Adozioni internazionali, l’Armenia indaga su un presunto traffico di minori verso l’Italia
Un'indagine aperta da oltre tre anni ancora non riesce a far chiarezza su una presunta organizzazione di medici e assistenti sociali che avrebbe sottratto bambini a madri in difficoltà per inviarli a famiglie in attesa di adozione
31 Maggio 2023

Carlotta Indiano
Tatev Hovhannisyan

Nell’autunno del 2016, Armine (nome di fantasia) partorisce due gemelle presso un ospedale di Yerevan, capitale dell’Armenia. Dopo una gravidanza difficile, il parto gemellare, un cesareo, non risulta particolarmente complicato ma le bambine nascono premature, pesano rispettivamente 1,9 e 1,5 kg, e i dottori ritengono di doverle tenere sotto osservazione in incubatrice. Sono deboli, hanno sofferto per carenza di ossigeno, dicono alla madre. Armine e il marito vengono da una città a circa 160 km dalla capitale, sono tutt’altro che benestanti ma affittano un appartamento in città per poter visitare le figlie ogni giorno.

Dopo sette anni di infertilità ad Armine sembra un miracolo essere riuscita a rimanere incinta. È preoccupata per la condizioni dei due infanti, che però sembrano migliorare di giorno in giorno. Per vedere le neonate, Armine fa avanti e indietro dall’ospedale per due mesi, talvolta a piedi quando non ha i soldi per il taxi o l’autobus, ma il personale medico le impedisce qualsiasi tipo di contatto con le figlie: non può prenderle in braccio, allattarle o scattare loro fotografie. Anche usare il telefono in loro presenza le è proibito «per via delle radiazioni» le dicono.

Eppure attorno a lei altri genitori allattano, scattano foto e abbracciano i propri figli. Il motivo reale di queste rigide regole, speculerà in seguito, era di non farla attaccare troppo alle figlie.

L'inchiesta in breve
  • Secondo i Servizi di sicurezza nazionale armeni 20 casi di adozioni dall’Armenia all’Italia sono illegali. I casi sono stati gestiti attraverso l’intermediazione di una referente armena, Anush Garsantyan, indicata come principale accusata nell’inchiesta
  • Garsantyan è la referente armena in Italia presso tre enti autorizzati dalla Commissione adozioni internazionali (Cai), che vigila sulle procedure di adozione.
  • Il meccanismo che ha consentito di adottare illegalmente i bambini faceva leva su madri in difficoltà e sul desiderio delle famiglie italiane di adottare
  • L’incongruenza tra la legislazione italiana che obbliga i genitori a rivolgersi a un ente autorizzato e quella armena che invece proibisce qualsiasi intermediario durante le procedure adottive genera un vuoto normativo che favorisce adozioni “non controllate”

Lei e il marito si indebitano per far fronte a tutte le spese: il latte artificiale, i pannolini, i completi coordinati, le coperte. La coppia cerca di fare tutto quello che i medici suggeriscono. Dopo due mesi Armine viene convocata in una stanza. «Sua figlia ha la testa piena di liquido, se gli stacchiamo l’ossigeno non sopravviverà. Le cure sono troppo costose, la bambina non sopravviverà se la porterete a casa».

Armine esita ma i medici insistono: «Non c’è speranza», e per confermare quanto detto alla madre, mostrano da un telefono una serie di foto della testa della bimba ai parenti radunati all’ospedale. Quando Armine chiede la documentazione relativa alla diagnosi della figlia, le viene risposto che «in quest’epoca tecnologica i documenti non sono più su carta, ma su telefono».
Di questa malattia, dunque, non c’è documentazione, né una descrizione scritta.
Di fronte alle difficoltà economiche e alle pressioni dei medici, la coppia cede e firma un documento con cui rinuncia alla potestà genitoriale. In seguito la loro firma apparirà su un vero e proprio modulo di consenso per la consegna della bambina alle cure dello Stato e a un’adesione per una possibile adozione da parte di terzi.

