Simone Olivelli
Paolo Riva
«Se non arriveranno i contributi europei, non avremo futuro. Saremo costretti a chiudere». Più che un grido d’allarme, l’amara consapevolezza di chi sa che i sacrifici, senza gli aiuti sulla carta garantiti ma nella realtà tutt’altro che certi, spesso non bastano. La voce di Giuseppe – il nome è di fantasia – è ferma, come chi sa di fare tutto ciò che è nelle proprie possibilità. Emigrato a Bruxelles quando era ancora un ragazzo, negli anni scorsi ha deciso di investire in Sicilia, la sua regione d’origine, comprando terreni e in parte affittandoli dal Demanio. Un impegno economico non indifferente utile a dare vita a un’azienda agricola.
«L’ho aperta con un amico che vive in Sicilia, l’intenzione era quella di dare un futuro a mia figlia», racconta. Il progetto, nato nel 2020, si sviluppa su un’area di 150 ettari in provincia di Enna, dove pascolano 350 pecore e un’ottantina di vacche. Un punto di partenza per poi tentare di crescere investendo in strutture e macchinari. Tutto, però, da qualche mese si è arenato: «Riusciamo appena a sopravvivere, abbiamo dovuto chiedere ai nostri clienti di pagare il latte con un mese di anticipo, ma non basta. Non nego che sto iniziando a pensare di vendere tutto», rivela. Per alcuni agricoltori e allevatori, il ricavato dell’attività è appena sufficiente a pagare le spese, mentre gli aiuti europei rappresentano almeno una parte del reddito. Chi lavora in settori diversi dall’agricoltura, secondo i dati dell’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea) citati nel dicembre 2022 da IrpiMedia guadagna in media 29 mila euro contro i 18 mila di un lavoratore agricolo, il quale senza Pac ne incasserebbe in media 14 mila.
L'inchiesta in breve
- I contributi della Pac, la politica agricola comune Ue, sono fondamentali per un gran numero di agricoltori italiani. Ottenerli però non è facile. I Caa, i centri di assistenza agricola, aiutano gli imprenditori agricoli con la burocrazia. In un caso però sono diventati parte del problema
- In Sicilia diverse aziende hanno i fondi bloccati per via dell’anomalia D12. Nata per effettuare verifiche ed evitare frodi, in alcune circostanze danneggia gli agricoltori per motivi burocratici. E, in questo caso, al centro del problema sembra esserci proprio un Caa
- Un controllo a carico di un centro di assistenza agricolo di Latina ha di fatto comportato lo stop ai contributi per decine di imprese. Nel mirino di AgeControl, un’agenzia che opera per conto di ministero e Agea, ci sono criticità nella gestione dei fascicoli aziendali
- Il caso è emblematico di un sistema che è nato per sostenere gli agricoltori, ma che troppo spesso finisce per rendere loro la vita ancora più difficile: gli agricoltori italiani impiegano mediamente trenta ore l’anno per gli adempimenti burocratici Pac, il doppio della media Ue
- Per la Corte dei conti va migliorata l’efficienza del sistema, che eroga contributi esigui «rispetto allo scopo» a un costo «comprensibilmente elevato e, forse, sproporzionato». Il compito, ora, spetta a Fabio Vitale, il nuovo direttore di Agea, l’agenzia per le erogazioni in agricoltura
La storia di Giuseppe è simile a quella di altri piccoli imprenditori da mesi alle prese con il blocco dei pagamenti da parte di Agea, l’agenzia per le erogazioni in agricoltura che per conto del ministero gestisce le domande per ottenere i contributi previsti dalla Politica agricola comune (Pac), la più importante voce del bilancio dell’Unione europea. Difficile avere una stima di quanti siano in totale. Di certo sono qualche decina, ma potrebbero essere molti di più. Basti pensare che la scoperta dello stop ai fondi europei è avvenuta casualmente: «A inizio anno ci siamo accorti che sui conti dell’azienda non arrivavano le somme che attendevamo, così abbiamo verificato sul sistema informativo del ministero. La nostra posizione risultava bloccata».
