#OpenLux

Malea, l’indagine sulla locale di ‘ndrangheta tra Mammola e il Lussemburgo
Dagli anni Ottanta, un gruppo di imprenditori calabresi vive in Lussemburgo. I figli, oggi, possiedono pub e ristoranti. Secondo un’indagine della Dda di Reggio Calabria, però, sarebbero legati a una cosca di Mammola
04 Agosto 2023

Cecilia Anesi

Malea, antico nome greco di Mammola, paesino arroccato alle porte di Siderno, il 25 luglio scorso è diventato il nome in codice di un’indagine della Squadra mobile di Reggio Calabria, coordinata dalla locale Direzione distrettuale antimafia (Dda), che all’alba di quel martedì ha arrestato 19 persone con l’accusa di far parte di un locale di ‘ndrangheta proprio a Mammola. È la prima volta che un’indagine giudiziaria censisce e riconosce, sebbene in fase cautelare, l’esistenza di una locale di ‘ndrangheta operativa in questo paese, famoso per il festival dello stocco e del patrono San Nicodemo, e da adesso celebre per la sua ‘ndrangheta attiva tanto nella Jonica che all’estero, nel Granducato del Lussemburgo.

Era lì, stando alle indagini, che la ‘ndrangheta di Mammola aveva costituito già da vent’anni un vero e proprio distaccamento territoriale, guidato da Nicodemo Fiorenzi. L’uomo, classe 1960, ufficialmente è un impiegato della forestale di Mammola, ma in realtà è residente stabilmente in Lussemburgo. Lì è referente e responsabile “expat” per la locale di Mammola con il compito di «gestire tutti gli investimenti, leciti ed illeciti, compiuti dai mammolesi in quella nazione», si legge nell’ordinanza di custodia cautelare. Negli affari di tutti i giorni, gestisce il distaccamento in maniera autonoma, ma deve comunque informare i vertici della ‘ndrina di Mammola di qualsiasi questione rilevante, prendendo direttive e disposizioni.

L'inchiesta in breve
  • Malea, antico nome greco di Mammola, paesino della fascia jonica calabrese, il 25 luglio scorso è diventato il nome in codice di un’indagine della Squadra Mobile di Reggio Calabria, coordinata dalla locale Direzione Distrettuale antimafia, che all’alba di quel martedì ha arrestato 19 persone con l’accusa di far parte di un locale di ‘ndrangheta proprio a Mammola
  • È la prima volta che un’indagine giudiziaria censisce e riconosce, sebbene in fase cautelare, l’esistenza di una locale di ‘ndrangheta a Mammola
  • A guidare la locale è Rodolfo Scali, ma la locale ha un distaccamento in Lussemburgo, guidato da Nicodemo Fiorenzi
  • Tra gli indagati nel Granducato però c’è anche Nicodemo Callà, ristoratore mammolese che era arrivato in Lussemburgo negli anni Ottanta a seguito di una faida
  • Malea traccia anche i movimenti di alcuni giovani mammolesi espatriati in Lussemburgo, tra cui Salvatore Scali, figlio del boss Rodolfo, arrestato con l’accusa di associazione mafiosa
  • Con #OpenLux, nel 2021, IrpiMedia aveva già raccontato di come la ‘ndrangheta di Mammola e di Siderno avessero conquistato il Sud del Lussemburgo, mappando oltre venti famiglie. Malea conferma ciò che due anni fa era solo una suggestione

Fino ad oggi, la ‘ndrangheta di Mammola era stata documentata solo in «maniera accidentale ed episodica» dalle indagini giudiziarie, scrive il Gip nell’ordinanza, nonostante alcuni dei suoi membri fossero stati arrestati in importanti indagini come Crimine-Infinito (2010) e Minotauro (2011) .

Nel 2021, durante il progetto #OpenLux, IrpiMedia aveva documentato in Lussemburgo la presenza di vari soggetti legati alla ‘ndrangheta di Mammola e Siderno, ma era stato impossibile definire se davvero la ‘ndrina egemone a Mammola, gli Scali, comandasse anche una cellula in Lussemburgo o se la presenza di tali soggetti fosse casuale.

Un’indagine precedente, Canadian Connection 2, aveva dimostrato come Santo Rumbo, figlio di un importante boss di Siderno, si fosse stabilito in Lussemburgo. Dalle ricerche di IrpiMedia era emerso come l’azienda di ristorazione aperta da Rumbo in Lussemburgo fosse poi passata nelle mani di giovani mammolesi che l’indagine Malea conferma essere anch’essi “figli d’arte”. Insomma, una continuità del vincolo mafioso tra Mammola e il Granducato che prosegue grazie ai legami di sangue e che si dirama tra membri di venti famiglie censite da #OpenLux, nove delle quali colpite dagli arresti in Malea.