Armine torna a casa con una sola delle due gemelle. Quando prova a chiamare l’ospedale per conoscere il fato della bimba lasciata nella capitale, le viene negata qualsiasi informazione. Ha perso ogni diritto sulla figlia.

Sette anni dopo, nel 2022, costretta a richiedere dei sussidi statali per alleviare le condizioni di povertà in cui versa la sua famiglia, scopre che al suo indirizzo è registrata una bambina con nome e cognome stranieri. I dati di nascita della bambina corrispondono a quelli di sua figlia, la quale a quel punto dovrebbe avere sei anni. Secondo i documenti, la bambina era stata registrata a casa di Armine nel 2017, un anno dopo la sua nascita, all’insaputa dei genitori.
In seguito alla scoperta, Armine viene chiamata a collaborare a un’indagine aperta su una serie di adozioni illegali avvenuta dall’Armenia verso altri Paesi, tra cui l’Italia. Solo allora Armine scopre che la figlia è viva ed è all’estero, adottata da una famiglia straniera.

Il meccanismo delle adozioni illegali

Lo scandalo delle adozioni illegali scoppia già a novembre 2019 quando i Servizi di sicurezza nazionale armeni (Nss) pubblicano un comunicato stampa in cui rivelano «numerosi casi di violazione della normativa armena in materia di adozione internazionale avvenuti tra il 2016 e il 2018».

Nel 2022, la Commissione investigativa della Repubblica armena, che si incarica delle indagini, svela che alcuni cittadini di nazionalità armena erano riusciti ad organizzare l’adozione di 20 bambini armeni da parte di cittadini italiani attraverso una complessa maglia di contatti e conoscenze all’interno dei reparti di maternità, delle agenzie nazionali per la cooperazione e negli orfanotrofi.
La storia di Armine non rientra nei casi descritti dagli inquirenti, ma la sua testimonianza aiuta a ricostruire uno schema che si ripresenta in numerose occasioni all’interno dei reparti di maternità. Tre dei medici coinvolti nell’indagine, infatti, sono gli stessi che lavoravano all’ospedale in cui ha partorito Armine, tra cui il direttore del reparto di maternità.

La Commissione investigativa armena ha ricostruito l’attività congiunta di un piccolo gruppo composto da undici individui tra cui medici, funzionari e assistenti sociali e coordinati, questa l’accusa, dalla rappresentante armena per le adozioni in Italia, che avrebbero tirato su un lucrativo business per vendere i neonati attraverso la persuasione di madri provenienti da ambienti vulnerabili, e l’intermediazione con famiglie straniere in attesa di adottare.

Come nel caso di Armine, i medici avrebbero fatto pressioni sulle madri adducendo i costi esorbitanti delle cure e la condizione economica della famiglia per far consegnare i bambini alle cure dello Stato, per darli poi in adozione a famiglie straniere attraverso un intermediario che aveva accesso ai dati dei bambini disponibili per le adozioni internazionali.

La legge armena sulle adozioni stabilisce che i bambini vengano affidati a genitori di nazionalità armena in via prioritaria, e solo dopo un primo passaggio interno si vaglia la possibilità di adozioni all’estero. I bambini con disabilità, dunque, hanno più probabilità di essere adottati all’estero che nel Paese.
Una delle accuse rivolte all’organizzazione, infatti, è quella di falsificare le cartelle cliniche dei bambini, per scoraggiare l’adozione da parte delle famiglie locali.

I dati sulle adozioni internazionali dal 2015 al 2018 ci dicono che il numero delle adozioni internazionali ha superato quello delle adozioni domestiche. Nel 2015, 55 bambini sono stati adottati dall’estero, 41 in Armenia. Ritroviamo lo stesso trend negli anni successivi: 40 bambini adottati all’estero nel 2016 contro 35 adozioni domestiche.

Secondo quanto riferito a IrpiMedia, a seguito delle segnalazioni iniziate già nel 2019, a giugno 2021 la Commissione italiana per le adozioni internazionali (Cai) ha sospeso l’apertura di nuove procedure di adozione in Armenia «a titolo precauzionale». In realtà, mentre undici persone sono in attesa di giudizio, l’indagine in corso non ha fermato le pratiche descritte dagli investigatori, come rivelano Open Democracy e IrpiMedia.

