Allevatori di sussidi: l’Abruzzo preda delle mafie
Le organizzazioni criminali puntano all’accaparramento dei fondi Ue destinati all’agricoltura. Proviamo a fare luce sulle dinamiche predatorie e sui legami imprenditoriali della mafia dei pascoli
11 Ottobre 2023

Giovanni Soini
Stefano Chianese
Filippo Zingone

«C’è un assalto al territorio. Se non stai al gioco, ti fanno fuori da tutto». Sono le parole che un pastore, rimasto anonimo, riferisce a Lina Calandra, professoressa di geografia presso il Dipartimento di scienze umane dell’Università dell’Aquila, nel corso di uno studio condotto sul campo tra il 2017 e il 2020. La ricerca era partita in modo semplice: insieme al gruppo di lavoro del Laboratorio Cartolab del Dipartimento di scienze umane, la professoressa e i suoi collaboratori hanno intervistato più di 1.000 persone, tra figure istituzionali, pastori e professionisti. La domanda dei ricercatori è semplice: «Come va sul territorio per chi vi opera e per chi lo vive quotidianamente?». Una domanda che ha scoperchiato un vaso di Pandora e che ha portato Lina Calandra e i suoi collaboratori a imbattersi in una situazione che fino a quel momento non immaginavano.

Da quello che gli intervistati raccontano, sembrerebbe che la gestione dei terreni da pascolo sull’Appennino abruzzese sia spesso direttamente legata a imprenditori provenienti da fuori regione, che si appropriano di terreni minacciando e intimidendo i pastori locali. Diversi intervistati hanno raccontato di mezzi agricoli bruciati, animali uccisi e abbandonati, ma anche di minacce personali. L’obiettivo però, non è fare estorsione, né l’appropriazione in sé dei terreni. Secondo le testimonianze di molti intervistati, sarebbe piuttosto l’appropriazione dei fondi europei previsti dalla Pac, il Piano agricolo comune, una politica agraria comune a tutti i Paesi dell’Unione europea, gestita e finanziata con risorse del bilancio dell’Ue.

L'inchiesta in breve
  • In Abruzzo c’è una presenza criminale che punta all’accaparramento dei fondi europei destinati all’agricoltura. Una delle prime persone a denunciarlo pubblicamente è stata la professoressa Lina Calandra dell’Università dell’Aquila in una ricerca condotta tra il 2017 e il 2020
  • La professoressa ha parlato con diversi pastori che le hanno riferito di furti di bestiame, incendi e minacce. Questo la porta a individuare un sistema organizzato finalizzato all’accaparramento dei terreni e dei relativi sussidi europei che lega aziende del nord, sud e centro del Paese
  • Anche la consigliera De Felicis, del comune di Lucoli (Aq), ha notato delle irregolarità sul territorio riguardo la concessione dei terreni e l’uso improprio che di questi terreni viene fatto da imprenditori di fuori regione
  • Nel settembre del 2023 scatta l’operazione Transumanza. Condotta dalla Guardia di finanza di Pescara e diretta dalla DDA dell’Aquila, coinvolge 75 soggetti ed enti che avrebbero simulato il possesso dei requisiti necessari per ottenere la disponibilità di terreni e di corrispondenti titoli Pac, rilasciati gratuitamente dalla Riserva nazionale dei titoli ai nuovi giovani imprenditori agricoli
  • Già nel 2022 erano state emesse interdittive antimafia nei confronti di quattro aziende zootecniche abruzzesi, che avevano rivelato gli interessi di alcune consorterie criminali campane e pugliesi
  • Dall’analisi di IrpiMedia risulta, a partire dalle interdittive, l’esistenza di una struttura complessa e ramificata su scala nazionale che lega imprenditori attivi in diverse parti d’italia che, con diverse società, riescono ad aggiudicarsi l’uso di enormi quantità di terreni da pascolo tramite i quali incassare i fondi europei

Di truffe piccole e grandi sui fondi Pac ce ne sono state molte, nessuno però, in Abruzzo, immaginava che dietro queste truffe si nascondesse un sistema collaudato e organizzato.