La scalata a boss

A ipotizzare per la prima volta che Rodolfo Scali fosse capo-locale di Mammola era già stata l’indagine Crimine-Infinito, per cui era finito condannato nel 2010, e poi anche l’indagine Minotauro della Dda di Torino, che lo descriveva anche come responsabile per l’assegnazione delle doti (le “cariche” all’interno del “consiglio d’amministrazione” della “ndrangheta Spa”) nella locale di Cuorgnè, in Piemonte. Scali, in libertà dal 2016, è stato tratteggiato nell’inchiesta Crimine-Infinito come un boss di peso, uno dei pochi in cui aveva fiducia Giuseppe Commisso alias U Mastru, capo dell’omonima ‘ndrina di Siderno e dell’intera Provincia all’epoca.

Malea è un’indagine che parte proprio dal momento in cui viene scarcerato Scali e ne documenta una vera e propria scalata al potere. Scali non emerge solo come «un semplice “appartenente alla cosca scissionista” – come veniva indicato negli atti dell’operazione Prima Luce del 2000 – ma [come] un uomo che aveva rafforzato il suo ruolo all’interno della ‘ndrangheta del mandamento ionico rispetto a quello che già era emerso grazie alle note inchieste Crimine e Minotauro», scrivono gli inquirenti.

La struttura di potere della ‘ndrangheta

Quando si parla di struttura della ‘ndrangheta, si fa riferimento a quanto scoperto durante il processo Crimine-Infinito. Per quanto le sentenze indichino la ‘ndrangheta come organizzazione unitaria, bisogna ricordare che l’indagine si è concentrata soprattutto sulla struttura della ’ndrangheta in provincia di Reggio Calabria «quella ’ndrangheta “originaria” delle montagne aspromontane e del capoluogo dello Stretto» spiega la ricercatrice Anna Sergi nel suo saggio La ‘Ndrangheta, della collana Mafie della Gazzetta dello sport/Corriere della sera. Infatti le strutture ndranghetiste «non sono esattamente le stesse ovunque» anche se «soprattutto fuori dalla provincia, sembra esserci coerenza e continuità nelle manifestazioni e tipologie di queste strutture altrove in Calabria e oltre».

L’unità di base della ‘ndrangheta è un clan familiare, che viene chiamata ‘ndrina. Tre o più ‘ndrine possono costituire un/una locale, ovvero un’articolazione territoriale che può ricadere su un quartiere, un paese o un territorio più ampio. A livello di gestione, una locale «esiste come meccanismo di sostegno e coordinamento territoriale tra ‘ndrine confederate, per evitare conflitti, condividere gli oneri e proteggere le famiglie. Per esempio, se qualcuno viene arrestato, il locale mette insieme i soldi per sostenere la sua famiglia secondo le necessità: la cosiddetta baciletta o bacinella», spiega Anna Sergi. Il locale avrà un capo-locale, anche detto capo bastone, e sarà coadiuvato da un luogotenente, detto mastro di giornata, portavoce del capo-locale e che coordinerà la comunicazione tra la società minore e maggiore. Al loro fianco ci saranno anche un capo crimine, che si occupa di pianificare e eseguire attività criminali, e un contabile, responsabile della bacinella comune.

La società maggiore è la struttura di coordinamento, quindi di comando, interna ad una locale. Solitamente è un consiglio composto da sette persone con almeno la dote di “Santa”. Il capo della società maggiore, detto capo società, sta gerarchicamente appena sotto il capo locale, ma in alcune locali coincidono nello stesso individuo.

Infine, sopra all’articolazione territoriale della locale ci sono il mandamento e la Provincia. Il mandamento unisce varie locali, tramite boss di riferimento, e ad oggi sono tre i mandamenti riconosciuti: tirrenico, ionico e città (Reggio Calabria). I mandamenti confluiscono a loro volta in un’altra struttura di gestione, la Provincia anche detta Crimine, un collegio di comando, una sorta di assemblea di capi. Questo è stato accertato solo per la provincia di Reggio Calabria, ma «una struttura autonoma e simile esiste per la provincia di Crotone e probabilmente (ancora da accertare giudizialmente) per la provincia di Vibo Valentia. Esiste anche, come rinvenibile da dati storici, una struttura simile al Crimine in Canada. Esistono strutture simili al crimine anche nel Nord Italia», analizza Sergi.