La mente dell’intera operazione, referente per l’Italia in Armenia e indagata solo nel Paese di origine, è Anush Garsantyan, consulente e traduttrice per i genitori adottivi all’estero. Garsantyan risulta ancora la referente per la Commissione adozioni internazionali, che ha risposto a tutte le nostre domande anche per conto degli enti autorizzati su cui vigila. Sia la Cai sia gli enti autorizzati italiani non sono coinvolti nell’indagine armena, come ha confermato l’Autorità centrale armena a IrpiMedia e Open Democracy. Gli altri indagati, tra cui il funzionario referente dell’Autorità centrale armena dell’ufficio responsabile delle adozioni internazionali, sono ancora impiegati nei loro uffici.

Secondo i dati ufficiali pubblicati sul sito della Cai e poi confermati dallo stesso organo istituzionale, nel 2022 i due Paesi hanno concluso tre procedure di adozione lasciandone nove pendenti. Secondo la Cai, infatti, le tre procedure concluse erano state avviate prima che le indagini cominciassero, per cui la sospensione delle adozioni dall’Armenia non era ancora valida.

Un ruolo ambiguo

Come riportato su Datalex, un database online con le informazioni relative a casi giudiziari in Armenia, la principale imputata dalle autorità armene è Anush Garsantsyan, il cui ruolo in Italia nel processo di adozioni dal 2019 rimane ancora poco chiaro.

Referente armena in Italia per gli enti autorizzati Associazione Arcobaleno Anpas e per Famiglia insieme, Garsantyan è incaricata di assistere i genitori adottivi nel Paese straniero sia come traduttrice sia come consulente di fronte all’autorità Armena.

Che cos’è un Ente autorizzato

Gli Enti autorizzati (Ea) assistono le famiglie che cercano di adottare durante tutto il processo di adozione. La legge 476/98 ha reso obbligatorio l’intervento dell’ente autorizzato in tutte le procedure di adozione internazionale, modificando la precedente disciplina che permetteva, invece, di rivolgersi anche direttamente alle autorità straniere. Chi vuole adottare un bambino all’estero deve conferire l’incarico ad uno degli enti indicati nell’albo degli autorizzati presente sul sito della Commissione adozioni internazionali. Secondo le linee guida per gli Ea per le procedure di adozione internazionale, l’organizzazione dell’Ea all’estero deve comprendere quantomeno un referente, responsabile dell’assistenza agli aspiranti genitori adottivi, dei rapporti con le competenti autorità del Paese di origine e con la rappresentanza italiana, un interprete, nonché un consulente giuridico ove la normativa straniera lo richieda.

Garsantyan, il cui avvocato non ha risposto alle nostre domande, secondo l’accusa riceveva i dati confidenziali dei bambini adottabili direttamente dall’Agenzia di registrazione degli atti civili, un organo sotto il ministero di Giustizia armeno, grazie all’aiuto di un funzionario dell’ente governativo. Il funzionario continua a lavorare per il governo come consigliere del Ministro della giustizia e sul sito dell’Agenzia per la registrazione degli atti di residenza civile il suo ruolo è indicato come «Capo del Dipartimento per l’adempimento delle responsabilità internazionali», oltre che rappresentante per l’Armenia nei forum internazionali.

In seguito alle nostre domande, la sua firma compare nella risposta del ministero della Giustizia.

Garsantyan è referente per gli enti autorizzati almeno dal 2005 secondo gli inquirenti, e gode di un’ottima reputazione in Italia: in un post facebook del 2018 Famiglia Insieme la definisce «rappresentante dei diritti dell’infanzia e delle donne in Armenia», mentre nel marzo 2019 diventa presidente del Club di Yerevan, fondato in Armenia grazie all’intermediazione della sezione di Ferrara  dell’International Federation of Business and Professional Women (BPW International), come scrive la Federazione sul proprio sito. La Federazione si descrive come un’organizzazione femminile di donne professioniste tra le più influenti al mondo con status consultivo presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite. In concomitanza con la nascita del Club di Yerevan, la fondatrice della Fidapa di Ferrara chiede ad Anush Garsantsyan di tradurre in armeno la Nuova carta dei diritti della bambina «dati i rapporti fra la stessa e suo nipote, che ha adottato una bimba armena».