«Diverse storie a livello giornalistico sono state scritte sulla situazione dei nostri pascoli, ma tutte con un taglio che minimizza il problema: qualche furbetto che intasca i fondi Pac» ma quello che lo studio in questione ha evidenziato «è un sistema organizzato a livello nazionale, altro che singoli furbetti», afferma la professoressa.

Dalla riforma della Pac del 2003 l’accesso ai sussidi ha sempre creato degli spazi grigi che lasciano la possibilità di appropriarsi in modo illecito degli aiuti europei al reparto agropastorale. Ma le interviste condotte tra il 2017 e il 2020 hanno rivelato un fenomeno ben più grave. «C’è mafia sul pascolo. I pascoli vengono presi da ditte prestanome, ma non puoi metterti di traverso perché ci passi i guai», afferma un intervistato. C’è mafia sul pascolo. Queste parole non potevano passare inosservate, soprattutto quando più di 200 intervistati fanno riferimento a un sistema mafioso e ad atti intimidatori e violenti. Ma in che senso «c’è la mafia»? Questa è la domanda alla quale la professoressa Calandra ha provato a dare risposta andando oltre il suo ruolo accademico.

Per provare a rispondere bisogna però fare il punto sul funzionamento dei sussidi Pac. Un agricoltore o un allevatore può fare richiesta per i sussidi previsti dalla Politica agricola comune compilando una domanda unica presso un centro di assistenza agricola o con l’aiuto di un commercialista. La domanda, da mandare poi all’ente pagatore Agea, deve comprendere: il tipo di produzione che l’azienda o il singolo agricoltore dichiarano e gli ettari di terreno in possesso del produttore. I sussidi, dal 2003, vengono quantificati in base a quelli che vengono chiamati titoli. Ogni titolo ha un valore deciso in base all’ammontare degli aiuti comunitari ricevuti dal richiedente prima del 2003 e per incassare il loro valore devono essere obbligatoriamente “appoggiati” su un ettaro ciascuno.

Fino a qui sembra essere un procedimento senza intoppi, ma quando qualcuno apre una nuova attività agricola come fa ad accedere ai titoli per incassare gli aiuti? Dopo il 2003 ogni azienda di nuova apertura può accedere alla Riserva nazionale di titoli, un organismo statale che genera titoli per le aziende agricole che hanno aperto negli ultimi vent’anni. Il valore dei titoli generati dalla Riserva nazionale parte dal minimo per poi alzarsi in base alla quantità di terre possedute dal richiedente e in base alla futura produzione. Ci sono però dei modi per riuscire a entrare in possesso di titoli con valori molto alti fin dall’inizio. Infatti se la nuova azienda rispetta determinati criteri di composizione societaria, come la presenza di una donna o di un individuo sotto i 40 anni tra i soci, i titoli verranno generati immediatamente con un valore alto.

Il sistema dei titoli ha creato un mercato dove questi vengono ceduti da un’azienda all’altra, non necessariamente con uno scambio monetario ma anche tramite cessioni gratuite. Questo mercato crea un angolo buio in cui la cessione o la vendita di titoli diventano il modo più facile per entrare in possesso di nuovi titoli da appoggiare su altrettanti ettari su cui incassare i sussidi Pac. Su queste basi di funzionamento, la professoressa Calandra ha deciso di mappare il movimento dei titoli sul territorio nazionale.