Destino simile ha avuto la richiesta di Giovanni, anche il suo è un nome di fantasia: «Faccio l’imprenditore agricolo da anni, dal 2022 anche mio figlio ha aperto un’impresa. Viviamo a Nicosia (Enna) e alleviamo mucche Limousine. Le cose però da un po’ si stanno mettendo male: l’Agea non ci sta più pagando per via di una presunta irregolarità nelle nostre domande, una cosa che mai ci saremmo attesi e che tutt’ora fatichiamo a comprendere».
L’anomalia D12
Il blocco dei finanziamenti da parte di Agea è spesso legato allo scattare di anomalie che hanno lo scopo di allertare il sistema di controllo sulla presenza di criticità nelle istanze presentate. Impedire che si commettano frodi sui fondi pubblici all’agricoltura è una delle preoccupazioni principali sia per la Commissione europea, sia per gli Stati membri. Nell’elenco delle anomalie di Agea, il codice D12 indica una situazione in cui per un’azienda agricola viene decisa una «preventiva esclusione dai decreti di pagamento». In pratica, per un certo periodo non le vengono erogati i fondi richiesti.
La sospensione temporanea serve per fare verifiche o accertamenti, a volte puramente amministrativi o burocratici, altre volte più seri, legati a indagini o possibili reati. È per questa ragione che il beneficiario dei fondi non viene avvisato, come capitato a Giuseppe e Giovanni. Dell’anomalia, ha parlato nel corso di un’audizione al Senato del 2020 anche l’allora direttore di Agea, Gabriele Papa Pagliardini, ammettendo che «particolare preoccupazione destano tra gli agricoltori [le anomalie] classificate con la sigla D12».
Papa Pagliardini ha spiegato che l’anomalia ricorre in due casi. Il primo riguarda gli «agricoltori per i quali, in sede di verifica antimafia, è pervenuta dalla prefettura competente una nota “interlocutoria”» in cui il prefetto riscontra informazioni che potrebbero tradursi in un’interdittiva. «In questo caso, l’anomalia si sblocca non appena ricevuta l’informazione liberatoria dalla prefettura». Il secondo caso, invece, riguarda agricoltori «per i quali siano pervenute all’Organismo pagatore Agea informazioni soggette ad obbligo di riservatezza concernenti la posizione dell’agricoltore», prosegue l’allora direttore di Agea.
Nel 2019, ha indicato Papa Pagliardini nel corso dell’audizione, il numero di aziende agricole toccate dalla D12 era di 703, «rispetto agli oltre 500 mila beneficiari dell’Organismo pagatore Agea». Dati più recenti non sono disponibili sul sito dell’agenzia. «Il problema dei pagamenti che rimangono bloccati a causa dell’anomalia D12 non è così forte come in passato, ma esiste», sostiene Domenico Amato, direttore nazionale del Centro di assistenza agricola di Cia – Agricoltori Italiani.
L’operazione Bonifica
Ottobre 2013, oltre mille agenti della Guardia di finanza entrano nei Caa di tutta Italia per acquisire la documentazione relativa ad aziende agricole individuate attraverso un’analisi di rischio elaborata su dati Agea. Cercano irregolarità e frodi, per trovare le quali i pagamenti dei contributi Pac verranno bloccati a decine di migliaia di imprese, anche quelle coinvolte in irregolarità puramente amministrative. Il blocco durerà mesi, fino a una soluzione politica nel giugno 2014.
«Risolvere questa incresciosa situazione è stato importante. Che le domande degli agricoltori fossero rimaste così a lungo inevase per un vero e proprio blocco di istruttoria amministrativa, il codice D12, è stato gravissimo», dichiararono in quell’occasione Cia, Confagricoltura e Alleanza delle cooperative agroalimentari, auspicando che in futuro una situazione di quel tipo non si ripetesse.
