#CitiesForRent
Alice Facchini
«Vivo a Bologna da due anni e mezzo, ma ho dovuto lasciare la casa dove abitavo perché era in condizioni pessime. Mi sono messo alla ricerca di una doppia con un amico: abbiamo iniziato a a luglio e ancora non abbiamo trovato niente». Luigi, 20 anni, di Caserta, è al terzo anno di giurisprudenza. Per arrotondare lavora in un bar. Ogni giorno spende qualche ora per la ricerca di una alloggio. Un ricerca estenuante: l’amico, alla fine, ha desistito ed è tornato a Palermo, la sua città natale, «piuttosto che dannarsi l’anima qui, senza un posto dove stare». Dal 19 settembre Luigi ha trovato sistemazioni temporanee a casa di amici o della sua ragazza: «Le mie cose sono da lei, io giro solo con una piccola valigia – racconta -. Sto continuando a cercare una casa, ma adesso è ancora più difficile: la maggior parte delle stanze sono già occupate, e comunque ci sono ancora molte persone senza un alloggio. Affidarsi agli annunci sui social network o alle agenzie immobiliari è quasi impossibile, bisogna andare per conoscenze: sto aspettando un colpo di fortuna».
Convivere ogni giorno con questo pensiero è pesante: «Non riesco ad essere sereno e concentrato: io so dove starò questa settimana, ma non so cosa accadrà la prossima», confessa Luigi. Bologna non è la sola città italiana in questa situazione, ma è una di quelle dove l’assenza di alloggi per studenti è più evidente.
IrpiMedia è gratuito
Ogni donazione è indispensabile per lo sviluppo di IrpiMedia
L’inchiesta sugli studentati in Europa
Questa inchiesta fa parte della nuova stagione di #CitiesForRent, serie investigativa su chi sono i proprietari delle città in Europa. La puntata su Bologna apre un ciclo sugli studentati, a cui parteciparanno anche Tagesspiegel (Germania), Apache (Belgio), Mediapart (Francia),
Per colpa della mancanza di case in affitto, a Bologna ci sono studenti universitari che sono stati costretti a passare qualche notte in stazione. Gli universitari sono circa 68 mila, di cui uno su due è fuorisede e le case a loro disposizione sono sempre meno. Secondo i dati di inizio dicembre di Inside Airbnb, un progetto indipendente finalizzato a capire l’impatto di Airbnb sulle città, sono al contrario cresciuti gli appartamenti messi sul mercato della locazione breve. Lo dimostrano gli annunci disponibili in città, 3.895, più che raddoppiati negli ultimi cinque anni.
Da marzo a ottobre 2022, circa 400 appartamenti sono finiti per la prima volta su Airbnb: si trovano soprattutto nel centro storico e nella prima periferia.
Il mercato degli affitti brevi è inoltre in mano a pochi: si stima che il 4% dei proprietari riscuota quasi un terzo delle entrate totali e il 57% abbia più di un annuncio a suo nome. Anche altre ricerche concordano su quanto convenga affittare ai turisti: la ricerca di HousingBo, laboratorio permanente sulla condizione abitativa studentesca coordinato dalla Fondazione per l’innovazione urbana, indica che a Bologna il ricavo medio di una casa affittata sul tradizionale mercato della locazione è di circa 13 mila euro l’anno, mentre, a parità di metri quadri e di zona, per un affitto breve la cifra sale a 16.650 euro (togliendo le commissioni di Airbnb, si arriva a 16.155 euro). La società di consulenza Nomisma parla di una differenza ancora maggiore tra le due tipologie di affitto: circa settemila euro l’anno.
Il numero di host Airbnb a Bologna e i prezzi medi per tipologia

Ci sono anche altre fonti che confermano questo trend. I dati di Idealista, sito web che si occupa di analisi del mercato immobiliare, mostrano che l’offerta di appartamenti in affitto condiviso in Italia è diminuita del 43% nell’ultimo anno, in linea con la forte riduzione dello stock di alloggi in locazione: a Bologna il calo è stato addirittura del 53%. Da settembre, poi, l’ateneo ha optato per un ritorno totale in presenza di lezioni ed esami, abbandonando la didattica a distanza: questo ha aumentato ulteriormente la richiesta di alloggi.
