Riccardo Coluccini
Capita spesso che le pompe che sbucano dalle fiancate di una qualunque nave mercantile oppure quelle che stanno immerse sotto la linea di galleggiamento sparino d’improvviso in mare dei potenti getti d’acqua. Per quanto non sia un’operazione a cui si assiste spesso, a vedersi sembra una manovra di routine. In realtà a volte si tratta di un’attività illegale per la quale è molto difficile colpire i colpevoli e a valutarne i danni, soprattutto in Europa.
Gli sversamenti illegali sono «un segreto di Pulcinella, li conoscono tutti. Anche sulla mia nave si facevano e ci si comportava come fosse tutto normale», racconta Honey Sharma, ex terzo ufficiale di bordo della petroliera Isola Celeste che nel 2017 si è trasformato in informatore della Guardia costiera degli Stati Uniti. Operazioni del genere diventano illegali quando avvengono in certe zone e l’acqua scaricata in mare supera certi livelli di contaminazione: nella migliore delle ipotesi, da batteri e microrganismi che possono impattare sull’ecosistema marino; nella peggiore, da oli lubrificanti e idrocarburi o un mix di acqua e sostanze oleose.
I liquidi inquinanti potrebbero provenire dalla sala macchine o dai serbatoi di zavorra, grossi recipienti usati per stabilizzare l’assetto della nave quando viaggia senza carico; oppure potrebbero essere stati impiegati per pulire le cisterne che contengono il petrolio. Queste acque reflue prodotte durante la navigazione avrebbero delle precise regole di trattamento che però spesso non vengono seguite dagli equipaggi, per abbattere i costi e stare nei tempi contingentati imposti dagli armatori.
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L'inchiesta in breve
- EMSA, l’agenzia europea per la sicurezza marittima, gestisce un servizio di immagini radar satellitari, CleanSeaNet, in grado di individuare sulla superficie del mare potenziali sversamenti di acque contaminate da idrocarburi. A fronte di oltre settemila segnalazioni all’anno, il numero di casi sanzionati rimane basso. La ong SkyTruth ipotizza che i casi siano quasi tremila all’anno (330 tra luglio 2020 e dicembre 2021).
- I numeri dei potenziali sversamenti sono sottostimati: i satelliti non monitorano ogni istante tutte le acque europee ma riescono a scattare istantanee una o due volte al giorno di piccole porzioni. Secondo i whistleblower è più probabile che gli scarichi vengano fatti di notte quando la visibilità ridotta rende più difficili le verifiche alle autorità.
- Farla franca è facile per chi è a bordo delle navi: i registri cartacei su cui vanno registrate le quantità di oli trasferiti a bordo e processati per la corretta consegna nei porti sono facilmente falsificabili, come confermato da whistleblower e aziende che offrono strumenti di registri elettronici.
- La possibilità di trovare i colpevoli dipende molto dalle tempistiche: entro tre ore dalla segnalazione c’è una maggiore probabilità di individuare ancora le sostanze, ma le autorità dei vari stati membri comunicano pochi dati sulle proprie attività e lasciano pensare che non sia sempre possibile effettuare una corretta verifica.
- Secondo i ricercatori anche in piccole quantità, le acque che contengono tracce di idrocarburi possono causare danni ai microrganismi presenti nell’ambiente marino e ciò ha effetti indiretti su tutti gli esseri viventi.
Nel 2017 Sharma ha assistito, dalla sua nave, almeno tre volte allo scarico delle acque di zavorra contaminate da olio idraulico. Il liquido – un olio non particolarmente viscoso, che sparisce di solito in circa 48 ore – era fuoriuscito per un malfunzionamento del sistema di pompaggio della nave. Sharma ha documentato questi episodi con foto e video e ha contattato la Guardia costiera statunitense perché alcuni sversamenti sarebbero avvenuti nelle acque di loro competenza. Ha aggiunto che casi simili si sarebbero verificati anche nella riserva marina di Sint Eustatius, isola caraibica sotto la giurisdizione dei Paesi Bassi, e nel Mediterraneo.
«Invece di scaricare quest’acqua di zavorra in mare, avremmo potuto darla all’impianto di terra semplicemente collegando dei tubi, ma ci avrebbero fatto pagare lo scarico e avremmo dovuto dichiarare che c’era una perdita o che abbiamo dei problemi sulla nave», ha raccontato Sharma in una videointervista a IrpiMedia.