Eppure, seppur di dimensioni ben inferiori, alcuni episodi simili si sono registrati, in provincia di Viterbo nel 2019, in Sardegna nel 2020 e in provincia di Messina nel 2023. In assenza di numeri ufficiali, però, capire le reali dimensioni del fenomeno rimane difficile.
Poiché la «D12 ricorre in un insieme di situazioni particolari», ha proseguito il direttore Amato, «a tale anomalia non corrisponde, normalmente, una specifica attività di comunicazione dell’Organismo pagatore che spieghi al richiedente il motivo dell’anomalia e le modalità per il suo superamento». Gli agricoltori, quindi, scoprono di non poter ricevere i fondi e non sanno né perché né come fare per tornare ad ottenerli, rimanendo bloccati all’interno di un sistema nato per sostenerli, ma che finisce per rendere loro la vita ancora più difficile.
Secondo un rapporto della Commissione europea del 2019, infatti, in Italia i valori mediani dei costi amministrativi Pac superano gli 800 euro l’anno, i più alti d’Europa fatta eccezione per la Svezia. Gli agricoltori italiani e tedeschi, inoltre, impiegano in media trenta ore l’anno per sbrigare gli adempimenti burocratici legati agli aiuti Pac, il doppio della media Ue.
Non solo. Nella relazione 2022 sui rapporti finanziari con l’Unione europea e l’utilizzazione dei fondi europei, la Corte dei conti ha sottolineato «l’esigenza di migliorare l’efficienza» delle misure adottate a sostegno dell’agricoltura. «In specie, per ciò che concerne gli aiuti diretti disaccoppiati (cioè sono sono erogati indipendentemente dalla produzione, ndr), 408.480 agricoltori, su 795.190 aventi diritto, ricevono un contributo annuo medio di 662 euro, a cui va detratto il costo di istruzione della pratica, a carico del percipiente, di circa cento euro», scrive la corte. «Alla evidente esiguità, rispetto allo scopo, degli importi erogati si coniuga il costo, comprensibilmente elevato e, forse, sproporzionato, della processazione e del controllo del singolo contributo, così da porre, all’estremo, il quesito della reale utilità, pur minima, dell’impiego di risorse che, giova ricordarlo, si aggirano complessivamente intorno ai quattro miliardi di euro all’anno», conclude il documento. Il sistema, quindi, è molto lontano dalla perfezione.
Da Bruxelles alle campagne italiane
L’Unione europea sostiene la produzione agricola negli Stati membri attraverso l’erogazione ai produttori di aiuti, contributi e premi. Tali somme vengono gestite da ciascun Paese attraverso gli organismi pagatori. In Italia, alcune regioni ne hanno un proprio (Toscana, Emilia-Romagna, Veneto, Calabria, Piemonte, Lombardia, più le province autonome di Trento e Bolzano), mentre in tutte le altre il compito è svolto da Agea stessa, che ha anche un ruolo di coordinamento nazionale dell’intero sistema.
«Nell’espletamento della sua missione istituzionale, Agea – si legge sul sito dell’agenzia – si avvale anche di altri organismi a cui sono stati delegati particolari compiti. Tra questi figurano anche i Caa (Centri di assistenza agricola) i quali svolgono le attività di supporto nella predisposizione delle domande di ammissione ai benefici comunitari e nazionali su mandato degli imprenditori interessati». In particolare, Agea corrisponde un contributo economico ai Caa per la gestione di ogni fascicolo aziendale, il documento di cui le imprese agricole necessitano per operare. Nel 2019, secondo una relazione della Corte dei conti, questo impegno è costato all’agenzia 18 milioni di euro, una spesa rilevante rispetto al giro d’affari di circa 130 milioni.
