Gli ultimi di Tarkwa Bay

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Gli ultimi di Tarkwa Bay

Lorenzo Bagnoli

Agala Ajebo Onisiwo è una minuscola isola ai bordi della baia di Lagos. Sta incagliata tra il molo di Apapa, uno degli snodi portuali della capitale economica della Nigeria, e Tarkwa Bay, comunità aperta sull’oceano Atlantico, dove esiste da tempo una piccola industria del turismo.

Oggi è off limits: la Marina militare ha sgomberato le comunità che la abitavano dalla Seconda Guerra mondiale e non vogliono che nessuno si avvicini. Erano case fatiscenti, poco più che baracche, ma erano tutto per gli abitanti di una comunità dove aveva sede anche una scuola e una chiesa evangelica. Tutto distrutto. I reduci si sono spostati poco più a nord, nel primo lembo di terra, fango e acquitrini dove hanno trovato un po’ di pace. Almeno per ora.

Ci si arriva solo in piroga, dal molo che affaccia su Marina Road, in una delle zone dove si stagliano più alti i grattacieli della locomotiva dell’Africa occidentale. Si passa in mezzo a enormi petroliere e navi cargo, minuscoli. Dalle acque agitate dal traffico della laguna, si approda all’immobile Badagry Creek. Vegetazione bassa, sabbia, rifiuti: sull’isola ci saranno circa 150 persone, suddivisi in tre agglomerati. Il punto di riferimento è il baobab all’ombra del quale i pescatori si passano la sbobba di giornata, in una ciotola. I bambini razzolano insieme alle capre, le donne cercano di ripararsi dentro una specie di gazebo.

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Un momento della protesta dello scorso 28 gennaio – Foto: Lorenzo Bagnoli/IrpiMedia
«Non capiamo cosa stia succedendo. La marina militare ci ha accusato dei furti di petrolio, ma le autorità non hanno mai considerato di parlare con i nostri capi. Ci hanno minacciato, hanno anche sparato a un uomo che è ancora in ospedale»
Saheed Onisiwu

Delegato del re della comunità di Tarkwa Bay

C’è miseria: gli averi di tutti gli abitanti sono accatastati in uno spiazzo accanto all’unica struttura rimasta in piedi, i bagni. Da novembre 2019 a febbraio 2020 decine di migliaia di persone sono state sfrattate da questa e da altre 22 comunità sparse intorno alla laguna di Lagos, stimano gli stessi residenti. Solo da Tarkwa Bay il 21 gennaio sono stati cacciati in 4.500. Il 70% degli abitanti di Lagos vive in condizioni abitative simili.

Dalla Dubai di Lagos agli ultimi di Tarkway Bay

Sull’altra sponda del canale di Lagos, però, sorge quella che dovrà essere la città del futuro: Eko Atlantic City, 10 chilometri quadrati di cantiere dove sorgeranno uffici, appartamenti di lusso e un mega distretto commerciale. I poveri della laguna dovranno farsi da parte: dove abitavano loro dicono che sia previsto l’allargamento di un porto e la costruzione di altre strutture per i residenti di Eko Atlantic City. Questo sviluppo urbano era pensato in principio allo scopo di proteggere l’isola di fronte a Eko Atlantic, chiamata Victoria e cuore commerciale di Lagos, dalle piene marittime che l’hanno spesso allagata in questi anni.

Ma sono molte le voci critiche secondo cui Eko Atlantic proteggerà solo l’isola di Victoria, veicolando le piene dell’oceano nelle zone dove vivono le comunità più povere, che non hanno infrastrutture che le possono difendere. Dall’ufficio stampa di Eko Atlantic, sostengono di aver passato a pieni voti la valutazione d’impatto ambientale e soprattutto smentiscono categoricamente ogni possibile implicazione con gli sgomberi. «Non sono terreni nostri», spiegano. Secondo gli sfrattati, il governo ha usato la scusa dei danni agli oleodotti per cacciarli. Ma i movimenti che difendono i diritti delle comunità locali, sostengono che il motivo sia il valore commerciale di quei terreni, in particolare intorno a Eko Atlantic City. Si sentono come in un incubo, cominciato la scorsa vigilia di Natale.