Il 15 dicembre 2020, quando ormai i Servizi di sicurezza nazionale armeni avevano già reso pubblico lo scandalo delle adozioni illegali, Famiglia Insieme e l’Associazione Arcobaleno pubblicano sul loro sito una lettera inviata dalla «loro corrispondente armena Anush» che chiede sostegno per la popolzione armena colpita dalla guerra tra Armenia e Azerbaigian.

A giugno 2021, sul sito di Anpas, si fa invece riferimento al progetto Intrecci del Futuro portato avanti insieme all’associazione Arcobaleno Onlus, G. Moscati, e il Centro culturale Teryan per la ristrutturazione del Centro Teryan a Yerevan da mettere a disposizione di ragazzi e ragazze in difficoltà. Anche qui ritroviamo Anush Garsantyan, indicata come Presidente dell’associazione G. Moscati.

Secondo le indagini preliminari, concluse a giugno 2022, Garsantsyan è accusata di aver creato un meccanismo che favorisce le adozioni illegali attraverso false cartelle cliniche e documenti amministrativi modificati per rendere i bambini armeni eleggibili per le adozioni internazionali. Le viene contestato, inoltre, lo stesso ruolo di mediatrice per conto di agenzie di adozione italiane, considerato illegale dalla normativa armena. L’accusa della Commissione investigativa è, infatti, di aver favorito l’adozione dei bambini armeni all’estero attraverso un iter che in Italia è considerato legale, ma non in Armenia.

Garsantsyan infatti accompagnava le coppie in Armenia, organizzava gli incontri con i bambini candidati, traduceva i documenti necessari dall’armeno all’italiano per poi presentarli alla Corte armena, pagava le tasse necessarie e, una volta completata la procedura di adozione, spediva il bambino con la famiglia all’estero. Questo ruolo di intermediazione, secondo la legge Armena, è illegale. Secondo i pubblici ministeri armeni, Garsantsyan avrebbe guadagnato più di un milione di euro per questo lavoro.

«Anni di fiducia e cooperazione tra i nostri Paesi»

Garsantsyan nega tutte le accuse e non ha mai smesso di essere la “referente” armena per gli Enti autorizzati Associazione Arcobaleno Onlus, Anpas e Famiglia Insieme Onlus, né con lo scoppio del caso nel 2019, né poi nel 2021 quando la Cai decide di sospendere le adozioni dall’Armenia.

IrpiMedia si è confrontata a lungo con la Cai, che ha espresso preoccupazione per l’indagine in corso e si è dimostrata disponibile a fornire tutti gli elementi in suo possesso relativi al caso. Secondo un primo scambio, già nel 2019 era stato segnalato agli enti autorizzati italiani la notizia che la Procura generale armena stava conducendo un’indagine relativa ad alcune adozioni internazionali concluse tra il 2016 e il 2018, anche da parte di famiglie italiane, che sarebbero state realizzate in violazione della normativa armena in materia.

La cronologia dell’inchiesta armena

A seguito delle segnalazioni, «nella sua attività di vigilanza sull’operato degli enti, la Cai ha più volte manifestato la propria preoccupazione all’Autorità centrale armena, chiedendo ufficialmente di essere messa al corrente dell’evoluzione dell’inchiesta e di essere rassicurata sul fatto che nessun referente o collaboratore degli enti italiani operativi in Armenia risultasse coinvolto, direttamente o indirettamente, nei fatti oggetto dell’indagine», ha riferito la Commissione a IrpiMedia e Open Democracy.