A regolare la materia è il decreto legislativo 74 del 2018 che prevede per i Caa il compito di assistere i professionisti dell’agricoltura. Esistono, per citare alcune delle più conosciute organizzazioni di agricoltori italiane, i Caa di Coldiretti, di Cia e di Confagricoltura, ma le alternative cui le imprese possono rivolgersi sono innumerevoli.
«I Caa – spiega ancora il sito di Agea – rappresentano lo strumento con il quale l’organismo pagatore assicura il costante rapporto con i produttori e una migliore e più diretta assistenza agli stessi ai fini della corretta predisposizione delle domande di aiuto».
«Le pratiche per ottenere i fondi Pac, in teoria, possono anche essere svolte autonomamente dagli agricoltori, ma il procedimento è complesso e richiede diverse competenze. Se penso alla mia esperienza, avviene molto raramente», spiega Angela Gambi, dottoressa agronoma e consigliere dell’Ordine dei dottori agronomi e dottori forestali della Provincia di Firenze. Secondo l’economista agrario Ermanno Comegna, per accedere ai fondi servirebbero «meccanismi chiari, trasparenti, immediatamente comprensibili e facilmente utilizzabili dall’utenza». Per Comegna, che comunque riconosce un miglioramento complessivo del sistema nell’ultimo decennio, oggi in Italia non è così. Per questo, aggiunge, «tra l’imprenditore agricolo e gli organismi pagatori serve l’intermediazione costante dei Caa».
La centralità del ruolo dei centri di assistenza agricola nella presentazione delle richieste dei contributi comunitari, nel recente passato, è finita anche al centro di inchieste giudiziarie. IrpiMedia se ne è occupata nell’approfondimento dedicato all’inchiesta Nebrodi, che ha svelato la portata – ancora più grande di quella fotografata dal tribunale – degli affari gestiti da soggetti vicini alla criminalità organizzata. Per i giudici, all’interno dei Caa alcuni operatori facevano gli interessi di chi voleva lucrare sui fondi Ue, segnalando quali terreni fossero scoperti da istanze di finanziamento. Un sistema che per tanto tempo è riuscito ad aggirare il monitoraggio di Agea.
Al Caa di Latina accuse incrociate e fascicoli mancanti
Anche nella sospensione delle erogazioni ai due agricoltori Giuseppe e Giovanni da cui siamo partiti gioca un ruolo un centro di assistenza agricola. Si trova a Latina e fa capo all’Associazione lavoratori produttori agroalimentari ambientali (Alpaa), a sua volta federata alla Flai Cgil. Ѐ al Caa laziale, infatti, che le aziende siciliane hanno presentato le domande di contributo. Il centro di assistenza, dalla fine del 2022, è sottoposto a un controllo da parte di AgeControl, un’agenzia pubblica che opera per conto del ministero per l’Agricoltura e di Agea. A confermarlo è stata la stessa Agea in una nota inviata al legale di Giuseppe: «Le istanze presentate dalla società sono temporaneamente sospese in quanto oggetto di approfondimenti istruttori di natura amministrativa, resisi necessari a seguito dei controlli di secondo livello effettuati sulla sede del Caa Alpa di Latina», si legge nel documento firmato ad aprile scorso da un dirigente dell’ufficio tecnico di Agea.
Ѐ lecito chiedersi quale sia stato il motivo che abbia portato le aziende siciliane a presentare le proprie domande a Latina e la scelta territoriale insolita trova risposta nel racconto dei diretti interessati: «Da anni ci rivolgiamo a un’operatrice che vive dalle parti di Villarosa (Enna), i documenti da caricare sul portale informatico li abbiamo sempre dati a lei – raccontano -. Prima lavorava per un Caa di un’altra sigla sindacale, quando è passata ad Alpaa siamo rimasti con lei e abbiamo scoperto che operava per l’ufficio di Latina», racconta Giuseppe.
