Usura: il Covid-19 non ha frenato il business
La pandemia non ha allentato il cappio dell’usura. Le organizzazioni criminali hanno modellato le loro strategie sulla disperazione delle persone. Su Roma, le istituzioni lanciano l’allarme

17 Settembre 2021 | di Maurizio Franco

«Ammetto: ho pensato di ricaderci» è la frase con cui Gianni – nome di fantasia per la tutela della privacy – intervalla il suo racconto. Un calvario di umiliazioni e frustrazioni, che prende avvio nel 2009 e pare esaurirsi nel 2015. Durante questo lasso di tempo, il cappio degli usurai aveva strangolato la sua attività, incastonata in una delle vie del centro storico di Roma. “Cravattari” – termine in uso nel gergo cittadino – che non si facevano scrupoli ad irrompere nel negozio, aprire il registratore di cassa e mettersi in tasca le banconote guadagnate durante la giornata di lavoro. Oltre 240 mila euro sborsati in poco più di sei anni. «Tutto è partito da un piccolo prestito per pagare un fornitore», racconta Gianni. Che ha dovuto cedere la casa e traslocare in un locale dove l’affitto era meno oneroso.

Quando la moglie ha deciso di denunciare alle forze dell’ordine l’insostenibile violenza a cui erano sottoposti, gli usurai si sono volatilizzati. L’esercente ritiene che non fossero schegge solitarie. «Credo che ci fosse qualcuno dietro a queste persone senza scrupoli».

Gianni, alla fine, si è rivolto allo sportello dell’Ambulatorio Antiusura ed ha ottenuto dalla Regione Lazio 20 mila euro per ripartire da zero. Il Covid-19, però, ha offuscato la serenità conquistata. Il suo timore è ripiombare negli abissi del circuito usuraio. O abbassare definitivamente le saracinesche del negozio. Un bivio che, ultimamente, in molti sono costretti ad affrontare. «In questi mesi ho ricevuto proposte di vendita. A prezzi irrisori. Trattativa in contanti e senza intermediari. La liquidità immediata fa gola e ti prendono sulla stanchezza», dice. A Gianni hanno offerto tra i 20 mila e i 30 mila euro per comprare l’attività che, stando alle parole dell’esercente, vale circa 200 mila euro. E millantano di essere commercianti, avvezzi alle fatiche del mestiere. Ma Gianni è scettico. «Anche in questo caso, credo ci sia un’organizzazione che gestisce questi affari», sottolinea.

Secondo i dati forniti da Confcommercio, pubblicati il 20 aprile 2021, 300 mila imprese del commercio in Italia rischiano la chiusura. L’80 per cento (circa 240 mila attività) serreranno i battenti per via della pandemia e delle conseguenze che il virus ha imposto sul tessuto economico. Riduzione del volume degli affari, mancanza di liquidità, difficoltà di accesso al credito legale e problemi di tipo burocratico sono le stimmate che i negozianti mostrano all’associazione di categoria. Che non ha dubbi sulla traversa che le imprese potrebbero imboccare: rispetto al 2019, è più che raddoppiata la quota di imprenditori che ritiene incrementato il fenomeno dell’usura. Dal 12,7 per cento al 27 per cento. Nonostante le misure finanziarie messe in campo dalle istituzioni, urgono soldi e le organizzazioni criminali ne hanno in abbondanza.

Oltre 40 mila attività, sempre stando alle stime elaborate da Confcommercio, guardano concretamente al baratro scavato dai cravattari, mentre gli altri reati (rapine, contraffazione e furti), nella percezione del comparto, diminuiscono di intensità. Dello stesso avviso è l’Organismo permanente di monitoraggio ed analisi sul rischio di infiltrazione nell’economia da parte della criminalità organizzata di tipo mafioso. Ente creato ad aprile 2020 dal Ministero degli Interni e presieduto dal prefetto Vittorio Rizzi, raccoglie tutte le forze di polizia italiane e si prefigge il compito di comprendere come le organizzazioni criminali abbiano rimodulato il proprio operato ed intervenire di conseguenza.