«Vivo come un profugo nel mio stesso Paese. Mi sveglio al freddo, senza nulla da fare, senza il mio negozio. Guardami – dice con lo sguardo fisso Aremo Solomon Adewnmi, 34 anni, fino a gennaio gestore di un piccola drogheria della comunità di Tarkwa Bay -. Sono un disabile (è zoppo, ndr). Vorrei comunque lavorare, ma il governo di Lagos me lo impedisce». Reclama il diritto a un tetto, seppur di lamiera. Reclama il diritto di esercitare una professione, seppure in luogo dove non arriva nemmeno l’elettricità e i generatori, quando c’erano, ronzavano senza sosta. «Il governo vuole che diventi un criminale, un ladro di petrolio. Ma qui da noi non si fa». Il riferimento è ai gruppi criminali che nella zona del Delta del Niger impazzano rubando petrolio almeno dagli anni Novanta, ma da queste parti non è mai avvenuto. Eppure è la scusa ufficiale con cui Aremo Solomon stato cacciato dalla sua casa.
Slum e sgomberi, cronistoria minima

Le operazioni di sgombero, coordinate dallo Stato di Lagos e svolte operativamente da marina militare o forze di polizia, hanno sempre avuto pochissime ore di preavviso e non hanno poi portato alcun ricollocamento delle persone, secondo quanto riportano le organizzazioni nigeriane che si occupano di sfratti. Questi i principali casi in cui è stata coinvolta la Justice empowerment initiative:

  • Le conseguenze dello sgombero di Maroko (1990): il primo sfratto di una comunità informale per «motivi ambientali»: 300mila persone sono state costrette a lasciare le abitazioni per il pericolo di finire inghiottiti dalla marea. La legge imporrebbe un ricollocamento, che però non è mai avvenuto. L’area di Maroko sorge in una delle zone dove ci sono stati i maggiori sviluppi urbani della città. Ha subito un secondo sgombero nel 2012. Qui il ricorso di un’organizzazione locale alla Corte africana per i diritti dell’uomo, con sede in Gambia.
    Makoko (2012): Lo sgombero ha colpito 30mila persone. Riporta Landportal.org, sito che monitora i casi di landgrabbing nel mondo, che Makoko è stato uno dei nove slum finanziato con 200 milioni di dollari dalla Banca mondiale. I fondi obbligano le autorità nazionali a sviluppare progetti insieme alla comunità, circostanza che invece non si è verificata.
  • Badia East (2013): La comunità coinvolta aveva 9mila abitanti. L’area è inserita all’interno di Apapa, complesso urbano che comprende il più importate porto di Lagos. Amnesty International, a sei mesi dallo sgombero, denunciava l’assenza di ricollocamenti. Badia East era un altro slum beneficiario dei fondi della Banca mondiale. Un report interno dell’istituto con sede a Washington del maggio 2012 ammetteva: «C’è un aumento nel numero di progetti [finanziati] che innescano politiche di ricollocamento». “Ricollocamento” che in realtà non si è poi verificato.
  • Otodo-Gbame (2017): il caso dove le operazioni sono state più violente. Negli sgomberi, che hanno coinvolto almeno 5mila persone, sono morti in 11 e altri 17 sono da allora dispersi, spiega Amnesty International in un rapporto di aprile 2017. Il governo ha accusato la comunità di offrire un rifugio per i criminali. Bbc riporta che a giugno 2017 la Corte di Lagos ha emesso una sentenza in cui ha definito lo sgombero «incostituzionale» e obbligato lo Stato di Lagos a risarcire e ricollocare le vittime.
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Opl 245, fine dei processi per Eni e Shell

Assolte in via definitiva a Milano, incassano verdetti favorevoli anche altrove. Non è stata corruzione internazionale. E la procura generale di Milano dice che «portano ricchezza» alla Nigeria

«Non capiamo cosa stia succedendo. La marina militare ci ha accusato dei furti di petrolio, ma le autorità non hanno mai considerato di parlare con i nostri capi. Ci hanno minacciato, hanno anche sparato a un uomo che è ancora in ospedale». Chief Prince Saheed Onisiwu è il delegato del re della comunità locale. Appartiene alla famiglia che regna su questo pezzo di terra da centinaia di anni. Sì, una famiglie reale: in Nigeria al di sotto dell’apparato federale e nazionale esiste un tessuto parastatale che precede l’arrivo dei coloni. Centinaia di regni e califfati suddivisi in comunità. Il Chief, il capo, è un delegato che rappresenta il re in eventi pubblici. Chief Onisiwu è discendente della famiglia regnante sui sette milioni di abitanti, al quale appartengono anche le sei comunità sfrattate a Tarkwa Bay. Nel contesto europeo sarebbe un Paese con una popolazione paragonabile a quella svizzera. «Abbiamo bisogno del progresso, venite, negoziamo le condizioni – grida, in un appello rivolto alle autorità dello Stato di Lagos -. Invece non vi interessa: usate la politica solo per prenderci la terra, l’unica cosa che abbiamo».