Durante i successivi incontri con l’omologa Autorità centrale armena, l’autorità italiana dichiara di aver ottenuto rassicurazioni sulle procedure di adozione. I controlli «non hanno fatto emergere alcun elemento di illegalità, né il coinvolgimento di persone legate da rapporti di collaborazione con gli enti autorizzati», ci ha scritto la Cai, affermando che il ministero della Giustizia armeno ha inviato una nota «dettagliata» alla Commissione in cui si esclude «ufficialmente il coinvolgimento degli enti autorizzati nell’inchiesta che ha investito le adozioni in Armenia».

Nonostante le rassicurazioni ricevute, la Commissione «ha temporaneamente sospeso in via cautelare l’assunzione di nuovi incarichi in Armenia». Per spiegare le tre adozioni avvenute nel 2022 e i nove casi pendenti, ha poi specificato che «al fine di non pregiudicare il proseguimento delle procedure già instradate nel Paese, nell’interesse superiore dei minori potenzialmente in esse coinvolti la Commissione ha ritenuto di consentirne il proseguimento». Al momento della decisione, quindi, vengono esclusi dal blocco i casi «avviati ma, senza proposta di abbinamenti da parte dell’Autorità centrale armena».

Sui costi contestati dall’indagine armena, la Cai ha precisato che l’ente autorizzato opera senza scopo di lucro ed è l’unico soggetto deputato a definire la procedura in termini procedurali ed economici. Sul sito di Famiglia Insieme sono indicati i costi delle adozioni per l’Armenia: 25.000 euro suddivisi in spese per la procedura di adozione, i servizi resi dal referente estero e le traduzioni. Ritroviamo la stessa cifra sul sito dell’associazione Anpas.

I costi delle adozioni

Secondo quanto riferito dalla Cai, il costo di un’adozione è di regola strutturato in due quote: la Quota Italia è prevista a copertura dei servizi resi per la procedura in Italia, la seconda, la Quota Estero, è a copertura dei servizi resi per la procedura all’estero e per i servizi di post adozione. I costi variano da Paese a Paese e in base a fattori congiunturali, ma in ogni caso le famiglie sono tenute a versare tutte le somme richieste sul conto corrente intestato all’ente cui hanno conferito l’incarico, per garantire la tracciabilità dei pagamenti effettuati.

Garsantyan non è indagata in Italia. In merito alla propria referente la Cai ci ha scritto che nel 2021 «a seguito delle informazioni ricevute su presunte irregolarità ha richiesto tutta la documentazione necessaria relativa al coinvolgimento della stessa» ma che «dall’esame del casellario giudiziale non è emerso nulla a carico della sig.ra Anush Garsantsyan». A giugno 2022 il ministero della Giustizia armeno ha inviato agli enti autorizzati una nota per «esortare i nostri partner a ignorare le pubblicazioni non ufficiali, i commenti e le svariate dichiarazioni, e il comportamento degli individui e delle organizzazioni a essi associati, che può lasciare un impatto negativo infondato e minare anni di fiducia e cooperazione fra i nostri Paesi».

A seguito delle richieste di Open Democracy e IrpiMedia, la Commissione ha dichiarato di aver richiesto alle autorità armene aggiornamenti sulla situazione di Garsantsyan.

Il 25 maggio 2023 la Commissione ci ha inviato comunicazione di aver ricevuto un certificato emesso dal ministero dell’Interno della Repubblica armena, «dal quale emerge che la Sig.ra Anush Garsantyan è stata indagata e risulta attualmente in fase di giudizio e che non vi sono registrazioni sulla imputazione a suo carico». Nello stesso giorno, l’Autorità centrale armena ha inviato una nota a IrpiMedia escludendo il coinvolgimento degli enti italiani nel processo penale che riguarda «supposte adozioni illegali» e confermando che l’Autorità centrale armena continua a collaborare con la referente.

In ogni caso, «in attesa che vengano svolte ulteriori opportuni approfondimenti sulla natura delle imputazioni levate a carico della referente, la Cai ha dato disposizioni agli enti operativi in Armenia, in via cautelare, di sospendere temporaneamente le attività inerenti alle procedure adottive in corso, in attesa che la Commissione valuti la situazione esistente».