Ne viene fuori che nelle province di Foggia, Reggio Calabria e altre del Sud Italia, vengono create di continuo aziende i cui titoli vengono immediatamente ceduti a grandi imprese agricole del Nord Italia. Queste ultime, con una grande storia nel mercato agricolo e quindi “rispettabili”, hanno però bisogno di altri terreni sui quali appoggiare i titoli di cui entrano in possesso. Questi nuovi appezzamenti vengono cercati nelle zone di montagna dell’intero Paese, luoghi scarsamente controllati e spesso di proprietà del comune di competenza, i cosiddetti usi civici. La regolamentazione degli usi civici vuole che i terreni siano dati in affidamento prioritariamente a operatori agricoli, per la maggior parte pastori, residenti nel comune dove si trovano i terreni. É qui che intervengono i prestanome: le grandi aziende del nord aprono imprese nei comuni montani dell’aquilano facendo però comparire, o come proprietari o come soci, persone residenti presso il comune dove sono ubicati i terreni.

Lina Calandra, dopo aver approfondito la conoscenza delle dinamiche delle montagne abruzzesi, ha cominciato la sua lotta facendosi portavoce dei pastori vessati. Vessati non solo dai forestieri che tolgono il pascolo, e quindi il lavoro, per incassare i sussidi; ma anche dalle forze dell’ordine che non ascoltano o non sanno ascoltare chi denuncia questa situazione. Ne ha parlato a IrpiMedia Dino Rossi, pastore di Ofena (Aquila), che ha raccontato di una telefonata anonima da parte di una persona del nord nella quale è stato invitato a non parlare più con i giornalisti perché ci sarebbero state delle conseguenze.

«Io ho iniziato a denunciare questa situazione dei pascoli abruzzesi dal 2011, quindi dodici anni fa. Ho anche dato il numero che mi ha chiamato e minacciato, ma anche questo fatto è stato archiviato», ha dichiarato Dino Rossi. Più volte la professoressa si è fatta carico delle denunce e più volte è stata rimandata a casa con nulla di fatto. I pastori che fino a qualche anno fa non volevano piegarsi a questo gioco malato, piano piano si sono fatti da parte, «abbiamo iniziato a vedere dei cambiamenti di atteggiamento», dice Calandra, «le persone non vogliono più denunciare, tanto nulla cambia e le uniche a rimetterci sono loro». Dalle denunce che gli intervistati avevano fatto al gruppo di lavoro dell’università si è passati a ritrattare: «Perché parliamo di mafia?», «la mafia qua non c’è».

Eppure a Lucoli (Aquila), piccolo comune della zona di Campo Felice, si era palesata una scritta, subito cancellata, sul muro che costeggia la strada che porta al centro cittadino. In grandi caratteri nero su bianco era scritto: «Fuori la mafia da Lucoli». A mostrare la foto del murales a IrpiMedia è stata Simonetta de Felicis, ad oggi ex consigliera di minoranza del comune di Lucoli. De Felicis ha spiegato che da quando è entrata a far parte dell’assemblea comunale nel 2018, si è scontrata con una situazione piuttosto insolita nella gestione dei terreni civici. Questi appezzamenti di terreno, dopo che un pastore locale ne faceva richiesta a prezzi ribassati, esercitando la sua precedenza sull’utilizzo dei terreni di uso civico, venivano aggiudicati tramite aste pubbliche ad altri attori. «Spesso c’era una sola offerta per ogni asta, e parliamo di cifre molto più alte di quelle che possono permettersi i piccoli pastori».

La professoressa Lina Calandra nel suo ufficio all’Università dell’Aquila- Foto: Stefano Chianese
L’ex consigliera del comune di Lucoli Simonetta De Felicis – Foto: Stefano Chianese

Insieme ai pastori, spesso, a rimetterci è il bestiame. In varie aree dell’Abruzzo e non solo, sono state documentate diverse morie di animali, che erano stati piazzati lì solamente per dimostrare l’effettivo utilizzo del pascolo, ma di fatto abbandonati a sé stessi. È il caso per esempio che si è verificato nella piana di Campo Felice, nell’aquilano, un tempo grande attrazione sciistica, oggi un canyon deserto con sempre meno neve. Qui, De Felicis ha raccontato a IrpiMedia di aver assistito a diversi episodi di ritrovamento di animali morti. Nel gennaio del 2020, l’ex consigliera racconta di aver trovato le carcasse di diverse pecore, parte di un gregge da 140 capi di bestiame. Si tratta di animali che in quel periodo dell’anno non dovrebbero trovarsi fuori dalle stalle: il periodo di pascolamento infatti sarebbe da compiersi da giugno a ottobre. Il freddo, la stanchezza e i lupi hanno ucciso tutto il gregge, creando problemi di ordine sanitario e dando l’ennesima prova dell’uso esplicitamente strumentale di questi terreni.

