano preparando un’incursione al relitto del Nehir nel gennaio 2022, quando provvisti di gommone e attrezzatura subacquea si trovavano nella vicina spiaggia di Llumeres. All’improvviso, probabilmente accorgendosi di essere seguiti, fuggirono precipitosamente, lasciando la barca alla deriva.
Le versioni discordanti dell’equipaggio
La grande petroliera porta con sé una serie di misteri, sia sul carico sia sulla consapevolezza dell’equipaggio rispetto a ciò che la nave stava trasportando. La ricerca della metà mancante del carico si basa principalmente sulla dichiarazione del comandante turco, il quale ha fornito la sua testimonianza riguardo tutta la spedizione, spiegando a processo al Tribunale nazionale, incaricato di crimini relativi al narcotraffico, di «essere stato assunto da un connazionale per andare in Sudamerica, caricare la droga e portarla in Europa».
Da subito però, le versioni fornite al giudice da parte dei vari membri dell’equipaggio sono contrastanti. Secondo il comandante tutti sapevano che si trattava di un affare illegale: il mandatario della spedizione, che non è stato localizzato, aveva promesso loro un pagamento «tra i 50 mila e i 60 mila dollari a testa, oltre alla busta paga del mese, che era di oltre duemila dollari». Non hanno però riferito lo stesso altri cinque membri dell’equipaggio, che hanno dichiarato di non sapere di trasportare cocaina.
Sempre secondo il comandante, la nave avrebbe lasciato la Turchia nel dicembre del 2020 e navigato per più di un mese fino a quando non avrebbe ricevuto due carichi di cocaina in alto mare, uno al largo della Colombia e l’altro nei pressi del Suriname. «L’abbiamo caricata sulla nave con l’aiuto delle gru di un’altra imbarcazione», ha spiegato il comandante in aula. Dal Sudamerica si sarebbero poi diretti in Mauritania, dove avrebbero cambiato bandiera e numero identificativo del servizio mobile marittimo, oltre a disattivare il sistema di identificazione automatica.
«L’idea era che in un punto imprecisato tra il Portogallo e la Galizia, i motoscafi sarebbero venuti a ritirare la droga, ma non si sono presentati», ha continuato il comandante. Così i membri dell’equipaggio, vedendosi braccati dalle forze di polizia, hanno cercato di affondare la nave, provocando il rapido allagamento di tutti i compartimenti, con l’intenzione di non lasciare alcuna traccia del carico. Uno dei membri dell’equipaggio ha riferito però di non aver avuto mai accesso alla stiva di prua o al serbatoio dell’acqua, luoghi in cui sarebbero stati custoditi i sacchi di cocaina. «Quando tutto si è complicato, hanno minacciato di uccidere i nostri parenti», ha poi aggiunto.
Altri marinai hanno anche riferito di essere stati privati dei telefoni cellulari dal comandante. Riguardo invece al parziale affondamento della nave durante l’arresto, un altro marittimo ha spiegato che la petroliera aveva già avuto problemi tecnici, per cui avevano dovuto ripararla in mezzo al mare più volte durante la traversata.
I dubbi sul ruolo dell’armatore
Nel marzo del 2019, la Nehir si chiama El Hiblu 1. È stata costruita cinque anni prima dal cantiere turco Argem Tersanecilik Turizm Sanayi e da meno di un mese è proprietà dell’armatore libico Salah El Hiblu, che impiega il mercantile nel trasporto di carburanti. La El Hiblu 1 si trova a soccorrere 108 migranti a largo della Libia: da quell’episodio nasce un processo a carico di tre migranti, all’epoca minorenni, accusati di aver preso il controllo della nave e di averla dirottata. Il nome della nave battezza anche la campagna internazionale El Hiblu 3, lanciata da Amnesty International in opposizione all’accusa di ergastolo mossa contro i tre migranti. La nave, in seguito, resta ferma per più di un anno finché, a settembre 2020, la El Hiblu 1 viene ribattezzata Nehir, ma la proprietà non cambia. A dicembre torna a solcare il Mediterraneo partendo dal porto di Tuzla, vicino Istanbul, e intraprende il viaggio che già conosciamo.
Al processo di Madrid anche il proprietario e noleggiatore per l’ultimo viaggio della Nehir, Salah El Hiblu, compare nella lista degli imputati, ma nonostante le ripetute convocazioni come persona coinvolta nel caso, non si presenta mai in aula. Non è chiaro quale sia la sua attuale posizione processuale.
Rimangono quindi misteriose le circostanze relative alla proprietà della nave, tra cui l’assunzione delle persone a bordo, la rotta che la nave avrebbe dovuto seguire e il carico che avrebbe dovuto trasportare.
Salah Ali Mohammed El Hiblu è un uomo d’affari libico, che ha interessi non solo nel settore dei trasporti marittimi, ma anche in quello dei servizi per il comparto petrolifero.