Per quanto riguarda il territorio di Reggio Calabria, ognuno dei tre mandamenti – ionico, tirrenico e città – ha un rappresentante presso la Provincia, che ha un capo crimine che è diverso, seppure con lo stesso appellativo, del capo crimine della locale. Costui non è il capo dei capi della ‘ndrangheta, bensì un mega coordinatore a livello territoriale, anche all’estero. La Provincia infatti sovraintende la gestione generale della ‘ndrangheta e può essere interpellata anche a mò di tribunale per comportamenti scorretti.

Malea tratteggia la gerarchia di tutta la locale, con Rodolfo come capo, coadiuvato da Damiano Abbate come capo società e Nicodemo Deciso come mastro di giornata, svolgendo di fatto il compito di raccordo tra i capi e il resto dei membri della locale.

Intercettando Rodolfo Scali, il figlio Salvatore Scali e Damiano Abbate e le loro conversazioni con altri membri importanti della locale, è stato «possibile ottenere uno spaccato veritiero e fedele dell’esistenza, del funzionamento e delle dinamiche interne della locale stessa», accertando inoltre i ruoli di ognuno.

Le indagini sono iniziate a metà 2016 e hanno riscontrato l’infiltrazione mafiosa nel tessuto mammolese con una ‘ndrangheta che controlla l’imprenditoria e le attività nel settore boschivo con il metodo delle estorsioni, la produzione e il traffico di sostanze stupefacenti e arrivava fino a chiedere il pizzo e a controllare lo svolgimento delle festività in onore di San Nicodemo, Santo patrono di Mammola.

Il boss Rodolfo Scali, ormai vero e proprio leader dell’organizzazione mafiosa mammolese, tiene molto in considerazione il proprio lavoro di manager dell’anti-Stato: «Vedi che non succede niente qua; nemmeno un furto, niente succede, sai come lo teniamo il paese? Come una bomboniera!…e ci arrestano lo stesso!…Io avevo il bar con la pasticceria non l’ho dovuto togliere», dice intercettato.

La locale di Mammola in Lussemburgo

Secondo l’operazione Malea, il braccio destro del boss è il figlio Salvatore per il quale Rodolfo ha sempre avuto un occhio di riguardo. Era per tenerlo al sicuro dalle indagini, secondo un pentito, che lo aveva «mandato in Lussemburgo». Come IrpiMedia ha già raccontato con #OpenLux, infatti, Salvatore Scali aveva un ristorante a Differdange, cittadina lussemburghese al confine con la Francia, il Romeo & Giulietta. L’operazione Malea chiarisce come Salvatore fosse stato convinto dal padre a non investire in attività commerciali a Torino, ed espatriare piuttosto verso il Lussemburgo, dove poteva muoversi indisturbato, senza rischiare arresti.

Una mafia armata

Secondo i riscontri dell’operazione Malea, la cosca di Mammola aveva a disposizione parecchie armi. A novembre 2017, il boss Scali ha proposto anche a un suo scagnozzo di base in Lussemburgo di acquistarne altre, da stoccare in un deposito a disposizione della ‘ndrina.

Scali era fissato con le armi. Gli servivano per intimidire, per riscuotere le estorsioni e per mantenere il controllo sul territorio. Ne possedeva varie, tra cui fucili per la caccia al cinghiale, nonostante una misura di prevenzione gli impedisse legalmente di essere proprietario di pistole e fucili. Nelle intercettazioni telefoniche racconta delle sue battute illegali, particolarmente violente, a cui partecipa anche il figlio Salvatore. Una conferma viene anche dal profilo Facebook, ormai cancellato, dove Scali junior posava in mimetica con sei cadaveri di cinghiale.

Non è chiaro dove tenessero le armi, né per la caccia, né per le altre operazioni del clan. Stando alle dichiarazioni rilasciate dal pentito Antonio Ciccia nel 2015, la ‘ndrangheta di Mammola aveva un nascondiglio in Piemonte (gestito dal distaccamento territoriale della locale di Cuorgnè) ma altre armi, dal Lussemburgo, dovevano poi essere spedite a Mammola. Le armi dovevano essere prive di matricola e sarebbero state trasportate con il camion di Nicodemo Deciso, che gli inquirenti indicano avere la carica di mastro di giornata per la locale di Mammola. L’uomo, all’epoca, era dipendente della ditta Autotrasporti Sità di Mammola. Un altro pentito, Nicodemo Ciccia, ne parla ai magistrati a maggio 2021, ricordando che «faceva dei trasporti e a volte si fermava lì a Cuorgnè; so che andava pure all’estero, in Lussemburgo, dove ci sono altri soggetti di Mammola».