«Nell’ultimo anno abbiamo avuto un centinaio di colloqui con studenti, italiani e stranieri – spiega don Matteo Prosperini, direttore di Caritas Bologna -. Si tratta di universitari che si sono rivolti a noi perché non trovano casa, perché hanno bisogno di aiuto per pagare le spese dell’affitto, o per avere accesso alle mense e alle eccedenze alimentari. Di solito provengono da famiglie povere, a loro volta assistite da Caritas in altre città: anche se hanno accesso alle borse dell’ente per il diritto allo studio, a volte questo non basta a supportarli in tutti i loro bisogni». Non c’è un’emergenza di studenti che dormono sistematicamente in stazione, precisa, «però questa situazione è emblematica di un problema che non possiamo ignorare».
Obiettivo regolamentare Airbnb
Regolamentare le piattaforme degli affitti brevi è un problema per ogni amministrazione comunale. A Bologna, il Comune sta intensificando i controlli insieme alla Guardia di finanza, per individuare quali case presenti su Airbnb non sono registrate come strutture turistiche. Insieme ad altre 15 città, ha chiesto alla Commissione europea una regolamentazione più stringente sugli affitti brevi.
Comitati cittadini e associazioni propongono soluzioni da tutta Italia: «Si potrebbe vietare Airbnb nelle zone già troppo turisticizzate e definire un numero massimo di giorni l’anno in cui poter affittare, o un numero massimo di annunci che può avere il singolo, oppure istituire un sistema di permessi massimi concedibili in città – spiega Alice Corona di Ocio Venezia, Osservatorio civico sulla casa e la residenza che monitora la situazione abitativa nella Venezia insulare -. Attenzione però: è inutile che il comune regolamenti, se poi non ha strumenti di controllo e di sanzione. Per questo serve una normativa nazionale, che obblighi Airbnb a pubblicare dati affidabili e credibili, sui quali poi mettere in atto una regolamentazione».
Domanda alta, offerta limitata: la conseguenza è che aumentano i prezzi. Secondo i dati 2022 del gruppo di consulenza, gestione e tutela della rendita immobiliare SoloAffitti, in città il prezzo medio è di 450 euro per una stanza singola e 325 per una doppia, contro una media italiana di rispettivamente 324 e 209 euro: nell’ultimo anno c’è stato un aumento del 29%, il più alto d’Italia, che ha portato Bologna a essere seconda solo a Milano.
Le occupazioni degli studenti in lotta per il diritto alla casa
Lo scorso ottobre, Bologna è stata attraversata da una serie di occupazioni studentesche, nate per portare l’attenzione sull’emergenza abitativa. Il 5 ottobre, la prima è stata quella del laboratorio universitario di autogestione Luna che con il supporto dello sportello per il diritto all’abitare dell’Adl Cobas, ha occupato uno stabile di via Capo di Lucca 22, in pieno centro storico ribattezzato Casa Vacante: un complesso di otto appartamenti e due laboratori, per un totale di 650 metri quadri. L’edificio, che era disabitato dal 2016, è di proprietà dell’Azienda pubblica di servizi alla persona di Bologna (Asp), società partecipata al 97% dal Comune di Bologna che si occupa di fragilità sociali ed economiche con varie forme di supporto, che lo ha messo in vendita nel piano di alienazione 2021-23 a un prezzo di 850 mila euro.
«Per rispondere alla tragica mancanza di alloggi, impiegare il patrimonio pubblico inutilizzato o dismesso sarebbe un buon punto di partenza – commenta Luca Tonini del laboratorio Luna -. Ecco che l’occupazione abitativa diventa una pratica di riappropriazione dello spazio, contro un modello di sviluppo voluto da privati e piattaforme». I dati forniti da Asp mostrano che attualmente, nell’area della città metropolitana, sono 387 gli immobili vuoti di proprietà dell’azienda: di questi, 62 sarebbero già pronti per essere affittati, altri 96 hanno bisogno di ristrutturazioni, mentre 229 non hanno una destinazione d’uso abitativa.