Oggi Sharma non lavora più nel settore marittimo: dopo essersi rifiutato di scaricare acque oleose e aver segnalato il problema, il suo contratto di lavoro è stato rescisso. Le aziende che si occupano di reclutare gli equipaggi gli hanno fatto capire che il suo nome non era più il benvenuto nel mondo marittimo. «La motivazione che mi ha spinto a segnalare è stata la chiara violazione della legge», ha spiegato. Nonostante il suo sacrificio, la Guardia costiera statunitense non ha trovato prove sufficienti durante l’indagine aperta ai danni della Isola Celeste e i registri di bordo non sono più disponibili.
L’inchiesta collaborativa
L’organizzazione non profit olandese Lighthouse Reports (LHR) ha coordinato questa inchiesta internazionale a cui partecipano, insieme a IrpiMedia, Deutsche Welle, Expresso, El Diario, BIRN, Libertatea, Trouw, The Guardian, Jutarnji List. L’inchiesta è scaturita da una richiesta di accesso agli atti all’Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA) attraverso cui i giornalisti hanno potuto vedere migliaia di segnalazioni agli Stati membri in merito a presunti sversamenti illeciti in mare.
Modelli a confronto: whistleblower vs satelliti
La capacità di individuare e sanzionare i colpevoli dipende moltissimo dal quadro legislativo di ogni singolo Paese. Nel caso degli Stati Uniti, la Guardia costiera può ricevere segnalazioni da parte di chi si trova a bordo delle navi così da poter fornire anche prove fotografiche di quanto avvenuto. Segnalare potenziali illeciti sulle navi – diventare quindi un whistleblower – in America è incentivato dall’Act to Prevent Pollution from Ships (APPS), la Legge per prevenire l’inquinamento causato da navi. Nata per adeguarsi alla MARPOL (Marine Pollution) – ossia la Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato dalle navi sottoscritta negli anni Settanta – la legge prevede per il segnalante un compenso fino al 50% delle sanzioni monetarie che il governo degli Stati Uniti riceve dai colpevoli.
La convenzione MARPOL
Secondo la Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi (MARPOL), le sostanze e i residui di idrocarburi e oli lubrificanti devono essere raccolti e inseriti in un apposito serbatoio sulla nave, devono essere indicati all’interno di un registro dedicato, e possono essere filtrati attraverso un apposito sistema che riesce a separare l’acqua dagli oli presenti (riducendo la concentrazione sotto le 15 parti per milione) e solo a quel punto l’acqua così ripulita può essere scaricata in mare.
Per le petroliere, inoltre, ci sono misure aggiuntive: è vietato scaricare sostanze provenienti dai serbatoi di carico se si trovano nelle cosiddette aree speciali come il mar Mediterraneo, il mar Baltico, il mar Nero e le acque europee a nord ovest, e per le acque che contengono idrocarburi o mix di oli è consentito lo scarico solo a più di 50 miglia nautiche (circa 92 km) dalla costa, sempre fuori dalle aree speciali, e solo se il contenuto di oli non supera i 30 litri ogni miglio nautico—è quasi come versare il contenuto di una tazzina di caffè per ogni metro, è davvero difficile che si crei una chiazza sulla superficie dell’acqua visibile da satellite.
I risultati di questo approccio si vedono: decine di sentenze negli Usa hanno dato un nome a comandanti, ufficiali e aziende armatrici e gestori delle navi su cui sono avvenuti sversamenti di liquidi inquinanti che non seguono le procedure imposte dall’APPS. Tra queste c’è il caso di una compagnia italiana, la d’Amico Shipping Italia S.p.A. che nel 2019 ha ammesso che tra l’agosto 2014 e gennaio 2015 a bordo della Cielo di Milano venivano utilizzati sistemi per scaricare direttamente in mare le acque oleose, passando direttamente per il serbatoio dei liquami e falsificando il registro di bordo su cui devono essere registrati gli oli minerali. Per farlo, gli ingegneri a bordo della Cielo hanno bypassato i sistemi di filtraggio e monitoraggio dell’inquinamento. Nemmeno le sentenze statunitensi, tuttavia, possono chiarire quale sia l’effettiva conseguenza ambientale degli sversamenti.
In Europa non esiste un sistema di ricompense per i whistleblower. Il monitoraggio dei mari è affidato alle fotografie satellitari analizzate dall’Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA) – organizzazione dell’Ue che si occupa di sicurezza marittima, sia sul piano ambientale, sia sul piano degli incidenti sul lavoro – la quale delega poi le guardie costiere degli Stati membri per gli interventi sul luogo degli sversamenti sospetti.