Per approfondire

Come la ‘ndrangheta è arrivata in Lussemburgo

Una rete di giovani imprenditori del sidernese legati a doppio filo alla ‘ndrangheta si è stabilita nel sud del Granducato. Apre locali appoggiandosi a famiglie italiane emigrate che rischiano di finire nel mirino delle cosche

IrpiMedia in Lussemburgo ha riscontrato anche la presenza di un giovane Sità titolare dell’azienda di trasporti per cui ha lavorato Deciso – sposato a sua volta con una Sità – che risulta legato a Deciso anche per aver lavorato presso il suo bar, il Caffè Deciso, a Mammola. Il giovane Sità ha inoltre diretto un’azienda in Lussemburgo, la Mammola sarl, che gestiva un ristorante pizzeria – Delizia – e una pasticceria – La Dolce Vita – entrambe a Differdange. Entrambe le attività sono state chiuse dopo pochi anni, in linea con tutte le altre analizzate durante l’inchiesta #OpenLux.

Ciò che salta all’occhio inoltre è come Delizia fosse stata aperta presso lo stesso indirizzo, rue Adolphe Kneps 29, dove prima sorgeva il ristorante Romeo & Giulietta di Salvatore Scali, figlio del boss Rodolfo arrestato nell’operazione Malea. Oggi, presso questo indirizzo, sorge un’agenzia immobiliare di persone di Siderno, dimostrando di essere un indirizzo che passa di mano tra gli expat della Jonica sidernese.

Il modello Rumbo: piccole società che aprono e chiudono nel Granducato

La Mammola sarl – ormai liquidata – ricorda un’altra azienda di ristorazione aperta a Differdange: I Bronzi sarl. Quest’ultima era stata aperta da due fratelli mammolesi nel 2014 per passare di mano e andare a Santo Rumbo, figlio del boss sidernese Riccardo. La prima attività de I Bronzi è stata una yogurteria nel centro storico di Differdange. Ma aveva avuto vita breve: l’azienda era stata dichiarata “dormiente”, cioè senza nessun movimento finanziario, nel 2015. Poi, a gennaio 2019 è stata rilevata da un giovane sidernese che ha nominato Santo Rumbo e un venticinquenne di Siderno. A marzo 2019 i tre hanno inaugurato la nuova gestione di un bar non lontano, il Diff K’Fé Bar, trasferendoci anche la sede sociale de I Bronzi.

I bilanci depositati da quest’ultima danno solo informazioni sullo stato patrimoniale della società, evitando per altro di spiegare la ragione delle perdite (88 mila euro nel 2019), e non danno un quadro del conto economico. Il Lussemburgo infatti, come accade in generale nei regimi forfettari, non richiede che un’azienda di questa taglia dichiari i profitti o si sottoponga a un auditing regolare. Non vi è, in breve, l’obbligo di avere un professionista che controlli i bilanci.

Un’altra azienda dalla gestione anomala è la SAA Sarl, aperta dall’ex amministratore e proprietario mammolese de I Bronzi con mille euro di capitale sociale. Registrata nel giugno del 2019, dieci mesi dopo passa nelle mani di Salvatore Scali, figlio del boss di Mammola, Rodolfo. La SAA avvia un ristorante, il Romeo & Giulietta, posizionato proprio alle spalle della ex yogurteria de I Bronzi. L’attività ha però vita breve e ad agosto 2020 abbassa le serrande.

Entrambe queste aziende, la SAA e I Bronzi, colpiscono per la piccola dimensione che risparmia loro il controllo da parte di un commercialista, le limitate attività dichiarate in bilancio e le continue perdite. Simile è anche l’azienda Mammola sarl, aperta da un giovane mammolese non indagato in Malea ma titolare dell’azienda di trasporti di cui risulta socio di minoranza anche Nicodemo Deciso, ora accusato di essere mastro di giornata.

I Sità sono una famiglia di Mammola di cui molti membri sono emigrati nel Dopoguerra in Belgio, nella zona di Charleroi. Lì, i Sità hanno costruito un piccolo impero di commercializzazione di cibo italiano, tra supermercati e ristoranti. Alcuni di loro poi si sono spostati in Lussemburgo, proprio nell’area di Differdange.