«Stiamo mettendo in campo azioni e investimenti per rendere utilizzabili più spazi possibili – spiega l’amministratore unico di Asp Città di Bologna, Stefano Brugnara-. Patrimonio vuoto vuol dire meno entrate per l’azienda e meno soluzioni per le persone che stanno cercando faticosamente un alloggio. Quest’anno il tasso di redditività del nostro patrimonio è passato da essere negativo a positivo: stiamo facendo la nostra parte per rispondere alla domanda abitativa che c’è in città». Nel 2022 per la prima volta Asp ha più entrate che spese per gli immobili di sua proprietà.
Il 24 novembre gli occupanti di Casa Vacante hanno lasciato l’immobile dopo aver trovato un accordo con il Comune, affinché l’immobile non sia più venduto ma destinato a «progetti innovativi di abitare collaborativo». Cosa significhi esattamente ancora non è chiaro. Dal canto loro, le associazioni che hanno partecipato alle occupazioni vorrebbero essere incluse nella nuova gestione del patrimonio, insieme ad altre realtà dal basso. «Vogliamo una procedura pubblica, chiara nei suoi intenti e che si svolga entro la fine dell’anno», dice Luca Tonini.
La seconda occupazione è stata quella del Beyoo Laude Living, studentato di lusso nel quartiere della Bolognina, a pochi passi dalla stazione. Il 19 ottobre il Collettivo universitario autonomo (Cua) è entrato nell’edificio, proprio pochi giorni prima che la struttura venisse inaugurata. Anche in questo caso, l’occupazione è stata interrotta dopo aver raggiunto un accordo con la proprietà: l’impegno era quello di avviare un protocollo d’intesa con l’università e con l’Er.Go, l’agenzia regionale per il diritto allo studio, per destinare parte dell’immobile agli universitari in stato di necessità. Ma per il momento le parti non si sono incontrate.
Il 26 ottobre, dopo aver lasciato il Beyoo Laude Living, il Cua ha occupato un altro stabile del Quattrocento vicino a piazza Maggiore, casa Felicini Giovannini. La palazzina di tre piani è in comproprietà tra l’Università di Bologna e un privato. L’asta per la sua riassegnazione nel 2019, dopo anni di abbandono, è andata deserta. La legge sul Cofinanziamento statale per alloggi e residenze per studenti universitari, la 338 del 2000, impedisce che un edificio con un vincolo storico possa essere utilizzato per edilizia pubblica studentesca.
Il 17 novembre l’edificio è stato sgomberato dalle forze dell’ordine. Il rettore dell’Università di Bologna, Giovanni Molari, ha dichiarato di essere dispiaciuto «che i nostri reiterati tentativi di convincere gli occupanti a lasciare l’abitazione non abbiano sortito alcun effetto. Quando si tratta di dialogare su un tema come le politiche abitative, che ci sta a cuore più che mai, noi ci siamo e ci saremo sempre. Ma per dialogare occorre essere in due».
Tra le rivendicazioni del Cua c’è che l’università si faccia garante degli affitti concordati, che blocchi la vendita di immobili di sua proprietà e che venga stilato un protocollo di intesa con le strutture private, come il Beyoo Laude Living, per la destinazione di parte delle stanze all’emergenza abitativa. Secondo Federico Antibo del Cua, le richieste degli occupanti sono state ignorate per settimane: «Dopo lo sgombero siamo andati a bussare alle porte del rettore per chiedere un tavolo di trattativa e ribadire le nostre rivendicazioni. Quelle porte sono, come sempre, rimaste chiuse». In città, oggi restano alcune occupazioni che però non nascono come abitative: quella del Cua alla facoltà di Lettere, quella del collettivo Cambiare Rotta all’ex laboratorio di chimica in via Filippo Re, e la nuova occupazione del collettivo InfestAzioni in via Stalingrado 31.
