Edoardo Anziano
Viste al microscopio elettronico, le fibre di amianto hanno la forma di lunghi aghi, fino a cinquemila volte più sottili di un capello. In apparenza innocue, se vengono respirate queste fibre trafiggono le cellule dei polmoni, innescando processi infiammatori che possono portare, dopo molti anni, all’insorgere di tumori e altre malattie respiratorie. Un sinonimo di amianto è asbesto, parola che nella sua etimologia greca significa indistruttibile o inestinguibile. A dispetto delle leggi, sbarazzarsi delle fibre di amianto in Europa sembra, infatti, ancora impossibile.
Con 13 anni d’anticipo sulla normativa europea, il 27 marzo 1992, l’Italia mette al bando l’amianto, di cui era stata fino ad allora uno dei maggiori produttori mondiali. La legge 257/1992 vieta, con applicazione pressoché immediata, «l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e la produzione» di amianto e di prodotti contenenti questa fibra minerale, come il cemento-amianto.
A trent’anni dall’entrata in vigore della norma, tuttavia, questo materiale cancerogeno è ancora presente in moltissimi edifici. Le mappature sono incomplete, le bonifiche procedono a rilento e i rimpalli burocratici impediscono chiare assunzioni di responsabilità da parte degli enti pubblici. In aggiunta, i dati sulle morti correlate all’esposizione ad amianto potrebbero essere sottostimati, per cui l’amianto potrebbe risultare fino a tre volte più letale dei circa 4.400 morti all’anno stimati fra il 2010 e il 2016.
L’inchiesta
Questa inchiesta fa parte di #AsbestosLethalLegacy, collaborazione internazionale sugli effetti dell’amianto in Europa. Guidata da Investigative Reporting Denmark, è supervisionata da Katharine Quarmby e realizzata in collaborazione con Knack in Belgio, Tygodnik Powszechny e Reporters’ Foundation in Polonia, Ostro in Croazia e Slovenia, IrpiMedia in Italia, De Groene Amsterdammer in Olanda, Grupo Merca2 in Spagna, Al Jazeera English nel Regno Unito e TV2 Nord in Danimarca.
L’inchiesta è stata realizzata grazie al finanziamento di Journalismfund.eu. Hanno collaborato Edoardo Anziano, Brecht Castel, Jenni Elisa beth Christensen, Staffan Dahllöf, Anuška Delić, Rasit Elibol, Emma Fjordbak, Lotte Lambrecht, Emilia García Morales, Nils Mulvad, Ante Pavić, Katharine Quarmby, Marcos García Rey, Beatriz Jiménez Tejero, Matej Zwitter.
«L’amianto è in Italia una vera e propria emergenza, non solo sanitaria e giudiziaria, ma anche sociale e ambientale. Specialmente dopo la Tutela costituzionale dell’ambiente (per effetto della recente riforma della nostra Costituzione), che si aggiunge a quella della salute, a maggior ragione non si comprende perché le nostre istituzioni, ai vari livelli, non affrontino e risolvano questo problema», spiega l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto. Fa riferimento alla modifica degli articoli 9 e 41 della Costituzione, avvenuta a febbraio 2022, per aggiungere l’ambiente come bene tutelato dalla carta fondamentale dell’ordinamento italiano. Il passaggio è importante perché rende la tutela dell’ambiente uno dei criteri sui quali prendere scelte politiche nell’interesse pubblico.
Eppure, a leggere gli articoli della legge che ha messo al bando l’amianto nel 1992 sembra che in termini di tutela sia stato fatto poco in questi tre decenni. L’articolo 11 della legge 257/1992 ha infatti come oggetto il «risanamento della miniera di Balangero», un giacimento di amianto situato sul Monte San Vittore, in provincia di Torino. Scoperto nel 1904, è rimasto attivo fino al 1990, arrivando ad estrarre fino a 35.350 tonnellate di amianto nel 1948. La legge di messa al bando dell’amianto metteva a disposizione 30 miliardi di lire in contributi pubblici fra il 1992 e il 1993 per il «risanamento ambientale» della miniera e dell’area circostante, impiegando nelle attività di bonifica gli ex minatori.