Il corteo della manifestazione contro gli sgomberi diretto alla House of Assembly dello Stato di Lagos – Foto: Lorenzo Bagnoli/IrpiMedia

In questo quadro di povertà e abbandono, l’uomo indossa un kembe (abito tradizionale), di seta rosa, molto appariscente, sotto il quale scintillano dei mocassini neri. Un’ampia collana rossa gli pende dal collo fino alla pancia. In mano tiene un borsello e un bastone il cui manico ha le sembianze di una testa d’aquila, dorato. Nonostante l’outfit lascerebbe intendere il contrario, anche lui vive in quell’intreccio di fango e lamiere. Intorno all’erede della famiglia reale la folla mugugna approvazioni. Di chi è la colpa di questa assurda situazione? «Non sappiamo cosa stia succedendo, sappiamo però che qualcosa c’è», dice il capo.
Alcuni momenti degli sgomberi della comunità di Tarkwa Bay – Foto Lorenzo Bagnoli, Omoregie Osakpolor/IrpiMedia . Scorri le immagini

«Ho sentito degli spari in aria. “Cosa succede, cosa succede?” gridavo. Poi ho visto i bulldozer che cominciavano demolire. Volevano che ce ne andassimo in due ore: picchiavano le persone con il koboko (una frusta, ndr) affinché si sbrigassero». Padre Vincent Fayemi, un pastore evangelico di circa 60 anni, è appoggiato a una scrivania insieme ad altri quattro sfrattati di Tarkwa Bay. È un sabato pomeriggio di fine gennaio a Sabo Yaba, un quartiere centrale di Lagos. È venuto qui, alla sede della Justice & Empowerment Initiative (JEI), un movimento che raccoglie gli sfrattati di oltre dieci anni in Nigeria e non solo, per una riunione: stanno organizzando una protesta davanti agli uffici governativi.

«C’è un andamento ciclico negli sgomberi: arrivano allo zero durante le campagne elettorale, per poi aumentare subito dopo. È un momento in cui c’è una riduzione delle spazio per le proteste e i primi su cui il governo si sta rifacendo sono i poveri degli slum che come unica ricchezza hanno la terra»

Megan Chapman

Justice & Empowerment Initiative (JEI)

Insieme agli altri sfrattati, padre Fayemi dorme per strada, anche se la legge prevede che chi subisce uno sfratto venga spostato in qualche nuova struttura e riceva una compensazione per ciò che ha perso. Insieme ai quattro di Tarkwa Bay, ci sono decine e decine di altre persone, che vengono da sfratti precedenti. La più giovane (e timida) del gruppo di Tarkwa Bay è Prudence, che ha intorno ai 18 anni. Studiava in una scuola di comunità per fare la fashion designer. Lagos è una città all’avanguardia nella moda e i mestieri che vanno sempre più sviluppandosi assomigliano molto a quelli a cui aspirano coetanei in Europa o in Nord America. «Ora vivo per strada, anche mangiare è diventato un problema. Non so cosa ci succederà, non abbiamo soldi. Mia madre è una commerciante, ma le hanno distrutto il negozio», racconta nel suo inglese cantilenante, troppo musicale per la durezza della storia che ha da raccontare.

Sgombero continuo

«C’è un andamento ciclico negli sgomberi: arrivano allo zero durante le campagne elettorale, per poi aumentare subito dopo. È un momento in cui c’è una riduzione delle spazio per le proteste e i primi su cui il governo si sta rifacendo sono i poveri degli slum che come unica ricchezza hanno la terra», spiega Megan Chapman. Americana di nascita, vive a Lagos da dieci anni, dove guida JEI, dopo aver lavorato nella cooperazione internazionale. La riunione che conduce sembra una messa evangelica: chi parla si deve alzare in piedi, con una formula declamare a cui il resto dell’uditorio deve rispondere. «Information» grida una donna a cui è stata data la parola. «Power» risponde la folla. Le formule sono diverse, anche in lingua locale. La ritualità aiuta a concentrare l’attenzione su chi sta per parlare e a mantenere un’atmosfera distesa.