Gli studentati pubblici non bastano
Per aumentare l’offerta, entro il 2025 è prevista la realizzazione di tre nuovi studentati pubblici a Bologna, per un totale di 572 posti letto. Altri due progetti con 180 posti complessivi sono in attesa di approvazione. «Ci sono molti luoghi a potenziale vocazione studentesca, ma purtroppo gli edifici che hanno le caratteristiche giuste per costruire studentati non sono tanti, per via dei vincoli della legge 338», spiega Federico Condello, prorettore agli studenti dell’Università di Bologna.
«Quest’anno per la prima volta abbiamo anche stanziato un contributo per l’affitto: l’obiettivo è aiutare i fuorisede che non riescono a ottenere la borsa di studio perché si trovano nella fascia di reddito immediatamente superiore, ma che non hanno condizioni economiche agiate». Si tratta di 600 contributi del valore di mille euro ciascuno per l’anno accademico 2022-2023: ne beneficeranno gli studenti fuori sede con un Isee compreso tra i 24.335 euro (soglia prevista per le borse di studio dell’Er.go, l’agenzia regionale per il diritto allo studio) e i 28 mila euro. «Le domande si chiuderanno a dicembre, ma le richieste sono già molte più di 600», racconta Condello.
L’affare studentati: dal Pnrr alla storia del loro fondatore in Gran Bretagna
Nicholas Porter ha creato un ricco mercato immobiliare privato in Gran Bretagna, poi esportato nel mondo (forse in futuro anche in Italia). Ma in UK i posti letto sono ancora pochi. Intanto l’Italia punta soldi pubblici sugli studentati privati
Bologna, dove gli studentati privati dettano legge
Trattano con il Comune per avere più volumi. Sono pieni nonostante i canoni. Il loro mercato è in crescita. Anche il Pnrr, le cui gare vanno a rilento, li sostiene
L’industria degli studentati
In Europa le case per fuori sede sono sempre più care. Tanto da mettere a repentaglio il diritto allo studio. A dettare legge sono gli investitori privati, con il pubblico che fatica a contenere i rincari
Anche chi ha diritto a un alloggio in uno studentato pubblico, comunque, non sempre lo ottiene. Per chi ha un Isee inferiore ai 24.335 euro, Er.go ha a disposizione 1.673 posti, a fronte di circa 2.800 idonei (di questi, solitamente, un terzo rinuncia per vari motivi). Quest’anno, Er.Go ha stipulato un accordo decennale con Fondazione centro europeo università e ricerca (CEUR), organizzazione che dispone della rete di residenze Camplus College tra Italia e Spagna, per assegnare posti letto a prezzi calmierati a studenti in stato di necessità. Si parte con 72 a 245 euro al mese, con l’obiettivo di aumentare l’offerta.
A chi risulta idoneo ma non assegnatario di alloggio, Er.go chiede di firmare un contratto di locazione e presentare la dichiarazione di domicilio entro metà novembre, altrimenti perderà la borsa di studio da fuorisede, che prevede un contributo più alto per coprire anche parte delle spese di affitto: una scadenza per molti troppo ravvicinata, visto che il tempo per trovare una stanza a Bologna in media è di sette settimane, ma chi ha minore disponibilità economica ci mette anche molto di più. E poi c’è la questione del pagamento della borsa di studio da parte dell’ente: nonostante Er.go sia tra i pochi organismi per il diritto allo studio a versare la somma senza ritardi, la prima rata comunque non arriva prima di inizio novembre. «Nel frattempo lo studente come si mantiene? – si chiede Federica Laudisa dell’Osservatorio regionale per l’università e per il diritto allo studio di Ires Piemonte, intervenuta il 7 novembre al convegno Il diritto allo studio, presente e futuro -. Solo chi ha già determinate possibilità economiche riesce ad attendere di ricevere i soldi della borsa».
Gli attori privati e gli studentati di lusso
In tutta Italia sono sempre più numerosi gli studentati privati. Si rivolgono alle fasce più abbienti di universitari e offrono servizi come palestra, sala cinema, sala yoga, spazi di studio e coworking. A Bologna, il settore ha attirato diversi investitori: c’è Camplus, storica rete di residenze gestita dalla Fondazione CEUR; la catena olandese The Social Hub e Beyoo Laude Living, edificio di proprietà della società per la gestione degli investimenti M&G, con sede a Londra. Anche Livensa Living, parte del colosso immobiliare spagnolo Temprano Capital, ha annunciato che sbarcherà in città nel 2025.
