Quel pasticcio brutto sulla revisione della geografia giudiziaria
L’obiettivo della riforma del governo Monti puntava a risparmiare 80 milioni di euro, ma la soppressione dei tribunali periferici non ha sortito gli effetti sperati e ha scaricato ulteriori costi e disagi sulla collettività

04 Febbraio 2022 | di Andrea Ballone

Che il risparmio sarebbe stato inferiore a quello previsto dal governo, il consiglio dell’Ordine nazionale forense (Cnf) l’aveva detto in un dossier già nel 2013 con l’allora presidente Guido Alpa. Ma che la chiusura di trentuno tribunali voluta nel 2012 dal governo Monti avrebbe portato risparmi prossimi allo zero lo sappiamo soltanto oggi. Quelli sicuri sono invece i disagi, per i molti comuni che a distanza di anni si trovano senza un presidio di legalità sul territorio. Tant’è che in più di un’occasione si è ipotizzata anche una retromarcia o una soluzione di mezzo, con l’apertura di sportelli di prossimità oppure il presidio del Giudice di pace, soluzioni che in alcuni centri sono state adottate, ma a ulteriori spese delle municipalità.

La cosiddetta riforma della geografia giudiziaria a oggi ha comportato più problemi che vantaggi per lo Stato. Come era stato in parte anticipato proprio da quel dossier dell’Ordine nazionale forense che contestava le cifre fornite dall’allora governo Monti. «Fin da quando è stata approvata la Manovra, che ha conferito la delega al Governo per la revisione della geografia giudiziaria, il Cnf ha sostenuto la necessità che i cittadini possano usufruire di una giustizia di prossimità efficiente e razionale e ha sempre rilevato che per affrontare una questione così importante è necessario disporre di tutti i dati e i numeri utili», scriveva allora Guido Alpa, presidente del Cnf e mentore di Giuseppe Conte, che sarebbe diventato presidente del consiglio di lì a qualche anno

I numeri parlavano chiaro anni fa

E fu proprio l’organismo che allora presiedeva a fornirglieli. L’allarme lanciato dall’Avvocatura partiva da uno studio complesso sui flussi dei procedimenti giudiziari e sui costi (raccolti direttamente sul territorio dalle commissioni di manutenzione stante il silenzio dell’amministrazione centrale, al netto delle spese del personale) di 48 tribunali sub-provinciali sui 57 in odore di soppressione, poi ridotti a una trentina nella realtà, cosa che ha causato un risparmio ancora inferiore rispetto a quello preventivato dal governo Monti. Il risultato di quello studio contestò le cifre del governo. «Contro gli 80 milioni di risparmio stimati dal ministero della giustizia, – diceva – a fronte della eventuale chiusura di 48 tribunali sub-provinciali (su 57 in totale) e 160 sezione distaccate, il risparmio reale sarebbe di poco più di 41 milioni, (sommando i circa 25 milioni di euro derivanti dalla soppressione di 48 tribunali ed i circa 16 milioni derivanti dalla soppressione delle sezioni distaccate)».

In realtà il numero dei tribunali soppressi realmente sarà ancora inferiore perché il governo ha deciso di salvarne alcuni già designati per una chiusura. In tutto, i tribunali che a oggi non esistono più sono 28. «Volendo calcolare il risparmio relativo alla chiusura dei 37 tribunali, – continuava il dossier – individuati applicando i criteri legislativi previsti dalla delega n. 148/2011, il risparmio sarebbe di 17 milioni, al quale andrebbero sommati i circa 16 milioni relativi alle 160 sezioni distaccate, per un totale di circa 33 milioni di euro (cioè 37 tribunali e 160 sezioni distaccate, ndr). Cifra sempre ben lontana dalla stime governative».

Dai calcoli del governo mancavano inoltre ulteriori costi aggiuntivi derivanti dalle chiusure delle strutture, come gli investimenti necessari per garantire il passaggio di personale e attività ai tribunali provinciali. Uno studio condotto sulle 4 sezioni distaccate del tribunale di Trento ha fatto anche emergere che a fronte di un costo attuale-strutturale di 90 mila euro (dunque di possibile risparmio) la collettività (cittadini e personale giudiziario) spenderebbe circa due milioni e mezzo di euro in termini di spostamenti per raggiungere le sedi giudiziarie.

Tante proposte, ma nessuna riforma della geografia giudiziaria

Quando l’allievo prediletto di Alpa è arrivato al governo non ha avuto nemmeno il tempo di mettere mano a una riforma della geografia giudiziaria che riportasse indietro l’orologio di circa 10 anni, riportando le sedi distaccate nei centri che le richiedono. Da almeno due anni giacciono due disegni di legge per annullare gli effetti delle soppressioni. Nella scorsa legislatura il parlamento si è impegnato con la commissione Vietti, istituita nell’agosto del 2015, a mettere mano alla riforma giudiziaria. Tale commissione avrebbe dovuto predisporre un progetto di riforma relativo «allo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria, attraverso una riorganizzazione della distribuzione sul territorio delle corti di appello e delle procure generali presso le corti di appello, dei tribunali ordinari e delle procure della Repubblica ed una collegata promozione del valore della specializzazione nella ripartizione delle competenze».