Progressive riduzioni degli stanziamenti destinati al risanamento, il fallimento della società pubblica titolare dell’opera di bonifica e una serie di interventi di messa in sicurezza nel mancato rispetto delle norme ambientali hanno rallentato la rimozione dell’amianto da Balangero. I primi interventi di bonifica sono infatti iniziati solo nel 1995. Nel 2022, a trent’anni esatti dal passaggio della legge, la bonifica completa della cava è ancora in corso.
Una perizia del 2014, commissionata dall’allora pubblico ministero Raffaele Guariniello aveva messo in correlazione la morte di 214 dei 1.966 ex lavoratori di Balangero con l’esposizione all’amianto, di cui 12 morti per mesotelioma. Guariniello era il procuratore che indagava sull’Eternit, l’azienda belga con sede a Casale Monferrato, sempre nel torinese, in cui tra il 1907 e il 1986 si è lavorato per realizzare lastre in una speciale lega di cemento e amianto, l’eternit appunto, che costano ancora oggi circa 50 morti all’anno per mesotelioma.
Cos’è l’amianto?
L’amianto è un minerale fibroso naturale, utilizzato spesso come isolante per la sue caratteristiche fonoassorbenti e ignifughe: capannoni industriali, edifici pubblici (scuole e ospedali), vagoni ferroviari, flotte militari e mercantili, guanti e tute dei Vigili del fuoco, ma anche acquedotti, tubature ed elettrodomestici. Il lento deterioramento delle matrici (ad esempio il cemento) in cui l’amianto è contenuto porta al rilascio delle fibre, le quali sono cancerogene anche in piccole concentrazioni. Se inalate, le fibre si vanno a depositare sulle cellule dei polmoni e nelle vie respiratorie, dove possono rimanere per anni, causando – nel tempo – l’insorgenza di tumori e altre patologie respiratorie. L’unica misura efficace, come riportato dal Ministero della salute, è evitare l’esposizione. Per evitare l’esposizione è fondamentale che i manufatti in amianto vengano bonificati e smaltiti da personale qualificato.
«Io credo che un legislatore che ha fatto la legge nel ‘92 pensava che l’affaire sarebbe finito nel ‘96. Non che nel 2022 sarebbe stato ancora all’inizio», sostiene Fabrizio Protti, presidente dello Sportello nazionale amianto (San). La legge, spiega, è basata su due pilastri: le indennità per i lavoratori che si sono ammalati in seguito all’esposizione ad amianto e le bonifiche. «La parte riferita alle bonifiche non ha mai trovato applicazione perché di fatto dipendeva soltanto dall’applicazione di un sistema burocratico che coinvolgeva Regioni, Stato centrale, aziende sanitarie locali e aziende ambientali. E lì c’è una sacca di inefficienza», conclude Protti.
Mappatura parziale
Il primo problema riguarda la mappatura dei siti contenenti amianto. Sulla base dei dati disponibili, è possibile affermare che in Italia non si conosce la reale portata dell’opera di smaltimento. Secondo il Ministero dell’ambiente, la Banca dati amianto censisce circa 118 mila siti contenenti amianto. Per lo Sportello nazionale amianto, questo numero rappresenta un terzo della presenza reale. Infatti, come ammesso dallo stesso Ministero, i dati sono estremamente incompleti. Basti pensare che oltre la metà (55%) dei siti è localizzato in sole due regioni, Piemonte e Marche. Questo esclude dal censimento «moltissime aree di impianto particolarmente rilevanti in termini di necessità di intervento, quali, ad esempio, lo stabilimento ex Isochimica di Avellino o l’ex stabilimento Cemamit a Ferentino (FR)».