Questi progetti hanno spesso una destinazione d’uso turistica, invece che residenziale: questo comporta per la proprietà maggiori oneri fiscali, ma anche una gestione più flessibile, che permette di mettere a disposizione le stanze ai turisti e non solo agli studenti, specialmente in estate, quando i corsi e gli esami sono finiti e i fuori sede tornano a casa.
Oltre agli studentati di lusso, a Bologna stanno nascendo anche nuove agenzie che prendono in affitto la casa dai proprietari, in alcuni casi la ristrutturano e la ammobiliano, e poi la affittano per periodi più o meno brevi. Tra le più utilizzate c’è Dove vivo, Housing Anywhere e Spota Home. Anche qui i prezzi si aggirano attorno ai 700 euro al mese per una singola.
Per regolamentare il mercato serve la politica
«Per rispondere alla mancanza di alloggi, servono misure modellanti rispetto al mercato degli affitti», spiega Stefano Di Lorenzo, segretario di Sinistra universitaria Bologna e studente di italianistica. «C’è bisogno di un intervento coraggioso della politica – aggiunge – che finora invece ha varato una serie di misure di sostegno al welfare, che non risolvono il problema alla radice, ma vanno solo a tamponare una situazione di disagio economico».
Il Comune di Bologna ha stanziato 1,3 milioni di euro per dare contributi ai proprietari e incentivarli a stipulare nuovi contratti a canone concordato: nel concreto si tratta di una riduzione media tra il 18% e il 20% del canone mensile di affitto, somma che verrà compensata dal Comune direttamente al proprietario. E poi c’è il contributo per l’affitto, pari a tre mensilità del canone fino a 1.500 euro, aperto anche ai non residenti a Bologna (come gli studenti) con Isee inferiore a 17.154 euro, oppure con Isee superiore ma entro 35 mila euro e che dimostrino un calo di reddito superiore al 25% nell’ultimo anno. Nel 2022 sono state ricevute 10.971 domande, con una crescita dell’11% rispetto al 2021.
«A breve nascerà l’Osservatorio metropolitano sull’andamento del mercato degli affitti e delle locazioni turistiche», spiega Emily Clancy, assessore alla casa del Comune di Bologna. «L’osservatorio metterà insieme Comune, Città metropolitana, Regione, università, Acer (che gestisce gli alloggi popolari, ndr), Fondazione Innovazione Urbana, sindacati di proprietari e inquilini e associazioni: insieme studieremo la situazione abitativa in città e pubblicheremo periodicamente dei report. L’anno prossimo poi vorremmo dare vita all’Agenzia sociale per la casa, con la quale il Comune si farà regista del mercato della locazione», conclude Clancy.
Il 12 marzo è anche stato approvato lo stop all’alienazione di patrimonio residenziale pubblico. Nonostante tutto, regolamentare il mercato privato e mettere un tetto massimo alla rendita immobiliare non è semplice: «Spesso il Comune non può agire in mancanza di norme nazionali – afferma Clancy -. Per questo stiamo interloquendo con il governo: tra le proposte c’è quella di istituire strumenti più adeguati per i Comuni e di dare impulso alla nascita di soggetti come le housing association di stampo nordeuropeo, che si potrebbero inserire nel vuoto tra stato e mercato: si tratta di cooperative che si occupino di costruire e gestire alloggi di edilizia sociale». Le housing association sono enti non profit a metà tra le case popolari e le proprietà private affittate a prezzo di mercato che mettono a disposizione alloggi di edilizia sociale convenzionata.
La legge sugli studentati e il “federalismo demaniale”
Legge 338/2000: prevede il cofinanziamento da parte dello Stato per interventi rivolti alla realizzazione di alloggi e residenze per studenti universitari.