La donna a cui i due imprenditori fanno riferimento si chiama Roberta La Paglia. Raggiunta telefonicamente, La Paglia sostiene di essere a sua volta vittima di qualcosa che, al momento, anche a lei risulta poco chiaro e che, assicura, non è avvenuto in Sicilia. «Ho iniziato a collaborare con il centro Alpaa dopo lo scoppio della pandemia, prima lavoravo con Fenapi (la Federazione nazionale autonoma piccoli imprenditori, un’associazione di categoria, ndr) a Caltanissetta – racconta -. Quando ho ricevuto questa proposta ho detto sì pensando che avrei potuto lavorare al centro Alpaa di Villarosa, nel mio paese, ma ciò non è mai accaduto. Mi sono state date le credenziali per compilare le domande per conto del centro di Latina per il quale ho lavorato fino all’ultimo».
La fine della collaborazione è arrivata in seguito a un provvedimento comunicato a La Paglia da uno dei responsabili del centro. «Sulla base di segnalazioni ricevute e dopo aver fatto approfondite e opportune verifiche, le comunichiamo di avere provveduto alla sospensione cautelativa della sua utenza di operatrice», si legge in un’email datata 25 novembre.
La Paglia rimanda al mittente qualsiasi responsabilità tanto nella compilazione delle domande di pagamento, quanto nella detenzione dei fascicoli aziendali, la cui versione cartacea, per legge, deve essere custodita all’interno del centro di assistenza agricola a cui l’impresa si rivolge. «A settembre dello scorso anno da Latina mi hanno fatto sapere che AgeControl aveva annunciato un imminente controllo e per questo mi è stato detto di inviare i fascicoli aziendali delle imprese che gestivo – spiega La Paglia -. Avrò spedito a Latina almeno trenta chili di documenti via posta. Non ho idea di cosa sia accaduto durante il controllo».
Dopo l’annuncio dell’ispezione da parte di AgeControl, tra La Paglia e i responsabili del centro di assistenza agricolo si è aperta una querelle in cui non sono mancate le accuse reciproche. Da Latina è partita anche una diffida nei confronti dell’operatrice siciliana, che viene accusata di avere gestito un centinaio di fascicoli aziendali, molti dei quali sarebbero stati «carenti della documentazione necessaria». La donna è stata accusata dai suoi superiori anche di essersi rifiutata di restituire alcuni fascicoli e di avere operato in conflitto d’interessi per avere curato le richieste di contributo per società a lei riconducibili. Tutti addebiti che La Paglia rinvia al mittente.
«Sono socia di un’azienda familiare fondata dal mio trisavolo, non sapevo che non avrei potuto occuparmi di caricare i documenti sul portale Sian, altrimenti non lo avrei fatto – commenta -. Nel caso invece dell’azienda di cui sono legale rappresentante la domanda è stata compilata e inviata dalla responsabile del Caa Alpa, c’è la firma che lo prova». La Paglia ridimensiona anche il numero delle istanze trattate e nega di avere trattenuto fascicoli. «Le richieste che ho gestito sono poco più di una trentina e ho sempre dato la mia massima collaborazione a inviare tutti i documenti necessari, ho le ricevute delle spedizioni postali che lo dimostrano».
Indipendentemente da chi la spunterà nella diatriba interna al centro di assistenza agricola, quel che è certo è che finché Agea non risolverà l’anomalia le aziende rischiano di continuare a non ricevere alcun contributo. Uno scenario che per l’avvocato Massimo Cavaleri, legale dell’impresa di Giuseppe, non è accettabile e si scontra con quanto previsto dalla normativa. Cavaleri, ad aprile, ha inviato una diffida ad Agea. «Tale blocco non è giustificato da un controllo integrato effettuato nei confronti della società o da un controllo inerente il procedimento di erogazione del contributo, bensì da un controllo nei confronti del centro di assistenza agricola finalizzato – si legge nel documento – a verificare l’osservanza di quanto stabilito dalla convenzione stipulata dagli stessi Caa con Agea e rispetto al quale, quindi, l’unico soggetto sanzionabile è il medesimo centro e non certo il produttore della cui gestione (del fascicolo aziendale) è del tutto estraneo e inconsapevole».