Inoltre, le regioni non sempre hanno usato gli stessi metodi per raccogliere i dati. Il Ministero sta pertanto svolgendo un’attività di verifica dei dati, senza la quale non è possibile identificare i siti più urgenti da bonificare. Ovvero i siti in cui lo stato di degrado del cemento che incapsula l’amianto è maggiormente avanzato, perché più l’eternit è esposto alle intemperie e maggiore è il rischio che disperda fibre nell’aria, aumentando il rischio di esposizione. Dall’elenco pubblicato dal Ministero, sono stati verificati i dati da tutte e 20 le regioni italiane, ma non è chiaro se i siti da bonificare più urgentemente sono stati individuati.
Localizzazione dei siti contaminati da amianto secondo il Ministero dell’ambiente aggiornati al 2021. L’Osservatorio Nazionale Amianto stima che siano almeno dieci volte tanti.
Secondo il dossier Liberi dall’amianto? di Legambiente, nelle sole sei regioni che nel 2018 avevano completato il censimento delle proprie strutture, risultavano oltre 370 mila edifici contenenti amianto, in aumento del 62% rispetto al 2015. Proiettando questo numero su tutte le regioni, si arriverebbe a cifre molto più alte. Secondo l’Osservatorio nazionale amianto (Ona), in Italia ci sarebbero oltre un milione di siti e micro siti contaminati. Di questi, nel 2012 almeno 2.400 erano scuole. «C’è un paradosso che riguarda le scuole: molte sono state bonificate. Tuttavia, se da una parte si bonifica, dall’altra sono segnalate altre scuole con amianto. Pertanto, nel 2022, sono ancora circa 2.400 gli istituti scolastici a noi noti con presenza di amianto», spiega Ezio Bonanni. Una recente inchiesta di Wired aveva denunciato come il Ministero dell’istruzione non fosse in grado di quantificare il numero di scuole a rischio.
«Noi parliamo di una legge, la 257/1992 che diceva che di fatto bisognava fare la mappatura dell’amianto e che questa mappatura competeva alle Regioni», ragiona Fabrizio Protti. Un concetto ripreso in altre normative, incluso il Piano nazionale amianto del 2016. Tuttavia, la necessità della mappatura è rimasta tutta sulla carta. «Perché di fatto le Regioni non hanno mai provveduto a fare la mappatura. A 30 anni dalla legge che obbligava le Regioni a farla, le Regioni hanno passato al ministero nulla», conclude Protti.
Sul sito del Ministero dell’ambiente sono disponibili i dati della mappatura 2020 scaricabili per ciascuna regione, ma ancora disomogenei nella tipologia e nel numero di indicatori. La Regione Lombardia, unica in Italia, ha ancora i dati aggiornati al 2014.
All’inerzia del pubblico si aggiunge la mancata percezione del rischio da parte dei cittadini. Per quanto riguarda gli edifici privati, la legge prevede che i privati notifichino alle autorità regionali la presenza di amianto. Una pratica che, a distanza di trent’anni, ha sortito pochissimi effetti, contribuendo alla parzialità della mappatura. A una scarsa cultura della sicurezza, riflette Bonanni dell’Ona, si aggiunge il fatto che in alcuni casi l’amianto non è facilmente individuabile.
Data l’evidente incompletezza dei dati ufficiali, stimare la presenza di amianto in Italia non è semplice. Anche quelle delle organizzazioni del terzo settore sono, appunto, stime, basate su proiezioni a partire da mappature parziali. Legambiente nel 2018 calcolava che in Italia ci fossero quasi 58 milioni di metri quadri di coperture in cemento-amianto (in aumento del 469% rispetto al 2015). Secondo i dati più aggiornati a disposizione dell’Ona, le coperture in onduline – i pannelli ondulati che tipicamente si usano per coprire il tetto di capannoni o garage – di cemento-amianto ammonterebbero a 2,5 miliardi di metri quadrati, ovvero l’equivalente di oltre 35 mila campi da calcio. A queste si dovrebbero aggiungere, secondo l’Ona, almeno 40 milioni di tonnellate di materiali contenenti amianto. Di queste, 34 milioni sarebbero a matrice compatta, mentre sei milioni a matrice friabile, una condizione in cui l’amianto può essere ridotto in polvere dalla semplice pressione manuale, e dunque maggiormente pericoloso.