Il servizio offerto da EMSA si chiama CleanSeaNet (CSN) ed esiste dal 2007. Si tratta di un sistema di immagini radar raccolte da tre diversi sistemi satellitari: SENTINEL-1A/B, RADARSAT-2 e TERRASAR-X. Le immagini sono poi disponibili entro 20 minuti alle varie guardie costiere delegate a effettuare la verifica sul posto e a comminare eventualmente delle sanzioni a chi non ha rispettato le regole. A corredo delle immagini satellitari, EMSA produce anche dei report con informazioni che riguardano le condizioni meteo e del mare al momento dell’evento sospetto, oltre agli identificativi delle imbarcazioni nei paraggi e la loro rotta.
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Il sistema CSN riconosce le sostanze in mare attraverso l’intensità con la quale i segnali radar vengono riflessi dalla superficie del mare. Infatti quando sono presenti delle sostanze, il segnale che torna indietro ha un’intensità diversa da quella di partenza. L’immagine fornita dal satellite a quel punto avrà una macchia più scura in corrispondenza della sostanza sospetta. Se ci sono navi nei paraggi appariranno come dei puntini bianchi.
«Dalla sua implementazione, il servizio CleanSeaNet è stato un elemento prezioso nella catena di rilevazione e contrasto dell’inquinamento marino», ha spiegato EMSA. Il sistema CSN prevede una verifica in due passaggi: c’è un algoritmo che seleziona e cataloga le immagini satellitari dei presunti sversamenti, poi un impiegato EMSA conferma e invia le segnalazioni agli Stati membri. Il risultato finale è una segnalazione catalogata di tipo A o di tipo B: le prime hanno un’alta probabilità di essere sostanze oleose mentre le secondo una probabilità più bassa. In media, dai dati che IrpiMedia ha potuto analizzare, le segnalazioni A sono intorno al 50-60% del totale.
Nei documenti annuali che EMSA fornisce a tutti gli utenti del sistema CSN, l’agenzia sottolinea l’aumento del numero di possibili sversamenti individuati a partire dal 2018. Questi documenti sono stati ottenuti da LHR tramite una richiesta di accesso agli atti. Da 6.100 si è passati agli oltre 7.600 del 2020. Numeri «bassi» che non dovrebbero far preoccupare perché si riscontra una riduzione delle rilevazioni per milioni di chilometri quadrati, secondo l’agenzia: da 5,58 casi ogni milione di km2 nel 2019 si è passati a 4,96 nel 2020. Questo però a fronte di un aumento del 19% dell’area ricoperta rispetto al 2019: nel 2020 EMSA monitora circa 1546 milioni di chilometri quadrati.
L’agenzia europea è tuttavia consapevole dei rischi: le sostanze oleose sversate illegalmente in mare «possono produrre cambiamenti significativi nella distribuzione delle specie, nelle dimensioni della popolazione e nella migrazione; inoltre gli eventi di inquinamento, come le fuoriuscite di petrolio, possono anche avere effetti drammatici sull’economia delle aree colpite», ha spiegato EMSA a LHR e IrpiMedia.
Gli alert dei potenziali sversamenti nel mondo
EMSA sottolinea che il CSN non ha la certezza assoluta che ciò che rileva sia uno sversamento di sostanze illegali. In diversi casi potrebbero esserci infatti dei “falsi positivi”, dovuti ad esempio alla presenza di alghe o altri fenomeni naturali che interferiscono con il radar, oppure la quantità di sostanza scaricata può rientrare nei limiti concessi dalla Convenzione MARPOL. Inoltre, anche gli agenti atmosferici interferiscono nella raccolta delle immagini: condizioni di vento troppo basso o troppo forte rischiano di compromettere l’immagine raccolta. Come se non bastasse, qualora fosse confermata la presenza di una sostanza potrebbe trattarsi persino di oli animali o vegetali: per questo motivo EMSA ricorda che è sempre fondamentale l’intervento delle autorità dei singoli Stati per verificare di cosa si tratta.