De Felicis, come la professoressa Calandra, ha ricevuto molte denunce di pastori locali sia riguardo la gestione dei terreni civici sia riguardo le persone, la maggior parte delle volte provenienti da fuori regione, che si aggiudicano l’uso dei terreni. Ma anche lei ha trovato davanti a sé un muro di omertà: le forze dell’ordine non hanno dato seguito alle segnalazioni e i tribunali, a detta di De Felicis, vuoi per mancanza di mezzi vuoi per distrazione, lasciano che il tempo si porti via le denunce. «Il fatto che questi affari siano gestiti dagli enti locali senza nessuna supervisione nazionale», dice la De Felicis , «è una bella trovata per poter far gestire gli appezzamenti e i conseguenti sussidi da gruppi d’interesse che possono essere mafiosi».

Nel settembre del 2023, dopo diverse denunce e grazie alla collaborazione tra la Guardia di finanza di Pescara e la Direzione distrettuale antimafia della Procura di L’Aquila, scatta la maxi operazione Transumanza. Il blitz su scala nazionale coinvolge 75 soggetti e porta a 25 misure cautelari personali, 16 perquisizioni e sequestri preventivi tra Abruzzo, Puglia, Trentino Alto Adige, Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Lazio e Campania.

Si tratta della seconda maxi inchiesta per numero di soggetti coinvolti sul fenomeno della mafia dei pascoli dopo il caso siciliano dei Nebrodi, per cui il tribunale di Patti (Messina) il 31 ottobre 2022 ha inflitto condanne per un totale di sei secoli all’indirizzo di soggetti ritenuti a vario titolo legati ai gruppi criminali dei Batanesi e dei Bontempo Scavo, attivi da decenni a Tortorici, nel messinese.

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Stando alle accuse, anche in Abruzzo esisterebbe un sodalizio criminale che avrebbe intascato milioni di euro di fondi pubblici per pascoli inesistenti. Un meccanismo attuato mediante indebite richieste di contributi per il Fondo europeo agricolo di garanzia (Feaga) all’interno della Politica agricola comune (Pac). L’associazione per delinquere, che sarebbe operativa dal 2014 e di cui farebbero parte 13 persone, avrebbe simulato il possesso dei requisiti necessari per ottenere la disponibilità di terreni e di corrispondenti titoli Pac, rilasciati gratuitamente dalla Riserva nazionale dei titoli ai nuovi giovani imprenditori agricoli. Secondo gli investigatori, le nuove imprese agricole fittizie sarebbero state in combutta con altrettante società cooperative agricole o associazioni temporanee di imprese, costituite per fare incetta di migliaia di ettari di terreni disposti lungo tutta la penisola, la cui concessione ad uso civico veniva messa a bando dai Comuni. Una frode da circa 5 milioni di euro che porterebbe con sé accuse a vario titolo di autoriciclaggio, reimpiego di proventi illeciti, ricettazione, truffa aggravata ai danni dello Stato e per il conseguimento di erogazioni pubbliche.

Secondo Dino Rossi, il pastore di Ofena che abbiamo intervistato, «si tratta di una cifra decisamente minore rispetto al business reale di questo fenomeno» ma non solo: a detta del pastore «ci sono molte più persone coinvolte».