Tribunali soppressi

L’elenco dei 30 tribunali accorpati rispetto ai 37 inizialmente preventivati dal governo Monti

La Commissione ha concluso i propri lavori con l’elaborazione di un testo a cui nessuno dei governi che si sono succeduti in questi anni (Renzi, Gentiloni, Conte e Draghi) ha dato seguito. Gli stessi parlamentari che hanno redatto il documento escludono che le proposte possano essere approvate anche in questa legislatura, destinata a concludersi nel marzo del 2023. Dunque in commissione Giustizia c’è già chi considera rimandata la pratica. In sostanza l’Italia dei comuni ha prevalso, con deputati e senatori che promettono alle cene e agli eventi degli ordini degli avvocati di impegnarsi per la riapertura del singolo tribunale. Intanto dopo dieci anni si scopre che la riforma della geografia giudiziaria, specialmente nei tribunali di provincia ha contribuito a rallentare i tempi della giustizia, ingolfando ulteriormente le stanze dei palazzi di giustizia e spesso facendo lievitare le parcelle degli avvocati, che caricano le spese sui clienti, o al contrario sono costretti a ridurre i propri margini di guadagno.

A farne le spese è comunque la Giustizia. A distanza di anni quindi la montagna ha partorito il topolino, ma anche molti disagi per l’utenza, e l’Italia è costellata di situazioni rimaste a metà, i cui costi vanno spesso a incidere sugli enti locali, che già devono patire il disagio di non avere un tribunale. In molti posti soluzioni e impieghi alternativi delle strutture che ospitavano i palazzi di giustizia sono arrivati con molti anni di ritardo.

I palazzi di giustizia rimangono vuoti, ma i comuni pagano

È il caso di Acqui Terme in provincia di Alessandria, dove dal 2020 ha la sua sede l’ufficio servizi sociali. Per permettere il trasferimento dell’ufficio l’amministrazione comunale nel 2018 ha dovuto finanziare dei lavori di sistemazione e adattamento. Fino al 2018 la struttura ha ospitato l’archivio e il ministero della giustizia ha continuato a pagare l’affitto. Vanificando ogni possibile risparmio.

Una situazione simile si è verificata a Chiavari a pochi passi da Genova, con la differenza che il tribunale ligure è stato chiuso poco dopo la sua costruzione, che alla comunità è costata 4 milioni di euro. Da un anno è tornato l’ufficio di prossimità, ma nella vecchia struttura, per buona parte ancora inutilizzata, ci sono ancora i faldoni. Al comune di Chiavari se si chiede conto del risparmio sorridono in modo amaro e commentano: «Per lo stato il risparmio c’è stato: siamo noi che paghiamo».

Ci sono poi situazioni che risultano bloccate da anni, come quella del tribunale di Lucera, in provincia di Foggia. Nel 2013 infatti il ministero ha accolto l’istanza, concedendo al tribunale di Foggia l’utilizzo degli immobili già sede del tribunale soppresso per un periodo di 5 anni. Il Comune di Lucera ha più volte manifestato l’intenzione di rinnovare la concessione gratuita al Ministero e di voler investire un milione di euro per lavori di manutenzione straordinaria e adeguamento alle normative nel caso in cui l’edificio divenisse la sede della sezione Lavoro del Tribunale di Foggia o sede di una sezione distaccata di quest’ultimo. Al momento però non si svolge alcuna attività giudiziaria e Lucera è soltanto un supporto di natura logistica di tipo archivistico, al quale fanno riferimento anche le ex sedi distaccate di Ange, San Severo, Apricena e Lodi Garganico. Le manutenzioni da effettuare negli anni sono aumentate, come segnala il locale comitato per la riapertura, perchè ci sono continue infiltrazioni di acqua, che danneggiano non soltanto il bene, ma anche i fascicoli stessi. I danni finiscono in capo al comune di Lucera, che si è detto disponibile a investire fino a un milione di euro per sistemare l’immobile se ci fosse la possibilità di avere un tribunale per il lavoro.

Sorte simile è toccata a Melfi in Basilicata, dove il palazzo di giustizia svolge ormai la funzione di archivio. I costi di gestione del tribunale ammontano a circa 200 mila euro annui ai quali si devono sommare i soldi spesi per l’accorpamento del tribunale di Melfi con quello di Potenza e quelle per lo spostamento continuo dei fascicoli poiché tutto l’archivio, dal 1860 ad oggi, si trova ancora a Melfi.