Un momento della riunione presso la sede della Justice & Empowerment Initiative (JEI), un movimento che raccoglie gli sfrattati di oltre dieci anni in Nigeria – Foto: Lorenzo Bagnoli/IrpiMedia

Chapman aiuta il movimento sul piano legale: sta conducendo diverse battaglie per pretendere ricollocamento degli sgomberati e compensazione per quanto hanno perso durante le demolizioni. A giugno 2017 il JEI ha ottenuto una sentenza favorevole per la comunità di Otodo Gbame, nella parte nord orientale dell’isola di Victoria, vicino a un altro quartiere di lusso. Sono stati sgomberati tra novembre 2016 e aprile 2017. Le stime dicono che ci abitassero almeno 30mila famiglie. «Le autorità locali hanno fatto appello alla sentenza e la prossima udienza sarà stabilita a giugno del 2021. Nel frattempo usano questa scusa per non ottemperare a quanto stabilito dalla sentenza di primo grado», spiega con un sorriso che tradisce tutta la frustrazione. «Se fosse vero che vogliono combattere i furti di petrolio, che in effetti sono un problema, avrebbero arrestato qualcuno – aggiunge -. Invece no, volevano solo la terra». Eko Atlantic è un intreccio di interessi pubblici e privati: «Anche lo Stato di Lagos ha approvato questo sfratto, ci deve essere un interesse per lo sviluppo dell’area». Nulla però è stato comunicato ai vecchi residenti.

Il 28 gennaio, qualche centinaio di manifestanti sfila da Toll Gate – uno snodo autostradale nella parte settentrionale della città, fino ad Alausa, il quartiere sede dei palazzi governativi. La camminata dura circa un’ora, a bordi delle strade imbottigliate di macchine, come sempre accade nella megalopoli nigeriana. Insieme ai sfrattati, c’è una consistente fetta di persone con disabilità appartenenti a un gruppo che lavora con JEI. Sono venute a esprimere solidarietà. La folla si muove in modo sempre più concitato mano a mano che ci si avvicina alla sede del governo.

Parola chiave: Land grabbing

Il fenomeno del land grabbing si verifica nel momento in cui un pezzo di terra abitato stabilmente da una comunità, spesso informale o povera, viene ripreso con la forza dall’autorità nazionale oppure riassegnato a privati, senza coinvolgere nelle decisioni gli abitanti.

Appena le guardie del palazzo vedono il trambusto, chiudono i cancelli del viale d’ingresso al palazzo del Governo. La reazione immediata è rabbia: qualcuno si appende al cancello, scuotendolo. Dopo qualche ora di stallo, una petizione scritta viene passata oltre le sbarre: la promessa è che nel giro di 24 ore verrà data una risposta ufficiale. Le comunità ancora la aspettano, così le comunità si stanno organizzando per una nuova marcia. 

CREDITI

Autori

Lorenzo Bagnoli

In partnership con

Editing

Giulio Rubino

Foto

Omoregie Osakpolor

Ha collaborato

Kelechukwu Ogu

Con il sostegno di

La Dubai di Lagos, sogno proibito del potere nigeriano

#TheNigerianCartel

La Dubai di Lagos, sogno proibito del potere nigeriano

Lorenzo Bagnoli
Luca Rinaldi

Un cartello politico, economico e finanziario internazionale che si dirama dalla Nigeria agli Stati Uniti passando per il Libano, Dubai, i Paesi Bassi e l’Italia. I suoi interessi sfociano nello sviluppo di un nuovo quartiere degli affari a Lagos: Eko Atlantic City. All’interno del progetto convergono imprenditori stranieri che qui hanno fatto fortuna, ex generali dell’esercito, politici locali e faccendieri. Un filo rosso che va dagli imprenditori di origine libanese Gilbert e Ronald Chagoury all’ex dittatore Sani Abacha fino all’uomo d’affari e leader del partito politico Pdp (all’opposizione oggi) Abubakar Atiku e al suo braccio destro, l’imprenditore italiano Gabriele Volpi. Questo blocco di potere ha saldamente in mano buona parte degli affari dell’emergente Paese africano. I nomi dei componenti sono anche associati ai principali casi di corruzione, appropriazione indebita di fondi pubblici e presunte tangenti che hanno attraversato la Nigeria in anni recenti. Tra questi anche la presunta stecca da 1,1 miliardi di dollari per la licenza petrolifera OPL 245 contesa tra Eni e Shell.
Il processo OPL-245