L’operazione Transumanza offre una conferma ufficiale sui sospetti che IrpiMedia indagava da mesi. I fatti raccontati dalla professoressa Calandra e dalle nostre fonti ci hanno portato ad approfondire quello che viene considerato il primo segnale da parte delle forze dell’ordine sul territorio abruzzese. Si tratta delle quattro interdittive antimafia che a marzo 2022, circa un anno e mezzo prima dell’operazione Transumanza, scattano all’indirizzo di un’azienda zootecnica pescarese e altre tre aquilane. Le tre interdittive aquilane interessano proprio alcune aziende agricole a cui sono stati concessi terreni civici a Lucoli, mentre quella pescarese si rivolge a un’azienda che la professoressa Calandra aveva già individuato nel suo studio.

I provvedimenti sono i primi esempi di contrasto al fenomeno della mafia dei pascoli sul territorio abruzzese e confermano ciò che lo studio della professoressa e i tantissimi intervistati denunciano da anni. I documenti rivelano infatti la vicinanza tra alcune consorterie criminali pugliesi e campane e alcuni imprenditori operanti nel settore agropastorale. Come afferma la relazione semestrale della Dia, che commenta le interdittive abruzzesi di marzo 2022, le aziende sarebbero state utilizzate per mettere in atto «raggiri sui pascoli fantasma» attraverso un sistema complesso composto da varie società collegate tra loro, ma poi riconducibili sempre alle stesse persone. «Il sistema», scrive il prefetto, «era di avere all’interno di ogni società un soggetto locale del territorio dove si decideva di operare», in modo da aggirare la legge sugli usi civici creata ad hoc per difendere gli interessi degli allevatori locali e fruire dei fondi Agea.

Tra le aziende raggiunte da interdittiva c’è la Frassino, un’azienda zootecnica con sede in provincia di Pescara che opera anche nel territorio aquilano. Nello storico dell’azienda, compaiono alcuni nomi noti. C’è per esempio quello del trentino Mariano Berasi, coinvolto anche nella successiva operazione Transumanza, che fino al 2021 figura come socio. Secondo la prefettura infatti, la società «è chiaramente riconducibile alla famiglia Berasi e in particolar modo ai fratelli Armando e Mariano». I Berasi, citati più volte in passato in varie indagini per reati che vanno dall’associazione a delinquere alla truffa, appartengono a una nota famiglia trentina di imprenditori agricoli. Uno dei due, Armando Berasi, venne segnalato nel dicembre 2019 dalla Guardia di finanza di San Donà del Piave (Venezia) per truffa aggravata e conseguimento di erogazioni pubbliche, insieme a Luciano Donadio e Paolo Antonio Valeri. I due, pochi mesi prima, erano stati arrestati nell’inchiesta per infiltrazioni mafiose nel Veneto orientale: Donadio è accusato di essere stato a capo di una cellula del clan dei Casalesi a Eraclea, Valeri invece è descritto come uno «specialista nelle false fatturazioni, nella riscossione dei crediti con modalità estorsive e nell’acquisizione di società decotte destinate a diventare lo schermo per attività illecite». Valeri però, risulta socio di un’azienda agricola in provincia di Roma collegata ad altri soggetti attivi in Abruzzo, in un filo che ci riporta alla più recente operazione Transumanza.

Un tratto della stazione sciistica abbandonata nella piana di Campo Felice – Foto: Stefano Chianese
La piana di Campo Felice – Foto: Stefano Chianese
Suicidi

La mattina del 17 maggio 2022, a distanza di due mesi dalle interdittive, viene ritrovato impiccato a un albero un allevatore di 28 anni, Emiliano Palmeri. Il giovane, originario di Ofena e residente a Castel del Monte in provincia di L’Aquila, poco meno di un mese prima del presunto suicidio era stato trovato privo di sensi in un uliveto di sua proprietà. Il 28enne aveva riportato una profonda ferita alla nuca causata dal calcio di una pistola utilizzata per l’uccisione dei capi di bestiame prima della macellazione. Mentre si trova in ospedale, due suoi cavalli vengono uccisi, rafforzando la tesi per la quale l’allevatore era stato preso di mira da atti intimidatori. Dopo la sua morte viene aperto un fascicolo d’indagine per tentato omicidio, ma da quel momento in poi non si sa più nulla. Nel luglio del 2022 viene nominato un super perito che, nel tempo di 90 giorni, esegue le analisi sulla pistola con la quale sarebbe stato aggredito il giovane: la perizia dirà che si è trattato di un tentato suicidio.