L’ipotesi di SkyTruth: tremila casi all’anno
La prontezza nella verifica di queste informazioni è fondamentale per l’efficacia di questo sistema. In diversi report annuali degli utenti del sistema CSN, l’EMSA sottolinea l’importanza di validare la presenza di sostanze entro tre ore dalla segnalazione: se si interviene più tardi, le sostanze potrebbero essersi già dissolte in acqua e non essere più visibili a occhio nudo. All’EMSA è stato comunicato che nel 2019 circa il 30% delle segnalazioni inviate da CleanSeaNet alle autorità marittime degli Stati membri è stato verificato sul posto. Di queste, solo il 5% è stato verificato entro tre ore dall’invio della segnalazione e nel 42% dei casi c’era effettivamente una sostanza sul mare: sia essa idrocarburi o oli vegetali. Solo un centinaio di casi sono stati quindi confermati entro tre ore, su oltre settemila segnalazioni (nel 2017 le segnalazioni annuali erano circa duemila).
Se dell’esistenza di “falsi positivi” troviamo traccia in quasi ogni documento ufficiale di EMSA, c’è un aspetto che non viene mai citato ma che è totalmente al di fuori delle possibilità di intervento dell’Agenzia. La copertura satellitare non è spazialmente e temporalmente costante: non dobbiamo infatti pensare a questi satelliti come un unico grande occhio in grado di monitorare tutte le acque europee contemporaneamente e in ogni istante della giornata. Ciò vuol dire che, potenzialmente, i numeri comunicati da EMSA sono sottostimati.
Il satellite da cui EMSA riceve più immagini è Sentinel: impiega circa 90 minuti per compiere un’orbita intorno alla Terra e 12 giorni per tornare esattamente sullo stesso punto alla stessa angolazione e direzione. Ciò vuol dire che una porzione di mare può essere ripresa dal satellite una volta o al massimo due volte al giorno. Considerando queste caratteristiche, c’è il rischio che gli sversamenti effettivi possano essere fino a dieci volte di più di quelli confermati ufficialmente.
LHR ha richiesto il dettaglio dei dati relativi al 2020 all’EMSA e, di fronte alla mancata risposta dell’Agenzia, ha inviato un reclamo all’Ombudsman, un organo indipendente europeo che indaga sulle denunce di cattiva amministrazione dell’Ue o di altri organi europei. Quest’ultimo ha aperto una procedura nei confronti di EMSA il 3 febbraio 2021 e l’Agenzia, un giorno dopo, ha pubblicato alcuni dei dati richiesti direttamente online.
Le segnalazioni di potenziali sversamenti nel Mediterraneo
La mappa mostra le segnalazioni inviate nel 2020 da EMSA tramite il suo servizio CleanSeaNet, con particolare focus sull’area del Mediterraneo. In media, ogni caso confermato di sversamento di petrolio o suoi derivati ha una superficie di circa 5 chilometri quadrati, pari a oltre 800 campi da calcio
Dai dati emerge che nel 2020 è stata confermata la presenza di sostanze oleose in 208 casi su 2.658 verificati (7,8%), su un totale di oltre 7.600 possibili casi. SkyTruth, una ong che monitora i rischi per l’ambiente usando immagini satellitari, ha combinato i dati e le ipotesi presenti nei report di EMSA con la copertura satellitare disponibile. Sulla base di questa stima conservativa, ci si aspetta che ogni anno ci siano fino a 2.964 casi di scarico di olio e derivati nelle acque dell’Ue. Circa otto al giorno, la maggior parte dei quali non viene vista dai satelliti.
I rischi per l’ambiente
Al momento sembra quindi che l’immagine ricostruita dal servizio CleanSeaNet sia molto parziale, eppure il tema è al centro dell’attenzione dell’Unione europea. L’importanza di contrastare questo tipo di attività è confermata infatti anche dal primo report europeo sugli effetti del traffico marittimo, pubblicato a settembre 2021 e redatto da EMSA e dall’Agenzia europea per l’ambiente (EEA).
Secondo il report, in Europa, non avvengono spesso incidenti con sversamenti di grandi proporzioni ma sono più frequenti piccoli sversamenti, causa principale della presenza di sostanze oleose nei nostri mari. Questo rende ancora più difficile inquadrare correttamente i rischi: non stiamo parlando di classici sversamenti di idrocarburi che possono impattare – anche visivamente – le spiagge e i grandi animali. Non dobbiamo infatti aspettarci immagini di uccelli ricoperti da sostanze oleose ma piuttosto si tratta di una contaminazione silenziosa che colpisce quegli organismi che costituiscono la base della catena alimentare di molti animali marini.