In alcuni casi la chiusura è stata di fatto un pro forma. Montepulciano è stato accorpato a Siena e gli edifici che ospitavano il tribunale sono stati utilizzati come archivio fino al 2015. Dopo di che il Comune ha chiesto al ministero di potervi trasferire degli uffici giudiziari, tra i quali l’ufficio del Giudice di pace, che pagava un affitto di 122 mila euro annui a un privato. Gli uffici giudiziari non si trovano però nel vecchio tribunale ma in un edificio di proprietà di privati per la cui sistemazione il comune ha speso 250 mila euro (che si sommano ai 150 mila euro spesi dal proprietario), e ogni anno corrisponde un canone d’affitto di 280 mila euro per i primi cinque anni e 230 mila a seguire, salvo adeguamenti.

Dove invece non ci si aspettava la chiusura del tribunale è Pinerolo. La città piemontese infatti aveva da poco effettuato cospicui investimenti per rimettere a nuovo le stanze del palazzo di giustizia, che è di proprietà comunale. La maggior parte degli ex palazzi di giustizia infatti sono di proprietà delle amministrazioni locali, che spesso si trovano a dover affrontare delle spese per costruzioni che giacciono inutilizzate.

«A Rossano Calabro – spiega l’avvocato Teresa Madeo, che è a capo del comitato per la riapertura del tribunale – l’edificio è di proprietà del Comune, ma in questo momento è inutilizzato. Formalmente è ancora in consegna al tribunale di Castrovillari e ospita l’archivio storico. Non c’è manutenzione né controllo e nemmeno viene pagato un affitto. Il tribunale costava 400 mila euro l’anno, ma non c’è un grande risparmio, perché i lavoratori che vi sono stati trasferiti lavorano a più di un’ora di strada e a loro viene pagata la trasferta».

A Saluzzo in provincia di Cuneo dal capo opposto della penisola c’è un situazione simile. Per alcuni lavori di ristrutturazione il ministero aveva sottoscritto un mutuo fino al 2035, ma l’immobile è tornato al Comune, che ne è proprietario, solo nel 2020. Il ministero ha continuato a pagare le spese per tutto il palazzo, che sono comprensive di riscaldamento centralizzato, Tari e Tasi. Ora che è tornato nella disponibilità dell’amministrazione comunale, questa dovrà spendere altri soldi per alcuni interventi.

In tutta Italia si sono attivati comitati locali, spesso spalleggiati dalla politica, che promette il ritorno della giustizia di prossimità sul territorio. Nelle pieghe dei palazzi romani qualcuno ha trovato la strada per riuscire a ottenere il proprio piccolo presidio, ma la maggior parte degli ex tribunali oggi vive in un limbo. È il caso di Alba dove su uno stabile di recente costruzione grava ancora il vincolo dell’impiego come ufficio giudiziario. Ospita infatti un Giudice di pace e la sede dell’Inail per un bacino d’utenza di 211 mila persone, che devono rivolgersi per i processi a un’altra sede.

A Mistretta, piccola località siciliana in provincia di Messina, i locali sono rimasti a disposizione del ministero della giustizia, ma le spese sono a carico del Comune, attualmente le vecchie aule di giustizia ospitano il Giudice di pace. Fino a qualche anno fa lo stato forniva un contributo, ma non essendo previsto il Giudice di pace, questo contributo non arriva più. «Il problema – spiega l’avvocato Liborio Poracciolo, a capo del comitato per la riapertura – è che il tribunale più vicino si trova a 100 chilometri di distanza e i testimoni ci devono andare a spese proprie. Non essendoci mezzi di trasporto che collegano i due centri, devono anche pagarsi l’albergo».

Palazzi di giustizia che chiedono solo di essere usati

Ci sono poi una serie di località dove le ex aule di tribunale giacciono inutilizzate e i comitati formati da avvocati del luogo, assieme ai sindaci, da tempo chiedono che possano essere riutilizzate. Tra questi ci sono Sala Consilina, Sant’Angelo dei Lombardi, Vigevano e Modica in Sicilia, dove ogni anno si spendono centinaia di migliaia di euro per affittare locali, inadeguati, per sistemare alla meglio impiegati, forze dell’ordine, ufficiali giudiziari.

In alcuni casi, anche se anni dopo, le aule tornano però a essere utilizzate. Ad Ariano Irpino c’è il Giudice di pace e l’Agenzia delle entrate, a Bassano del Grappa e a Casale uno sportello di prossimità, come a Tolmezzo dove provvisoriamente si ospita ancora una scuola. A Tortona è tornato nelle disponibilità del Comune, a Voghera invece dal 2022 ci andrà il centro per l’impiego, mentre a Crema è stato usato come hub vaccinale. E poi ci sono i tribunali per i quali non si è ancora concluso l’iter di soppressione. Sono quelli di Avezzano, Lanciano, Vasto, Urbino e Sulmona che sono ancora in attesa e per i quali i comitati locali pochi giorni fa hanno chiesto un’ulteriore proroga. Anche Camerino era in attesa di una destinazione, ma ci ha pensato prima la natura: è stato demolito, a causa dei danni dovuti al terremoto del 2015.

Foto: Stefano Guidi/Getty
Infografiche: Lorenzo Bodrero
Editing: Luca Rinaldi

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