Dopo la morte di Emiliano, il padre Marcello Palmeri ha rilasciato un’intervista nella quale non ha usato mezzi termini e ha parlato di “mafia dei pascoli”: «Hanno fatto delle truffe all’Unione europea perché hanno creato delle finte società con gli stessi greggi». Marcello compare come socio del Consorzio Aquilano, una delle aziende interessate dalle interdittive antimafia. Legati allo stesso consorzio, nato per «creare collegamenti e scambio di competenze tra agricoltori e allevatori aquilani», compaiono anche altri nomi, tra cui quello di Americo Pezzopane, ex consigliere del gruppo fino a febbraio 2023, che risulta coinvolto sia dalle interdittive di marzo 2022 che dalla più recente operazione Transumanza. Quando nasce il consorzio, poco prima dello scoppio della pandemia, tra i primi a esprimere soddisfazione c’è il presidente nazionale Asal (Associazione sindacale agroalimentare e lavoro) Libero Nazario, imprenditore agricolo attivo soprattutto in provincia di Foggia anch’egli coinvolto in Transumanza.

Il presunto suicidio del giovane allevatore però non è l’unico caso di morte sospetta. Qualche giorno dopo il ritrovamento di Emiliano, un altro allevatore di Pizzoli, paese limitrofo, è stato trovato impiccato nella sua stalla. Giuliano Anastasio, pastore di 51 anni, aveva venduto gran parte del suo gregge, quasi 150 pecore, qualche giorno prima della sua morte. Era stanco, diceva che la pastorizia non garantiva più introiti economici e le problematiche legate all’allevamento erano troppe. Gli inquirenti comunque hanno escluso ogni collegamento con la morte di Emiliano Palmieri. A questi due casi di presunto suicidio si aggiungono diverse altre morti di allevatori avvenute negli anni sempre nella stessa area dell’aquilano. Tutte archiviate rapidamente e tutte indicate come suicidi.

La nostra analisi

L’analisi che descriveremo rappresenta il frutto di sei mesi di ricerca (condotta con una metodologia che spiegheremo più in basso) che ha permesso di ricostruire una rete di rapporti commerciali su scala nazionale collegata alle aziende coinvolte. Tuttavia, IrpiMedia non può contro-verificare i dati raccolti con l’analisi di transazioni bancarie e altri dati riservati. L’analisi in sé, di conseguenza, non può essere considerata una prova definitiva.

Per questa analisi abbiamo inizialmente raccolto i dati delle quattro aziende interdette a marzo 2022. Poi, basandoci sulle attività descritte nello studio della professoressa Calandra, diverse segnalazioni sul territorio e documenti che descrivono irregolarità nell’erogazione dei sussidi, abbiamo allargato progressivamente il raggio. Abbiamo quindi incluso nella ricerca anche le attività legate ai singoli soci di queste aziende, considerando i nomi più interessanti a livello di connessioni criminali e l’intreccio societario tra loro.

Dai risultati della nostra ricerca è emersa la presenza di una rete su scala nazionale composta, secondo le nostre osservazioni, da tre principali gruppi d’interesse. L’obiettivo comune è quello di entrare in possesso di terreni per “appoggiare” i titoli Pac e incassare i conseguenti sussidi. Il primo gruppo è formato da imprenditori del nord italia, provenienti soprattutto dal Trentino, dal Veneto e dalla Lombardia. Molti di questi appartengono a famiglie storicamente inserite nel settore agropastorale, che negli ultimi decenni hanno allargato la propria influenza sui territori del centro e sud Italia, specialmente in Abruzzo, ma anche lungo tutta la catena appenninica. Membri delle stesse famiglie compaiono come soci di aziende collocate in piccoli comuni del nord Italia, dove il più delle volte ha origine la famiglia, e parallelamente gestiscono aziende in Abruzzo.