Accademici e mondo della ricerca concordano tuttavia sull’esistenza di rischi. Giovanni Coppini e Svitlana Liubartseva, ricercatori del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, organizzazione che si occupa anche di prevenzione delle conseguenze delle fuoriuscite di petrolio, hanno spiegato che questi sversamenti «influenzano l’ambiente marino, la salute umana, l’economia, la vita sociale e le decisioni politiche». Se semplifichiamo le variabili da tenere in considerazione, aggiungono i ricercatori, «gli effetti degli sversamenti dipendono da due fattori: la concentrazione di oli e l’esposizione. Ma se il tempo di esposizione è abbastanza lungo, persino piccoli sversamenti possono rivelarsi pericolosi».
I casi in Italia
Eppure a livello nazionale le verifiche delle autorità non sembrano portare da nessuna parte. Tra il 1 gennaio e l’1 novembre 2021 la Guardia costiera italiana ha ricevuto 282 segnalazioni ma non ha mai trovato sversamenti illegali. Le verifiche sono effettuate tramite una richiesta alle navi che si trovano nei paraggi delle coordinate segnalate e tramite una verifica dei registri di bordo della nave che può aver causato lo sversamento. Possono essere fatte anche da autorità di altri Stati ma questo le rende più complicate perché non sempre le autorità degli altri Stati riescono a intervenire.
I diversi approcci dei Paesi Ue
Croazia: le autorità croate ricevono circa 40 report al mese e, nei casi in cui ci sia un sospetto fondato sul colpevole, le autorità effettuano un’ispezione della nave non appena arriva nei porti della Croazia o viene richiesta un’ispezione da parte delle autorità del Paese competente nel caso il porto successivo di approdo si trovi in un’altra nazione. In queste ispezioni vengono controllati sia il registro degli oli minerali sia il filtro che separa l’acqua dalle sostanze oleose. Negli ultimi cinque anni le autorità croate non hanno individuato irregolarità.
Germania: le autorità tedesche utilizzano in alcuni casi un aereo per verificare le segnalazioni, purtroppo le condizioni di meteo avverso possono influenzare le operazioni e impedirne il decollo.
Paesi Bassi: le autorità non hanno risposto alla richiesta di accesso agli atti inviata da LHR.
Portogallo: le autorità hanno confermato la ricezione degli alert CSN ma non hanno fornito feedback sulle attività di verifica.
Regno Unito: anche in questo caso le autorità si appoggiano alle navi che si trovano intorno l’area del possibile sversamento o in alcuni casi chiedono a piattaforme che si trovano nei paraggi di verificare.
Romania: le autorità considerano troppo dispendioso indagare ogni alert inviato da CleanSeaNet e quindi si affidano principalmente alle navi che si trovano in zona. Inoltre, sembra che pochissime segnalazioni si siano poi davvero rivelate casi confermati – spesso si tratterebbe invece di alghe o effetti dovuti alle onde.
Spagna: le autorità non hanno risposto alla richiesta di accesso agli atti inviata da LHR, ma hanno rilasciato una dichiarazione spiegando che spesso le verifiche non possono essere effettuate a causa delle condizioni meteo avverse e hanno indicato anche la riduzione del personale negli anni come uno dei problemi nello svolgere le attività. Nel 2020 hanno emesso 27 sanzioni mentre nel 2021 solamente 15.
IrpiMedia ha inviato una serie di domande alla Guardia costiera italiana per comprendere quali sono le difficoltà operative nel verificare gli alert di CSN, quali sono le attività svolte e se ritiene efficace il servizio offerto da EMSA. Al momento della pubblicazione di questo articolo non abbiamo ancora ricevuto risposte.
EMSA non è l’unica a offrire un servizio di monitoraggio satellitare, ci sono anche aziende private e non profit che offrono soluzioni simili. A partire dai dati di SkyTruth, LHR ha potuto identificare circa 330 potenziali sversamenti illegali che sono avvenuti tra luglio 2020 e dicembre 2021 nelle acque europee.
Nei casi indicati da SkyTruth, 15 riguardano l’Italia e trovano quasi sempre riscontro anche in segnalazioni di CleanSeaNet, come IrpiMedia ha potuto verificare incrociando i dati. Alcuni di questi casi, tutti sotto le 50 miglia nautiche, riguardano acque fuori da Vieste, Agrigento, Pedaso, Mazara del Vallo, Santa Maria di Leuca. Si tratta sempre di navi petroliere o che trasportano prodotti chimici. In tre casi, le navi coinvolte – indicate da SkyTruth o dalle segnalazioni CSN sulla base della posizione di navigazione rispetto alla direzione dello sversamento – erano state già oggetto di ispezioni in passato, secondo quanto documentato dal portale europeo THETIS, gestito da EMSA, che registra le ispezioni e i casi in cui le navi sono detenute per infrazioni.