Il 25 marzo, a Milano, avrebbe dovuto entrare nel vivo un’importante requisitoria dei pubblici ministeri Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro. L’emergenza coronavirus ha imposto il fermo del Tribunale: udienze rinviate a data da destinarsi. Il processo in questione, cominciato a marzo 2018, riguarda il blocco petrolifero nigeriano Opl245. Secondo le ipotesi della procura, la sua assegnazione ad Eni e Shell sarebbe avvenuta nel 2011 attraverso il pagamento di una tangente di circa 1,1 miliardi di dollari, distribuiti poi tra intermediari, politici nigeriani e “retrocessioni” a manager dell’azienda italiana.

Eni e Shell hanno sempre negato ogni condotta illecita Eni ha aggiunto di aver versato il denaro su un conto corrente del governo e aver aderito alle procedure anticorruzione (qui la versione dell’azienda). Secondo quanto risulta agli investigatori milanesi, però, dai conti governativi i soldi sarebbero poi girati ad un’altra galassia di società riconducibili ad alcuni degli attori coinvolti in questa ingarbugliata vicenda. Da qui l’ipotesi di corruzione internazionale. Al centro del caso, la società fondata dall’ex ministro del Petrolio nigeriano ai tempi del dittatore Sani Abacha: la Malabu Oil&Gas di Dan Etete. Il processo è stato innescato dall’esposto depositato a Milano dalle ong The Corner House, Global Witness e Re:Common, con il supporto in Nigeria di Heda (questo il sito dal quale le ong seguono il processo). Indagini connesse al caso si sono svolte o sono in fase di svolgimento in Nigeria, Svizzera, Regno Unito, Paesi Bassi e Stati Uniti.

Lo sviluppo di Eko Atlantic City è iniziato nel 2013 e affidato senza gara a una controllata del gruppo Chagoury, impresa familiare cresciuta fino a contare oggi 20 mila dipendenti, guidata dai fratelli Gilbert e Ronald Chagoury. Il progetto è stato proposto dalla loro South Energyx Development, con sede negli Emirati Arabi. Nati a Lagos nella secondà metà degli anni Quaranta da genitori di origini libanesi, i fratelli Chagoury sono i promotori di Eko Atlantic. Se esiste questo sviluppo immobiliare è perché grazie alla loro rete di contatti tra politici nigeriani e internazionali sono riusciti ad ottenere una concessione della durata di 78 anni.

Secondo una relazione della Nigeria export processing zones authority (Nepza) l’investimento varrà complessivamente otto miliardi di dollari, coperti in gran parte da quattro istituti di credito nigeriani e da due banche internazionali pronte a garantire eventuale mancanze dei primi. Insieme agli Chagoury sull’area lavora un altro imprenditore, l’italo nigeriano Gabriele Volpi, noto in Italia soprattutto perché patron della storica società di pallanuoto Pro Recco e dello Spezia Calcio che attualmente milita in serie B. L’investimento di Volpi, attraverso tre società, Intels, Orlean Invest e Prime Property, ad oggi è di 150 milioni di dollari per la fase uno dello sviluppo.

Gli Chagoury e Volpi sono strettamente legati a pezzi del potere nigeriano, i primi alla famiglia Abacha, il secondo ad Abubakar Atiku. Entrambi sono finiti sotto la lente d’ingrandimento delle autorità americane per aver contribuito a portare fuori dalla Nigeria fondi pubblici di cui si erano indebitamente appropriati i loro padrini politici. Ricostruzioni sempre smentite dai diretti interessati. Tuttavia la commissione permanente del Senato degli Stati Uniti, che per un anno ha approfondito il tema della corruzione nella leadership politica nigeriana, ha messo nero su bianco come «per un periodo di otto anni dal 2000 al 2008» Atiku e la moglie fossero stati in grado di «portare oltre 40 milioni di dollari di fondi sospetti negli Stati Uniti soprattutto attraverso bonifici inviati da società offshore», molte di queste riconducibili allo stesso Volpi. Gilbert Chagoury invece, definito dall’analista esperta di affari africana Philippe Vasset «il guardiano della presidenza Abacha», in seguito alla morte di Sani Abacha nel 2009 ha accettato di restituire circa 300 milioni di dollari sottratti alla Nigeria dal dittatore proprio attraverso la sua rete di imprese.