Nel nostro caso, abbiamo notato la presenza massiccia nella regione di aziende gestite da soggetti trentini o originari della bassa lombarda e veneta. Alcune di queste famiglie hanno raggiunto nel tempo territori d’influenza lontani da quelli originari, aprendo dapprima aziende “succursali” in zone vicine a quella d’origine, per poi arrivare fino in Abruzzo dove, dal 2000 in poi, hanno aperto numerose attività sia in proprio che in compartecipazione con imprenditori e pastori locali.

Grazie alla consultazione di Farmsubsidy, database che monitora l’assegnazione dei fondi comunitari per l’agricoltura, è emerso che tra le aziende destinatarie del maggior numero di contributi tra 2015 e 2021 nei piccoli comuni abruzzesi, molte siano collegate ad imprenditori di fuori regione. Un primato che spesso è raggiunto anche nelle rispettive zone d’influenza al nord, dove altre aziende da loro gestite compaiono spesso come le principali destinatarie di contributi. Delle attività osservate in nord italia, sono diverse ad aver posto la sede allo stesso indirizzo e molte di queste dispongono di unità periferiche in Abruzzo registrate con lo stesso nome. Ad esempio, all’indirizzo Via Carducci 3 di Commessaggio, un piccolo paese del mantovano, figurano le sedi di otto aziende agricole gestite da alcuni soggetti coinvolti nell’operazione Transumanza o da loro soci attivi anche in Abruzzo.

Mucche al pascolo nella piana di Campo Imperatore – Foto: Stefano Chianese

Il secondo gruppo delineato è composto in prevalenza da soggetti residenti in Abruzzo che compaiono ripetutamente come soci degli imprenditori di fuori regione. Questi gestiscono una mole decisamente minore di aziende rispetto ai primi e operano quasi esclusivamente in Abruzzo. Secondo diverse segnalazioni che abbiamo ricevuto sul territorio, alcuni di questi allevatori o agricoltori sarebbero entrati in affari con quelli di fuori regione mentre si trovavano in condizioni di difficoltà economica. Alcuni racconti che ci sono stati fatti parlano di grandi imprenditori che, in compagnia dei propri avvocati, proponevano offerte economiche molto vantaggiose, regalando titoli o addirittura permettendo di aprire aziende da zero. Alcuni pastori locali, intervistati dalla professoressa Calandra, li hanno definiti dei benefattori, altri invece hanno descritto queste offerte d’aiuto come una forma di assoggettamento in una logica di scambio tipicamente mafiosa.

È emersa quindi la presenza di un terzo gruppo, formato da imprenditori provenienti da regioni del sud Italia come Puglia, Calabria, Sicilia e Campania, con una spiccata prevalenza di soggetti originari della provincia di Foggia. L’asse che collega i pascoli abruzzesi con l’area garganica è storico, dovuto alla tradizionale pratica della transumanza che già dal 1400 portava gli allevatori foggiani a migrare con le proprie mandrie. Oggi però, non si tratta solo di pastori, ma anche di imprenditori, attivi sia nel settore agro pastorale sia in quello delle costruzioni e delle energie rinnovabili. Anche in questo caso, emerge il legame con le interdittive: alcuni soggetti coinvolti dal provvedimento sono infatti in affari con altri attori pugliesi, alcuni dei quali coinvolti nell’operazione Transumanza, con precedenti di truffa. Tra questi un gestore di un centro di assistenza agricola a Cerignola.

Seguendo le società attenzionate ci siamo resi conto di come, grazie alla collaborazione tra gli esponenti di ognuno di questi gruppi, sempre le stesse persone con diverse società riescono ad aggiudicarsi l’uso di enormi quantità di terreni da pascolo sui quali vengono appoggiati titoli Pac.