Chi aspettava il carico di droga del Nehir
Si è invece scoperto chi c’era dietro la consegna della cocaina: si tratta del narcotrafficante marocchino Fikri Amellah, arrestato a Barcellona il 14 dicembre 2021 dopo mesi di indagini e dopo essere sfuggito a numerose catture. Gli agenti lo trovano nel salotto di casa sua a Poble Sec, quartiere periferico di Barcellona, mentre con cinque telefoni gestisce contemporaneamente diverse operazioni in mare. Nella stessa operazione Mvrand I altre 16 persone vengono arrestate, con il sequestro di circa un milione di euro in contanti, tre milioni di euro di gioielli e 10 auto di lusso. L’operazione, condotta da Europol con la collaborazione della gendarmeria francese, della polizia belga e della Dea americana, ha poi un seguito il 15 novembre 2022 con l’operazione Mvrand II, che completa lo smantellamento dell’organizzazione criminale di Fikri. Durante l’intera indagine è stato verificato che questa organizzazione era tra le principali reti importatrici di hashish in Spagna.
Fikri Amellah, il Muhammad Alì del narcotraffico
Al momento dell’arresto a Barcellona nel dicembre 2021, Fikri è attivo nel narcotraffico da almeno vent’anni. Il suo soprannome è Alì, probabilmente un tributo per il pugile, Mohammed Alì. Gli investigatori del gruppo antidroga dell’Unità operativa centrale della Guardia civile (Uco) lo trovano «sdraiato sul divano con cinque cellulari, a coordinare varie operazioni in alto mare, e una cartella piena di appunti su spedizioni di droga, raccolta balle, gommoni, fusti di benzina, candele di motori e logistica in generale». Da più di un anno si è trasferito vicino alla famiglia dalla sua casa di Sotogrande (Cadice), dopo essere scampato a una retata della polizia che ha portato all’arresto di Antonio Tejón, fratello di Francisco (Isco) Castaña: i due sono conosciuti come Los Castaña e descritti come “i re dell’hashish” in Spagna, capi di uno dei principali clan di narcotraffico in Spagna. Tra i fornitori di Fikri, in qualche caso c’è stato anche il clan di Vilagarcía, a quanto risulta finora soprattutto con carichi di cocaina.
Fikri, prima di diventare uno dei principali importatori di hashish in Spagna, è stato un giovane pescatore di Al Hoceyma, una città costiera situata nella regione del Rif, in Marocco. Insieme all’amico Adil Adbib detto “Capuchino”, diventato poi suo luogotenente e braccio destro, da adolescente scala tutti i gradini del business: inizia come facchino, caricando l’hashish sui gommoni che fanno la spola tra le coste marocchine e quelle spagnole di Gibilterra, diventando poi pilota e dopo qualche anno proprietario di una rete di magazzini in cui custodire i carichi in Marocco.
Fikri si specializza nell’organizzazione della logistica per il trasporto di grandi quantità di hashish dall’Africa alle acque internazionali vicine alla Spagna, dove vengono consegnate ad altre organizzazioni, incaricate di introdurre la merce nella penisola. Dopo anni di pratica, l’uomo inizia ad utilizzare i canali dell’hashish «per contrabbandare cocaina» dicono gli inquirenti, sempre utilizzando la cosiddetta rotta africana, con carichi di droga provenienti dall’America Latina ma che entrano attraverso Paesi molto più a sud del Marocco, per poi risalire via terra o via mare fino alle coste marocchine cercando di raggiungere l’Europa, aggirando la tradizionale e diretta rotta atlantica.
Un anno dopo l’operazione Mvrand I in cui Fikri viene arrestato, scatta l’operazione Mvrand II, in cui viene arrestato a Malaga anche il suo amico d’infanzia Adil, accusato di aver preso le redini dell’organizzazione dopo la prima retata.
Le due parti dell’operazione svelano un solido sistema di riciclaggio. Il denaro era gestito da una rete di persone a Dubai, dove il gruppo criminale disponeva di diversi sistemi per farsi restituire il denaro della droga, già riciclato. «A titolo di esempio, è stato confermato come da quell’Emirato inviassero “muli” che trasportavano orologi di grande valore economico in Spagna, alcuni dei quali da collezione e il cui valore di mercato raggiungerebbe prezzi più elevati di 800.000 euro», scrive la Guardia Civil nel comunicato stampa che fa seguito all’operazione. Per riciclare avevano acquistato anche yacht di lusso e utilizzato società nel Regno Unito, Belgio, Germania, Francia, Italia, Irlanda e Turchia.
L’organizzazione è stata collegata allo smercio di 117 mila chili di hashish e 3.359 di cocaina, di cui 4.360 chili di hashish a San Pedro de Pinatar (Murcia), 1.355 chili cocaina a Tangeri, in Marocco, 1.003 chili di hashish in Francia e altri 15 mila di hashish a Huelva, tutti tra giugno e ottobre 2021. Successivamente si è appreso anche che Fikri, ancora in libertà all’epoca del sequestro del Nehir, aveva contattato diverse organizzazioni criminali in Spagna per recuperare la droga, tra cui si suppone ci fosse anche la banda di baschi capeggiata da Ibon A.M., alias Cristalero, ossia la banda che avrebbe anche cercato di recuperare il carico nel gennaio 2022.
Foto: La carcassa della Nehir attraccata al porto di El Musel a Gijon (Spagna) lo scorso febbraio durante le operazioni di ricerca dei narcotici – Jorge Peteiro/Getty
Editing: Lorenzo Bagnoli
Infografiche: Lorenzo Bodrero