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Eko Atlantic City, la città galleggiante crocevia di soldi e politica

Fine lavori 2047. Operatività a partire da subito. Una foresta di grattacieli. Fontane, vialoni, boschi verticali. Di fatto Eko Atlantic sarà una zona franca, in grado di produrre un miliardo l’anno di PIL per la Nigeria, ventiseiesima economia mondiale e prima in Africa se si guarda al solo prodotto interno lordo. Una città pienamente indipendente e prossima casa delle grandi compagnie petrolifere e dei ricchi della città, con appartamenti che vanno dai 1.800 ai 3.000 dollari al metro quadro e hotel esclusivi. Cinta da una muraglia protettiva di scogli questa penisola di 10 chilometri quadrati di sabbia dragata dal mare è la scommessa per cacciare la recessione che dal 2014, dopo anni di crescita, condiziona la vita economica del Paese. A questo progetto degno delle ambizioni degli emiri di Dubai ci credono in tanti, prima di tutto l’amministrazione dello Stato di Lagos, che ha dato alla società emiratina dei fratelli libanesi Chagoury una concessione di ben 78 anni sui terreni in gioco.

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L’evoluzione negli anni di Eko Atlantic City dal 2001 al 2019

A questo progetto degno delle ambizioni degli emiri di Dubai ci credono in tanti, prima di tutto l’amministrazione dello Stato di Lagos, che ha dato alla società emiratina dei fratelli libanesi Chagoury una concessione di ben 78 anni sui terreni in gioco

Il progetto è stato approvato, o almeno «pubblicizzato», anche sul piano ambientale, in quanto barriera per fermare l’erosione delle coste di Lagos. Lo studio di impatto ambientale allegato al progetto afferma che «è una soluzione più completa e permanente per affrontare il persistente problema dell’erosione, che è probabile venga esacerbato dal cambiamento climatico e l’incremento di tempeste», che spesso causa morti e alluvioni in queste zone. Da qui, sostiene lo studio, la necessità del progetto della muraglia protettiva di Lagos e di Eko Atlantic City. Tuttavia ci sono altre valutazioni che arrivano a conclusioni opposte, e vedono negli scheletri di grattacieli in costruzione il presagio di una futura Atlantide. Ricorda Quartz Africa in un articolo del 2017 che l’impatto ambientale potrebbe produrre l’effetto opposto per Lagos: a partire dai quartieri poveri che si trovano a livello dell’acqua, senza che nulla li protegga dalle maree, che la muraglia di Eko Atlantic City direzionerà proprio verso di loro. Al momento il recupero della pianura è a buon punto, ma non ancora completa. Dai barchini con cui gli abitanti degli slum fanno spola tra le due sponde della laguna di Lagos, la città riemersa dall’acqua appare lontana dall’essere operativa. Le immagini dal satellite lo confermano: per lo più, Eko Atlantic City, è una distesa di sabbia, 90 milioni di metri cubi per l’esattezza. Visitarla è impossibile: «Apprezziamo l’interesse, ma non rilasciamo interviste in questo momento», taglia corto l’ufficio stampa. I lavori completati a oggi sono le Pearl towers (dove qualcuno già abita), gli scheletri delle tre torri della Azuri Peninsula a sud e dei tre palazzi di Eko Energy City a nord, la Alpha 1 Tower e parte dell’impianto viario.
I numeri del progetto Eko Atlantic City

I ritardi si rintracciano non solo nella crisi dell’economia nigeriana ma anche nella paura che si ha nell’investire in Nigeria dopo la rinnovata attenzione delle autorità locali sul riciclaggio di denaro attraverso progetti immobiliari. Un filone quest’ultimo potenziato dalla campagna anticorruzione del presidente Mohammed Buhari che sguinzaglia con molta facilità gli organi inquirenti salvo poi arrivare a risultati modesti.