Il quinto report, pubblicato il 5 maggio scorso, vede un aumento del 16,2 per cento, nel biennio 2019/2020, dei casi di usura segnalati (stime che decrescono sensibilmente nel 2021).

Gli strumenti istituzionali di contrasto all’usura

Nel corso del 2020, le istituzioni hanno potenziato gli interventi per contrastare l’usura. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) ha rifinanziato il Fondo per la prevenzione del fenomeno: circa 32,7 milioni di euro da distribuire a 113 “enti gestori” – associazioni, consorzi per l’accesso al credito e fondazioni – che a loro volta avranno il compito di impiegare tali risorse nei territori. Dal 1998 ad oggi, il Mef ha stanziato circa 670 milioni di euro.

La Regione Lazio, invece, ha varato un fondo da 4,4 milioni di euro che prevede molteplici destinazioni. Circa 900 mila euro per le vittime di usura e per soggetti sovra-indebitati: fino a 5 mila euro a fondo perduto per ogni richiesta; garanzie per prestiti bancari fino a 50 mila euro da restituire in 10 anni: il tesoretto è da 1,6 milioni ed è funzionale a prevenire il ricorso al prestito usuraio. Su questo versante, ulteriori 650 mila euro sono messi a disposizione per consulenze legali e contabili; 770 mila euro, invece, per lenire i danni subiti dall’oppressione dei cravattari: per ogni domanda, un contributo fino a 20 mila euro a fondo perduto; 30 mila euro sono per il sostegno psicologico alle vittime; e, infine, 450 mila euro sono previsti per supportare il lavoro delle associazioni che operano nei contesti locali. Sono le stesse organizzazioni – iscritte all’albo regionale degli enti antiusura e a quello del Mef – a fare da tramite tra le istituzioni e le vittime per l’erogazione dei finanziamenti.

Per rintracciare segni delle infiltrazioni criminali nell’economia, il report si è focalizzato sulle variazioni societarie avvenute nel periodo della pandemia (marzo 2020 – febbraio 2021), utilizzando e intersecando alcune categorie come il turn-over di cariche e di partecipazioni o i trasferimenti di quote.

Guardando al 2019, l’Organismo evidenzia una leggera flessione del numero delle variazioni, meno 6,3 per cento, “riconducibile, verosimilmente, alla repentina stagnazione economica […]”. Parallelamente, però, lo studio porta alla luce una crescita del 7 per cento delle segnalazioni per operazioni sospette e un aumento del 9,7 per cento delle società colpite da provvedimenti interdittivi antimafia. Di queste, il 47 per cento, stando alle attività di monitoraggio, hanno registrato una variazione societaria.

Tali dati, sottolinea l’Organismo, sono da interpretare in relazione ai maggiori controlli effettuati dalle forze dell’ordine. Ma sono anche esemplificazione di come i cambiamenti societari siano i possibili sintomi di un’infezione criminale: le organizzazioni mafiose, infatti, investono i loro capitali in società e aziende allo stremo, accaparrandosi, a costi irrisori, porzioni sempre più consistenti di mondo produttivo. L’ente, inoltre, precisa che il periodo preso in esame «non costituisce un lasso temporale statisticamente significativo, in assoluto e, ancor più, in relazione al momento storico di riferimento».

L’usura a Roma durante il lockdown

A Roma, prestare soldi “a strozzo” è pratica ancestrale, antica come le guglie e i capitelli che attorniano il cuore monumentale della città. Luigi Ciatti, presidente dell’Ambulatorio Antiusura Onlus ne è consapevole. Dal 1996, la sua associazione si spende per tutelare chi è fragile davanti agli smottamenti del sistema economico.

«Il nostro termometro sono le richieste di aiuto che giungono allo sportello. Nel 2020 abbiamo registrato un incremento del 30 per cento, con picchi del 50 per cento durante il periodo estivo. Numeri, però, che non fotografano adeguatamente la realtà, perché troppo bassi rispetto alla portata della crisi che stiamo vivendo. Sono pochi quelli che denunciano e portano in superficie la propria situazione», dice Ciatti, convinto che l’onda lunga della recessione debba ancora abbattersi sul contesto sociale.