«Lo stesso cemento perde il suo potere aggrappante. Le tettoie se risalenti nel tempo (e le ultime furono poste in opera nel 1992), con la perdita del potere aggrappante del cemento e con le intemperie, danno rilascio di fibre», dunque, spiega Bonanni, «quello che alcuni decenni fa poteva essere considerato amianto compatto, è invece ora friabile».
L’amianto in Italia
In una ricerca del 2020, lo Sportello nazionale amianto ha cercato di stimare in modo più preciso l’estensione dei manufatti in cemento-amianto, utilizzando un metodo di fotografia aerea in grado di rilevare coperture in eternit fino a due metri quadri. La proiezione, basata sulla mappatura di 780 comuni italiani certifica la presenza di oltre 15 milioni di tonnellate di coperture compatte, a cui sono da aggiungere altri 10 milioni di tonnellate di amianto interno o friabile, per un totale di circa 26 milioni di tonnellate, di cui il 10% almeno, data l’esposizione almeno trentennale agli agenti atmosferici, da considerarsi gravemente danneggiato.
In molti Paesi dell’Unione europea, fra cui Spagna, Croazia, Slovenia e Danimarca, una stima dell’amianto non è disponibile. Se dati definitivi non sono ad oggi disponibili per l’Italia, nel nostro Paese la situazione sembra comunque essere più grave rispetto ad altri Stati europei: in Polonia un database ufficiale parla di 14,5 milioni di tonnellate, mentre nel Regno Unito ci sarebbero appena sei tonnellate. E, in Italia, la maggior parte del materiale contenente la fibra cancerogena non è stato ancora bonificato.
Cent’anni di bonifiche
La mappatura del Ministero dell’ambiente mostra come il numero delle bonifiche effettuate sia irrisorio. Al 2020 risultano bonificati 7.905 dei 118 mila siti contenenti amianto (meno del 7%), mentre parzialmente bonificati 4.300 (meno del 4%). In un anno, rispetto al 2019, sono stati bonificati appena 135 siti. Con questo ritmo, ci vorranno decenni, se non secoli, per la rimozione completa dell’amianto.
Secondo Legambiente, solo un quarto di tutto l’amianto installato è stato rimosso, con tempi di rimozione per quello restante fra i 70 e i 75 anni. Anche in questo caso i dati potrebbero essere sottostimati. Secondo la Direzione generale del Ministero della salute, potrebbero servire fino a 100 anni, sulla base di una previsione, datata 1992, di 23 milioni di tonnellate di materiale da rimuovere. Tuttavia, come abbiamo visto, di amianto ce ne potrebbe essere quasi il doppio. I ritardi, secondo Ezio Bonanni, sono legati all’ambiguità della legge 257/1992, che impone l’obbligo di rimozione solo dell’amianto friabile. Come già detto però, il rischio che dopo 30 anni l’amianto compatto si sia sfibrato è alto, e questo impone valutazioni di rischio che spesso non vengono fatte.
«In Italia non esiste un obbligo di rimozione. L’obbligo di rimozione esiste solo qualora l’amianto possa diventare un pericolo per la salute pubblica – spiega Fabrizio Protti del SAN – e questo vuole dire che di fatto anche una scuola con amianto se rispetta le normative per la prevenzione del rischio, è una scuola che può stare in esercizio. Di fatto esistono delle procedure che potrebbero garantire, anzi che devono garantire, se fossero applicate, la sicurezza degli edifici».
Il decreto del Ministero della Salute del 6 settembre 1994 prescrive che, in un edificio pubblico o comunque frequentato da lavoratori in cui sia presente eternit, deve essere identificato un responsabile del rischio amianto. Questa figura ha il compito di censire gli elementi in cemento amianto nell’edificio e occuparsi della prevenzione del rischio informando i frequentatori.