Decreto legge 69/2013: reca disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia. Tra queste, l’art. 56 bis stabilisce il cosiddetto “federalismo demaniale” e prevede una procedura semplificata per il trasferimento di proprietà, a titolo non oneroso, dei beni gestiti dall’Agenzia del demanio e dei beni già in uso e non più necessari del ministero della Difesa, a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
Gli spazi vuoti e la rigenerazione fallita
Esiste poi ancora uno stock di immobili, anche pubblici, che è lasciato sfitto. La rete D(i)ritti alla città ha mappato gli spazi vuoti urbani: a Bologna ci sono circa 600 edifici vuoti, per oltre un milione di metri quadri inutilizzati. Uno su quattro ha destinazione d’uso residenziale, il 67% sono di proprietà privata e il 33% di proprietà pubblica. La scorsa estate la rete ha presentato una delibera di iniziativa popolare sui beni comuni, che chiede la restituzione alla collettività dei beni immobili pubblici dismessi, per trasformarli in luoghi di socializzazione, spazi di produzione culturale indipendente, luoghi di studio e formazione, abitazioni ad affitto parametrato al reddito, luoghi per lo sport popolare, per la medicina di comunità e la partecipazione attiva di persone in condizioni di fragilità, mercati contadini, negozi di vicinato, laboratori artigianali. Per motivazioni tecnico-formali, la segreteria generale del Comune ha però bloccato il processo di approvazione.
Tra gli spazi pubblici inutilizzati ci sono anche le ex aree ferroviarie e le ex aree militari dismesse, coinvolte nei processi di rigenerazione.
«Le aree militari dismesse sono di proprietà pubblica e devono essere destinate nella loro interezza a funzioni pubbliche, salvaguardando gli edifici storici e incrementando il verde già esistente – spiega Mauro Boarelli di D(i)ritti alla città -. Se la funzione prevalente cambia, quelle aree vengono di fatto privatizzate. Gli amministratori danno per scontato che il recupero di queste aree dismesse passi obbligatoriamente attraverso vaste operazioni immobiliari. Questo schema è dettato come l’unica strada possibile ed è organizzato intorno ad una parola magica, “valorizzazione”, utilizzata impropriamente nel senso esclusivo di attribuire ai beni un valore economico e ricavarne un guadagno, la cui fetta più grande però non andrà ai soggetti pubblici, ma agli investitori privati».
Nel 2013, il Comune di Bologna avrebbe potuto fare domanda per il trasferimento gratuito di aree del demanio statale, come le ex caserme, agli enti territoriali, grazie al provvedimento di cosiddetto “federalismo demaniale”, previsto dall’art. 56 bis del decreto legge 69 del 2013. Ma ha perso questa occasione, e il 31 dicembre del 2016 è scaduto il termine per presentare le richieste.
Su 21 progetti di rigenerazione urbana avviati a Bologna, per oltre un milione di metri quadrati, oggi ben il 59% è rimasto inattuato o non completato: lo mostra uno studio della società di consulenza Nomisma, presentato lo scorso 20 ottobre al convegno Why Emilia organizzato dall’Associazione nazionale costruttori edili (Ance) dell’Emilia-Romagna. La proprietà di queste aree è di vari enti, privati e pubblici: c’è la Cassa depositi e prestiti, il Demanio, le Ferrovie, la Regione e il Comune, ma anche diverse società per azioni e società a responsabilità limitata.
«Il problema è che queste aree costano troppo, e dunque rigenerare non è conveniente, perché aggiungendo il costo di costruzione, il prezzo finale al cliente sarebbe troppo alto – spiega l’amministratore delegato di Nomisma, Luca Dondi -. C’è poi un tema di funzioni che sono state decise per quelle aree: il terziario a uso ufficio è molto rilevante, ma non è un settore che oggi tira molto».
In ogni caso, secondo Dondi, la rigenerazione non sarebbe comunque sufficiente per rispondere al grande problema della mancanza di case, soprattutto per studenti, a cui si assiste oggi a Bologna.