I dubbi intorno a questo progetto non sono pochi. Appare impossibile trasformare in un paradiso per ricchi investitori e turisti un’area che giace alla bocca di una laguna grigio-verde, continuamente solcata da petroliere e al centro di un fitto reticolo di oleodotti che pompano greggio verso terra. Per quanto la città stia cambiando a velocità forsennata, il sogno di diventare una nuova Dubai è ancora lontano dal realizzarsi. E quelli che rischiano restare esclusi, come gli sfrattati della comunità dalla parte opposta della laguna di Lagos, a Tarkwa Bay, sono la netta maggioranza dei 22 milioni di abitanti di Lagos: le disparità sociali sono evidenti.

L’irresistibile ascesa degli sviluppatori di Eko Atlantic

Sia i fratelli libanesi Chagoury sia l’italiano Volpi iniziano la loro ascesa negli anni in cui a guidare la Nigeria era il generale Babangida, insieme al suo vice, il generale Sani Abacha. Quest’ultimo nel 1993 diventò presidente con un colpo di Stato e la storia ha archiviato i suoi cinque anni di presidenza come una dittatura sanguinaria. Sotto di lui fu condannato a morte lo scrittore e attivista Ken Saro-Wiwa, anima del popolo Ogoni, che per primo denunciò lo scempio ambientale commesso dalle multinazionali petrolifere, Shell in cima, nella regione del Delta del Niger.

Gli Chagoury non solo sono vicini alla famiglia Abacha, ma sono anche finanziatori e membri della Clinton Foundation, che a sua volta ha creduto da subito al progetto Eko Atlantic City. «Sanno tutti che sono amico dei Clinton», ha detto Gilbert Chagoury ai giornalisti di Frontline nel 2010. La Fondazione nel 2009 si era impegnata a garantire il progetto Eko Atlantic City, favorendone l’accesso al credito per un miliardo di dollari. Ai Clinton la vicinanza è costata qualche critica in patria, soprattutto dopo che l’emittente conservatrice Fox News ha rispolverato la notizia di un accordo in pieno conflitto di interessi – che il Dipartimento di Stato americano, all’epoca guidato dalla stessa Hillary, aveva siglato per l’acquisto di un terreno a Eko Atlantic City.

I fratelli nel tempo hanno capitalizzato al massimo l’interesse statunitense nel progetto tanto che a maggio 2019, nonostante il cambio di amministrazione alla casa Bianca, Chagoury Group ha firmato un accordo tra Eko Atlantic, rappresentata da Ronald Chagoury in persona, e il governo americano per un nuovo consolato proprio sulla penisola. Del resto i due fratelli libanesi sono abili nel muoversi con la politica: da metà anni novanta fino al 2017 Gilbert è stato rappresentante diplomatico per l’isola di Santa Lucia, uno dei principali paradisi fiscali del mondo: prima come delegato UNESCO, poi come ambasciatore presso la Santa Sede. Un altro tratto in comune con Gabriele Volpi che gode ugualmente di buone amicizie in Vaticano.

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Ma è ancora una volta la famiglia Abacha a fare da trait-d’union tra i re di denari di Eko Atlantic, Ronald e Gilbert Chagoury e Gabriele Volpi. Mohammed Sani Abacha, figlio dell’ex dittatore, fonda nel 1998 e controlla – via prestanome – col ministro del petrolio Dan Etete, la Malabu Oil & Gas, società titolare della licenza petrolifera Opl245. Tale licenza, stando alle indagini della procura di Milano per cui è attualmente in corso il processo, sarebbe poi stata ceduta a Eni e Shell, dopo il pagamento di una tangente da 1,1 miliardi di dollari a funzionari pubblici nigeriani.

Volpi nel corso delle udienze per il processo Opl 245 è stato nominato solo poche volte, e non risulta fra gli indagati. È invece un personaggio chiave della seconda inchiesta su Eni condotta dalla Procura di Milano, quella sul falso complotto ai danni dell’amministratore delegato Claudio Descalzi. Secondo l’ipotesi accusatoria, l’ex consulente legale di Eni Piero Amara, insieme a collaboratori e magistrati compiacenti a Trani e a Siracusa, avrebbe ideato questa intricata strategia per bloccare il processo Opl 245 con una nuova indagine giudiziaria. Eni ha sempre respinto le ipotesi, sostenendo che Amara agisse per conto suo. Ma secondo la testimonianza dell’ex tecnico petrolifero Massimo Gaboardi uno dei presunti imprenditori che dalla Nigeria cercherebbe di abbattere Descalzi sarebbe proprio Gabriele Volpi, in collaborazione con uomini d’affari attivi in Italia, Nigeria e Stati Uniti. Circostanza curiosa: ad accomunarli è la vicinanza con la Fondazione Clinton, con la quale tutti collaborano.