Le operazioni della Squadra Mobile e della Guardia di Finanza, hanno rilevato la pervasività del fenomeno e l’eterogeneità degli attori che pescano nel mare magnum della disperazione. Ad agire, sono sia consorzi criminali ben collaudati, come ad esempio il clan Casamonica, quanto gruppi “informali” che setacciano il territorio alla scoperta di una papabile preda.

Con il lockdown nuove strategie sono state messe in campo per foraggiare il calderone dell’abuso finanziario. L’operazione Sportello (anti)usura è emblematica a questo proposito. La sede di un Caf nel quartiere Portuense, quadrante sud-ovest di Roma, era infatti diventato il luogo designato per accogliere i “clienti”, fissare gli appuntamenti e concedere prestiti. Lì avveniva anche la riscossione del denaro e degli interessi pattuiti: tra il 20 e il 40 per cento a cadenza mensile. Un luogo difficile da individuare ma estremamente efficace per gli usurai. Un serbatoio di umanità e dichiarazioni Isee a cui attingere per ingrossare il portafoglio. Stando alle fonti investigative, il gruppo – composto da ottuagenari con trascorsi criminali e da V.P., 40 anni, incensurato, conducente di scuolabus e da 15 anni impegnato nel settore degli strozzini – ha proseguito i propri traffici senza tentennamenti durante le prime bordate della pandemia.

L’operazione Money Box, invece, ha acceso i riflettori su un box di autoricambi, sempre nel quartiere Portuense: era la base da cui elargire denaro con interessi esorbitanti, pari, in alcuni casi, al 240 per cento su base annua del debito contratto. Con lo scoppio della pandemia, il garage è stato chiuso ma il business ha continuato a fruttare quattrini. Le intercettazioni della Squadra Mobile mostrano come gli usurai organizzassero da casa gli appuntamenti, orario e posto, e mandassero persone fidate a prelevare il pegno, per strada, in pieno giorno. Altre volte – anche prima che il Covid-19 entrasse in gioco – intascavano il denaro tramite bonifici per servizi mai erogati. Ed emettevano fatture con cui occultare il giogo usuraio. Una filiera che puntava al riciclaggio dei proventi illeciti attraverso una società collegata a uno degli indagati, così da schermare il profitto illegale.

Per coloro che subivano il peso dei cravattari, l’unico modo per sciogliere il cordone criminale era versare in un’unica tranche l’intero importo. Intimidazioni e minacce sono state perpetrate per riscuotere la somma che di mese in mese lievitava sotto gli occhi attoniti delle vittime. Alcune delle quali, soverchiate dalla mole di soldi, sprofondavano nel vortice di ulteriori rincari.

«Gli usurai, con grande astuzia e approfittando delle evidenti difficoltà economico-finanziarie delle vittime, dapprima ricorrono ad un’erogazione di denaro gravata da un tasso di interesse piuttosto contenuto (pur sempre al tasso effettivo globale medio), al fine di cooptare un ampio ventaglio di clienti persuasi della bontà dell’operazione, poi proseguono nel rapporto di finanziamento con erogazioni sempre più onerose, tanto da ‘strozzare’ le vittime […]», si legge nelle premesse dell’ordinanza di custodia cautelare. L’adescamento e poi l’affondo. A far scattare le indagini – nate nel 2019 e inoltratesi fino ai primi mesi del 2020 -, il tentato suicidio di una delle vittime.

Il welfare mafioso di prossimità

Quel che è cambiato con la pandemia è soprattutto il contatto iniziale tra gli usurai e le loro prede. Una volta infatti erano queste ultime a rivolgersi al “cravattaro”, oggi invece sono loro ad andare in cerca di “clienti”. Stando alle evidenze degli inquirenti, oggi gli usurai si informano, sanno dove colpire, si propongono al commerciante o al ristoratore, mostrando comprensione. Si presentano e offrono denaro o palesano la possibilità di rilevare l’attività (o parte di essa), prima che il loro bersaglio si rivolga alle istituzioni bancarie. Anticipano le esigenze.