«Dobbiamo non solo rigenerare, ma integrare la produzione di case e costruire nuovi edifici: questo comporterà dei mal di pancia, perché avrà un certo impatto ambientale, ma l’emergenza abitativa in questo momento è più urgente – afferma Dondi -. Negli anni passati la produzione edilizia a Bologna è stata inferiore a quella di Modena: abbiamo bisogno di ben altri numeri».
Sul tema interviene anche Raffaele Laudani, assessore all’urbanistica del Comune di Bologna, secondo cui «la rigenerazione urbana ha fallito perché prevale una logica finanziaria, anche quando si tratta di attori pubblici, che sono più interessati a tenere alti i valori delle aree che alla trasformazione vera e propria. Questi terreni costano troppo, e nessuno li compra: oggi le risorse pubbliche non bastano per fare gli interventi abitativi di cui ci sarebbe bisogno, e anche i privati sono restii a investire, perché è difficile trovare una sostenibilità economica». La soluzione, secondo Laudani, non sta nel consumo di suolo, ma nel trovare nuove strade per rimettere in gioco le grandi aree dismesse. «Il Comune sta cercando di trovare modalità per fare interventi che siano al tempo stesso incisivi dal punto di vista sociale, e attraenti per i privati».
La Bologna del futuro avrà ancora posto per gli studenti?
Gli studenti sono un’enorme ricchezza per una città come Bologna: la ricerca del laboratorio HousingBo mostra che ogni studente fuorisede spende in media 887 euro al mese (compreso l’affitto), e porta un grande valore aggiunto sia in termini occupazionali sia economici. Ogni 14 studenti fuori sede si genera un’unità di lavoro a tempo pieno, e ogni giorno gli studenti fuori sede generano un valore aggiunto di circa un milione 200 mila euro. Allontanare gli studenti dal centro storico per lasciare posto ai turisti significherebbe quindi non solo trasformare l’identità della città, ma anche scoraggiare l’arrivo di nuovi universitari, perdendo di fatto un’importante fonte di guadagni.
«Bologna può ancora decidere cosa fare del proprio centro storico, che non è ancora completamente turistificato – commenta Nicola De Luigi, ricercatore sociale dell’Università di Bologna che ha condotto l’indagine HousingBo -. Siamo in tempo per non diventare la nuova Firenze d’Italia».
La turistificazione rischia di portare a uno snaturamento del centro, che diventa un prodotto di consumo orientato alle necessità dei turisti, invece che degli abitanti. «La sfida oggi è: come costruire una città che accolga tutti? Riusciremo ad andare verso un modello di città policentrica, dove i diversi centri sono collegati tra loro in modo efficiente?».
Anche il terzo Rapporto sul mercato immobiliare nelle grandi città di Nomisma mette in guardia: oggi Bologna rischia quello che viene definito «l’effetto abbandono». La domanda di case in affitto «è in costante crescita ed è rappresentata in primis da studenti e a seguire lavoratori non residenti e giovani coppie o single. Ormai risulta evidente come tale concorrenza abbia spinto il mercato verso la saturazione». La ricerca sulle abitudini abitative di Changes Unipol, elaborata da Ipsos, mostra che oggi a Bologna solo una persona su cinque, in caso di cambio casa, vorrebbe trasferirsi in centro.
«Da qualche anno stiamo assistendo alla volontà di trasformare Bologna in una città turistica», conclude Mattia Fiore, dottorando in sociologia dell’università di Bologna, che si occupa di trasformazioni urbane e dell’impatto di studenti e turisti sul tessuto della città.
«L’arrivo di Ryanair, il parco giochi del cibo Fico, la nomina dei portici come patrimonio Unesco… sono tutti tasselli del puzzle, è così che l’esplosione di Airbnb trova un senso. Le scelte politiche degli ultimi anni hanno favorito i processi di turistificazione e gentrificazione che vediamo oggi. Questi tuttavia non sono inevitabili: è venuto il momento che Bologna scelga che tipo di città vorrà essere nel suo futuro».
CREDITI
Autori
Alice Facchini
Editing
Lorenzo Bagnoli
Infografiche
Lorenzo Bodrero
Con il sostegno di
Stars4Media
Foto di copertina
Uno scorcio di via Zamboni, a Bologna
(Michele Lapini)