Vuoto normativo

Le adozioni in Armenia sono regolate dal Codice della Famiglia e dal decreto governativo del 18 marzo 2010. Dallo scoppio del caso la legge non è cambiata.
La ripresa delle adozioni verso l’Italia nel 2022 evidenzia un’area grigia tra la legislazione italiana e quella armena che le autorità non hanno affrontato. Gli enti italiani che si occupano di adozioni dall’Armenia sono accreditati in Italia e specializzati in adozioni internazionali, tuttavia, la legge armena vieta il ricorso a intermediari o mediatori in caso di adozione internazionale.

Il Codice della famiglia dell’Armenia stabilisce che le persone che desiderano adottare possono partecipare al processo di adozione solo individualmente o attraverso i loro rappresentanti legali. Allo stesso tempo, il Codice di procedura penale dell’Armenia stabilisce che un rappresentante legale può essere un genitore, un adottante o un tutore, ma non un’agenzia o un’organizzazione.

Secondo l’avvocato Pierfrancesco Torrisi, specializzato in adozioni internazionali, «l’intervento di referenti degli enti autorizzati non costituisce un problema per la normativa. La famiglia che vuole adottare presenta autonomamente le carte al Tribunale armeno su indicazione di un referente per le adozioni».

Sulla questione la Cai ha commentato che «l’articolo 115 della legge armena vieta l’attività di intermediazione nel campo dell’adozione internazionale» ma tale divieto non riguarderebbe, secondo la Cai, le onlus italiane che sarebbero accreditate in Armenia. L’interpretazione di questo paradosso legale, dove per la legge italiana il ruolo dell’intermediario è obbligatorio mentre per quella armena è proibito, è un problema per il giudice che dovrà valutare le indagini della Commissione investigativa.

La ripresa delle adozioni, anche se modesta, preoccupa i difensori dei diritti umani e dell’infanzia in Armenia. Secondo loro, il processo legale contro i presunti criminali sembra essersi arenato.

«L’assenza di emendamenti legali significa che i meccanismi che hanno permesso le adozioni illegali continuano a funzionare. Questo lascia la porta aperta a ulteriori abusi simili», ha dichiarato Mushegh Hovsepyan, presidente dell’ong Disability Rights Agenda. Ex funzionario del ministero del Lavoro e degli Affari sociali armeno, Hovsepyan ha contribuito alla raccolta delle prove utilizzate nel processo penale in corso.

Gli esperti concordano sul fatto che, nonostante l’assunzione di obblighi internazionali, l’Armenia non abbia creato un sistema di controllo delle adozioni che funzioni correttamente.

«La regolamentazione di questo settore in Armenia è generalmente inadeguata», ha dichiarato Anahit Khachatryan, responsabile del Dipartimento per la tutela dei diritti dei bambini presso l’ufficio del Difensore civico armeno, riferendosi al processo di adozione. Il Difensore civico ha inoltre richiesto di istituire un servizio centralizzato di accoglienza per le adozioni e «criteri chiari per la selezione dei genitori adottivi, basati non solo sulle loro condizioni materiali».

Le raccomandazioni riflettono le preoccupazioni sollevate dalla ex relatrice speciale delle Nazioni Unite Maud de Boer-Buquicchio. In risposta alle nostre scoperte, l’esperta ha invitato l’Armenia e l’Italia a seguire i loro impegni internazionali e a «prevedere meccanismi solidi» per rispondere alle accuse di eventuali pratiche di adozione illecita. Intanto gli undici sospettati rimangono liberi su cauzione. Non è chiaro quando inizierà il loro processo. Il Consiglio giudiziario supremo dell’Armenia si è rifiutato di fornire informazioni sulla tempistica delle udienze.

CREDITI

Autori

Carlotta Indiano
Tatev Hovhannisyan

Ha collaborato

Tiziano Ferri

In partnership con

Open Democracy

Infografiche

Lorenzo Bodrero

Editing

Giulio Rubino

Foto di copertina

kieferpix/Getty