Come per Massimiliano Pugi*, un ristoratore del quartiere San Lorenzo, che ha visto materializzarsi 10 mila euro nelle parole affabili di due signori «eleganti e distinti», apparsi sulla soglia del suo locale. Un finanziamento da restituire a rate mensili con interessi del 30 per cento. Uno sconto, a loro dire, per andare in contro alle esigenze dell’esercente. Pugi ha declinato l’offerta e il duo è scomparso.

La storia di Massimiliano Pugi è stata raccolta da Maurizio Franco, Youssef Hassan Holgado, Frank Hornig, Antonella Mautone, Ilaria Meli e Filippo Poltronieri, nell’inchiesta “Mafia in Italien: Kampf um Rom” pubblicata il 16 gennaio 2021 sul settimanale tedesco Der Spiegel.

«Agli esordi della nostra esperienza, le richieste che arrivavano erano principalmente di aziende in difficoltà. Nel 2008 c’è stato il primo capovolgimento: le famiglie hanno conquistato il primato nei nostri sportelli. Nel 2019 erano il 52 per cento delle domande», dice Luigi Ciatti. «Con l’avvento della pandemia le percentuali sono cambiate nuovamente. Oggi il 65 per cento delle segnalazioni è fatto da commercianti». Piccoli dettaglianti e l’universo caotico delle partite Iva: secondo le ultime rilevazioni di Confcommercio Roma, 120 mila posti di lavoro potrebbero sfumare.

Il timore che preoccupa il presidente dell’Ambulatorio Antiusura Onlus è che, nel prossimo autunno, la situazione possa mutare ancora. «Gli effetti dello sblocco dei licenziamenti, della mancata moratoria sugli sfratti, e il ricorso delle aziende alla cassa integrazione porteranno migliaia di persone, se non assistite dallo Stato, nelle maglie della rete usuraia». Ad attenderle, quindi, il “welfare mafioso di prossimità”. Queste organizzazioni criminali utilizzano il denaro guadagnato anche come strumento di consenso nel territorio in cui operano. Cifre irrisorie, poche centinaia di euro, dispensate a famiglie povere, dissanguate dalla condizione di inequivocabile precarietà esistenziale. Soldi con cui irreggimentare nelle proprie fila un esercito e fare proseliti tra le macerie della crisi.

Fabio ha assaporato il tepore fulmineo dello stato sociale criminale. Pretende l’anonimato perché la vergogna lo perseguita. Ha una famiglia ed è un imprenditore di se stesso. Il Covid-19 ha dilapidato i suoi risparmi. «Nel 2020, a metà aprile, avevo 20 centesimi sul conto» racconta. «Dovevo scegliere: andare a rubare o andare dagli strozzini». Un giro di telefonate è stato sufficiente per contattarli, subito pronti ad ovviare alle carenze dello Stato. Perché Fabio non ha potuto usufruire del bonus per le partite Iva. Ha chiesto 600 euro per tamponare l’emergenza e dare da mangiare ai figli. Non ha mai visto dal vivo i suoi carnefici. Entità eteree che traevano forze dalle relazioni di vicinato. Ma le pendenze erano concrete: rimpinguare la somma corrisposta con l’aggravante, ogni settimana, del 10 per cento del capitale versato. «A dirmi le cose erano ragazzi, credo minorenni, che facevano la spola tra me e lui», dice.

Poi il coraggio di denunciare dopo le tribolazioni quotidiane. Grazie al sostegno delle reti antiusura, Fabio ha avuto accesso al credito regionale. Adesso si barcamena tra i marosi della crisi economica. Il lavoro langue. La serenità è una condizione che non gli appartiene. Dice di aver chiuso con il mondo dei cravattari. «Preferisco infilarmi una pistola in bocca», afferma. «Sto cercando di mettermi alle spalle questa situazione. Ad oggi, però non so che fare e non ho occhi per il futuro».

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