Tutto quello fin qui descritto fa emergere l’ipotesi di una collaborazione, con ruoli interscambiabili, tra il primo e il terzo gruppo, che sfruttano il secondo gruppo per aggiudicarsi terreni di pascolo. Ad esempio, ci hanno riferito che a rappresentare i grandi imprenditori del nord spesso sono soggetti pugliesi, che propongono affari ai pastori locali ed esercitano una sorta di presidio sul territorio.

Metodologia della nostra ricerca

L’analisi delle società è stata possibile grazie alla collaborazione con Transcrime, centro di ricerca dell’Università cattolica del Sacro cuore di Milano incentrato sulla criminalità transnazionale. Sono stati raccolti i codici ateco delle diverse attività esistenti e sono stati inseriti nel database chiamato Datacros, co-finanziato dalla Commissione europea. Questo racchiude tutte le società registrate al mondo, i relativi proprietari ultimi e manager, e ha permesso di mappare i collegamenti tra le attività coinvolte.

Delle iniziali quattro aziende interdette dalla Procura di L’Aquila e Pescara a maggio 2022, si sono analizzate le composizioni societarie, includendo sia i soci attuali che le persone che hanno ricoperto cariche passate. Da una prima rete di aziende intrecciate tra loro si è quindi proceduto allargando la ricerca alle singole attività dei soci, sulla base di segnalazioni e di criteri di rischio sviluppati da Transcrime. Da qui sono state analizzate tutte le persone connesse a ogni esercizio alla ricerca di strutture societarie opache o esageratamente complesse, nomi collegati alla criminalità organizzata e precedenti specifici nelle truffe ai sussidi europei. La ricerca è stata poi arricchita dalla consultazione di carte amministrative e visure camerali, sia normali che storiche, per avere un’immagine completa delle attività e dei proprietari.

Con l’operazione Transumanza sembrerebbe che dopo anni di denunce qualcosa si sia mosso. Anche Dino Rossi, il pastore di Ofena, ha espresso soddisfazione per il provvedimento, ma pensa che per riportare giustizia sui pascoli abruzzesi la strada sia ancora lunga. Secondo Emanuele Imprudente, vicepresidente della regione con delega all’agricoltura, sarebbe il momento di alzare il tiro: «È ora che i criteri per l’assegnazione dei contributi comunitari a sostegno dell’agricoltura premino il merito, il sacrificio, sostengano coloro che sui terreni lavorano da generazioni e continuano a lavorarci». Ora, «non è più procrastinabile un intervento che riequilibri l’intero sistema», ha aggiunto il vicepresidente. A partire dall’operazione Transumanza, il contrasto alla mafia dei pascoli potrebbe trovare più agevolmente anche il sostegno del governo, al quale la senatrice Di Girolamo ha posto l’ennesima interrogazione parlamentare.

Da gennaio 2023 è entrata in vigore la nuova Pac, che durerà fino al 2027 e con la quale cambiano le regole sia sulla quantificazione dei soldi da percepire, e quindi il sistema dei titoli, sia delle discriminanti necessarie per richiedere i sussidi. Un dirigente del Cia, Confederazione italiana agricoltori che ha deciso di rimanere anonimo, ha però dichiarato a IrpiMedia che «stanno cambiando diverse cose e noto una minore pressione sul territorio, ma chi ha speculato fino ad oggi lo farà anche domani, hanno solo bisogno di riorganizzarsi».

 

L’articolo è stato modificato il 25 ottobre per sottolineare che nel 2003 la Pac è stata riformata e non è entrata in vigore.

 

CREDITI

Autori

Giovanni Soini
Stefano Chianese
Filippo Zingone

Editing

Giulio Rubino

Foto di copertina

Uno scorcio al tramonto di Campo Imperatore, altopiano in provincia di L’Aquila
(Stefano Chianese)