«Questa figura professionale – secondo Protti – è una figura cardine, ma che in Italia non è regolamentata se non in tre regioni, Piemonte, Liguria e Marche. Oggi fare il responsabile rischio amianto in una struttura sia pubblica sia privata è banalmente ridicolo, il ruolo viene svolto da personale che non ha né le competenze né le capacità».
In assenza di norme a livello nazionale, le regioni hanno proceduto in ordine sparso, con la maggioranza che non ha regolamentato la figura del responsabile amianto. Come conseguenza, c’è il rischio che le strutture contenenti manufatti in amianto non siano sicure, che l’amianto non venga rimosso anche quando è in cattivo stato di conservazione, e che le persone continuino ad ammalarsi, e a morire, di patologie asbesto-correlate. «Le regioni “locomotiva” potranno ultimare la bonifica entro il 2050 (la Lombardia anche forse entro il 2040), mentre alle altre regioni impiegheranno fino a 80 anni. Se così dovesse confermarsi, solo tra 120 anni saranno sconfitte le malattie asbesto-correlate tenendo conto i tempi di latenza in particolare del mesotelioma», conclude Ezio Bonanni.
Le malattie asbesto-correlate
L’Italia, spiega uno studio pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health a cui hanno partecipato ricercatori dell’Istituto superiore di sanità, del Ministero della salute e dell’Inail, è uno dei Paesi più colpiti in termini di malattie asbesto-correlate. La ragione è da ricondurre agli ingenti quantitativi di minerale grezzo utilizzato, oltre tre milioni di tonnellate fra la Seconda guerra mondiale e la messa al bando nel 1992.
Con il termine “abesto-correlate” si definiscono una serie di patologie correlate con l’esposizione all’amianto. L’Inail – sulla base delle valutazioni dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) – riconosce, come malattie professionali maggiormente probabili in caso di inalazione delle fibre di amianto, asbestosi (una fibrosi polmonare dovuta all’inalazione delle polveri del minerale), placche e ispessimenti della pleura, mesotelioma (tumore delle membrane che avvolgono gli organi interni), cancro al polmone, alla laringe e alle ovaie. Con probabilità minore, l’esposizione lavorativa all’amianto può causare tumori alla faringe, allo stomaco e al colon retto, mentre l’origine professionale del tumore all’esofago è ritenuta solo possibile.
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Nonostante siano passati trent’anni l’Italia, come molti altri Paesi, vive ancora una fase di “epidemia” legata alle malattie dovute al contatto con l’amianto. Questo è dovuto al lungo periodo che trascorre fra l’esposizione e l’insorgere delle patologie asbesto-correlate. Il mesotelioma si può manifestare fino a 40 anni dopo l’esposizione, il cancro al polmone dopo 20 anni, mentre l’asbestosi impiega fra i 10 e i 20 anni. Ma anche al fatto che le bonifiche, a distanza di trent’anni, sono ancora lontane dall’essere completate.
L’amianto è ancora presente negli edifici, le persone continuano a respirarlo e ad ammalarsi. Secondo lo studio pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health fra il 2010 e il 2016 sono state stimate 4.400 persone morte per questo tipo di patologie, 1.515 di mesotelioma (un cancro alle membrane che rivestono gli organi interni), 2.830 di cancro ai polmoni, 58 di asbestosi (la fibrosi polmonare specificamente legata all’esposizione all’amianto) e 16 per tumore alle ovaie. Tuttavia, alcuni dati suggeriscono che la mortalità potrebbe essere fra le due e le tre volte più alta di quanto stimato dalle statistiche ufficiali.
Le stime del Global Burden Disease, uno studio globale sulla diffusione delle malattie ospitato dall’Institute of Health Metrics and Evaluation dell’Università di Washington, mostrano che per ciascun anno, dal 2010 al 2016, sono morte oltre 14 mila persone per esposizione occupazionale all’amianto, più di tre volte quanto stimato dallo studio di Iss, Inail e Ministero della salute. Un simile disallineamento rispetto ai dati ufficiali è riscontrabile in altri Paesi europei, come Danimarca e Regno Unito, sebbene possa essere dovuto a differenze metodologiche.