Secondo i rapporti semestrali della Direzione investigativa antimafia (Dia), esiste una ‘ndrina Sità presente proprio a Charleroi. Non risulta però alcuna indagine che chiarisca se tale ‘ndrina coincida con la famiglia Sità di Charleroi sopra descritta e se vi siano legami con la famiglia Sità presente a Differdange.

Secondo gli inquirenti che hanno arrestato Santo Rumbo (poi assolto durante il processo Canadian Connection 2), è un’anomalia che società con una prima iniezione di capitale derivante dalla Calabria, aprano e chiudano attività in continuazione e in tempi molto stretti. Potrebbe essere uno dei segnali di una precisa strategia che la ‘ndrangheta ha utilizzato in altri contesti – per esempio nella vicina Germania – per riciclare fondi illeciti.

Per confermarlo però, servirebbero indagini approfondite, difficili da portare avanti in rogatoria con un Paese, il Lussemburgo, che della segretezza bancaria e fiscale ha fatto la sua caratteristica principale.

L’indagine Malea ha portato anche all’incriminazione di Nicodemo Callà, classe ‘63, detto Bomba, che per anni ha potuto agire e investire in Lussemburgo indisturbato. Stando alla ricostruzione degli inquirenti, Callà è cognato del capo del distaccamento di ‘ndrangheta di Mammola in Lussemburgo, Nicodemo Fiorenzi, e lo aiuta nella relazione tra i mammolesi rimasti in Calabria e quelli espatriati nel Granducato. Secondo i racconti del pentito Antonio Ciccia, la ‘ndrangheta in Lussemburgo arriva proprio con Callà, quando negli anni Ottanta viene costretto a lasciare la Calabria durante una faida.

Sarebbe «andato a stabilirsi in Lussemburgo […] molti anni fa, a seguito dell’omicidio di Isidoro Macrì (un altro boss della zona, legato ai sidernesi, ndr) avvenuto a Mammola negli anni Ottanta – racconta il pentito -. Autore dell’omicidio era stato Nicodemo Callà e per sfuggire alla vendetta dei Macrì era stato fatto allontanare per volere del capo locale di Mammola che non voleva che scoppiasse una faida. Furono allontanati infatti oltre a Callà Nicodemo anche il fratello dell’ucciso Macrì Salvatore».

Dai registri aziendali risulta che Callà abbia tutt’oggi l’impresa immobiliare I Tre Ghiottoni, registrata nel 2004 come société civile, forma giuridica che non richiede l’obbligo di depositare bilanci. Callà entra nel consiglio direttivo nel 2006 e a inizio 2022 diventa proprietario di tutte le quote societarie assieme ai tre figli e alla moglie, una Sità.

L’ex socio è stato proprietario anche del ristorante Bomba Grill a Differdange, probabilmente all’epoca chiamato così per via del soprannome di Callà, Bomba. Dalle foto trovate su Facebook, l’arredamento richiamava lo stile di serie e film sulla mafia, come Scarface e Il Padrino. Il ristorante ha adesso cambiato proprietà, si chiama Bellissimo, ed è gestito da un’azienda di un giovane mammolese, citato nell’indagine Malea perché cognato del presunto capo-società della locale di Mammola Damiano Abbate. Secondo gli inquirenti, avrebbe anche partecipato all’estorsione ai danni dei gestori delle giostre di Mammola durante la festa del patrono di paese, San Nicodemo. Ad aprire l’azienda di ristorazione con il cognato di Abbate è stato un altro socio citato in Malea, che secondo il pentito Domenico Agresta avrebbe venduto droga agli Scali.

L’indagina Malea tocca però solo alcuni dei soggetti e delle aziende mappate da #OpenLux: l’impressione è che a continuare gli affari di famiglia in Lussemburgo siano per lo più le nuove generazioni, pronte a ricevere i finanziamenti dei padri e farli girare in uno dei paradisi fiscali per eccellenza. Lo dice chiaramente Damiano Abbate a Rodolfo Scali: «E se facciamo qualche cosa [in Lussemburgo]? Io e mio cognato vogliamo investire 50 mila euro, 100 mila euro, là che stai tu, che stanno i figli tuoi, a gestirseli loro, devo vedere che ce li devono prendere che, che quelli vengono là». A dire, figuriamoci se la polizia italiana ci traccia gli investimenti nel Granducato. E per ora, va detto, Abbate e Scali ci hanno visto lungo.

CREDITI

Autori

Cecilia Anesi

Editing

Lorenzo Bagnoli

Ha collaborato

Luc Caregari

Infografiche

Lorenzo Bodrero

In partnership con

Reporter.lu

Foto di copertina

Emmanuel Dunand/Getty