La procura di Milano sta cercando di dipanare questo groviglio inestricabile di verità, menzogne e semplici coincidenze. Dalla Nigeria almeno una certezza c’è: Eko Atlantic City, il progetto degli amici dei Clinton, è l’affare immobiliare del secolo, a Lagos.

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Lorenzo Bagnoli Luca Rinaldi

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Kelechukwu Ogu

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Il cartello del potere nigeriano tra petrolio e costruzioni

Il cartello del potere nigeriano tra petrolio e costruzioni

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Un gigante con i piedi d’argilla. Tra il 2000 e il 2014 la Nigeria sembrava destinata a diventare la locomotiva dell’Africa occidentale: il prodotto interno lordo cresceva in media del 7% ogni anno. A spingere la crescita è stato soprattutto il comparto del petrolio, che pesa il 90% delle esportazioni del Paese, ricorda la Banca mondiale. La classe dirigente e imprenditoriale s’è arricchita tanto da trasformare pezzi di Lagos, la capitale economica in una piccola Dubai.

Nigeria e migrazioni
La Nigeria è diventata un Paese prioritario per Italia e Unione europea in termini di cooperazione internazionale perché tra i principali Paesi d’origine dei migranti arrivati sulle coste italiane a partire dal 2015. L’Unione europea ha in corso al momento otto progetti finanziati attraverso il Trust fund. Il fondo di emergenza è stato concepito nel 2015 per contrastare le cause dell’emigrazione africana. Difficile però impattare sulle cause della disparità sociale in Nigeria, che è alimentata soprattutto da cause interne. Tra le caratteristiche dell’emigrazione nigeriana c’è la presenza di tante donne vittime di organizzazioni transnazionali dedite alla tratta.

Si è approfondita così anche la disparità sociale: quasi sette abitanti di Lagos su dieci vivono in comunità informali, simili a baraccopoli. La sperequazione tra ricchi e poveri è stata alimentata da una classe dirigente corrotta e da un contesto internazionale che ha accettato di pagare mazzette pur di continuare a lavorare in Nigeria.

Solo tra il 1965 e il 2005 Oxfam International stima che siano stati portati via dal Tesoro nigeriano almeno 20mila miliardi di dollari, denaro finito in casseforti offshore gestite da imprenditori compiacenti. Sono loro i protagonisti delle storie di questa serie d’inchiesta. Il furto di risorse pubbliche, tra le cause principali della cronica ineguaglianza che affligge la società nigeriana, non si è peraltro interrotto nei 15 anni di cui le statistiche non tengono conto.

L’ultimo clamoroso caso di presunta corruzione internazionale riguarda il blocco petrolifero Opl 245, che sarebbe stato attribuito a Eni e Shell dopo il pagamento di una tangente da 1,1 miliardi di dollari. Secondo il centro di ricerche Resources for Development Consulting il sistema fiscale adottato per rendere «conveniente» la suddivisione della tangente avrebbe privato il fisco nigeriano di circa 6 miliardi di tasse. Due anni di spesa pubblica.

Opl 245, fine dei processi per Eni e Shell

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Opl245Papers: il fascicolo della discordia

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Eni-Opl 245, tutti assolti gli imputati per corruzione internazionale

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Per i giudici di Milano «il fatto non sussiste». Si chiude così il primo grado sulla presunta tangente da 1,1 miliardi di euro per l’aggiudicazione del blocco petrolifero nigeriano. La sentenza potrebbe avere ripercussioni anche su altri procedimenti in corso

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Quando l’economia del petrolio finisce alla sbarra

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A prescindere dagli esiti processuali, la vicenda Opl245 e le centinaia di migliaia di pagine del fascicolo processuale hanno svelato uno spaccato inquietante su come funziona il mondo del petrolio

Gli ultimi di Tarkwa Bay

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CREDITI

Autori

Lorenzo Bagnoli
Damilola Banjo
Kelechuku Ogu
Luca Rinaldi

In partnership con

Editing

Giulio Rubino

Foto

Flickr
Alucardion/Shutterstock
Sahara Reporters

Ha collaborato

Kelechukwu Ogu

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