Da gennaio 2016 fino al 31 dicembre 2019, THETIS ha registrato più di 12.000 ispezioni e circa il 25% di esse ha permesso l’individuazione di illeciti: nel 33% dei casi si trattava della scorretta gestione dei rifiuti che non venivano conferiti nei porti.
Screenshot da un report di segnalazione inviato da EMSA alla guardia costiera italiana e ottenuto da IrpiMedia tramite una richiesta FOIA. Nel report sono fornite informazioni sulla posizione della chiazza, un’immagine radar, le sue dimensioni ed eventuali dettagli sulle informazioni identificative della nave che potrebbe aver commesso lo scarico. Nell’immagine si vede un puntino di luce bianca allineato con la chiazza: quella è una nave.
Anche nei tre i casi italiani il problema era legato ai sistemi per la prevenzione dell’inquinamento, come i filtri per separare l’acqua dagli idrocarburi, o alla mancata compilazione del registro degli oli minerali in cui, secondo la convenzione di MARPOL, devono essere registrate tutte le quantità di oli gestiti a bordo. Falsificare questi registri è molto facile e indicazioni di problemi come quelli documentati in THETIS potrebbero far pensare che ci siano stati casi di sversamenti illegali. Diverse aziende che producono versioni di registri elettronici hanno confermato la semplicità nella falsificazione dei registri, che sono generalmente dei documenti cartacei su cui annotare a penna le quantità per poi essere firmati dal capitano.
«Se hai commesso una violazione e vuoi nasconderla, allora potresti riscrivere l’intero registro e nessuno sarebbe in grado di capire se sia stato scritto oggi oppure l’altro ieri», ha spiegato a LHR Amitabh Sankranti, della Ingenium Marine, azienda che offre registri elettronici e altri strumenti per il settore marittimo.
Il sogno: zero emissioni in mare
Seppur MARPOL permetta lo sversamento di acque con un contenuto minimo di idrocarburi al proprio interno, la Commissione Ue sta cercando di ridurre tutti gli sversamenti, sia quelli legali che quelli illegali. Un ufficiale della Commissione ha infatti confermato che l’Unione europea sta attivamente spingendo per la loro minimizzazione presso l’Organizzazione marittima internazionale (IMO), incaricata di stabilire le regole globali per la navigazione, seguendo così una strategia che mira a raggiungere davvero le emissioni zero. La stessa Commissione già nel 2016 ha sottolineato questa intenzione all’interno delle linee guida pubblicate 15 anni dopo l’introduzione della prima direttiva sulla gestione dei rifiuti nei porti. Nel testo si legge: «La Commissione ritiene che ciò che può essere scaricato ai sensi della MARPOL non può essere automaticamente escluso dall’obbligo di consegna previsto dalla direttiva».
Malgrado i tentativi legislativi dell’Europa, Maja Markovčić Kostelac, direttrice generale di EMSA, ha dichiarato a LHR che «gli scarichi illegali di petrolio e di altre sostanze inquinanti si verificano ancora regolarmente nelle acque europee». Secondo il report sull’impatto ambientale, il trasporto marittimo è al centro dell’economia dell’Europa. Nel 2019 il 77% del volume totale di merci scambiate è transitato via mare e la categoria principale è quella dei prodotti petroliferi, che nel 2019 costituiva il 43% del tonnellaggio totale scambiato, ma ci sono anche prodotti di elettronica, macchinari, e mezzi di trasporto.
CREDITI
Autori
Riccardo Coluccini
In partnership con
Lighthouse Reports (Europa)
Deutsche Welle (Germania)
Expresso (Portogallo)
El Diario (Spagna)
BIRN (Balcani)
Libertatea (Romania)
Trouw (Olanda)
The Guardian (Gran Bretagna)
Jutarnji List (Croazia)
Mappe
Lorenzo Bodrero
Editing
Lorenzo Bodrero
Foto di copertina
Una fuoriuscita di petrolio documentata nel 2021 nelle acque al largo di Huntington Beach, California (Stati Uniti)
(Nick Ut/Getty)