A sostegno della buona fede del proprio cliente e del possesso di tutti i requisiti richiesti affinché l’istanza andasse in porto – dal possesso dei terreni aziendali ai cosiddetti titoli Pac, nonché la regolare registrazione degli allevamenti – Cavaleri ha comunicato ad Agea quanto rilevato da un altro Caa a cui l’azienda di Giuseppe si è rivolta. Un centro di assistenza agricolo di Catania, legato a Confragricoltura, ha dichiarato di avere «acquisito tutta la documentazione necessaria a riscontrare la completezza» e di avere verificato «la sussistenza di tutti gli atti amministrativi e i documenti inseriti all’interno del fascicolo aziendale».
Ciò, tuttavia, non è bastato a sbloccare l’impasse. Le imprese continuano a rimanere sospese in un limbo. Tale incertezza, secondo l’avvocato Cavaleri, è frutto di un mancato adempimento da parte di Agea ai propri compiti. «La natura tecnica della sospensione comporta che il suo perdurare oltre il termine legale comporti una illegittima nonché immotivata condizione di sospensione di tutti i procedimenti delle aziende interessate, impedendo loro – dichiara Cavaleri a IrpiMedia – di conoscere le ragioni della sospensione, di interloquire e di verificare la sua legittimità nonché di poter offrire ogni apporto al procedimento amministrativo. La legge generale sul procedimento amministrativo nonché la disciplina comunitaria specifica – continua – non consentono anticipazioni di misure sanzionatorie senza motivazione e nel caso di specie senza l’indicazione dei presupposti minimi imputabili soggettivamente alle aziende interessate. L’agenzia pertanto – conclude – sfrutta il sistema informatico con l’apposizione di blocchi informatici in assenza di presupposti e per un periodo indeterminato attuando quel che l’ordinamento vieta e segnatamente una responsabilità senza colpa».
Cambio ai vertici di Agea
Intanto, ad Agea si è insediato il nuovo direttore generale, che è andato a prendere il posto di Gabriele Papa Gagliardini. A fine 2022, le commissioni agricoltura di Camera e Senato hanno votato a favore della nomina di Fabio Vitale, proposto dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida. Vitale, che nella sua lunga carriera all’Inps si è anche occupato di lavoro sommerso e lavoro agricolo, ha detto nel corso di un’audizione al Senato di voler migliorare la piattaforma informatica dell’agenzia per velocizzare i pagamenti e di voler concentrarsi sulla lotta alle frodi.
Il nuovo direttore generale dovrà affrontare anche la questione del rinnovo della convenzione che regola i rapporti tra l’Agea e i centri di assistenza agricola. Il suo predecessore Papa Gagliardini, nel 2020, ne aveva proposta una per la quale gli operatori dei Caa sarebbero dovuti diventare tutti dipendenti, mentre oggi vi lavorano anche liberi professionisti. Una delle motivazioni per il cambio di formula, non l’unica, sarebbe stata anche la volontà di limitare i conflitti di interesse dei liberi professionisti operanti nei Caa, che potenzialmente potrebbero svolgere anche attività di consulenza presso le stesse aziende seguite dal centro di assistenza agricola. Al tempo stesso, alcuni osservatori hanno sottolineato come questo cambiamento andrebbe a favorire le organizzazioni più strutturate, che già hanno numerosi dipendenti. Tra proteste e ricorsi ai tribunali amministrativi, la partita Caa è ancora aperta. Ora toccherà a Vitale giocarla. Contattate per una replica, Agea, AgeControl e Alpa non hanno risposto alle domande inviate da IrpiMedia.
CREDITI
Autori
Simone Olivelli
Paolo Riva
Editing
Lorenzo Bagnoli
Foto di copertina
Mucche di razza Limousine in un allevamento italiano
(UCG/Getty)