Jukka Takala, già presidente della Commissione internazionale di medicina del lavoro, spiega che i dati reali legati ai morti per amianto potrebbero essere ancora più alti di quanto stimato dal Global Burden Disease. Una delle ragioni principali, dice Tukala, è che – ad esempio – un fattore come il fumo aumenta in modo drastico le conseguenze dell’esposizione all’amianto. Tuttavia, una stima precisa delle morti legate all’amianto è difficile.
«Il problema è che non c’è una soglia limite. Anche solo una fibra potrebbe causare un tumore. Normalmente, il cancro asbesto-correlato è il risultato di una costante infiammazione dei polmoni dovuta all’irritazione derivata dalle fibre sottili e affilate dell’amianto», chiarisce Tukala in un’intervista al consorzio di giornalisti.
Come spiega Lucia Fazzo, ricercatrice del Dipartimento ambiente e salute dell’Iss e autrice dello studio Burden of Mortality from Asbestos-Related Diseases in Italy «per quanto riguarda i mesoteliomi, dal 2003 in Italia abbiamo una codifica delle malattie che prevede un codice ben preciso nel riportare i certificati di decesso. Quindi possiamo dire che abbiamo una forte confidenza che il dato sia reale, così come per l’asbestosi, da tempo dotata di proprio codice nosologico. Per quanto riguarda invece altre malattie asbesto-correlate, è il caso del tumore maligno del polmone e dell’ovaio, è realmente difficile poter discernere a livello di popolazione quali casi sono dovuti, per fare un esempio al fumo – uno dei fattori di rischio più noti – piuttosto che all’amianto. In alcuni casi, questi fattori possono anche partecipare insieme. Quindi per i mesoteliomi, i dati vengono dai certificati di decesso, ma per le altre malattie parliamo di stime, per quanto basate su metodi validati».
D’amianto si muore
«L’impatto dell’amianto è in continuo aumento, tant’è vero che lo sono i casi di mesotelioma, non meno di 2.000 ancora nel 2021», spiega Ezio Bonanni, secondo cui «il picco è atteso tra il 2025 e il 2030 e poi solo a partire dal 2035 inizierà una lenta decrescita».
Man mano che ci si allontana dalla data della messa al bando, cambia la demografia delle persone che si ammalano.
«Ora il panorama si sta evolvendo – conclude Bonanni – perché ad essere colpiti non sono più gli operai di questi stabilimenti in cui l’amianto era lavorato e prodotto, ma anche gli altri operai, quelli degli stabilimenti che non utilizzavano il minerale come materia prima ma che lo avevano nella struttura e negli impianti. Nel futuro, via via, assisteremo a nuovi casi che riguarderanno coloro che sono stati esposti per l’uso dell’amianto in edifici pubblici e privati o con esposizioni meno elevate».
Nel corso di questa inchiesta, abbiamo provato a contattare tutti gli enti pubblici che sono stati citati. Nessuno ha risposto alle richieste di intervista. In particolare, non hanno risposto i Ministeri competenti, quello dell’Ambiente in primis, quello della Salute, e quello dell’Istruzione sul tema dell’amianto nelle scuole. A testimonianza del fatto che la questione dell’amianto, dopo trent’anni, è più che mai dimenticata dalle autorità pubbliche.
CREDITI
Autori
Edoardo Anziano
Ha collaborato
Brecht Castel
Jenni Elisabeth Christensen
Staffan Dahllöf
Anuška Delić
Rasit Elibol
Emma Fjordbak
Lotte Lambrecht
Emilia García Morales
Nils Mulvad
Ante Pavić
Katharine Quarmby
Marcos García Rey
Beatriz Jiménez Tejero
Matej Zwitter
Editing
Lorenzo Bagnoli
Infografiche
Edoardo Anziano
Lorenzo Bodrero
Foto di copertina
Rimozione di amianto presso una struttura nel Regno Unito
(ConstructionPhotography/Getty)